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Autore: Asia Dreamcatcher    24/09/2017    2 recensioni
Johann Schmidt è tornato e con esso le ceneri dell'oscura Hydra, pronta a risorgere.
Ma Teschio Rosso non è solo e Steve Rogers e gli Avengers dovranno vedersela con nuovi nemici. James Barnes sarà costretto, ancora una volta, a lottare contro i propri fantasmi, sperando di non soccombere.
Mentre gli echi di una nuovo guerra risuonano, Captain America e Vedova Nera si ritroveranno ad affrontare una sfida inaspettata, che potrebbe cambiare tutto per sempre.
Terza parte di "Se il passato è alle tue costole, ti volti e lo affronti"
Genere: Azione, Drammatico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: James 'Bucky' Barnes, Natasha Romanoff/Vedova Nera, Nuovo personaggio, Steve Rogers/Captain America, Un po' tutti
Note: Cross-over, Movieverse, What if? | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'Se il passato è alle tue costole, ti volti e lo affronti'
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Capitolo Diciassette: Legami

Love: it will kill you and save you,

both”

~ Lauren Olivier



«Scoperto qualcosa?»

Sharon Carter si accomodò sul grande letto su cui Natasha Romanoff sedeva a gambe incrociate; una mano accarezzava con dolcezza il ventre, ormai prominente e rotondo, l'altra invece passava dal tablet ad alcuni fogli svolazzanti.

«Guarda tu stessa...» rispose la russa, passandole dei file cartacei.

La bionda li lesse con attenzione, aggrottò la fronte in un'espressione sorpresa;

«Scherma e Aikido...»

«La scherma la pratica fin da bambina e con risultati quasi da olimpiade, ha iniziato Aikido dopo un tentativo di rapimento all'età di tredici anni» spiegò Natasha pensierosa «Questo mi dice qualcosa in più sulla sua personalità». Sharon la guardò incuriosita;

«Lo scopo dell'Aikido è qualcosa di più del puro combattimento o della difesa personale, ma mira a quella che viene chiamata la “corretta vittoria”: la padronanza di se stessi. Non è una sprovveduta, è più preparata di quanto lasci a pensare, sa esattamente ciò che vuole»

«E' lei che comanda in famiglia, te lo posso assicurare.» le fece eco Sharon, richiamando alla mente i ricordi dell'asta a Venezia «Non che il fratello sembri apprezzare, pensa di essere lui in vantaggio e lei glielo lascia credere. Da quanto ho potuto vedere è una che sa attendere il proprio momento, se capisci cosa intendo.»

«Agisce nell'ombra e sa aspettare. Bene, ci serviva proprio una persona del genere ad ingrossare le fila nemiche...»

«Legami con l'HYDRA?»

«Non ne sono certa. Forse ha semplicemente visto un'occasione di arricchirsi sulla pelle di mio figlio- e per questo penso che l'HYDRA centri qualcosa. Loro ne sono a conoscenza.» mormorò con sguardo freddo.

Sharon strinse le labbra arrabbiata, le prese la mano stringendola con dolcezza e fermezza cercando di trasmetterle tutto il suo sostegno.

Steve uscì in quel momento dal bagno personale, infilandosi distrattamente la maglietta. Dal suo sguardo, Natasha intuì che doveva aver ascoltato la fine del discorso.

Il capitano fece il girò del letto, sedendosi sul bordo accanto a lei, le baciò la tempia poi passò una mano sul ventre percependo i movimenti del bambino, che iniziarono a concentrarsi sotto il suo palmo caldo; quasi suo figlio volesse fargli capire che stava avvertendo la sua presenza.

«E' più calmo quando ci sei tu...» rifletté lei, accomodandosi meglio sui cuscini. Dopo quello che era successo, la dottoressa Montgomery le aveva intimato giorni di riposo assoluto. Steve aveva preso le sue parole come un'ordine venuto direttamente da Dio.

Natasha malgrado tutto, era contenta di poter sentire i movimenti del piccolo: aveva capito che gli piaceva il suono della sua voce, perché mentre parlava lo avvertiva tendersi come se fosse in ascolto; quando c'era Steve si quietava, rilassandosi; mentre quando entrambi poggiavano le mani sul grembo si agitava, come se cercasse un contatto.

Lui le sorrise brevemente mentre il suo cuore di futuro papà batteva più forte che mai nel petto.

