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Autore: Pinca    21/10/2017    4 recensioni
-Sai Ari....- oramai l'attenzione, nonostante il nuovo arrivato, era completamente catalizzata sul rosso che sembrava finalmente tornato serio, ma un sorrisetto lo tradì.
-In vita mia credo di non averti mai voluto così tanto...-
Oramai Boris e Sergey lo fissavano increduli con gli occhi sgranati. Kai si sentì come investito da una doccia fredda.
-...ma così tanto bene come in questo momento.-
La cosa bella era che era stato talmente convincente che Ariel stessa non riuscì a pensare che la stesse prendendo per il culo perché, in effetti, era stato sincero. Per la prima volta da quando Yuri la conosceva, Ariel Mayer aveva fatto, anche se inconsapevolmente, qualcosa per il suo personale piacere: rendere Kai Hiwatari vulnerabile.
Kai si portò una mano alla fronte massaggiandola compulsivamente, gli altri due erano rimasti a bocca aperta, forse troppo sconvolti e preoccupati.
-Si può sapere chi cazzo è che l'ha rotto?- chiese brusca Ari completamente disgustata e seccata dalle buffonate del capitano. Cielo, Yuri era un sentimentalotto, era vero ma non in modo così ripugnante!
-Fino a ieri sera funzionava normalmente!- continuò nervosamente pretendendo una risposta da Sergey e Boris.
-Non ne ho la minima idea!- biascicò Sergey. -Stamattina sembrava normale....-
Genere: Azione, Generale, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Boris, Kei Hiwatari, Nuovo personaggio, Takao Kinomiya, Yuri
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Return of revange'
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Raga... chiedo scusa per il vergognoso ritardo. Il capitolo era praticamente quasi pronto da un mese ma non trovavo la concentrazione per sedermi e dargli la forma definitiva, a fine capitolo spiegherò il perché.  
IMPORTANTE: questo capitolo presenta delle tematiche forti che potrebbero urtare la sensibilità di qualcuno. Ho già aggiornato dallo scorso capitolo le avvertenze con tematiche delicate e contenuti forti.
Mi scuso ancora per il mostruoso ritardo, spero che vada bene anche se come al solito ci sono alcuni punti che mi convincono e altri che non mi convincono pienamente. Questo capitolo mi ha messo l'ansia da prestazione!
Ps: ragazze vi adoro! Le vostre recensioni mi ricordano che non devo mollare, questa storia deve andare avanti!  
 
