Irina Plisetskaja era il più candido cigno del lago, la fata confetto più aggraziata tra le braccia del suo cavaliere mentre insieme volteggiavano sulla pista sulle note di Čaijkovskij.
Era il minuto angelo che volava sulle lucide lame dei pattini, fendendo il sottile strato di ghiaccio. Il sogno evanescente di tanti uomini che cercavano di entrare nelle sue grazie, in vano. Perché Irina Plisetskaja era più algida della regina delle nevi, una zarina che diventava rude e sboccata nella vita di tutti i giorni. Teneva tutti a distanza, mentre lei era collocata su un piedistallo che si era costruito da sola, con la propria altezzosità.
Solo una persona l’aveva raggiunta su quel basamento di boria, scavalcando con sorprendente facilità le mura di ghiaccio che la russa aveva innalzato attorno a sé. E senza nemmeno parlare troppo.
Perché se gli occhi verdi di Irina erano glaciali come la neve, le iridi scure di Inkar erano profonde come le notti nella steppa. La sua pelle era morbida come sabbia fine e le sue labbra, sottili e affusolate, erano soffici come petali di rosa.
Se la pattinatrice russa era una zarina, Inkar era una passionale principessa persiana.
E la ragazza russa amava assaporare quell’essenza speziata che permeava la bocca dell’altra.
Note autrice:
Lo so che il Kazakistan non è mai stato parte della Persia. Datemi la licenza poetica per questo
A domani con 15 - In a different clothing style
Marauder Juggernaut