«Dovresti riposare Nat, lo sai-» le ricordò, mentre la compagna alzò pigramente un sopracciglio ed arricciò le labbra;

«Sono bloccata a letto da un intero giorno e l'unico movimento che tu amore, mi permetti così generosamente di fare è il tragitto verso il bagno. Io sto riposando! Non mi alzo nemmeno per mangiare, visto tu così amorevolmente provvedi al nutrimento mio e di nostro figlio! Non credi mi stia già sforzando abbastanza?» replicò con tono fintamente angelico dietro cui si nascondeva una vaga nota omicida. Ogni “tu” pareva un'accusa bella e buona.

Steve inspirò pesantemente, mentre con lo sguardo cercava l'appoggio di Sharon, che ovviamente non ci pensava nemmeno a contraddire l'amica. Ogni giorno che passava, fra le due donne si creava un legame sempre più complice.

Decise di alzare bandiera bianca e si limitò ad accostarsi a Natasha, poi si rivolse a Sharon;

«Notizie riguardo a N?» chiese speranzoso.

La bionda agente si intristì appena, visitava ormai regolarmente quello che lei non considerava nemmeno più un prigioniero, ma con scarsi risultati. N aveva stabilito un contatto con lei ma purtroppo tutto ciò che faceva era farfugliare: continuava a pronunciare sempre le stesse parole in russo, raramente ricordava qualche buia giornata passata come cavia dell'HYDRA e aveva preso a ripetere la parola “sin” ovvero “peccato”. Sharon non comprendeva, che fosse una richiesta d'assoluzione?

«Nessuna novità sotto quel fronte. È confuso, oserei dire quasi impaurito. Coulson sta cercando con l'equipe medica di trovare un modo per rendere più stabile il suo cervello ma con scarsi risultati, sarebbe più semplice se sapessero che metodi ha usato l'HYDRA per distruggergli la mente in quel modo» sospirò amareggiata. Tornava sempre più depressa da quelle visite, non si confidava con nessuno riguardo al suo stato d'animo, nessuno tranne Natasha.

Le due infatti si scambiarono un'occhiata significativa e Sharon si strinse nelle spalle.

L'espressione di Steve si fece cupa;

«Il loro sprezzo per l'essere umano non ha limiti» il suo riferimento a Bucky era evidente.

Sharon abbassò lo sguardo, per impedire che vedessero nei suoi occhi lo smarrimento e il dolore che il suo intero essere, anima e corpo, provava. Non poteva che essere d'accordo con Steve. James e poi N. Per lei era un'esperienza terribile vedere il Winter Soldier, ogni notte sognava che fosse Bucky quell'anima agonizzante e devastata incatenata al letto d'ospedale per evitare non solo che ferisse gli altri, ma anche se stesso. Forse era lei quella davvero malata, che si torturava nel visitare quel ragazzo che gli ricordava tremendamente l'uomo che amava; l'unico modo per sentirlo ancora vicino. Era una masochista, ecco cos'era; una dannata masochista.

Era tremendamente arrabbiata con James, la voglia di prenderlo a pugni era proporzionata alla voglia di soffocarlo di baci se mai fosse tornato. Il suo cuore sussultò a quel pensiero: sarebbe mai tornato?

Natasha strinse il braccio di Steve per farlo tornare alla realtà e al tempo stesso fargli notare Sharon, che ancora rimuginava sulle sue parole.

Il supersoldato si sentì male, sapeva che non era l'unico a provare dolore. Non era l'unica anima strappata in quella stanza. Lui, Sharon, Jace, ma anche Sam – che aveva instaurato un forte legame con Bucky sopratutto negli ultimi tempi – Natasha, Alexandra...

«Sharon-» la richiamò lui «Grazie per quello che stai facendo.» la bionda sorrise tremula, mentre Natasha la osservava con attenzione, i loro sguardi si incrociarono e si misero tacitamente d'accordo.

«Ora meglio che vada a vedere come sta Jace» disse volendo lasciare alla coppia un po' di intimità.

«Sharon, sono quasi certo che lui abbia un piano» replicò Steve, forse per rincuorare entrambi.

Sulla soglia della porta l'agente 13 annuì;

«E' meglio per lui».

«Come sta?» domandò una volta uscita.

Natasha spostò lo sguardo sulla porta chiusa;

«E' dura – disse scuotendo il capo – come per ognuno di noi».