 
44. Numb
 
Petr Pahov era il più grande tra i titolari della squadra dei Demolition Boys, ma non certo il più brillante o il più bravo. Spiccava per presunzione e aggressività. Era un ragazzo di diciassette anni piuttosto basso e corpulento, proprio come il fratello minore, Ivan.
Yuri Ivanov, nonostante i cinque anni di differenza, non dimostrava il minimo timore nell'affrontarlo e nel tenergli testa. Non per niente era il capitano nonostante la giovane età. La differenza tra i due sostanzialmente consisteva nell'estrema arroganza del primo e nell'assoluta sicurezza di sé del secondo. Ivanov era un tipo estremamente equilibrato e pacato che manteneva un controllo di sé e di ciò che lo circondava in maniera invidiabile.
Quel giorno a mensa Petr Pahov si guardava attorno impaziente, con un ghigno che non prometteva niente di buono, e Yuri Ivanov, seduto proprio di fronte a lui, lo sapeva bene. Avrebbe sicuramente tartassato qualche piccoletto come al solito, o fatto finire nei guai qualcuno di loro per il puro gusto di farlo. Ma mai avrebbe pensato che sarebbe stato così ottuso da andare a provocare proprio la persona meno raccomandabile di tutto il monastero.   
Nessuno si sarebbe mai permesso di parlare ad Ariel Mayer, figuriamoci adottare certi toni. Era un'ombra oscura che si aggirava silente e minacciosa per il monastero. Non aveva bisogno di fare nulla, la sua fama la precedeva. Non era rispettata ma temuta, e per Yuri le ragioni erano più che valide e le teneva sempre presenti. Una come lei era da tenere lontana e tranquilla.  
Ma Pahov forse credeva che quelle ragioni non fossero più tanto valide. Tutto ciò che dall'alto dei suoi diciassette anni vedeva era solo una ragazzina di dodici, minuta e debole, che qualcuno aveva già sottomesso senza troppe difficoltà. Quindi non c'era più niente da temere, la maschera da soldatino perfetto era stata demolita e ciò che si era rivelato esserci sotto era solo una ridicola femmina, e come le altre non aveva ragione di esistere se non per un motivo. Quindi il suo atteggiamento schivo e minaccioso non lo impressionava, e quando la vide avvicinarsi al tavolo accanto al loro, la accolse con un ghignò beffardo e malizioso, squadrandola da capo a piedi.
-Ah Mayer, eccoti qui finalmente!- esordì a gran voce in modo tale che lo sentissero tutti i presenti. Voleva umiliarla, demolire il ridicolo timore che gli altri avevano di lei.  
La ragazzina lo ignorò. Non lo faceva per evitare rogne, semplicemente non riteneva di dover sprecare fiato per interagire con uno di un livello più basso del suo.
Molti dei ragazzini tornarono con la testa nel piatto immediatamente facendo finta di nulla, tranne i compari di Pahov che, forti della sua spavalderia, dimenticarono presto quanto potesse essere pericoloso provocare la Mayer.
-Stavo proprio pensando di venirti a trovare stanotte, così fai sollazzare un po' anche me!-
Ariel Mayer appoggiò il vassoio sul tavolo affianco senza emettere un fiato, ma le sue mani si strinsero attorno alla plastica quando le risatine di scherno dei compari di Pahov, fratello minore compreso, si alzarono a quel commento. Altri ragazzi seguirono di sottecchi a quella curiosa affermazione.  
Col taglio corto e l'ancora complice giovane età, quanto l'atteggiamento autoritario, Ariel aveva in tutto e per tutto l'aspetto di un ragazzino di dodici anni qualunque, nessuno avrebbe mai sospettato che in verità fosse una femmina. Dopo tutto anche Ivanov non presentava tratti marcatamente mascolini. In pochi lo sapevano e lui era uno di questi ma, a differenza di Pahov, non era così stupido da sottovalutarla per una cosa del genere.
Dava loro le spalle e non percepirono subito la minaccia.
Yuri posò le posate sul tavolo con un movimento estremamente garbato e controllato, e alzò lo sguardo di ghiaccio sul compagno di squadra di fronte a lui che sedeva scomposto per stare girato verso il tavolo alle sue spalle dove c'era l'oggetto delle sue attenzioni.
-Pahov, finiscila!-
Questo si voltò verso di lui, squadrandolo con sufficienza. Per lui era solo un spocchioso pidocchietto pel di carota!
-Ivanov, mi lasci la stanza libera, vero?- disse beffardo.
Non si sopportavano. L'arroganza di quel tipo entrava prepotentemente in contrasto con l'autorità di Yuri. Un elemento così irrispettoso era solo una mina vagante, una spina nel fianco per la sua squadra!  
-No! Tu questa notte te ne resti nella tua cella, chiaro!?-  
-Che c'è, sei geloso? Non mi pare che tu sia ancora abbastanza uomo per scopartela, quindi stanotte vedi di toglierti dai coglioni, moccioso!-   
Sergey alla destra di Yuri si agitò ansioso. Non gli stava piacendo la piega che stavano prendendo gli eventi, non sapeva se fosse a causa dell'assoluta mancanza di rispetto nei confronti del capitano, o per l'inquietante immobilità della Mayer che dava loro le spalle.  
-A Gregorovich non dispiacerà se mi diverto un po' con la sua puttanella! Non è giusto che se la spassi solo lui qui dentro! Non è tutto questo granché ma sempre meglio di niente!-
Il rumore di un piatto spaccato li mise in allerta. Ma Pahov continuò, incurante. Lui era un uomo, non aveva paura di una femminuccia!  
-Non osare....- finalmente la ragazzina rispose, e fu con un filo di voce pervaso di rabbia.
-Quale è il problema, Mayer? Non è quello che sei?- prese il bicchiere e bevve, dandole pure le spalle, come a sottolineare quanta poca considerazione avesse di lei. -La puttanella di Gregorovich, e da oggi anche la mia! Questo sei e questo resti, ficcatelo in testa, stupida femmina!- E fu agghiacciante. In un attimo la mensa di riempì di sangue, sul tavolo, sul pavimento, sulle pareti, sui ragazzi... schizzò ovunque. Petr si ritrovò un coccio del piatto rotto conficcato nel collo, e a quello seguirono altri colpi che affondarono violenti e incontrollati, davanti agli occhi del fratello minore Ivan, di Yuri, Sergej, Boris, e del resto dei ragazzi presenti, che rimasero impotenti e sconvolti da tanta efferatezza. Si accanì sul collo e quando non ci fu più nient'altro che una poltiglia informe, passò al petto. Le guardie la stavano caricando ci colpi per placarla, staccarla dal quel corpo oramai martoriato sulla quale si era accanita, accecata dalla follia, colpendo anche loro, finché uno di loro non riuscì a colpirla alla testa e crollò sul tavolo svenuta.
 
 
 
Una delle due guardie che l'avevano trascinata fin nell'ufficio di Vorkof, rovesciò un secchio d'acqua gelida sulla ragazzina gettata per terra, sul tappeto al centro della stanza. Questa immediatamente si riprese, annaspando e tossendo, e si tirò su a fatica guardandosi attorno ancora stordita e confusa.  
Il monaco era furente. Quella maledetta ragazzina pazza aveva superato ogni limite! Avesse ammazzato uno qualsiasi si sarebbe limitato a una settimana in isolamento a digiuno e qualche frustata, ma Petr Pahov era uno dei migliori blader della sua squadra, e lo aveva sgozzato come un animale da macello.  
-Mi sembrava di essere stato chiaro in proposito: se non hai il permesso non puoi uccidere!-
Lei alzò lo sguardo incattivito su di lui. Non c'era assolutamente ombra di pentimento in quegli occhi orgogliosi e folli. Sosteneva il suo sguardo con sfida, come sempre. Le mani ancora imbrattate del sangue del ragazzo, che le era schizzato anche addosso e sul viso, erano strette a pugno, carica di rancore.  
L'avevano dovuta tramortire per riuscire a scollarla dal corpo di Pahov sulla quale aveva continuato ad infierire preda di una furia cieca.  
-Hai ucciso Pahov!- tuonò iracondo senza sortire alcun effetto. Avrebbe dovuto tremare davanti a lui, prostrarsi chiedendo perdono e clemenza, ma quello che aveva davanti era pura presunzione. Girò intorno alla scrivania e la fronteggiò, svettando su quel piccolo mostro che non provava nessun timore. -Mi hai privato di un blaider di livello tre? Non hai nulla da dire?-  
Nulla, rimase in silenzio a fissarlo con quegli occhi neri e ferini, carichi d'ira, e tale presunzione gli diede ancora di più sui nervi.  
-Non sei tu a decidere chi deve morire!- alzò un braccio e la colpì con forza in viso facendola finire di nuovo a terra. -L'hai ammazzato per quello che ti ha detto?-
E di nuovo, invece di abbassare la testa e pentirsi, sottomettersi, implorare perdono, alzò gli occhi su di lui, ringhiandogli contro minacciosa.  
Era sconvolto!
-Come osi!?- sibilò furioso. Con un calcio la fece finire con la schiena a terra, e la tenne ferma schiacciandole il petto sotto il suo stivale. E lei ringhiò ancora più forte, scalciò, cercando di graffiargli la gamba con le unghie, come un animale braccato.  
-Cosa credi di fare? Vuoi ribellarti? Il tuo problema è che credi ancora di essere al di sopra degli altri! Non vali niente qui dentro! Potrai pure essere la blaider più valida presente, ma non me ne faccio niente di una come te!-  
Lei continuava ad agitarsi e a ribellarsi. La afferrò malamente per il braccio e la tirò su, trascinandola fuori dal suo ufficio con le due guardie al seguito.  
-Non sei niente qui dentro e se qualcuno ti vuole come puttana ringrazia il cielo che almeno servi a qualcosa!-  
Scesero di qualche piano, attraversarono diversi corridoi bui. Continuava ad opporsi, a urlare e ad aggirarsi senza sosta fino a una stanza nelle segrete.  
Appena entrati la liberò e smise di opporsi, forse convinta che l'avrebbe frustata fino a ridurre a brandelli la pelle della schiena. Ma questa volta non se la sarebbe cavata con così poco. Ci voleva una punizione esemplare, una punizione che le sarebbe servita da lezione e l'avrebbe rimessa al suo posto definitivamente.
La spinse all'interno della stanza. La bambina di dodici anni indietreggiò e si guardò attorno come un animale in gabbia. Era la stanza ricreativa delle guardie, ed erano tutte lì. Molto probabilmente era l'orario del coprifuoco.  
-Avresti dovuto starti zitta e fare quello che ti diceva Pahov, maledetta stupida!- sibilò malevolo avanzando verso di lei.
Ariel Mayer indietreggiò fino a cozzare con la schiena contro il tavolo al centro della sala.
 
