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Autore: ROW99    17/10/2017    1 recensioni
Essere soli è una delle cose più devastanti che possano colpire la vita di una persona, ma spesso la luce è nascosta più vicino di quanto sembri, magari negli occhi di qualcuno di insospettabile!
Dal testo: Non è facile avere amici quando sei troppo intelligente. Sembri sempre troppo alto, troppo lontano per chi vive una vita normale. Minaho non ricorda un periodo della sua vita in cui non sia stato solo. Forse, nei suoi primi ricordi, prima dell’incidente che gli porterà via il padre, vi era una stilla di felicità, ma poi tutto era crollato.
nb: Minaho e Manabe frequentano la Raimon, ma in una sezione diversa dai protagonisti di IE go
Genere: Drammatico, Fluff, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Altri, Manabe Jinichirou, Minaho Kazuto
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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I have faith
that you are safe
On your last stop
you said

the bright warm light
will bring you home
did you lie my dear
did you lie?

The day is dark
I’m all alone
if you are there
just let me know

When the ashes arise
the light shall fall
will you find me
oh will you find me

When the sky is dead
and forever gone
will you find me
oh will you find me...



Un’altra notte.

Minaho guardava la luna scendere lentamente dalla finestra della camerata. Aveva pianto tutte le sue lacrime, mentre  i bambini nei letti vicini dormivano già da ore.

Non mangiava da tre giorni. Oramai non riusciva più ad alzarsi in piedi e la vista era sfocata, ma non soffriva più fisicamente… la nausea era passata, il suo posto preso da un immenso vuoto. Perché Manabe non gli telefonava… certamente non poteva sapere che la struttura non accettava contatti con l’esterno al di fuori dei parenti, nei giorni non destinati alle visite.
Era riuscito a dormire per mezz’ora, e aveva sognato di essere a casa. Quando si era svegliato il dolore lo aveva travolto ancora più forte. Quel cuscino che abbracciava,  per quanto sforzasse l’immaginazione, non sarebbe mai stato Manabe.

Si accorse di sentirsi sporco. Non amava i bagni di quel posto… li usava solo di notte, per non incontrare nessuno. Pensò che forse una doccia lo avrebbe rilassato.
Si alzò a fatica e si trascinò in bagno, aprendo l’acqua calda mentre si spogliava.

Non aveva calcolato il fatto che il calore del vapore non sarebbe stato il meglio per la sua pressione bassa, e così si ritrovò sul pavimento della doccia… era svenuto ancora. Si sentiva morire, ma rifiutava ancora il cibo. Meglio morto che accettare tutto quello, pensava.
Cinque minuti dopo, sfregandosi i capelli con un asciugamano, si trascinó di nuovo verso il letto. Le coperte erano già fredde… una culla mortale, pensó.



Manabe non riusciva a dormire.
-Come può un profumo svenire in così poco tempo… -Erano passati solo due giorni, e la casa senza l’arancione stava cambiando aspetto .

Manabe, di solito fanatico dell’ordine, non avrebbe mai pensato di trovarsi a rimpiangere le carte di merendina sui divani, i tappeti con gli angoli piegati e i calzini sparsi per la casa… ironia della sorte, pensò.

Si portò le mani alle tempie… era stanco, estremamente stanco. Il senso di impotenza lo stava divorando… quando quel pomeriggio l’orfanotrofio gli aveva impedito di parlare con Minaho gli era sembrato che una lama gli perforasse lo stomaco.
Si aggrappava alla speranza che il mister gli aveva dato… il giorno dopo forse avrebbe visto il suo amico. Con quel pensiero e una felpa di Minaho stretta tra le braccia, riuscì finalmente a cadere in un sonno agitato e senza sogni.



Dovevano essere le tre, o forse le quattro.  Minaho aveva perso la cognizione del tempo… non vedeva l’ora che fosse l’alba,  ma in fondo per cosa? I suoi giorni non avevano più scopo…
Sì girò di nuovo nel letto voltandosi verso la finestra. Un gufo cantava di fuori, alla luce della luna. Una nuova lacrima scese sulla guancia dell’arancione… stava per rimettersi a piangere quando sentì qualcosa tirarlo per la maglietta.