Steve le prese gentilmente il volto fra le dita, sollevandoglielo perché così i loro occhi potessero incontrarsi.

«Tu come stai? Come state?» il suo sguardo era intenso, calmo e profondo. Natasha si sentì sciogliere.

«Stiamo bene Steve» lo rassicurò lei, sapeva che aveva bisogno di sentirlo, doveva sapere che la sua famiglia era – per quanto possibile – al sicuro.

Chiuse gli occhi per un istante, annuendo, la fece distendere stringendosela contro, la sua schiena perfettamente adagiata contro il petto.

«Mi sei mancata-» sussurrò nascondendo il viso fra i suoi rossi capelli ed inspirando il suo profumo a pieni polmoni.

«E' possibile essere vicini e al tempo stesso così distanti?» domandò amareggiato.

Natasha voltò il capo cercando un contatto più intenso con le sue labbra.

«Stavi cercando di tenerci tutti al sicuro» gli fece notare lei;

«Non ho fatto un buon lavoro, mi pare?» sbuffò sconsolato, avvertì la sua mano accarezzargli il volto, la pelle scottava dove lei lo toccava, si godette fino in fondo quel contatto.

«Non siamo deboli ed indifesi. Cercare di tenere tutto sotto controllo ti sta logorando...»

«Non so come altro fare!»

«Non sei l'unico che sta combattendo, e ogni tanto anch'io ho bisogno del mio capitano...»

«E' un'ammissione la tua?» replicò lui con un sorriso, la osservò roteare gli occhi;

«Non ti ci abituare! Anche questo piccoletto ha bisogno di te» sussurrò divertita, per tutta risposta il bambino scalciò.

«Ouch! - si lamentò Natasha – credo mi abbia appena dato ragione».

Steve sorrise e lei con lui. Dio, solo ora si rese conto di quanto avesse bisogno di quei momenti, solo loro due, complici come sempre. Ecco perché combatteva; stare con Natasha lo rigenerava e al tempo stesso lo spronava.

Lei era come sempre bellissima e sensuale, malgrado la gravidanza la stesse mettendo alla prova fisicamente, lui continuava a trovarla irresistibile.

«Pensi che intuisca ciò che diciamo?»;

«Se ha ereditato la mia intelligenza siamo nei guai» rispose con un guizzo di genuino divertimento negli occhi;

«Modesta» la rimbeccò lui con uno sguardo luminoso. La sua mano corse al ventre di Natasha e lei sentì il figlio quietarsi, un solo arto – probabilmente la mano – a premere dolcemente contro il grembo seguendo quella del padre.

«Mi spiace aver fatto aspettare te e la mamma. Ora sono qui-» si scambiò uno sguardo con Natasha, che gli fece un cenno d'incoraggiamento e lui proseguì con voce lievemente emozionata «Papà è qui».


Jace si frizionò i capelli con l'asciugamano mentre si dirigeva in camera. Sospirò non c'era nulla di più bello di una doccia calda dopo un allenamento ad alta intensità – come si erano dimostrati ormai tutti i suoi ultimi allenamenti -.

Sulla soglia della propria stanza si arrestò e trattenne il respiro per non farsi scoprire subito. Sharon sedeva sul suo letto, i capelli color miele le accarezzavano gentilmente il viso e le spalle, i suoi occhi osservavano intensamente la foto, che aveva preso dal comodino, che ritraeva lei, Jace e James insieme sulla spiaggia di Coney Island. Ricordava distintamente quella giornata, avvenuta qualche giorno dopo il loro ritorno dalla Russia; Sharon si era fatta coraggio ed aveva preso per mano Bucky, lui non l'aveva lasciata per tutta la giornata.

«E' stata una bella giornata» esordì lei con tono malinconico, che gli fece stringere il cuore. Aveva sempre saputo che lui era lì.

«Ne avremo altre così» replicò deciso avvicinandosi a lei.

Sharon lo guardò con espressione dolce e mise la foto al suo posto, accanto a quella che lo ritraeva con i suoi genitori.

«Come stai?» gli domandò;

«Ho le ossa a pezzi, mi lamentavo di Maria ma almeno lei non si diverte come Clint a farci sputare sangue, e dopodomani ho compito di letteratura russa! Perché ho deciso di fare russo!?» si lamentò Jace, facendo però ridere Sharon.