 
 
 
 
 
Un fischio sottile nell'auricolare la avvisò che c'era collegamento perfetto con l'apparecchio del suo supporto esterno. Avanzò nel corridoio buio e deserto seguendo la luce giallastra che filtrava da sotto la grande porta in fondo.
-Dammi la tua posizione!- bisbigliò.
-Sono al punto C. La visuale è libera, panoramica completa e pulita.-
Si appiattì contro la porta ascoltando il chiassoso vociare che veniva dall'interno della sala conferenze.
-Ci sono tutti?-  
-Tutti, Black Mamba! Puoi pure iniziare!-
-Che cazzo dici?- ringhiò irritata.
-Black Mamba.... Kill Bill? Mai visto questo film?-  
-Concentrati invece di sparare cazzate! Limitati a coprirmi le spalle.-
-Ok, scusa tesoro, hai ragione!-  
-Mi raccomando, non ucciderne neanche uno, sono tutti miei!-
-Non oserei mai!-  
Afferrò la maniglia della porta e la ruotò lentamente.
-Bene, allora iniziamo!-  
 
 
 
 
 
 
Si ritrovò con entrambe le braccia bloccate dietro la schiena, il viso schiacciato contro la ruvida superfice di legno grezzo del tavolo e l'impossibilità di muoversi, di ribellarsi, di allontanare quell'uomo da lei. Si sentiva confusa e stordita. Non riusciva a respirare. Tutta quella gente intorno a lei non faceva niente, si aggirava intorno e non capiva. Voleva solo urlare, o forse stava già urlando? Voleva esplodere e ucciderlo, uccidere Vorkof, fargli del male, ma era così impotente sotto quelle spinte che la uccidevano.  
-È l'unico modo evidentemente per farti abbassare la cresta!- disse la voce roca alle sue spalle. -Disgusta più me che te credimi, ma mi ci hai costretto tu, la colpa è solo tua!-  
Durò poco, solo poche spinte. Sentì la presa sulle sue braccia allentarsi e quando fu certa che l'uomo dietro di lei si fosse allontanato si tirò su tremando di rabbia, di paura, tenendo lo sguardo fisso su quella superficie legnosa sotto di lei. Era finita, andava tutto bene, era durato poco, era finita....
Il monaco si rassettò frettolosamente e si rivolse alle guardie presenti.
-Continuate voi, deve imparare la lezione!-  
 
 
 


 
 
