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Autore: PandorasBox    13/10/2017    0 recensioni
[...] con meno di otto ore di volo, era atterrato in Europa.
Nessuno aveva saputo di preciso dove per un lungo, lungo, lunghissimo tempo.
La prima notte se la ricorda bene perché faceva freddo, molto più freddo di quello mai provato in Virginia, pioveva a dirotto e lui si era ridotto a dormire sulle panchine della stazione dei bus di Cardiff (ché ormai era troppo tardi per poter andare in qualsiasi ostello) insieme ad un clochard di nome Connor, bene attento che nessuno li scoprisse.
Il giorno dopo aveva comprato, strappando quell’assegno con un paio di riserve, un piccolo appartamento poco fuori dal centro città (ché soldi ne ha e ne aveva, ma era iniziato il periodo in cui si impara che non ha senso sprecarli), un letto, una coperta, ed aveva iniziato a darsi da fare.
Genere: Generale, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Adam Parrish, Blue Sargent, Richard Campbell Gansey III, Ronan Lynch, Un po' tutti
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Un giorno in più pensando a chi eri tu

cercando di capire cosa sono io.

Come si fa di lunedì? Come si fa se resti qui?



 




 

Non l’ha più richiamato

Schiena schiacciata contro il sedile dell’aereo, si concede il lusso di chiudere gli occhi e crogiolarsi un po’ nella consapevolezza di essere un pessimo essere umano con troppo poco rispetto per il prossimo.

Non l’ha più richiamato ed ora sta volando dall’altra parte del mondo, il telefono spento e la buona possibilità di essere completamente irraggiungibile per le prossime due settimane ─ praticamente il paradiso, si dice, ma forse l’altra persona non la penserà esattamente come lei.

Se lo conosce bene, in realtà, gli passerà presto: perché lui è una delle persone più distaccate dal mondo che conosca e sembra uno di quelli che sanno perfettamente come incassare e ripartire più veloce di prima. Ma lei resta una stronza e su questo non ci piove.

Non l’ha più richiamato e, si dice, probabilmente non le servirà neanche farlo: dopotutto non lo rivedrà più, ha lasciato senza troppe remore quel lavoro che li portava ad incontrarsi ogni giorno, con altrettanta serenità lascerà presto anche D.C. e tornerà a casa, a fare candele con sua madre e vendere infusi dal sapore orribile a persone che inseguono il benessere psicofisico un bibitone alla volta.

Si stringe nel suo maglione colorato, nota un paio di fili tirati di cui non si cura davvero, si passa una mano sugli occhi con la consapevolezza che può farlo ─ struccarsi era stata una liberazione, guardare il suo viso allo specchio senza tutto quello stupido belletto era stato come rinascere.

Ha ancora in mente la scena.

Ricorda perfettamente di aver firmato le dimissioni, di essere scappata in bagno, addosso ancora il suo tailleur, nella borsetta salviettine struccanti: le aveva passate sul viso con fretta, forse con rabbia, il rimmel non era venuto via del tutto ed era scolato quando si era lavata la faccia ma non importava.

Poi era tornata a casa, aveva buttato i tacchi nella spazzatura, aveva comprato un biglietto aereo e si era tagliata da sola i capelli, sul lavandino del bagno e con le forbici per la carta, come quando aveva sedici anni ─ peccato che ora di anni ne abbia trenta e dovrebbe, almeno idealmente, comportarsi come una persona matura. Per lei, però, maturità è prendersi la responsabilità delle proprie azioni ed è esattamente quello che sta facendo.

Ed è così che lei, lei che sogna l’Amazzonia da quando ha memoria, compra invece un biglietto per la Scozia, si prepara ad un viaggio che durerà una giornata intera, infila in valigia vestiti a caso perché non sa cosa troverà, non sa neanche cosa andrà cercando, sta partendo come avrebbe fatto la vecchia Blue e questo la rincuora.

Allunga le gambe sotto il sedile di fronte a lei, dà un’occhiata all’orologio, cerca di sistemarsi come può: il viaggio sarà lungo e lei ha poca pazienza, i sedili sono scomodi e l’uomo seduto accanto a lei russa sonoramente.