«Natasha sarà ben disposta a darti una mano. Quante finte frecce di Clint sei riuscito ad evitare stavolta?»

«Due in più dell'ultimo allenamento!». Sharon finse di rifletterci e poi si aprì ad un sorrisetto;

«Quindi due!»

«Ehi! Lui è Occhio di Falco, mira infallibile, presente?» si indignò lui mentre la bionda gli scompigliava affettuosamente i capelli. La sua mano poi scivolò sul viso ed iniziò ad accarezzarglielo piano;

«Sei forte Jace» affermò guardandolo con occhi orgogliosi, profondi «Mi dispiace che tu debba passare tutto questo, mi dispiace-» il suo sguardo si incrinò improvvisamente.

Il quindicenne le poggiò il capo sulla spalla;

«Voi mi avete dato più di quanto potessi mai sperare di avere ancora» replicò commosso, avvertendo la tristezza di Sharon come un marchio sulla sua pelle.

«Lui tornerà» continuò convinto.

La donna gli posò un bacio fra i capelli ribelli;

«Grazie» gli sussurrò, lo accarezzò un'ultima volta prima di alzarsi.

Jace la osservò per un istante poi sentì l'impellente bisogno di dirgli una cosa;

«Sharon... M- Mi piace quando mi abbracci, sa di... mamma» affermò con un sorriso sincero.

Sharon rimase per un attimo interdetta poi il sorriso più candido e felice le illuminò il volto.

«Cerca di riposare» disse dolcemente prima di andarsene.

Passò poco tempo, prima che un timido bussare colse l'attenzione del ragazzo;

«Sì?».

Alexandra entrò con passo leggero, un'enorme felpa ad avvolgere il corpo snello, i lunghi capelli leggermente ondulati danzavano intorno al volto, lambendole la vita. Arrossì vistosamente mentre Jace incurante si infilava la maglietta, coprendo il fisico scattante con i muscoli che iniziavano piano piano a definirsi. Con un gesto la invitò a sedersi sul letto, accanto a lui.

La ragazzina scrollò le spalle e si accomodò, le lunghe gambe pallide sfiorarono quelle di lui.

«E' passata Sharon...»

«Come sta?» gli chiese sinceramente preoccupata. Lei e Jace si scambiarono un'occhiata e capì.

«Mi dispiace Ace.» mormorò. Lui le prese la mano ed iniziò a giocherellare con le sue dita con sguardo apparentemente perso, era un contatto delicato ma piacevole. Alex avvertì il proprio cuore perdere un battito, ma non si sottrasse, lasciò che il capo si abbandonasse sulla sua spalla. Le piaceva il silenzio fra loro, non era mai imbarazzato o pesante, era semplicemente pura quiete.

«Le ho detto che tornerà» disse lui improvvisamente;

«Perché?» la sua era genuina curiosità.

Jace adorava Alexandra anche per questo: lei aveva la rara dote di chiedere ed ascoltare prima di esprimere un giudizio.

Lui si chinò verso il comodino e dal cassetto estrasse una cornice vuota.

«Per questo» rispose mettendogliela sotto il naso, Sasha lo osservò con interesse e lui proseguì;

«In questa cornice era contenuta una foto preziosa per Bucky, la tiene sul suo comodino, nel nostro appartamento. È una delle foto che Sharon gli ha regalato lo scorso Natale*, in questa foto ci siamo tutti noi-»;

Alexandra sorrise capendo cosa voleva dirgli l'amico. Si guardarono e lei sperò con tutto il cuore che quell'intuizione prima o poi si rivelasse corretta.


*


L'appartamento era immerso nella penombra, le fiamme del piccolo gas portatile e una candela malamente consumata erano le sue uniche fonti di luce.

Il dito metallico passò più volte sopra il medesimo punto della foto che reggeva, i cui bordi erano ormai consunti, come se in quel modo potesse accarezzare davvero quel volto. Come se lei potesse davvero percepire il suo tocco.

James Barnes emise un debole lamento, somigliante spaventosamente a quello di un animale ferito. I suoi occhi di ghiaccio rimasero puntati su quel rettangolo di carta tanto fragile quanto prezioso, che ritraeva la sua famiglia.