Quando la porta si aprì solo alcuni se ne accorsero. Osservarono con sorpresa la ragazza bionda e slanciata, vestita di nero, con un giubbotto che sembrava troppo grande, appena entrata nella sala. Dava loro le spalle, richiudendo la porta con cura.
-È una riunione privata, è pregata di andarsene!- tuonò uno di loro, seduto attorno al tavolo al centro della stanza, più vicino alla porta.  
Era piuttosto strano che si fosse presentata lì, tutto lo stabile era stato prenotato solo per loro, non avrebbe dovuto esserci nessuno.
Ma la ragazza lo ignorò e si voltò a guardarlo. Era molto giovane, forse non aveva nemmeno vent'anni, ed aveva un viso molto bello, quasi angelico, contornato da capelli color del grano, e occhi azzurri e luminosi, di cristallo. Era una tipica bellezza di lì, ma c'era qualcosa nell'espressione che la rendeva inquietante.
-Mi ha sentito?- ripeté indisposto alzandosi e avvicinandosi alla sconosciuta. Anche il resto dei colleghi a quel punto si voltò verso l'entrata della sala.  
Con un movimento lento e inesorabile sfoderò da sotto il giaccone nero due beretta 92.
Non ebbe nemmeno il tempo di reagire l'uomo, che si accasciò a terra gambizzato da due proiettili nelle ginocchia e il suo pesante stivale a schiacciargli il petto. Sopra di lui la ragazza dagli occhi di ghiaccio svettava puntando le pistole sul resto dei presenti.
-Maledetta troia, che cazzo vuoi!?- annaspò agonizzante quello sotto di lei.
-Maledetta bastarda!- urlò un altro poco distante.
Uno di loro, seduto al centro della sala, sfoderò la pistola da sotto la giacca ma, non appena gliela puntò contro, un rumore di vetri infranti rimbombò e degli schizzi di sangue imperlarono l'aria. Questo si ritrovò in ginocchio a stringersi sconvolto il polso della mano spappolata e penzolante. Ma non era stata lei a sparare quel colpo e ciò era chiaro a tutti: erano sotto tiro anche da altre direzioni.
-Sono qui per prendermi le vostre vite!- esordì la ragazza. -Non costringetemi ad ammazzarvi subito perché voglio godermi il momento!-  
La sua voce risuonò nella stanza, bassa, pacata e decisa, pienamente in contrasto con la ferocia dei suoi occhi.
-Cosa cazzo significa?- latrò rabbioso quello sotto di lei cercando di scostare la gamba che gli schiacciava il petto. Lei puntò i suoi occhi spietati su di lui e si chinò. Il peso sul suo petto però non cambiò, gli puntò una pistola in pieno viso, lasciando l'altra alta sul resto dei presenti.
-Significa che questa volta mi sono presentata anche io con qualcosa di lungo e duro! Anzi, per non sbagliare ne ho portati due!-   
L'uomo sgranò gli occhi incredulo e il fiato gli mancò e non fu a causa del peso sul petto.
-Tu sei....- annaspò sconvolto. -Maledetto demonio, tu sei quella ragazzina psicopatica del mon....- ma si ritrovò prepotentemente la canna della pistola ficcata in bocca.  
Oh, finalmente l'aveva capito chi era, aveva capito che era giunta l'ora di pagare!  
Cercò di divincolarsi, di scacciarla, le afferrò il braccio ma era inamovibile, sembrava di marmo.  
-Da bravo, fattela arrivare fino in gola!- sibilò infida e rabbiosa, spingendo la pistola fino in fondo. -Ti piace, bastardo?-  
-Lascialo immediatamente!-
Un altro colpo invisibile partì quando un secondo impavido, afferrata una sedia, provò a colpirla. E anche questa volta l'uomo crollò rumorosamente a terra inerme, colpito alla base della colonna vertebrale.  
Lei non si scompose, non se ne preoccupò. Sapeva di essere intoccabile. Inclinò il capo e scrutò con attenzione il primo condannato con la sua pistola ficcata in gola.  
Ciò che lui vide fu la propria disperazione riflessa nella luce perversa e folle degli occhi del giovane demonio dalle sembianze angeliche sopra di lui.
-Di te mi ricordo- disse con uno strano tono mite che abbandonò immediatamente. -tu mi venisti in bocca! Guarda un po'… ora sono io a ficcarti il mio cazzo in gola! Credo proprio che sia arrivato il mio momento di venire.... Salutami Vorkof all'inferno, verme!-  
Premette il grilletto e il sangue schizzò sul pavimento.
Quando alzò gli occhi sugli nove rimasti, le si aprì un ghigno agghiacciante sulle labbra. Un ghigno che riconobbero immediatamente e che li paralizzò per il terrore.   
L'odore di sangue e disperazione le investì prepotentemente le narici inebriandola. Avevano paura!  
-Ricordo la faccia di ognuno di voi vermi schifosi, di chi mi è venuto addosso, di chi mi è venuto in bocca e chi tra le gambe e dietro....-  
La sua voce era ridotta ad un ringhio rabbioso. Si tirò su e iniziarono ad agitarsi, come topi in gabbia.
Non ne sarebbe uscito neanche uno vivo da lì dentro.  
-Tocca a me divertirmi adesso!-
 
 
 
 
 
 
 
