Ludwig osservava i prigionieri
lavorare con uno sguardo
confuso mentre la sua mente era affollata da dubbi. Cos’era
successo poco tempo
prima? Cos’aveva portato Gilbert, il suo fratello crudele e
sadico, a non
picchiare quel ragazzo, ma anzi a lasciarlo andare e correre fuori
dalla
fabbrica?
Ludwig proprio non riusciva a trovare risposta.
Osservava in silenzio tutta quella
gente mantenendo la sua
impeccabile posa militare con la schiena dritta e il petto
all’infuori per
incutere timore e rispetto.
Spesso gettava un’occhiata verso la fornace dove il ragazzo
canadese aveva
preso il posto di un altro prigioniero. Quella povera anima piangeva in
silenzio mentre gettava le pietre nella fornace e incanalava il metallo
fuso
negli stampi. Sul suo collo si era formato il grosso segno di una mano
rossa
che circondava tutta la pelle appena sotto il mento. Finito il lavoro,
Ludwig lo
avrebbe mandato in infermeria per un controllo.
Altrettanto spesso il suo sguardo di
ghiaccio si posava sul
piccolo italiano che curvo sotto i sacchi cercava di svolgere il suo
lavoro,
riuscendoci molto male. Era molto fragile di costituzione
perciò non riusciva a
portare bene il peso dei sacchi e piagnucolava ogni due passi di essere
stanco,
di avere dolori alla schiena e di avere fame. Gli altri detenuti
cercavano di
spronarlo con incoraggiamenti e con spinte ma il ragazzo non sembrava
proprio
adatto al lavoro manuale.
Ludwig sorrise dolcemente nel vederlo
in quello stato un po’
patetico. Trovava quel Feliciano adorabile nonostante il suo
comportamento
infantile, e poi il suo nome sembrava pura poesia. Il tedesco aveva
impiegato
diverso tempo per riuscire a pronunciarlo correttamente senza
imbruttirlo con
il suo forte accento tedesco. Desiderava poter pronunciare il suo nome
dolcemente come lo pronunciava lui con il suo incantevole accento
italiano.
Inoltre aveva gettato l’occhio anche sul fondoschiena del
ragazzo quando gli
dava le spalle per uscire dall’edificio, vergognandosi
internamente di ciò che
stava facendo ma non riuscendo a smettere. Dio, aveva un culo
celestiale, così
piccolo e sodo, probabilmente perfetto per essere preso tra le sue
mani…
I suoi pensieri peccaminosi furono
interrotti da un uomo che
entrò improvvisamente nella fabbrica chiamandolo a gran
voce. Ludwig, rosso in
faccia, si girò di scatto vedendo Roderich accorciare le
distanze tra di loro
con la sua camminata lenta e aggraziata, davvero fuori luogo in un
posto
simile.
“Ludwig, volevo informarti
che il pranzo è quasi pronto, il
francesino ha cucinato sia per questi pezzenti che per noi. Spero
davvero per
lui che sia all’altezza della sua fama” Disse con
il suo accento sofisticato
aggiustandosi gli occhiali.
“Bene, grazie. Sai per caso
dov’è Gilbert?”
“Si è rinchiuso
nella sua stanza a pregare non so per quale
motivo, ma ha detto che sicuramente presenzierà al
pranzo”
Il tedesco biondo annuì
incerto, poi si guardò attorno
osservando i prigionieri lavorare.
“Io… io credo
che mangerò con i prigionieri”
A quelle parole Roderich
sgranò gli occhi e rimase a
guardarlo scioccato e allo stesso tempo inorridito.
“Stai scherzando,
vero?” Chiese dopo qualche istante di
silenzio.
“No, io non scherzo mai,
dovresti saperlo”
“Non puoi essere serio,
Ludwig! Come ti salta in mente di
condividere il pasto con questa…” Con un gesto
ampio indicò tutti i prigionieri
“…gente…” Concluse con una
smorfia.
Ludwig rimase a fissarlo per qualche
istante. Roderich era
il rampollo di una ricchissima famiglia austriaca che, per salvare il
proprio
patrimonio e il proprio prestigio, con l’annessione
dell’Austria alla Germania
aveva deciso di appoggiare la dittatura nazista senza alcuna remora.