Ogni volta che i suoi occhi incontrano il proprio riflesso nel finestrino, Blue si chiede se sotto ad un aspetto che riconosce ci sia ancora la persona che credeva di essere, la persona che voleva essere, quella che forse sarà se continua così.

Ma così come?

A sedici anni Blue voleva girare il mondo, con il portafoglio vuoto ed uno zaino sulle spalle, le stelle nel cuore e gli alberi negli occhi come in quella ninna nanna che le cantava da bambina sua zia. Sognava una vita di avventure, di scoperte, una vita piena di cui raccontare, una di quelle in cui non si ha tempo di pensare a quel che manca perché si hanno così tante altre cose.

E invece era finita a lavorare in uno studio legale, tacchi ogni giorno, viso truccato, capelli legati ed abiti decenti. A ventiquattro anni aveva salutato l’università con una laurea tra le mani, tempo sei mesi aveva trovato un lavoro, appena un anno ed era già abbastanza annoiata da chiedersi a che pro alzarsi ogni mattina, chiudersi in quel piccolo buco tutto vetri in uno dei quartieri bene di D.C.

Si chiede quale sia stato il momento esatto in cui si era decisa ad accantonare ogni suo sogno per diventare quel che è diventata, una ragazza annoiata che ha studiato economia nonostante il suo odio per il denaro, che tiene i conti per altri nonostante riesca a malapena a far quadrare i suoi, che ha abbandonato le sue collane di perline per quei fili di perle (finte) che fanno professionale ed adulto quanto basta.

Avrebbe voluto studiare biologia.

Avrebbe dovuto studiare biologia, fino alla fine era stata convinta della sua scelta, poi si era bloccata ed aveva cambiato bruscamente direzione nella generale incredulità di tutte le donne di casa e lo sguardo apprensivo di sua madre. A diciotto anni aveva chiuso la vecchia Blue nella sua disordinatissima camera dalle pareti piene di ricordi e ne aveva costruita, dal nulla, una nuovissima, discreta e professionale, tra le mura bianche del suo appartamento condiviso.

Un appartamento tranquillo, quattro persone che vivono la loro vita incrociandosi a malapena, niente zie invadenti, niente padri che entrano ed escono dalla sua vita senza avvisare, niente risate nel pieno della notte, niente telefono che squilla in continuazione. Ma quello forse è un bene: in sette anni dietro una scrivania ha sviluppato un perverso odio nei confronti di qualsiasi aggeggio possa funzionare per le comunicazioni, cosa che non credeva assolutamente possibile visto il suo essere cresciuta in una casa che somigliava tanto ad un centralino.

Eppure, se ci pensa, la vecchia Blue non le manca davvero, così come non le manca Henrietta, così come non le mancano gli sguardi perplessi di chi l’aveva vista crescere una stranezza alla volta, sotto strati di vestiti dalle forme improponibili e dai colori improbabili. La vecchia Blue era pronta all’avventura, e questo è vero, ma era anche molto più difficile da prendere, un piccolo oggettino tutto spigoli con cui pungersi facilmente, le sue mille ed una eccentricità a far da corazza a qualcosa che non ha ancora capito cos’era e cos’è.

È stato difficile crescere come “la figlia delle streghe”, difficile costruirsi una reputazione, difficile avere amici, difficile convivere con la consapevolezza che c’era così tanto di più fuori da quella porta, da quella città, da quel garage in cui dipingeva murales dai colori graffianti insieme a quel ragazzo di cui nessuno voleva sapere ─ «Pare abbia ucciso un uomo!» diceva qualcuno. «No, pare sia stato scagionato» ripeteva qualcun altro. «Io non ci farei comunque uscire mia figlia.» aggiungeva un terzo.

Una pennellata alla volta s’era inventata una vita che poi, di colori, ne aveva avuti ben pochi, aveva salutato il suo amico con una pacca sulla spalla, aveva provato per un po’ a mantenere contatti come si deve ma qualcosa si era spezzato, erano finiti a sentirsi quattro volte l’anno in chiamate da cinque ore, mangiando gelato e parlando di qualsiasi cosa.

Ora lui vive in una fattoria, lavora in una fattoria, una di quelle in cui fanno riabilitazione e c’è qualcosa di bellissimo nel modo di cui parla dei bambini che lo circondano ogni giorno, qualcosa che gli illumina gli occhi e quasi non le fa notare quelle piccole rughe che iniziano a spuntare sul viso.