Era lì Yuri Ivanov quando una delle guardie l'aveva gettata sulla sua branda, e lì era rimasta immobile per due giorni, come morta, con gli occhi vitrei spalancati nel vuoto.  
Il cibo che era riuscito a portarle era rimasto intonso sul vecchio mobiletto. Loro condividevano la stessa cella e non era la prima volta che la vedeva in quello stato*, ma mai era durato così a lungo.  
Non sopportava l'odore di sudicio che aveva appiccicato addosso, lo faceva sentire male perché sapeva cosa significava, sapeva cosa le avevano fatto e gli faceva ribrezzo che si potesse arrivare a tanto.
Le prese il polso con delicatezza, avvertendo contro il polpastrello il flebile battito.
Avrebbe dovuto temerla. Aveva ucciso in maniera efferata Pahov, era capace di questi scatti di estrema follia, e niente gli assicurava che non sarebbe impazzita di nuovo a quel semplice tocco innocente. Ma dopo tutto chi lì dentro era riuscito a conservare un briciolo di sanità mentale? Eppure lei sembrava essere la più insana di tutti. Più la punivano e più sprofondare nella follia, e quello doveva essere il fondo.  
Aveva ucciso in maniera atroce e in maniera atroce aveva pagato. Vorkof era stato spietato!  
Non sapeva se fosse giusto provare pietà per lei, ma che lo fosse o meno a lui non importava. La sua coscienza non gli avrebbe permesso di rimanere indifferente, non l'avrebbe lasciata morire. Per questo le aveva portato del cibo, e per questo ora la stava trascinando a fatica lungo il corridoio buio che conduceva alle docce.  
Era stremato a causa della giornata di allenamenti, e Ariel oltre ad avere la sua stessa stazza, era un peso morto che non accennava un movimento, ma non si arrese. Le avrebbe lavato via tutto quel male, così si sarebbe ripresa, sarebbe tornata a muoversi.  
Lei non si stava rendendo conto di niente, quando Ariel Mayer finiva in quello stato era completamente assente, altrimenti non gli avrebbe mai permesso aiutarla.
A fatica riuscì ad arrivare alle docce. La adagiò seduta sulla panca, con la schiena contro la parete grigiastra e scrostata. Doveva fare in fretta, era in ansia, non voleva essere scoperto, Vorkof molto probabilmente non l'avrebbe presa bene. Inoltre non sopportava più quel maledetto odore.  
Velocemente, e con non poca difficoltà, riuscì a sfilarle di dosso i vestiti lisi e grigi e li gettò in un angolo. Avrebbe voluto bruciarli!  
Si tolse felpa e stivali e aprì il getto dell'acqua calda che a malapena risultò tiepida.  
Si passò di nuovo il suo braccio intorno alle spalle e la sollevò dalla panca trascinandola sotto l'acqua.
Il corpo era pieno dei lividi che le avevano lasciato le mani di quegli schifosi. Sulle cosce, così come intorno alla bocca spaccata, c'era del sangue incrostato.  
-Avanti Mayer, cerca di collaborare!- disse con un ultimo sforzo finendo entrambi sotto il getto.   
Annaspò mentre l'acqua gli finiva sul viso e provò ad appoggiarla alla parete piastrellata nella speranza che si reggesse in piedi da sola, ma in mancanza del suo sostegno scivolò a terra come una grossa bambola inerme. La cosa si sta rivelando più difficile del previso.
Provò di nuovo a tirarla su, ad avvicinarla al getto l'acqua ma nulla. Era troppo pesante per lui che era sfinito. Appoggiò le mani sulle ginocchia cercando di riprendere le forze e di non tremare per il freddo. Era zuppo e i panni erano appicciati addosso, si scostò con impazienza i capelli dal viso imponendosi di ragionare. Doveva usare la testa!  
Guardò sempre più in ansia il corpo abbandonato a terra della Mayer, che non accennava una reazione nonostante il freddo e l'acqua.  
Provò ancora, si chinò su di lei e si passò un suo braccio intorno alle spalle, ma non appena provò a tirare su rischiò di scivolare. Era in una brutta situazione, e si sentì gelare il sangue quando, alzando lo sguardo verso il fondo della sala vide una sagoma scusa nella penombra avvicinarsi.
-Kuznestov!- disse non appena lo riconobbe. Cercò di non lasciarsi sopraffare dal panico, riprese le redini della situazione in mano e sfoggiò la sua solita sicurezza. -Torna alla tua cella e non dire niente a nessuno, è un ordine!-  
Kuznestov si fermò a pochi metri da lui e rimase immobile a guardarlo per diversi secondi che gli parvero infiniti. Avrebbe eseguito l'ordine o lo avrebbe denunciato? Lui odiava la Mayer, ed era sicuramente dell'idea che non si meritasse di essere addirittura aiutata.  
Ma quello che fece il ragazzo prese alla sprovvista Yuri.
-Che stai facendo?- gli chiese sconcertato quando questo, anziché sfoggiare il suo solito ghigno maligno, mantenne quella espressione indecifrabile e iniziò a sfilarsi gli stivali e poi la felpa e la maglia.
Non disse una parola, si limitò a raggiungerlo lì, sotto il getto dell'acqua che velocemente stava perdendo quel poco di calore che restava, e senza alcuno sforzò sollevò la compagna da terra e la sostenne in piedi passandosi il suo braccio intorno al collo, tenendola saldamente per il fianco. Anche lui si stava inzuppando ma non si lamentò, non disse una parola.   
Yuri era impressionato. Non si aspettava che lo aiutasse, soprattutto non si aspettava che aiutasse lei!
-Grazie!- disse riconoscente.  
-Avanti!- lo esortò serio.
Yuri annuì.  
Iniziò a strofinare la pelle con un vecchio strofinaccio ruvido e il sapone. Passò più e più volte sul viso e sul collo, sull'addome e sul petto, dove c'era appena un accenno di seno, e tra le gambe, senza alcun imbarazzo. Per lui erano solo ferite da pulire e da curare. Avrebbe voluto pulire e lavare via tutto da quel corpo, anche quello che non vedeva e quello che non c'era più. Si sentiva sporco lui per lei solo al pensiero.  
Quando Boris la fece sedere sulla panca, la asciugò scrupolosamente, come a volere ulteriormente eliminare la sporcizia che oramai le doveva essere arrivata fin dentro l'anima. Fecero tutto in silenzio e velocemente, con l'ansia di essere scoperti. Non avrebbero dovuto uscire dalle loro celle durante il coprifuoco, non avrebbero dovuto dare aiuto a nessuno, men che meno a lei che aveva subito quell'orribile punizione di Vorkof. Stavano infrangendo le regole e sapevano di rischiare grosso.   
Boris lo aiutò anche a rivestirla. Yuri non l'aveva mai visto così serio da che era al monastero, era un lato del suo carattere estremamente maturo che non aveva mai mostrato. Infine se la caricò sulla schiena senza alcuna fatica, essendo molto più robusto e forzuto di lui, e lo seguì fino alla sua cella.   
-No, non su quella branda, mettila sulla mia! Quella è sporca!- gli disse entrando dietro di lui.  
Non voleva che toccasse quel letto contaminato ora che l'aveva pulita. Avrebbe diviso la branda con lei, non sarebbe stato un problema.
-Grazie Boris...- sussurrò mentre il ragazzo usciva.
Era infinitamente grato per esserci stato, per averlo sostenuto ed essergli rimasto fedele. E doveva aver sentito il suo ringraziamento, perché gli fece un cenno col capo e grugnì chiudendosi la porta alle spalle.
Si voltò verso la Mayer stesa su un fianco sul suo letto, immersa ancora in quel torpore con gli occhi vitrei persi nel vuoto. Si sarebbe ripresa questa volta, o sarebbe morta lentamente? Cosa altro poteva fare?
Si arrampicò sul letto, stringendosi il più possibile al muro per non toccarla ulteriormente. Non voleva che si sentisse ancora addosso le mani di qualcuno. L'aveva lavata, aveva fatto ciò che era necessario e basta. Tirò su la coperta di lana comprendo entrambi, e crollò addormentato.  
Dopo qualche ora un movimento nella stanza lo destò. Si voltò di scatto, spalancando gli occhi azzurri scrutando nella luce flebile dell'alba. Accanto a lui non c'era più nessuno, ma non era solo nella cella. E infine la vide, accovacciata a terra, nascosta dietro il mobiletto che divorava famelica il tozzo di pane e il pezzo di carne che le aveva portato la sera prima.  
Gli occhi erano di nuovo accesi e lampeggiavano tempestosi. Sembrava tornata e molto più pericolosa e spaventosa di prima, aveva l'aspetto di un animale incattivito.  
 