Grazie all’influenza
della sua famiglia, Roderich era stato subito assegnato al campo di
concentramento senza nemmeno passare per l’allenamento in
esercito, per questo
aveva conservato il suo atteggiamento aristocratico. Egli abbracciava
perfettamente l’ideologia nazista della razza e della
divisione in classi
sociali guardando dall’alto in basso praticamente tutti
quelli che gli si
avvicinavano. Ludwig non sopportava il suo atteggiamento spocchioso, e
soprattutto
il suo menefreghismo per quasi tutto quello che succedeva in quel
luogo.
A Roderich interessava soltanto la musica, i soldi, una vita agiata,
essere
servito e riverito, e i dolci. Il resto non lo toccava minimamente.
“Qualcuno dovrà
pur controllarli no?” Rispose in modo
diplomatico. In realtà non voleva rivelare di sentirsi
più a suo agio con
quella gente piuttosto con i secondini del campo di concentramento.
Roderich lo fissò con
diffidenza per qualche istante, poi
sbuffò sconfitto e annuì.
“Hai ragione, fai come
meglio credi. Vado ad avvertire
Gilbert allora e a dire al biondino in calore di sbrigarsi con il
pranzo.
Intanto fai concludere i lavori e porta questa feccia nel cortile
davanti il
dormitorio per la distribuzione del pranzo”
Girando i tacchi, lentamente ed
elegantemente com’era
arrivato se ne andò.
Ludwig scosse la testa e rivolse la sua attenzione ai lavoratori
iniziando ad
urlare ordini con il suo forte accento tedesco.
Francis rimase sconvolto nel sentire
il racconto di
Feliciano. In una mattinata erano successi ben due miracoli,
avvenimenti più
unici che rari. Non solo Feliciano era incredibilmente uscito incolume
dal
confronto con la guardia circa la sua pigrizia mattutina, ma Matthew
era
sopravvissuto alla violenza senza senso di Gilbert con solo un grosso
livido
sul collo.
Francis continuò a mangiare la sua minestra scioccato mentre
ascoltava la fine
del racconto di Feliciano.
“E così Gilbert
ha urlato contro tutti noi di continuare a
lavorare e poi è uscito dalla fabbrica e non si è
più visto! Ve, è strano vero?
Però è stata una fortuna per Matthew, ve! Vero
Matthew?”
Il ragazzo biondo mangiava lentamente
la sua minestra in
silenzio guardando a terra. I suoi occhi erano scavati da profondi
segni rossi
dovuti al pianto e le guance ancora portavano i segni delle linee
lasciate
dalle lacrime. Aveva un aspetto pietoso e Francis ebbe compassione per
lui.
Posando il suo piatto di minestra a terra affianco a lui, Francis si
alzò e
affiancò il canadese che sembrava non essersi accorto della
sua presenza. Con
un dolce sorriso, il francese lo strinse in un abbraccio poggiando la
sua testa
sul petto e accarezzando lentamente i suoi capelli arruffati.
“Oh petit
trésor, ti sei spaventato, non è vero? Ti ha
fatto
tanto male? Avanti non preoccuparti, è tutto finito, ci
siamo noi adesso qui”
Matthew posò a terra il
suo piatto ormai quasi vuoto mentre
i suoi occhi si gonfiavano nuovamente di lacrime. Con un singhiozzo
ricambiò
l’abbraccio di Francis nascondendo il volto nel suo petto.
“Io…
sigh… io non voglio stare qui! Ho paura! Sob! Voglio
mio fratello, dov’è mio fratello?
Dov’è Alfred?? Sigh!”
Anche feliciano posò il
suo piatto vuoto a terra e si
aggiunse all’abbraccio.
“Non preoccuparti, amico
mio, le cose si sistemeranno presto,
ve! Sono sicuro che i nostri cari staranno facendo tutto il possibile
per
trovarci e salvarci!”
Feliciano sembrava davvero ottimista
e convinto di ciò che
diceva. La sua genuinità riuscì a calmare un
po’ Matthew e lentamente si
allontanò dall’abbraccio e ringraziò i
suoi amici.
“Avanti petit, finisci il
tuo pranzo e riposa un po', tra
qualche minuto ricominceremo a lavorare e non avremo più
tempo per riposare!”
Matthew annuì e riprese il
suo piatto, mentre Francis
ritornò al suo.
Da lontano Ludwig osservò con interesse la scena. Era
curioso vedere come si
era formato del cameratismo in così poco tempo tra i
prigionieri, soprattutto
tra il polacco e il lituano e tra Feliciano, Francis e il ragazzo
canadese, e
scoprì che la cosa non gli dispiaceva. Rimase ad osservarli
per qualche altro
istante, finché una voce alle sue spalle non lo prese di
sorpresa.
