Fanfic su artisti musicali > Bangtan boys (BTS)
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Autore: Seeph    12/10/2017    1 recensioni
"Non voglio più essere tuo amico" mi dicesti.
Amico?
Ma, Jungkook, noi non siamo affatto amici.
Siamo molto più di questo.

❝Tutto ebbe inizio
quando la sua assenza
si trasformò nella mia follia.❞
{ jikook }
Genere: Malinconico, Sentimentale, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Jeon Jeongguk/ Jungkook, Park Jimin
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Atto V
Non dimenticherò mai il giorno in cui rimanemmo a giocare sotto la pioggia come due bambini. Rischiammo di ammalarci, ma ci divertimmo tanto. Vederti ridere in modo così sereno e spensierato fu di gran lunga la cosa migliore della giornata –e della mia intera esistenza.
Quella volta, nonostante i grossi nuvoloni scuri colmi d’acqua ad occupare il cielo plumbeo e il vento freddo ad infiltrarsi attraverso i vestiti, insistesti per uscire comunque a piedi.
Ci dirigemmo verso il centro e, come ci si aspettava, lo riscoprimmo quasi completamente deserto. Il tuo entusiasmo, però, non si smorzò affatto.
Passammo il resto della serata a camminare vicinissimi per contrastare il freddo e ci soffermammo su ogni vetrina, anche su quelle dei negozi di giocattoli. In quell’occasione, sorridendo entusiasta, m’indicasti persino il modellino di un camion rosso fuoco.
«Me lo compri?» domandasti scherzando.
Mi parve di rivedere il Jungkook bambino e, intenerito, sorrisi non riuscendo a farne a meno.
Mettesti su un finto broncio prima di ritornare a sorridere, e l’attimo dopo mi abbracciasti.
«Sul serio, hyung, mi piacciono i modellini. Adesso sai cosa regalarmi per Natale.»
Quella sera mi sorprese la tua semplicità. Non chiedesti nessun oggetto costoso, nessun viaggio dall’altra parte del mondo per il quale avrei dovuto spendere un patrimonio. Solo un semplice camioncino rosso.
Mi prendesti per mano e, prima di ritornare a passeggiare e osservare le altre vetrine illuminate, mi lasciasti un bacio sulla guancia.
Arrivò l’orario di chiusura e finalmente ti decidesti a ritornare a casa. Sulla via del ritorno, però, ci sorprese un forte acquazzone. In una manciata di secondi ci ritrovammo bagnati dalla testa ai piedi ma, anziché cercare urgentemente un riparo, rimanesti sotto la pioggia a sorridere e a chiedermi, con un’espressione provocatoria degna di un bimbo di cinque anni, di provare a prenderti.
Sapevo bene che se fossimo rimasti sotto quella pioggia per troppo tempo, ci saremmo presi entrambi un bel raffreddore. Soppesai perciò la tua richiesta. La tentazione era senza dubbio forte.
Smisi di pensare e l’attimo dopo mi ritrovai a rincorrerti per le vie ormai desolate del centro. E potei giurare di essermi sentito bene come in quel momento poche volte in tutta la mia breve vita.
Durante quel frangente nel quale il tempo parve fermarsi, gli unici rumori vagamente udibili furono quello dei nostri passi veloci sull’asfalto ormai bagnato e le nostre risate incontrollate. Il rumore della pioggia, nonostante fosse costante e persistente, arrivò appena alle mie orecchie, troppo impegnate a riempirsi della tua risata cristallina.
Ritornammo a casa, dove i tuoi genitori non c’erano e non sarebbero ritornati fino al giorno dopo. Ci spogliammo dei nostri vestiti zuppi, così come le nostre chiome scure, fino a giungere nella tua camera da letto.
«Ti amo»  mi dicesti.
«Ti amo» ti dissi io.
Al buio, quella notte, facemmo l’amore per la prima volta.
E il Jungkook bambino, quello che fino a qualche ora prima mi mostrò il modellino esposto nella vetrina del negozio di giocattoli, parve soccombere, sopraffatto dai gesti sicuri dell’uomo che eri diventato.
 
Potrei essere io quello a soccombere adesso e non m’importerebbe.
Perché vivere senza di te equivale ad essere morto.
Mi sembra d’impazzire.
   
 
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