 
 
 
 
 
 
 
Erano finalmente tornati in camera. Erano tornati in moto e nonostante la velocità e lei fosse seduta dietro, non lo aveva sfiorato. Era rimasta saldamente aggrappata ai manubri posteriori.  
Si erano scambiati giusto qualche parola mentre saliva in moto. Le aveva chiesto se veramente dovessero andare a cercare la famiglia di uno dei bastardi che aveva fatto fuori, così come aveva promesso prima di piantargli una pallottola in fronte.
"Stava bluffando il bastardo!" Queste erano state le sue uniche parole prima di infilare il casco. E da lì non aveva più aperto bocca.
Il vecchio Hiwatari aveva organizzato tutto per bene: gli aveva procurato documenti e nuove identità, i mezzi e l'alloggio in uno degli alberghi più lussuosi di proprietà della famiglia, per assicurargli la massima discrezione.  
Una volta in camera il ragazzo si tolse la giacca, il berretto e gli occhiali da vista gettando tutto su un mobile, e si passò una mano tra i capelli argentati spettinandoli.  
La ragazza si sedette sul letto indolente. Aveva lo sguardo assorto e le labbra serrate. Si sfilò via la parrucca, lasciando liberi i lunghi capelli scuri che scivolarono sulla schiena e sulle spalle.  
-Che dici, guardiamo Kill Bill e ordiniamo la cena in camera? Tanto paga il vecchio!-
Ma Boris non ricevette risposta. Lei non gli rispose, come se non lo avesse nemmeno sentito.  
Rimase immobile e in silenzio, con i gomiti sulle ginocchia, lo sguardo fisso nel vuoto davanti a sé e la parrucca bionda stretta tra le dita.  
Boris decise di non insistere, avrebbe voluto stemperare ma sapeva che difficilmente ci sarebbe riuscito, non in questa occasione e non con Ariel. Solo dopo parecchi minuti, si alzò ed entrò in bagno.   
Vedere come era riuscita a cambiare il suo aspetto con una semplice parrucca e un paio di lenti a contatto lo aveva sorpreso, aveva stentato a riconoscerla. E doveva ammetterlo, l'aveva trovata estremamente attraente, aveva un nonsoché di accattivante, come se quei colori così freddi le si addicessero di più. Inoltre assomigliava veramente a Black Mamba, era impressionante, e fosse stata un'altra situazione sicuramente si sarebbe addirittura azzardato a fare anche qualche battuta sulla tutina gialla.
Sentì il getto della doccia provenire dal bagno e rimase con l'orecchio teso, seguendo ogni suo movimento dal letto. Sapeva che il suo ruolo di supporto per quella missione non era terminato. L'aveva avvertito fin dall'ultimo colpo sparato. L'aveva osservata attentamente dalla sua postazione: non aveva fiatato, era rimasta immobile solo per qualche secondo con la pistola ancora puntata, poi si era girata verso la porta ed era uscita senza guardare nemmeno uno dei corpi di quella carneficina, con passo fermo, come spenta.  
Attese per parecchi minuti, forse una ventina, di sentire il getto dell'acqua chiudersi, e a quel punto decise di alzarsi a controllare. Si sentiva come schiacciato dall'ansia. Ariel aveva ucciso dieci uomini in una volta sola, dieci carnefici che l'avevano umiliata, violata e punita. Una cosa del genere avrebbe turbato chiunque, anche lei che era abituata al sangue.  
Entrò nel bagno. i vestiti erano gettati a terra senza cura. Non la chiamò, non disse una parola, sapeva cosa avrebbe trovato. Scostò il pannello appannato della doccia che lasciava intravedere la sua sagoma.  
Era immobile sotto il getto d'acqua fredda, aggrappata con una mano al supporto del soffione della doccia. I capelli bagnati erano appiccicati al volto, e l'acqua le scivolava lungo il corpo, lavando via i residui superficiali di quella notte. Respirava appena, gli occhi erano vuoti.  
Se solo l'acqua avesse potuto lavare anche l'anima....
Osservò il suo corpo nudo, così diverso da quello acerbo della bambina che aveva sostenuto in piedi anni prima nelle docce gelide del monastero, mentre Yuri lo lavava con cura dalla sporcizia di quelle bestie. La differenza ora era così lampante da togliergli il fiato. Era cresciuta, era diventata una donna! Ed era proprio lei, la stessa di quella lontana notte, ed era sopravvissuta a tutto!  
Un improvviso orgoglio iniziò a scaldargli il petto, alleggerendolo dall'ansia che lo aveva accompagnato fino a lì, e un crampo gli strinse lo stomaco.  
Chiuse l'acqua e la avvolse nel telo di spugna bianco, facendola uscire dalla cabina doccia.  
Aveva gli stessi occhi spenti di quella lontana notte, come se non fosse presente, ma ora si sosteneva in piedi da sola senza il suo aiuto.  
Le strinse forte le mani sulle braccia, frizionando per asciugarla e riscaldarla. Era gelida. Le scostò le ciocche bagnate dal viso, scostandole tutti i capelli dietro la schiena, e la strinse nel suo abbraccio. Avrebbe voluto che si fondesse col suo petto perché mai come ora si stava rendendo conto di quanto la amasse. Avrebbe voluto urlarglielo, avrebbe voluto gridarlo al mondo e amarla, vederla sorridere finalmente serena.  
-Hai fatto bene! È giusto così, hanno avuto ciò che meritavano.- le sussurrò all'orecchio, tenendola stretta a sé. -Hai fatto bene!-
Con la stessa cura con cui se ne era occupato Yuri anni prima, ora era lui ad asciugarla, riscaldarla e rivestirla. Le asciugò con devozione ogni centimetro di pelle, con gli asciugamani candidi e profumati di pulito di quel posto scintillante, così diverso e lontano dalla realtà dove erano cresciuti.  
Le asciugò il viso con delicatezza, accarezzandola con tutta la dolcezza di cui era capace. Avrebbe voluto baciarla, donarle l'anima, ma si accontentò di dimostrarle tutto il suo amore prendendosi cura di lei in quel modo, asciugandola scrupolosamente. Anche i capelli le asciugò, ed erano lunghissimi. Non li aveva mai avuti lunghi al monastero, glieli avevano sempre tagliati corti, forse per evitare malanni a causa del freddo. Era incantato, qualche anno prima, quando aveva iniziato a interessarsi a lei, mai si sarebbe aspettato che sarebbe diventata così bella. Ma all'epoca per loro era così difficile arrivare a fine giornata che era quasi impossibile poter immaginare un futuro tanto lontano.   
A mano a mano che li asciugava prendevano corpo e ricadevano morbidi e ondulati sulle spalle e sul viso pallido, ma lei non accennò una reazione. Passiva e completamente estraniata si ritrovò asciutta e vestita sotto le coperte, stretta nell'abbraccio caldo e accorato del compagno. Le posò un unico bacio sulla guancia e si addormentò col viso immerso nei suoi capelli e nel suo profumo. Non aveva usato docciaschiuma o shampoo, evidentemente si era semplicemente gettata sotto l'acqua e lì era rimasta immobile.