“Che scena commovente, non
è vero?”
Con il suo tipico sorriso tagliente e
brillante Gilbert era
magicamente apparso dietro le spalle del ragazzo, come se sbucasse dal
nulla.
Ludwig non fu particolarmente felice di vederlo, non dopo quello che
aveva
fatto al canadese.
“Sei finalmente riuscito ad
uscire dalla tua stanza! Il
nostro Dio ti ha nuovamente parlato?” Chiese con una forte punta
di ironia nella
voce.
“Non sei
spiritoso!” Rispose l’albino con poca convinzione.
Ludwig girò la testa per
guardarlo sospettoso. Si aspettava
come risposta la solita filippica sulla fede e
sull’autenticità dei colloqui
che Gilbert aveva con l’onnipotente, ma trovò
invece suo fratello fissare in
silenzio in direzione del gruppetto di prigionieri che si godeva un
po’ di
riposo. Ludwig non ne era sicuro ma sospettava che stesse guardando
proprio il
ragazzo canadese che poche ore prima stava per picchiare a morte. I
suoi dubbi
trovarono conferma pochi istanti dopo.
“Francis! Smettila di
perdere tempo come un idiota e porta
quel fallito inglese in infermeria. Non mi piace vedere i lavori
lasciati a
metà!”
“S-sono
canadese…” Sussurrò Matthew, ma nessuno
sembrò
sentirlo.
Senza rispondere, Francis si
alzò e aiutò con la mano il
ragazzo ad alzarsi a sua volta.
“Vieni, andiamo a
controllare quel brutto livido sul collo,
oui? Sicuramente dopo ti sentirai molto meglio”
“Muovetevi maledizione! E
voi altri alzate il culo e tornate
a lavoro! Veloci!”
Ludwig rimase in silenzio a guardare
fisso davanti a lui.
Che Gilbert non amasse lasciare i lavori a metà o incompiuti
era vero, ma
questo significava che avrebbe dovuto scagliarsi di nuovo su quella
povera
anima invece che mandarlo in infermeria a curarlo, cosa che tra
l’altro avrebbe
fatto lui a breve. Rimase a rimuginare su ciò mentre
guardava l’italiano
accodarsi al lituano e al polacco ed entrare in fabbrica. Non si
accorse che
Gilbert aveva seguito con lo sguardo i due ragazzi biondi che si
avviavano
verso l’infermeria, distogliendolo solo quando furono
nascosti dalle pareti
degli altri edifici.
I prigionieri passarono tutto il
pomeriggio a lavorare senza
alcuna sosta finché il lavoro non fu ostacolato dal buio che
non permise più di
vedere a un palmo dal proprio naso. Nonostante tutto l’orrore
e il degrado di
quel posto, la notte regalava ai detenuti del campo uno splendido cielo
stellato difficilmente visibile dalle città europee
inquinate dalla luce
corrente. Tutti, dal primo all’ultimo prigioniero, erano
sfiniti e si
trascinavano come meglio potevano al dormitorio.
Toris si costringeva a trascinare i
piedi pensando solo al
suo angolino di letto umido e sporco dove si sarebbe accucciato e dove
avrebbe
rilassato le sue membra stanche e sforzate. Sperava con tutto il suo
essere che
quella sera il suo compagno di letto non lo avrebbe disturbato con i
suoi
stupidi discorsi perché aveva ardente bisogno di riposare.
Se tutte le giornate
fossero state in quel modo Toris pensava seriamente che non sarebbe
sopravvissuto a lungo.
Sistemandosi sul letto accanto a
Feliks che sembrava stanco
e desideroso di riposo esattamente come lui, Toris vide passare con
passo lento
il ragazzo canadese. Il suo sguardo si addolcì un
po’ nel vedere il grosso
segno che il secondino gli aveva lasciato sul collo, un segno violaceo
che
avrebbe impiegato diversi giorni per abbandonare la pelle candida del
ragazzo.
A Toris si strinse il cuore nel pensare che c’era qualcuno in
condizioni
peggiori di lui, soprattutto se quel qualcuno era Matthew, un ragazzo
dolcissimo e innocente che davvero non doveva trovarsi in quel posto.