-S… scusa…

Spaventato si voltó di colpo.
Un bambino… molto piccolo, forse sui cinque anni, terrorizzato dal suo movimento improvviso, piangeva con tra le braccia un orsacchiotto di pezza.

-Cos… -Minaho si asciugó in fretta le lacrime con la manica del pigiama. -Cosa vuoi? Chi sei tu?
Non voleva che la voce suonasse burbera, ma l’agitazione la fece suonare tale. Il bambino sconosciuto prese a singhiozzare più forte.

-Scusa… ho fatto un… un brutto sogno… tu sei grande… ho paura... tanta paura…
-E allora? Cosa vuoi da me? Vattene dalla mamma!
Il bambino emise un piccolo gemito. Minaho ricordò dove si trovasse e si rese conto della bestialità che aveva appena detto. Fu colpito da una fitta di senso di colpa.

Il piccolo tremava come una foglia, scosso dalle lacrime, con l’orsacchiotto a penzoloni. Minaho sospirò… pensò a sé stesso da piccolo, in lacrime vicino al corpo della madre… pensò a Manabe. Loro sapevano cosa significasse non avere una mamma pronta a consolarti, un papà che ti stringe tra le braccia…
-Io… senti… maledizione a me e al mio buon cuore! -L’arancione scostó le coperte. -Vieni qui…

Il bambino smise di piangere di colpo. Alle lacrime si sostituì un sorriso radioso. Si arrampicó sul letto e si sistemó sul bordo… come avesse paura di disturbare.
Nei minuti seguenti Minaho percepì la sua paura. Non riusciva ancora a dormire?

-Guarda qua cosa mi doveva capitare… -Minaho sospirò. -Senti… vieni qua.
L’arancione prese la mano del bimbo e se la mise intorno al collo. Il piccolo sorrise.
-Non lasciarmi mai e riposa… se si avvicina un mostro ci penso io. -Minaho sussurrava dolcemente nell’orecchio del bambino.
Il piccolo sorrise beato, stretto al suo orsacchiotto e al collo del suo nuovo amico grande e forte.

-Ti… ti voglio bene, papà.


Manabe si svegliò con un grande senso di ansia concentrato come un macigno sullo stomaco. Non aveva dormito affatto bene, come dimostrava il sapore acre che aveva sulla lingua.

Si lavó e scese in cucina, forzandosi a buttare giù un paio di fette di pane e una tazza di latte. Gli sembrava di dover vomitare.
Il lilla aspettava il suono del campanello con il cuore in gola. Endou gli aveva promesso che sarebbe passato a prenderlo insieme al dottore, per andare subito da Minaho.

Minaho… non sentire la sua voce per tre giorni era stato come morire. Chissà come stava ora… chissà se lo odiava per non avergli telefonato. Il lilla si asciugó una lacrima e tiró su col naso. Sentiva il rumore di una macchina che accostava… era ora di andare.


-Amico! Ehi… amico! Perché non ti svegli… ho paura! Ho paura!
Minaho sentiva un grande caldo. Qualcosa di liquido… caldo e liquido. Un peso sullo stomaco… un peso che lo opprimeva. Si sentiva immerso in morbide coperte, avvolto da un profumo… il profumo di Manabe.
-Ti… ti prego… ti prego svegliati! Non lasciarmi solo…

L’arancione aprì lentamente gli occhi. Si sentiva malissimo. Era steso sul letto e sul suo stomaco stava seduto il bimbo che aveva accolto nel suo letto.
-Cosa… cosa…

-Amico! Ti sei svegliato… ho avuto tanta paura! Eri bianco… non ti svegliavi…
Minaho sorrise debolmente. -Non avere paura… sono ancora qui…
Il piccolo sorrise radioso e si buttò tra le braccia dell’arancione, accucciandosi contro il suo petto. Minaho arrossí… in fondo sentiva empatia per quel bimbo. Sembrava molto più intelligente e maturo della sua età… sapeva che gli orfani dovevano crescere presto.

