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Autore: julsshood    25/09/2017    0 recensioni
«Sai qual è il significato del nome Deianira?» sussurrò in modo poco udibile, giocando con le dita di lui, quasi ad aver paura del fatto che qualcuno potesse sentire ciò che aveva da dire. Il ragazzo la guardò in silenzio, che con lei non sapeva mai che parole usare. Osservò le sue labbra mentre: «'Colei che distrugge il proprio amato'» diceva, un sorriso colpevole e distrutto sul volto.
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Credeva che la vita ce l'avesse un po' con lui. In realtà, sapeva che la vita era bastarda a prescindere. Solo che, no, non riusciva proprio a capire il fatto che la vita gli avesse concesso di conoscere una cosa, una persona così bella come lei. Lei che, alla fine, lo avrebbe portato alla distruzione.
Genere: Angst, Drammatico, Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Luke Hemmings, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Baltimora. 
Sabato 12 novembre, 8.00 AM.

La sua fronte era poggiata sulla lastra di vetro trasparente della sua finestra, e il freddo di Baltimora alle prime ore del mattino d'autunno le oltrepassava le ossa, procurandole brividi di freddo alla spina dorsale. Si strinse maggiormente nella sua coperta, stringendola tra le dita e accucciandosi all'angolo tra la finestra e la panca sotto di essa. Fissava il cielo, vedeva la grande distesa azzurra ma non guardava niente, i suoi occhi avevano semplicemente trovato qualcosa che calmasse le voci nella sua testa e i suoi pensieri, solitamente incasinati, avevano ritrovato il loro ordine. Il cielo di quella mattina era limpido e sovrastava Baltimora in tutto il suo splendore, mentre -ancora basso- il sole illuminava fiocamente le vie larghe e si posava adagio sulle case silenziose. Deianira era circondata dal silenzio, e la pace le occupava la mente come poche volte; camera sua, così come tutta la casa, non era protagonista delle solite urla e delle soliti liti, ma i muri sembravano trapelare tutte la parole gridate da giorni a quella parte e un senso di malinconia pervase la ragazza. La differenza abissale tra Baltimora e Tallahassee le sembrava proprio quella: la prima le ricordava il rumore, la seconda il nulla; e tra le due, Deianira, preferiva Tallahassee. Chiudendo gli occhi le sembrava di sentire suo padre canticchiare mentre smanettava con pentole e pentolini, l'odore di caffè e pancakes solleticarle il naso e il sole caldo della Florida batterle sul viso; sorrise istintivamente, forse il primo sorriso che fece da quando si trovava a Baltimora, e poi aprendo gli occhi venne brutalmente catapultata in quella realtà che le veniva stretta. Quella realtà dove, a farle compagnia tutti i giorni, erano le liti e i disguidi con la madre, il rumore e il freddo pungente. Sarebbe scappata, se avesse solo potuto, ma era consapevole che non poteva fuggire dai problemi. Intrappolata in quella città troppo rumorosa e fredda, abbandonata ai suoi sbalzi d'umore e governata dai suoi impeti di rabbia repressa. Era convinta che tutto accadesse per mano di qualcos'altro, come tante reazioni a catena, un domino crudele che si divertiva con il suo cuore e i suoi sentimenti, frantumandoli a suon di rabbia. Aprì di scatto gli occhi, inspirando ed espirando a pieni polmoni, lasciando che il blu del cielo spazzasse via la sua rabbia.

A pochi chilometri da lì Luke camminava sul marciapiede con passo strisciato, con una felpa grande a coprirgli il corpo e le mani cacciate dentro le tasche dei jeans. Pensava a tutto e al niente, mentre calciava sassolini e pestava le foglie secche sotto i suoi piedi; l'autunno intorno a lui sembrava donare colore alla sua vita grigia, che pur di staccare la spina da quella monotonia Luke s'alzava presto di sabato mattina e, semplicemente, camminava senza avere una destinazione. Imboccò la Bauernwood Avenue senza neanche rendersene conto, badando poco alle lettere stampate sulla segnaletica e continuando a camminare con lo sguardo perso nel cielo. Le labbra screpolate erano leggermente aperte, piccole nuvole di condensa uscivano da esse offuscandogli la vista e gli occhi blu, illuminati dai raggi solari, acquisivano striature talmente chiare da somigliare al cielo di quella mattina. La ragazza bionda, poggiata alla finestra della sua camera, lo guardava curiosa, riconoscendo quel viso angelico e associandolo allo stesso ragazzo che le aveva mostrato la via per casa, giorni a dietro. E illuminato dal sole Deianira pensò che non esistesse nome e definizione più adatta per il ragazzo fermo sotto la sua finestra; Luke, colui nato alle prime luci del mattino. Con la luce battergli sul viso, intanto, l'attenzione di Luke venne lestamente spostata alla figura della ragazza alla finestra e, senza riconoscerla, ne ammirò i capelli biondo miele sciolti e gli occhi scuri scrutare i suoi. Si scrutarono come solo due amanti avrebbero fatto, lei dall'alto della sua finestra e lui sotto i raggi di un sole debole, rimanendo interdetti e curiosi di conoscere il motivo per cui, alle prime luci di un mattino freddo, entrambi guardassero il cielo in attesa di un miracolo. O semplicemente, di una risposta a tutti i loro perché.