Cercando di pensare ad altro, Toris
si accoccolò chiudendo
gli occhi e assaporando il sollievo di sentire il suo corpo rilassarsi
contro
la paglia, quando una vocina lontana gli giunse all’orecchio:
“ Maple! Non posso
crederci!”
Subito il ragazzo lituano si
alzò di scatto guardando nella
direzione del canadese, notando che il ragazzo, forse per la prima
volta da
quando erano arrivati lì, aveva parlato così ad
alta voce da attirare
l’attenzione di tutti. Francis e Feliciano, che erano quelli
più vicini al
letto di Matthew, già si erano già alzati e si
stavano avvicinando al ragazzo
che sembrava particolarmente agitato.
Toris rimase un istante confuso e indeciso sul da farsi ma fu Feliks
che
tirandolo per una manica tutto entusiasta lo convinse a scendere dalla
cuccetta
e avvicinarsi agli altri.
Povere le sue membra doloranti.
Matthew era arrossito visibilmente
mentre guardava i suoi
amici avvicinarsi preoccupati, ma non perché improvvisamente
si trovava al centro
dell’attenzione di tutti, ma per quello che aveva trovato
sulla sua cuccetta.
All’inizio non l’aveva visto e lo aveva
letteralmente schiacciato sotto la sua
schiena, ma uno scricchiolio sinistro e un pizzico proprio dietro la
scapola
portarono il ragazzo a scoprire della sua esistenza.
Quando gli altri ragazzi arrivarono
lo stupore fu generale.
Francis rimase a fissare l’oggetto con
un’espressione dubbiosa, rimasto senza
parole (cosa rara per lui), mentre Toris e Feliks guardarono con
stupore e
confusione prima il ragazzo poi il letto, poi ancora il ragazzo come se
cercassero una spiegazione proprio da lui.
Fu Feliciano il primo a riuscire a dire qualcosa in merito rompendo la
tensione
che si era creata.
“Ve, sono occhiali!
E’ un paio di occhiali!” Esclamò con
gioia.
“Oh mon dieu, è
vero, è proprio un paio di occhiali! Ma da
dove arrivano?”
Matthew scosse la tessa negativamente
mentre li prendeva in
mano come se fossero un oggetto antico e fragile. Erano un paio di
lenti tonde
e grandi montate su una struttura di legno d’ebano decorato
con degli intagli,
con dei cuscinetti di pelle che proteggevano i punti in cui gli
occhiali
poggiavano sul setto nasale. Matthew li rigirò varie volte
tra le mani cercando
di vederne tutti i dettagli nonostante la sua miopia.
“S-sono bellissimi, ma non
sono miei. Non so da dove
vengono!”
“Che t’importa?
E’ chiaramente un regalo di qualcuno, e poi
a te serve un paio di occhiali no? Io non farei domande a riguardo,
anche se
secondo me è stato quel tedesco biondino, è
piuttosto gentile con noi!” Esclamò
Feliks con gli occhi brillanti mentre lo sguardo di Feliciano si
rattristò un
pochino.
“Prova a metterli
Matthew” Incitò Toris, spalleggiato dagli
altri.
Matthew si infilò gli
occhiali lentamente come se avesse
paura di rovinarli, poi guardò singolarmente gli altri negli
occhi mentre un
sorriso di genuina felicità si allargava sul volto.
“Sono perfetti!”
Esclamò con gioia mentre gli occhi gli si
riempivano di lacrime “Riesco finalmente a vedervi tutti, io
non posso crederci,
finalmente posso vederci bene!”
Francis lo abbracciò con
affetto mentre gli altri ragazzi
commentavano e ridevano sull’accaduto. Matthew rispose
all’abbraccio con
trasporto mentre le lacrime scendevano sulle sue guance.
Lacrime di gioia questa volta.
Da una finestrella situata sulla
parete in fondo al
dormitorio una sagoma nascosta nell’oscurità
osservava con il suo sguardo
cinabro la situazione.
“Io non riesco a capire,
Gilbert. Perché improvvisamente hai
fatto una cosa simile? Non è da te!”
Roderich, con il suo immancabile
accento da aristocratico
sofisticato, girò energicamente il cucchiaio nella tazzina
di caffè fumante che
aveva appena preparato, aggiungendo di tanto in tanto una zolletta di
zucchero.
“Insomma, sono soltanto
detenuti, povere anime dannate dal
regime e tramutate in forza lavoro per le sue fabbriche, e ad essere
sinceri
anche molto scadente. Spiegami per favore”
Roderich smise di girare il
caffè e fissò con insistenza il
ragazzo albino. Gilbert, che sedeva in modo volgare su una sedia,
distolse lo
sguardo non riuscendo a sostenerlo, fissando invece il paesaggio fuori
la
finestra.