Quando Boris si svegliò fu per una strana sensazione di inquietudine. Aprì gli occhi guardandosi attorno. Stava albeggiando, la notte prima aveva dimenticato di tirare le tende e il cielo era limpido fuori dalla finestra, ma la stanza era ancora immersa nell'oscurità e si ritrovò a fissare stranito la sagoma scusa seduta rigida sul bordo del letto.  
Ariel gli dava le spalle.
-Ho fame.-  
Lo sussurrò, o forse fu più un latrato basso. Boris si tirò su a sedere, ancora rintontito dal sonno, cercando di darsi un tono per sembrare il più possibile sveglio.  
-Certo... certo, ora chiamo e ci faccio portare la colazione....- disse tastando a tentoni sul comodino alla ricerca del telefono.  
Fece quella veloce telefonata e riagganciò frettolosamente, tornando a rilassarsi contro il cuscino e ad osservarla di sottecchi. Aveva qualcosa di ferino, si guardava attorno con estrema diffidenza e in allerta, come se si aspettasse che accadesse qualcosa da un momento all'altro. Era certo che se solo avesse provato a sfiorarla, sarebbe scattata come una molla, e questo gli metteva una certa agitazione. Sapeva che le sue reazioni potevano essere anche estremamente aggressive.  
C'era un silenzio assordante, decise di alzarsi, andare in bagno e quando tornò la situazione non era cambiata, quindi accese il televisore. Per fortuna il servizio in camera fu celere.
Non appena la porta fu richiusa, Ariel si avvicinò al carrello osservando diffidente tutte le pietanze presenti, e tra tante cose infine afferrò un panino per mano e li addentò famelica. Si accovacciò sulla poltroncina vicina dandogli le spalle e continuò a mangiare. Non aspettava nemmeno di deglutire prima di passare al prossimo morso, tanta era la frenesia di quella fame, come se avesse digiunato per giorni e qualcuno avrebbe potuto da un momento all'altro toglierle di mano quel pane.
Dio, come conosceva bene quella sensazione Boris, era orribile!  
Dopo aver buttato giù i primi bocconi sembrò acquietarsi. Prese dei respiri profondi e si rilassò finalmente. Le spalle che erano rimaste rigide si afflosciarono, così come le gambe, e le palpebre si chiusero nel ritrovare quell'attimo di calma.   
Quando lei riaprì gli occhi erano tornati vividi e carichi come un cielo tempestoso.
Il cielo fuori la finestra stava diventando sempre più luminoso e limpido.
-Mi sento molto meglio ora!- disse con voce sottile e sibillina.
Nonostante le sue parole, notò Boris, non aveva affatto l'aspetto di una persona che si sentiva meglio. Conservava quell'irrequietezza inquietante. Continuò a mangiare con aria assente, finché non decise di parlare di nuovo spiazzandolo.
-Noi abbiamo fatto sesso....- prese una lunga pausa che lo lasciò col fiato sospeso. Anche il basso chiacchiericcio del televisore parve sparire. -Tante volte, anche anni fa al monastero.-  
Continuava a non guardarlo. Da quando era uscita da quel palazzo non aveva nemmeno per sbaglio posato i suoi occhi su di lui.  
Giocherellava col tozzo di pane che era rimasto, e continuò con voce chiara e decisa.  
-Non so quanto possa importanti ma voglio che tu lo sappia: con te non mi... ho mai provato schifo. Era ok.... Per quanto riguarda Yuri... lui non ha colpa di nulla, so che non lo avrebbe mai fatto. Per lui è stata una violenza tanto quanto lo è stata per me. Non ha colpa, faglielo sapere!- gli ordinò infine, addentando il pezzo di pane con i canini, come se fosse lo stesso pane stantio che avevano mangiato per anni al monastero.
Boris annuì serio. Ariel stava parlando come per mettere in chiaro la situazione e chiudere definitivamente quella storia. Aveva fatto piazza pulita dei suoi carnefici con quel bagno di sangue, forse nella speranza di ripulirsi l'anima, di cancellare quel passato e riscattarsi, pareggiare i conti. Ma come si poteva lavare un'anima lacerandola in quel modo? Forse i demoni che avrebbe dovuto uccidere quella notte non erano quelli in quella sala conferenze....
E in tutta quell'assurda situazione si rese conto di essere stato l'unico ad essere riuscito ad avvicinarsi a tal punto a lei da instaurare l'ombra di un rapporto. Gli aveva appena confessato di essere stato l'unico che aveva lasciato avvicinare. Non Yuri, non Sergey, ma lui che l'aveva sfidata, che aveva iniziato quello stupido gioco di potere tra di loro. Forse non provava affetto per lui, ma era qualcosa per lei, ora lo sapeva. Aveva scelto lui per quella missione, si fidava di lui, e lo aveva lasciato assistere a quella tremenda notte.
-Kai mi ha detto che mi sono comportata male con te.-
Questo lo spiazzò ancora di più. Kai si era preoccupato per lui? Era assurdo!  
-Ari... non ha importanza. Lo so che non l'hai fatto intenzionalmente....- disse evasivo. Non voleva dare troppo peso a quella storia, non l'aveva fatto allora e non aveva intenzione di farlo adesso, ma lei rispose con tono autoritario come se lui avesse osato contraddirla.  
-Volevo fare del male a me stessa e tu non me ne facevi abbastanza, e ho deciso di torturare Yuri.-
-Una persona che sta bene non si farebbe mai del male da sola.- le fece presente asciutto.
-Bè... mi dispiace.-  
Era la prima volta che le sentiva dire quelle parole, ed era strano che fosse stato proprio Kai a farle presente una cosa del genere. Eppure non l'aveva ferito che fosse andata a letto con Yuri quella notte, ma il fatto che gli fosse quasi morta davanti agli occhi. Lo scoprirsi impotente mentre gli scivolava via come sabbia tra le dita l'aveva devastato. E a ferirlo ulteriormente era stata la consapevolezza che Ariel avesse bisogno di Hiwatari e non di lui, o uno qualsiasi di loro! Aveva provato invidia, rabbia, gelosia. Aveva odiato Kai come mai prima di allora. Dopo tutto chi era Kai? Cosa aveva fatto per lei? Dove era stato lui nei momenti peggiori?  
Eppure contava più di lui che era sempre stato presente, e di Yuri che si era preso cura di lei nonostante tutto nei momenti più brutti.
-Tra due ore abbiamo il volo di ritorno, diamoci una mossa!- Ariel si alzò risoluta dalla poltroncina e si diresse verso il bagno.
-Ariel, grazie per avermi permesso di farti da supporto!- le disse prima che superasse la soglia.
E finalmente lo guardò. Per una manciata di secondi i suoi occhi si posarono su di lui, sempre con quel suo sguardo indecifrabile.
-Sei il miglior cecchino che conosca, non avrei potuto scegliere altrimenti.-
 