10.30 PM.

Che non fosse una persona fatta per i posti affollati e controllati dal rumore lo si poteva evincere dall'espressione annoiata e profondamente amareggiata sul suo viso, seduto in un angolo di una casa sconosciuta e con i muri tremanti a causa della musica, Luke osservava come un fantasma ciò che accadeva intorno a lui, desiderando ardentemente di poter essere in un posto differente da quello. Più calmo, silenzioso, profondo. 
Notava con disappunto come i ragazzi della sua età si divertivano: bottiglie di birra e alcolici vari erano lasciate vuote e fredde su dei tavolini sparsi per la casa, residui di sbronze adolescenziali fatte per provare l'adrenalina di sentir scorrere, insieme al sangue, liquido trasparente e logorante. E l'altra parte non occupata nel contaminarsi la mente e le vene si divertiva saltellando al centro di quell'ambiente rumoroso, compiendo passi nel vano tentativo di ballare e racimolare attenzioni -particolari o meno- da sconosciuti e non. Calum si faceva spazio in mezzo alla folla per raggiungere l'amico, con due bottiglie di birra aperte in mano e un sorriso imbarazzato stampato in viso.

«So che non sei il tipo da festa Luke, mi dispiace averti trascinato qui». Lo guardò con labbra serrate e l'espressione neutra, costatando quanto fosse realmente dispiaciuto il suo amico dalla pelle ambrata, e afferrando la bottiglia ricoperta di goccioline di condensa fece spallucce. Poi, dopo aver represso il suo malessere in un bel sorso di birra, parlò dicendo: «Va bene uguale Cal, tranquillo»; Luke sapeva quanto Calum si sforzasse di aiutarlo, quanto -nel suo piccolo- cercasse di smuoverlo, e di trasformare quell'immensa apatia e quell'immenso dolore represso in qualcosa di bello; aveva sempre pensato che in realtà, il suo amico, stesse soltanto sprecando il suo tempo. Stava cercando di far cadere gocce di pioggia sul terreno arido di un deserto troppo vasto e troppo afoso. Luke era semplicemente senza speranza.

«Va a divertiti Calum, non stare qui con me. È una perdita di tempo.»

Li vide vacillare, gli occhi di Calum, in un modo in cui –a vederlo– non assisteva da tanto, e l'esitazione nella sua voce era antitetica a ciò che trasmettevano i suoi occhi.

«Non voglio lasciarti solo»

«Ed io non voglio che tu stia qui con me quando potresti ballare e divertirti, perciò va e non badare a questo lupo solitario»

Con un ultimo rassicurante sorriso Luke vide il suo amico ringraziarlo mestamente, alzarsi e dirigersi a grandi falcate verso il centro del grande salone dove la folla di scalmanati ubriachi lo accolsero come un vecchio amico. E mischiato alla mischia, Calum si perse e Luke...Luke rimase solo, con una bottiglia fredda e ricoperta di condensa come tutte le altre. Anche lui, apparentemente uguale agli altri suoi coetanei, si perse nel suo mondo fatto di silenzio; ma non contento sentì il bisogno viscerale di percepirlo quel silenzio, che sembrava richiamarlo nella sua testa fragile, come un eco lo abbindolava e attirava verso di lui e il biondo, sobriamente, si lasciò trascinare in quella corrente di calma. Prese un respiro profondo quando mise piede fuori quella casa, un po' più lontano dal rumore, udendo il richiamo del silenzio farsi più vicino, e inspirò ed espirò come se fosse stato in apnea per troppo tempo, avvolto in una morsa letale per il suo animo inconsueto. Avviandosi a passi piccoli ma veloci, Luke si ritrovò in una strada buia e larga, immerso in quel bramato silenzio che aveva cessato il suo richiamo, e con la testa tra le nuvole e le mani cacciate in tasca semplicemente si allontanò, cercando di ritrovare se stesso.