«Sharon» articolò con voce roca. Era come se pronunciare quel nome avesse il potere di portarlo lontano da quel luogo desolato, da quel paese in cui non avrebbe più dovuto rimetter piede, braccato dai suoi demoni. Si immaginò immerso fra le lenzuola dai tenui colori della loro stanza, i suoi occhi contemplare in adorazione il corpo nudo e deliziosamente arrossato di Sharon, a causa dell'amore che si erano donati a vicenda, si sporse verso di lei catturandole il volto con le mani e perdersi nei suoi occhi scuri ed innamorati.

Riaprì gli occhi di scatto, avvertendo la disperazione risalire dalla bocca dello stomaco e trasformarsi in un conato di vomito.

Guardò i volti delle persone a lui care per un'ultima volta, poi ripiegò con cura la foto e la infilò nella giacca della divisa, all'altezza del cuore. Si passò il viso sfatto con la mano. Quella ricerca doveva portare a qualcosa.

Improvvisamente un potente bussare alla porta lo colse impreparato. Si alzò di scatto e con i sensi all'erta. Rapido e silenzioso afferrò il fucile pronto ad affrontare chiunque si celasse oltre.


*


Sin entrò liberandosi del trench blu che frusciante cadde a terra, rivelando la sua sinuosa figura ammantata di nero. Prese posto sulla poltrona di pregiata pelle, nel lussuoso attico che godeva di una splendida vista della città sull'acqua: Venezia.

«Gentile da parte tua venirmi a prendere» esordì con voce graffiante Allegra Caterina Belgioioso, catturando l'attenzione e lo sguardo della figlia di Teschio Rosso.

Sin afferrò il calice di vino rosso che le porgevano, se lo portò alle labbra e ne gustò il sapore intenso e fruttato. Amava il vino rosso, così scuro le ricordava il sangue rappreso.

Le due giovani donne si osservarono attentamente. Nessuna delle due si fidava dell'altra: Allegra aveva perso l'asta a causa delle schermaglie fra l'HYDRA e gli Avengers e questo poneva il suo detestato fratello in una posizione di vantaggio, seppur lieve, rispetto a lei; Sin aveva sicuramente da rimproverare ad Allegra l'ingenuità con cui la sua famiglia si era fatta raggirare dagli Avengers permettendogli di infiltrarsi e mandando in fumo non solo l'acquisizione delle armi chitauriane ma la perdita di un Winter Soldiers, per cui lei aveva pagato sulla sua pelle. Entrambe quindi avevano, ognuna, la proprie ragioni per saltare al collo dell'altra, eppure ora si trovavano l'una di fronte all'altra in una sorta di stasi.

«Ho saputo ciò che è successo a New York. Sciocco da parte tua credere che dei banali mercenari potessero rapire Natasha Romanoff» celiò Sin con un sorriso sghembo, si era rivolta lei con lo stesso tono con cui una maestra si rivolge ad un bambino disubbidiente.

L'italiana non sembrò prendersela anzi sorrise, come se le sue parole l'avessero illuminata su un concetto di difficile comprensione; l'ironia era palese. Sin assottigliò lo sguardo.

«Ho voluto mandare un messaggio. La Romanoff è sempre stata una preda ambita, volevo solo ricordarle che non è intoccabile» spiegò alzando appena il calice. Perché cercare l'appoggio dell'HYDRA? Perchè gli Avengers valevano una miniera d'oro. C'era gente pronta a sborsare quantità inimmaginabili di denaro per le abilità di Tony Stark, o per la testa di Occhio di Falco o Captain America; per lei erano puri e semplici affari, loro erano la causa per cui Alessandro aveva riguadagnato terreno e qualcuno avrebbe pagato per quello. Nessuno sapeva com'era essere lei e nemmeno le interessava che qualcuno comprendesse la sua visione del mondo. Inoltre anche l'HYDRA aveva i suoi lati interessanti, segreti che avrebbe potuto rivendere a peso d'oro. Come quel soldato che le stava appresso la notte dell'asta, grazie ai video di sorveglianza aveva avuto modo di osservarlo e capire che era speciale quasi quanto James Barnes, Steve Rogers e Natasha Romanoff.

Doveva solo frenare ancora per un po' la sua sete di vendetta.

«Beh sono quasi certa che l'abbia recepito e non solo lei!» replicò Sin bevendo un ulteriore sorso di quel pregiato vino. Sorrise ferina. Le seccava ammetterlo ma l'appoggio di un membro della famiglia Belgioioso era essenziale, per quello che nella sua testa si stava delineando sempre più come qualcosa di necessario. Usare le sue risorse avrebbe potuto aprirle nuove opportunità, inoltre i nemici dei suoi nemici erano suoi amici. Doveva sfruttarla il più possibile prima di toglierla di mezzo; ma non doveva sottovalutarla, questo no.

