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Autore: ComeWhatKlaine__    01/10/2017    3 recensioni
Tratto dalla storia:
"Forse era proprio quella la verità.
[...]
La osservò da lontano, mantenendo le braccia incrociate e la schiena saldamente ancorata al muro:
sotto gli scoppi di luce colorati era bella più che mai, ma di quel bagliore tutto speciale che emanava direttamente dai suoi occhi non c'era neanche l'ombra.
Si soffermò sul suo braccio candido, che vide stringersi un po' più forte attorno alla bambina e per la prima volta, in tanti anni, le sembrò totalmente indifesa.
Più indifesa ora, nel giardino di casa e senza la presenza oscura della morte incombente.
Più indifesa ora, che quel Principe Sanguinario di un tempo era al suo fianco e non a stringerle le mani attorno ai polsi."
[DBS, Long VegeBul ambientata in un ipotetico futuro dopo la fine del Torneo del Potere.]
Genere: Angst, Erotico, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Bra, Bulma, Trunks, Vegeta | Coppie: Bulma/Vegeta
Note: OOC | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate
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La luna, nel cielo terso di quell’estate, era stata l’unica che avesse osato scrutare ciò che le ombre nascondevano al di là delle tende.
I gemiti si confondevano, sovrapponendosi, e assumendo a tratti le sembianze di vaghi ruggiti nella notte.
“Oh, sì, continua.”
Ricordava ancora quella primordiale soddisfazione percepita dopo ogni affondo e le urla di lei, che, sotto di questi, si inarcava per il piacere.
Non ricordava le sue iridi azzurre, quelle no, né il suo volto arrossato.
Aveva tenuto gli occhi strettamente serrati durante tutto l’amplesso, durante ogni bacio famelico, durante ogni sospiro.
Non doveva avere alcun contatto visivo con quella insulsa terrestre.
Nessun tipo di contatto in realtà.
Doveva solo spingere, spingere e godere e poi sparire ancora.
Spingere e sottometterla, perché ne aveva il potere.
Spingersi in lei e nel suo invitante calore.
Poteva solo spingere.

“Oh, oddio, sì.”
La sentiva dimenarsi e urlare tutto il suo godimento direttamente sul suo petto.
Era letteralmente in fiamme sotto di sé.

Poi lo sentì.

Per tutto il tempo si era assicurato di restarle lontano, limitandosi al piacere, all’unione delle sole intimità, ma quando le dita delicate di lei si erano chiuse attorno alla sua mano, sul materasso, lui non aveva potuto fare a meno di sentirle.
Di sentirle più di quanto avesse mai sentito i colpi nemici sulla schiena.
Più del sapore del sangue nella lotta.
Fu un contatto infuocato, ustionante, che lo portò a ritrarre la mano e ad immobilizzarle entrambi i polsi sopra la testa.
“Stupida ingenua.”
Uscì da lei con un colpo secco, dileguandosi nell’oscurità del corridoio, là dove neppure la Luna osava scrutare, senza rivolgerle l’ombra di uno sguardo.
Quella notte, Vegeta la passò a curare il suo orgoglio che sentiva esser stato intimamente violato.
Ma quel contatto c’era stato e non sarebbe bastata una vita di negazione per mandarlo via da lui.


Vegeta ci aveva pensato spesso, per non dire sempre, ultimamente.
Aveva ripensato a quella prima volta, consumata ardentemente fra le lenzuola profumate della stanza di lei.
In quella che ora, dopo quindici anni, era la loro stanza.
Lo stesso parquet scuro, le stesse tende di raso alle finestre, un mare di sentimenti e parole non dette di mezzo.
Anche ora, a distanza di anni e tormenti interiori, ricordava perfettamente la sensazione di calore che quel contatto aveva lasciato sulle dita della sua mano e sul suo animo lacerato.
Era stato il primo punto, la prima cucitura per rimettere insieme i pezzi.
Il primo passo del percorso a ostacoli che aveva portato a dove era ora.
A dove erano ora.
Aveva ripercorso con la mente ogni tappa di quel percorso, in quei giorni, alla ricerca della carta storta che avesse fatto crollare il suo castello.
E ciò che aveva compreso era che nessuna carta era davvero dritta: tutto ciò che avevano costruito insieme, in quella folle, assurda relazione, era fatto di pezzi imperfetti incastrati tra loro, in un gioco di equilibri noto solo a loro.
Tutto era sbagliato, ma aveva finito per funzionare.

Con la morte del Majin Bu cattivo, si era conclusa non solo una delle battaglie più dure che si fossero mai trovati ad affrontare, ma anche la sua crisi d’identità interiore, che lo aveva portato nello stesso giorno a rinunciare al pieno autocontrollo di sé, a portarsi dietro centinaia di vite innocenti, soffiandole via come fossero paglia, ad abbracciare suo figlio con parole dolci e dal sapore per lui così nuovo, fino a morire, esaurendo letteralmente ogni atomo di sé, per due paia di occhi azzurri, così simili tra loro, e che erano, in quell’istante, tutto il suo mondo.
Aveva ammesso la sconfitta, l’inferiorità di potere ed aveva salutato quella lotta con un sorriso, rivolto anche a quello che era stato ed era il suo rivale numero uno e, anche se avrebbe preferito tornare all’Inferno piuttosto che ammetterlo, anche fratello.
E da allora, tutto era stato in discesa: la loro relazione era più forte, con lei più serena per quella prima, concreta prova d’amore eterno e con lui che, più di una volta, si era lasciato sfuggire, tra le lenzuola umide e ad una lei dormiente, quelle due parole che per anni aveva scacciato lontano da sé e dal suo mondo interiore.