Il suo migliore amico è diventato un uomo, il ragazzo che una volta le aveva detto che, se solo fosse stato quel che era prima che la sua vita andasse a pezzi, le avrebbe chiesto di uscire, proprio lui è ormai cresciuto.

E lei lo vede.

E lui cosa vedeva, guardando lei, guardando i suoi occhiali, guardando i suoi capelli che non hanno (avevano) più bisogno di mille mollette per stare su?

Probabilmente quel che vedeva anche l'ultima persona che ha provato a stare con lei.

Probabilmente quel che non vede lei, altrimenti non avrebbe avuto bisogno di scappare così, di mettersi a cercare qualcosa che la faccia sentire di nuovo se stessa.

Ma se stessa chi?

 

Gioca con i bracciali che tiene al polso, non ce n’è uno che abbia senso accostato all’altro ma ognuno di loro ha un ricordo, una storia, sono forse l’unica cosa con un significato che si sia portata dietro in quel viaggio improvvisato: uno per sua madre, uno per Calla, uno per Persephone, uno per zia Jimi. Orla gliene aveva regalato uno di pelle, dicendo che avrebbe capito il perché molto presto ─ e Blue cerca quel perché da quasi dieci anni ma ancora non l’ha trovato, continua ad indossarlo più per abitudine che per altro, stringendolo quanto più possibile perché troppo grande per il suo braccio.

Il resto del viaggio lo passa a rimuginare su quel braccialetto, sulla storia che ancora non ha, sul ghigno di Orla e su come sia ingiusto che sua cugina sia così alta e lei così bassa, i suoi pensieri che si perdono presto in un mare di strane connessioni che il suo cervello stanco trova assolutamente brillanti.

Il pensiero di non aver più richiamato Adam che sparisce da qualche parte lì in mezzo e, semplicemente, si perde.






*
*
*
*





 

Non ha smesso di piovere da quando è partito da Cardiff, le gocce di pioggia che l’hanno accompagnato per tutto il suo viaggio disegnando strane forme sui finestrini del treno, dandogli qualcosa da guardare nei momenti in cui sentiva il bisogno di sfilarsi gli occhiali e distogliere l’attenzione dal libro che sta leggendo.

Forse avrebbe dovuto scegliere l’aereo: si sarebbe risparmiato undici ore di treno da Cardiff ad Inverness, si sarebbe evitato di correre da una parte all’altra della stazione per prendere la coincidenza, rischiando quasi di lasciare il trolley da qualche parte, rischiando di perdere una scarpa nel tragitto.

Forse avrebbe dovuto scegliere un aereo ma, a lui, gli aerei non piacciono ─ e dire che, da adolescente, adorava l’elicottero di sua sorella mentre ora non salirebbe sopra ad uno di quei trabiccoli neanche fosse l’ultimo mezzo di trasporto al mondo.

Fermo alla stazione di Waverly, una copia quasi consumata (nonostante l’abbia comprata appena due giorni prima) di “The Raven Queen” in mano, Gansey aspetta che il suo treno arrivi, osserva le persone che passeggiano davanti ai suoi occhi, risponde al saluto di un bambino con le mani impiastricciate di cioccolata.

Nella sua tasca, il telefono vibra di nuovo, un numero sconosciuto ma che sente di dover conoscere pare abbia provato a chiamare più volte e, pare, lui non l’abbia sentito neanche per sbaglio. Sceglie di ignorare la cosa, di ignorare il problema, per una volta ignorare e basta. Accanto a quella notifica tante altre a cui non vuole rispondere e che aspetteranno ancora un po’. Spegne il telefono e lo infila nella tasca destra del giacchetto, chiude il bottone attentamente ed apre il libro distrattamente.

Una parola alla volta, la stazione sparisce, smette di esistere: la ragazza che litiga proprio seduta accanto lui diventa solo un’eco lontana.

In quel flusso di parole, in qualche modo, affoga inesorabilmente il senso di colpa per aver deciso di sparire e, per la prima volta dopo tanti, troppi anni, Gansey si sente libero.

 
   
 
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