“Non
c’è nulla da spiegare, accidenti”
“Non dire stupidaggini. Mi
hai costretto a cederti uno dei
miei amatissimi paia di occhiali fatti a mano, per poi cosa? Scoprire
che lo
hai regalato a un detenuto qualsiasi. Vorrei cortesemente una
spiegazione,
quegli occhiali sono stati costruiti su ordinazione in Svizzera, sono
molto
costosi e pregiati. E’ un vero spreco averli gettati nelle
mani luride di quei
pezzenti” Con sdegno soffiò sulla tazzina bollente
per poi sorseggiarne il
contenuto.
Gilbert arrossì
violentemente a quelle parole, ringraziando
di trovarsi nella penombra altrimenti avrebbe dovuto spiegare anche
quella
reazione. Maledetto aristocratico austriaco dalla parlata femminea.
Cercando di
essere più spontaneo possibile, rise energicamente sbattendo
la mano sul
tavolo.
“Ripeto, non
c’è niente da spiegare Roderich. Quel
pusillanime aveva bisogno di un paio di occhiali per poter lavorare
bene e io
me ne sono procurato uno dove ho potuto” Fece una pausa ad
effetto “Se
aspettavo di fare richiesta nella lista dei rifornimenti mensili avrei
dovuto
aspettare molto tempo, lo sai no? E nel frattempo cosa dovevo fare?
Sparare a
quel disgraziato perché non poteva lavorare bene? Tu lo sai
che un paio di
braccia in più sono sempre comode no?”
Si rimise improvvisamente composto e
guardò dritto negli
occhi del suo interlocutore “Inoltre la colpa è
soltanto tua. Come ti è saltato
in mente di bruciare anche gli occhiali di uno che non ci vede senza?
Eri tu
che stavi supervisionando le docce insieme al mio fratellino ieri, no?
Ed
escludendo che sia stato lui, perché non è
così stupido, rimani solo tu!”
Roderich rimase a guardarlo a bocca
aperta scioccato.
Gilbert gli lanciò uno dei suoi sorrisi affilati mentre si
alzava spostando
rumorosamente all’indietro la sedia. Era così
appagante riuscire ad azzittire
quello spocchioso damerino una volta ogni tanto, doveva rincarare la
dose per
poter gustare al meglio quel momento.
“Perciò perdere
un paio di occhiali per riparare la tua
grave mancanza di cervello è un piccolissimo prezzo da
pagare, inoltre
imparerai la lezione per la prossima volta, no?”
Detto questo rise di gusto e
lasciò la stanza e l’austriaco
a dir poco indignato salutandolo con un gesto della mano. Appena uscito
dalla
vista dell’austriaco, Gilbert si morse le unghia di una mano
in preda
all’agitazione.
“L’ho scampata
bella! Per fortuna sono così eccezionalmente
intelligente da essere riuscito ad azzittirlo, ma a momenti mi metteva
con le
spalle al muro. L’ho fatto solo perché
quell’idiota non lavora bene senza
occhiali… Si, è per quello!”
Pensò mentre percorreva il corridoio che portava
alla sua stanza, ma in cuor suo sapeva che quella era soltanto una
scusa, una
debole bugia che cercava di nascondere una prepotente verità
che mal accettava.
“Una nottata di preghiera e
di riflessioni mi schiarirà le
idee!”
Nota dell'autore
Finalmente il capitolo!! Mi scuso per il ritardo ma purtroppo ho avuto molti impegni di tipo universitario che mi hanno fatto tardare la pubblicazione, maledetto studio -_-
Oh-OH Gilbert, ti piace fare i regali di nascosto eh?
Povero Feliciano, l'idea di non essere il preferito di Ludwig lo rattrista molto, ma tu non sai la verità!! Ludwig ha occhi solo per te ><
Spero di aver caratterizzato bene Roderich, mi piace molto enfatizzare il suo lato altolocato e snob, inoltre mi è parso dall'anime che né Germania né Prussia sopportano molto il suo comportamento da aristocratico x'D
Francia è sempre il fratellone :3
Mi scuso per errori di qualsiasi genere e se avete domande o volete parlare della FF sono a completa disposizione, non siate timidi ;)
Al prossimo capitolo!