-Sai? Mi piaci tanto… sei buono come il mio papà. -Il piccolo tremava. Minaho lo coprí con la coperta.
L’arancione si sentiva in imbarazzo… non stava facendo niente di speciale a suo parere, ma quel bambino era così dolce…
-Non… pensi che sia ora di… di andare a mangiare qualcosa? Devi fare una bella colazione se vuoi giocare con i tuoi amichetti dopo… devi essere in forze! -L’arancione sorrise. Si sentiva così debole… era l’alba del terzo giorno senza cibo.

-Io non ho amici.


La frase era caduta come un fulmine tra i due ragazzi. Manabe sentì una stretta al cuore. -E… e perché non… non dovresti avere amici?
-Dicono che sono strano… ma io non sono strano… è che faccio i sogni brutti,  a volte… e perché sogno mamma e papà che mi parlano e mi dicono che sono bravo… e loro dicono che sono pazzo… ma io non so cosa significhi essere una persona pazza! Deve essere come quelli che si vedono in TV, quelli con le mutande in testa…
Minaho non poté non ridere. -Ma dai… non sei strano! Non credere alle cose cattive che ti dicono… ehm… scusa, non ti ho chiesto il tuo nome…
-Mi chiamo Rex!

-Rex? Che bel nome… è straniero,  sai? In una lingua tanto antica significa “re”! È un nome proprio bello. Comunque… ti dicevo… lascia stare chi ti dice cose cattive! Io sono sicuro che tu senti davvero i tuoi genitori! Anche io… anche io a volte parlo con i miei. -Minaho sorrise dolcemente al bimbo.
-Ecco… se lo dice il mio fratellone allora è vero di sicuro!

Minaho spalancò la bocca. -Come… come mi hai chiamato…

-Fratellone! Ho deciso che sarai il mio fratellone sai? Sei il mio unico amico…
L’arancione era commosso. -Va… va bene, fratellino. Ora però vai a mangiare… altrimenti non ti farò più venire nel mio letto!
Il bimbo sorrise e scappò nel corridoio… non prima di aver dato un bacino sulla guancia ad un imbarazzatissimo Minaho!


Passarono venti minuti prima che Rex tornasse… con un panino in mano.
-Fratellone! Ti ho parlato un panino al prosciutto… anche i ragazzi grandi come te devono mangiare!
Minaho arrossí… come faceva a spiegare al bambino il concetto di “sciopero della fame”? Del resto prima o poi doveva cedere… non voleva morire. Non finché non avesse perso anche l’ultima speranza di tornare a casa.

Prese il panino e lo morse con gusto.


-Fratellone… lo sai che i tuoi capelli mi piacciono tanto? -Il bimbo arricciava con le dita un ciuffo dell’arancione.
Minaho sospirò fintamente scocciato. -Non sei l’unico a dirlo… vedrai che presto ti presenterò un nuovo amico… una persona molto importante per me.

Una donna entrò nella camerata. Teneva in mano un foglio e sembrava molto assonnata.
-Minaho Kazuto? Devi venire con me. Hai una visita.


Minaho si vestì in preda al l’agitazione. Forse… forse era arrivato il salvataggio!
Percorse il corridoio con il cuore in gola. La sala delle visite era vicino al giardino, illuminata da luminose pareti vetrate.

Manabe era lì.

L’arancione corse ad abbracciarlo piangendo. Manabe non riusciva a parlare… riuscì a malapena a spiegare il perché delle telefonate non fatte… poi scoppiò anche lui a piangere, ma di gioia.
-Dottore. .. mister… ci siete… ci siete anche voi… -Minaho sorrise debolmente ai due uomini.

Il dottore gli fece l’occhiolino ed Endou gli rispose con un sorriso ancora più grande.


-Sì. .. Ci siamo tutti. Ti tireremo fuori, promesso.

   
 
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