Lì vicino, intanto -forse qualche isolato di lontananza dalla figura persa di Luke- una ragazza sbatté violentemente la porta di casa dietro di se, e in preda ad una rabbia incontrollata corse via da quella struttura divenuta troppo oppressiva. Deianira corse senza mai fermarsi verso una meta anche a lei ignota, non badando alle strade che imboccava, col solo pensiero di fuggire –in qualche modo e il più lontano possibile– da quella casa. Si ritrovò davanti al cancello logoro e quasi sinistro, a causa del buio della notte, di un piccolo parco; non badando all'orario e alla città che si andava spegnendo, Deianira si lasciò cadere ai piedi di quel cancello respirando a pieni polmoni l'aria consumata durante la corsa. Con mente stanca ed emozioni danneggiate la ragazza mandò giù il groppo formatolesi in gola, reprimendo con esso la voglia di urlare e lasciandosi cullare dalla quiete intorno a lei. Chiuse gli occhi con la stanchezza offuscarle la mente; una stanchezza che la costringeva a rimanere a corto di parole e fiato, liti continue che si ripetevano nella sua testa come un disco rotto. Deianira strinse le sue mani in due pugni conficcando le unghia nel palmo della sua mano, procurando tagli che avrebbero fatto la loro figura il mattino successivo, ma non importava quanto stesse male, lei sapeva che quello non era il momento esatto per crollare. Le lacrime non cadevano, e la testa continuava a pulsare, costringendola a strizzare gli occhi; aveva paura, paura per ciò che sarebbe potuto succedere dopo, e il suo desiderio irrefrenabile di ritornare a Tallahassee crebbe soltanto di più. Ma proprio mentre stava per piegarsi alla rabbia dentro di sé, causando la sua imminente distruzione, il rumore di passi affrettati la obbligò ad aprire gli occhi, ritrovandosi a pochi metri di distanza la figura di un ragazzo perso quanto lei.
Guardandolo, nel buio della notte, con la luna ad illuminargli il viso, gli parve il miracolo mandatole da Dio. Un demone nei panni d'angelo con gli occhi blu, Luke incarnava alla perfezione la sua anima andata e persa, fottuta e devastata. Represse una risata, Deianira, a cui quell'intera situazione sembrava soltanto un crudele scherzo del destino. Quel ragazzo continuava a ritrovarla.

«Guarda chi si rivede» disse, la voce le uscì graffiata e tirata, conforme a ciò che era accaduto in casa sua. Luke, dal suo canto, lasciandosi cadere ai piedi dello stesso cancello, accanto a quella che per lui era sconosciuta, la guardò con sguardo corruciato.

«Ci conosciamo?»
«Non proprio. Sono la ragazza persa che hai accompagnato a casa, giorni a dietro»
«Oh, sei tu. Quella col nome strano»
«Deianira, esatto. Tu sei il ragazzo nato alle prime luci del mattino»
Luke sorrise sbilenco ad occhi semi-chiusi, certamente ricordava quel viso quasi angelico e gli occhi scuri esaminare i suoi, come se ci fosse realmente qualcosa da studiare in essi.
Non l'aveva dimenticata, neanche per un minuto; aveva soltanto represso il pensiero e accantonato il ricordo.

«Cosa ci fai qui? È pericoloso»
«Potrei farti la stessa domanda»
«Sono scappata»
«Da cosa?»
«Non ha importanza»
«Credo ce l'abbia»
«E tu? Perché sei qui?»
«Avevo bisogno di pace»
«Perché?»
«Non ha importanza»

Facendo insinuare il silenzio tra di loro, ammazzando quella conversazione sul punto di nascere, Luke e Deianira si persero a guardare il cielo di Baltimora sopra di loro, con la consapevolezza e il divertimento amaro di chi sapeva che quello, di per certo, non sarebbe stato il loro ultimo incontro. Poiché mai, nelle loro vite, avevano smesso di cercarsi inconsapevolmente.

 
non ho scusanti per il mio ritardo di due mesi e passa, e il fatto quasi divertente è che non ho avuto niente che mi abbia impedito di aggiornare. ma vabbè, non sarà l'ultima volta, soprattutto con l'inizio di questo terzo anno di linguistico e tutto ciò che comporta: venite al mio funerale, in caso.
mi scuso per eventuali errori e, spero presto, al prossimo capitolo.
tanti baci, giulia.

 
   
 
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