 
 
 
 
 
 
 
OMG! OMG! Scusate il ritardo, veramente scusate! Questo capitolo era solo da sistemare, ma credo che gli argomenti trattati mi abbiano impedito di procedere con tranquillità. Non ero sicura di saper affrontare certi temi e sinceramente non ne sono sicura nemmeno ora. Mi dispiace se questo capitolo ha turbato qualcuno, ma non potevo evitarlo, fa tutto parte della storia e penso che più avanti non andrà migliorando.
Ho deciso di utilizzare delle ellissi temporali per narrare in contemporanea due momenti collegati e paralleli. Non c'è solo il passato di Ariel al monastero (con vari dettagli ma vabbè), ma anche di Yuri e Boris. Ho inserito l'inizio della sincera amicizia che lega i nostri russi preferiti. Trovarsi complici in una situazione a rischio li ha uniti inconsapevolmente.    
Non ricordo se lo disse in una intervista la Rowling, ma l'amicizia tra Harry, Ron e Hermione è nata con la disavventura che hanno affrontato insieme nel bagno delle ragazze lottando contro il trol. Certo... in comune c'è solo il bagno qui (e la ragazza da salvare non è nemmeno pienamente cosciente) ma mi piaceva l'idea che l'amicizia tra Yuri e Boris fosse autentica proprio come quella del golden trio, e che quindi nascesse in una situazione di difficoltà.  
*Lo stato in cui versa Ari è lo stato catatonico o stupor, a seguito di un forte shock emotivo. Da wikipedia: In alcuni casi estremi di gravi disturbi depressivi, il paziente può diventare immobile, perdere l'appetito e diventare muto. proprio come è Ari in tutta questa parte e proprio per questo ho deciso di intitolare il capitolo Numb (intorpidito, stordito, intontito o insensibile).
E si ritrova nello stesso stato sia nel passato che nel presente, come se alla fine tutti i suoi sforzi per vendicarsi non siano valsi a nulla, e non l'abbino portata da nessuna parte. Ne un passo avanti ne un passo indietro, ferma in quel purgatorio dove è bloccata. Lei ha sbagliato, sbaglia e continuerà a sbagliare. 
   
 
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