E, dunque, che cos’era?
La risposta non avrebbe tardato a venire.

Era una giornata grigia, uggiosa, di quelle in cui la luce del Sole filtra attraverso la coltre di nuvole ed è più accecante che mai.
Qualche leggera goccia di pioggia iniziava già, qui e lì, ad inumidire il prato e le ciocche morbide dei capelli di Trunks, che, rapido, si dirigeva verso la porta di casa, dopo le sue lezioni.
Vegeta lo osservava dall’ampia vetrata del salotto, mentre correva, stretto nella sua felpa e con il suo andamento impacciato da adolescente, che si dissolveva non appena iniziava a fluttuare e a combattere.
Era molto fiero di lui, sebbene cercasse in tutti i modi di dissimulare l’orgoglio che provava nei confronti del suo primogenito.
Si faceva comprendere da lui in altri modi, per altre vie, proponendogli di allenarsi insieme all’aperto, solo lo ro due, in giro per il mondo, o affacciandosi a guardarlo dormire, prima che Bulma passasse e accostasse meglio la sua porta.
E a Trunks stava benissimo così: un altro castello di carte sbilenco, ma che non era crollato affatto.
Lo vide correre nel salotto, sbattendo i piedi sullo zerbino e passandosi una mano tra i capelli ribelli per tentare di disciplinarli eliminando un po’ di umidità.
“Oh, hey, ciao papà! Scusami, vado di fretta, sto andando da Goten e resto da lui per la notte, ma ti giuro che domani mattina sarò qui presto così potremmo riprendere subito gli allenamenti.”
Un lieve cenno del capo e un sussurro, in risposta.
Un altro di quei modi silenziosi di approvazione che tanto facevano gioire il ragazzino.
“Grazie papà. Mi cambio e vado. A domani!”
Sparì dietro l’angolo del corridoio.
La casa, di lì a poco, sarebbe stata nuovamente investita da quel silenzio innaturale che era ormai atmosfera quotidiana, fatta eccezione per i leggeri lamenti di Bra, prontamente calmati da sua madre, che sembrava non volersi staccare un secondo da lei.
Per Vegeta, quello era solo un ennesimo pretesto per evitarlo. Bra rappresentava un’ancora a cui aggrapparsi, un universo intero verso cui rivolgere la sua attenzione.
Ma questa volta nulla lo avrebbe fermato.
Aspettò che Trunks uscisse dalla porta di casa, dopo aver salutato sua madre ed aver rivolto alla porta della nursery un ultimo sguardo preoccupato e poi decise che era giunto il momento.
Quello della verità, quello del chiarimento.
Quello che avrebbe riportato quella carta storta in armonia con le altre o che invece avrebbe fatto crollare tutto irreversibilmente.
Guardò un’ultima volta il cielo, bianco ed accecante, quasi a voler cercare le parole. Parole che forse non avrebbe mai trovato. Parole che forse non avrebbe mai avuto occasione di pronunciare.
Si incamminò verso la cameretta di Bra, convinto di trovarla lì, china sulla culla e senza un soffio di vita più negli occhi.
-Non c’è- constatò.
Fu solo dopo qualche attimo, assorto com’era nei suoi pensieri, che si accorse del leggero fruscio dell’acqua che scorreva.
Veniva dal bagno in fondo al corridoio, dalla doccia.
Doveva essere lì.
Vegeta azzerò quella distanza con pochi passi, deciso più che mai ad avere spiegazioni e quasi sollevato dal fatto che nella sua linea d’azione non ci fosse la sua secondogenita, che dormiva beata con il ciuffetto azzurro riverso sulla fronte.
Non si sentiva alcuna voce provenire dal bagno, nessun irritante motivetto canticchiato sotto il getto dell’acqua.
Ma in fondo non ne rimase stupito.
Entrò, facendo forza sulla maniglia per sbloccarla dalla mandata, senza bussare, senza annunciarsi.
Lo sbalzo di temperatura lo investì e fu travolto da una densa nube di vapore tanto da dover socchiudere gli occhi.
Nonostante ciò, riuscì chiaramente a distinguere una sagoma bianca, al di là del vetro opaco.
Bulma era nella doccia, seduta sul fondo, completamente rannicchiata su sé stessa: le braccia esili stringevano con inaudita forza le ginocchia e il caschetto azzurro era riverso sulle stesse.
Nulla si scorgeva del suo volto, ma la cosa che più gli fece male fu il potersi immaginare distintamente quale fosse l’espressione su di esso.
E non era bella. Decisamente no.
Dopo un secondo di esitazione, si avvicino alla porta della doccia, aprendola con forza controllata, ma ugualmente calcata dall’esasperazione.
La sentì urlare, sgranare quegli occhi così spenti ormai da essere quasi grigi per la sorpresa.
Poi, li vide.
E sentì un altro urlo, questa volta, decisamente più forte, provenire direttamente dal suo animo, che fu in quell’isante di nuovo lacerato.


NdA: Hola a tutti!
Scusatemi tantissimo per l'imperdonabile ritardo, ma l'Università mi ha tenuta impegnatissima!
Spero di riuscire a farmi predonare almeno un po' con la pubblicazione di questo nuovo capitolo.
Direi che stiamo entrando finalmente nel vivo!
A prestissimo!

Baci, Giuls.





 
  
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