Quella fra loro due sarebbe stata una magnifica quanto letale partita di scacchi.

«Mentre tu sguinzagli i più sanguinosi mercenari e assassini in circolazione perché mettano le mani sul prezioso figlio di Vedova Nera e Captain America, spero non ti dispiacerà se io continuo con la mia strategia: dividi et impera» continuò la figlia dell'HYDRA con tono falsamente accondiscendente.

Allegra pur intuendo lo sprezzo nel suo tono continuò a sorridere;

«Certo che no, mia cara. Dividi et impera!» replicò brindando con il suo calice.

Il loro sorriso era tra i più falsi del loro repertorio.

Allegra ingollò l'ultimo sorso prima di osservarla con rinnovato interesse;

«A proposito quali sono le vostre intenzioni con il bambino?».


*


K sollevò di scatto le palpebre ma impiegò alcuni secondi per mettere a fuoco la propria asfittica e grigia stanza. Qualcosa l'aveva disturbata dal suo sonno buio e senza sogni, poi lo sentì. Un tonfo, seguito da un altro e poi da un altro ancora; ecco cos'era stato a svegliarla.

Rimase immobile per un secondo ancora poi il suo cervello comprese e il suo petto ricevette una dolorosa stilettata.

No!

Si alzò di scatto e si precipitò nella stanza accanto alla sua e ciò che vide ebbe il potere di raggelarla. D sbatteva ripetutamente la testa contro la parete, imbrattando i suoi candidi capelli di inquietante rosso, mentre una risata cristallina e folle sfuggiva dalle sue labbra.

«D! Ora basta!» le urlò afferrandola per le spalle e allontanandola dalla parete, ringraziò che la padrona e lo stesso L non fossero presenti nell'edificio o le conseguenze sarebbero state tragiche.

«Va tutto bene. Va tutto bene» le sussurrò stringendola fra le sue braccia. La sua psiche era così fragile, sarebbe stato logico porre fine ad un essere così... inutile, eppure lei non ci riusciva. O meglio non voleva.

K la tenne stretta, facendola calmare nel modo più silenzioso possibile, se le avessero trovate in quella situazione- arrestò i suoi pensieri, non volendo spingersi oltre.

«K...» le voce della bionda era così spezzata e candida che la bruna ebbe un moto di fastidio «Mi dispiace» disse semplicemente, i suoi grandi occhi totalmente vacui.

K la baciò sulla ferita ancora fresca e le accarezzò il volto; le sue labbra si tesero appena all'insù in una pallida imitazione di un sorriso.

«Va tutto bene Didi. Sono qui. Non ti lascio» Era la verità, ormai era giunta al punto di non ritorno.



* vedi la mia storia “Il Natale che vorrei

______________________________________________________________________________________________________Asia's Corner
Buongiorno a tutti voi miei cari lettori! Eccoci nuovamente qui con questo bel capitolo, un po' dolce un po' amaro! Come avete letto ho dato un po' di respiro ai sentimenti di alcuni protagonisti, entrando in alcune dinamiche: come ad esempio fra le due Winter Soldiers K e D; senza tralasciare la storia con l'incontro fra le due villains Sin e Allegra.
A tal proposito spero che vi siate goduti l'incontro-scontro fra le due, fra cui intercorre un sottile e fragile equilibrio, non si fidano e hanno ottimi motivi per scannarsi eppure decidano di lavorare insieme, solo perché ognuna spera di giungere prima al proprio obiettivo in modo da poter togliere di mezzo l'altra. E' quasi una sorta di gara!
Chi sarà, poi l'indivduo/a che ha osato disturbare il nostro povero Soldato d'Inverno? 

Ancora una volta spero di non avervi deluso e che il capitolo vi sia piaciuto! Vi ringrazio tantissimo per il continuo supporto e a tutti voi che seguite ed inserite questa storia nel varie liste! :)
Per il momento è tutto, per qualsiasi dubbio non esitate a contattarmi e vi invito a mettere "mi piace" alla mia pagina fb "Asia Dreamcatcher"! Io vi saluto e vi do appuntamento tra 3 settimane: SABATO 14 OTTOBRE!

   
 
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