CAPITOLO
6. PIERRE DUMONT
“Noi serial killer
siamo i vostri figli, i vostri mariti, siamo ovunque.”
Ted
Bundy
Bianco.
Il bianco è l'inizio. L'inizio della vita, l'inizio
dell'universo,
l'inizio del tutto. Il bianco deve stare al centro. E' quello il suo
posto. I colori scuri? Lontani, lontani. Blu, nero, marrone. Lontani.
Lontani dal bianco. Non possono stare vicino al bianco. Vicino al
bianco i colori chiari. Il giallo. Il giallo va bene vicino al
bianco. Ma quale giallo? Solo se è chiaro. Il giallo scuro
lontano,
lontano dal bianco. E' l'ordine delle cose. Devo mantenere il
controllo. L'ordine delle cose. Dipende da me. L'ordine. Bianco. Il
bianco con il chiaro, il nero è scuro. E' l'ordine delle
cose. Il
bianco ora è vicino ai colori chiari. Il nero ai colori
scuri.
Ottimo. Ordine delle co--
“Ti
abbiamo chiamato, ma non hai sentito. Potresti venire?”
Pierre
non si voltò neanche, tanto la voce di Henrich era
inconfondibile.
Preferiva ammirare il suo lavoro.
Ho
sentito. Ho sentito. Sento tutto. Ogni cosa. Gli alimenti della tua
cucina erano nel caos. Io non- non posso vivere nel caos. Ordine.
Vide
Henrich guardare il risultato del suo disturbo ossessivo –
compulsivo, ma contrariamente a quanto si aspettava, l'uomo era
tutt'altro che sorpreso. Doveva sapere. Ma certo che sapeva. In fondo
lui era lì a causa sua. A causa dei parametri che lui aveva
inserito
nel computer. Deve averli studiati tutti al microscopio.
“Ti
senti meglio?”
...Sì.
Molto.
“DOC*?
Lieve o grave?” domandò Henrich, mentre mi
indicò con una mano
dove sarei dovuto andare.
“E' tutta una questione di punti
di vista.”
Henrich
annuì. Si fece bastare quella risposta. Tanto meglio,
perché Pierre
non avrebbe aggiunto altro sull'argomento, almeno per il momento.
Arrivarono nel salone principale della casa dove gli altri li
stavano aspettando. Tutti stavano guardando Pierre. Curiosi? Forse.
Forse si chiedevano perché si era messo a riordinare gli
alimenti in
cucina mentre loro lo stavano aspettando.
Pierre li
invidiava. Nel profondo. Si struggeva dentro di sé. Avrebbe
dato
qualsiasi cosa per essere come loro. Un arto. Un pezzo delle sue
memorie. Sarebbe stato disposto a vendere anche la sua stessa anima,
se solo ne avesse avuta una. Tutto per avere ciò che gli
mancava e
che mai avrebbe avuto nel corso della sua vita. Qualcosa che loro
avevano. Qualcosa che magari ritenevano scontato e banale, ma che per
lui era il mondo. L'obbiettivo di una vita. Un obbiettivo
irraggiungibile. Qualcosa che gli consentiva di avere una vita
normale e dignitosa. E lui quella, non l'aveva mai avuta. No, lui
aveva ricevuto delle brutte carte dal destino con cui avrebbe dovuto
convivere fino al giorno della sua morte.
Notò
il poliziotto che lo guardava in modo strano, diverso dagli altri. Lo
guardava con sospetto, e una piccola dose di rabbia, come se Pierre
fosse un sospettato da interrogare. Come se lo conoscesse nel
profondo.
Come se conoscesse
ogni
atto disumano che ho compiuto.
“Ok.
Vi ho convocati qui perché prima di iniziare
l'addestramento, devo
presentarvi una.. ehm.. persona. Il suo aspetto potrà
spaventarvi, e
magari a qualcuno di voi non sembrerà nemmeno umano, ma
dovete
ricordare e tenere a mente che è qui per aiutarci, e non
è sua
intenzione farvi del male..” borbottò Henrich,
anche se nella sua
voce si leggeva una sorta di ansia.
Il poliziotto continuava a
guardarlo. Ancora più sospettoso. Pierre ricambiò
lo sguardo con la
sua solita espressione spenta e disinteressata, cosa che fece
insospettire ancora di più il detective.
“Vieni pure.”
mormorò Henrich ad una porta aperta alla sua destra dalla
quale
uscì..
Pierre non riuscì a vederlo. Era il più lontano,
e i
cinque davanti a lui si alzarono di colpo, forse sorpresi,
bloccandogli la visuale.
Mise
le mani sul tavolo facendo forza sulle braccia per alzarsi, e si
avvicinò per vedere cosa potesse sconvolgerli tanto. Mentre
si
avvicinava, tutto quello che riusciva a sentire era il rumore delle
sue scarpe che facevano scricchiolare il pavimento legnoso. In tutta
la casa non volava una mosca.
Appena prima di raggiungere gli
altri, vide qualcuno di loro cadere all'indietro, svenuto. Lui era
appena dietro e dato che i suoi riflessi, contrariamente a quanto si
potesse pensare, erano ottimi, riuscì ad afferrarlo prima
che
cadesse a terra.
O meglio.. afferrarla. Era una donna. La
contadina. Pierre non fece in tempo a chiedersi cosa fare che subito
Henrich gli andò incontro, prendendo la donna con
delicatezza. Gli
altri quattro erano ancora pietrificati, immobili, come statue di
certa.
Deve esserci qualcosa di grosso là dietro se non si
sono nemmeno accorti dello svenimento di Giovanna. Oppure molto
più
semplicemente sono più stupidi di quanto pensassi.
“Penso
io a lei. Tu vai.”
Pierre
non se lo fece dire due volte. Si avvicinò, cercando di
passare tra
il cowboy e lo sbirro, e.. si trovò davanti...
.. la cosa
migliore che avesse visto in tutta la sua vita.
Sentì i suoi
occhi accendersi di interesse, una cosa che capitava alquanto
raramente a causa della grave forma di apatia che lo affliggeva dalla
nascita, perciò Pierre sapeva che doveva godersi quel
momento fino a
quando fosse durato, per tutto il tempo che gli era concesso, e
l'avrebbe fatto.
Era come se il resto del mondo fosse
scomparso. Nessun mobile, nessun'altra persona nella stanza. Solo
lui.. e la perfezione.
Un cadavere umano vivente in tutto e
per tutto, grazie agli elementi cibernetici che avvolgevano
metà del
suo corpo. Cavi elettrici, circuiti, tutti collegati e perfettamente
funzionanti per rendere possibile l'impossibile. Ridare la vita alla
morte. Neanche nei suoi sogni e desideri più profondi,
Pierre
avrebbe pensato ad una cosa del genere. Immaginato ad una cosa del
genere. Che fosse possibile. Che funzionasse.
Cosa è
esattamente quel mostro?!?
Che stia lontano da me!
Non
sono sopravvissuto tanto a lungo per assistere a questo!
Oltretutto
cos'è questo odore?
Orrore!
Tante voci, una dopo
l'altra, che nascondevano preoccupazione e paura, e che Pierre
sentiva come fossero dei sussurri in lontananza, come se lui fosse
lontano.
Il suo nome è Frank. E' qui per
aiutarci.
Henrich. La sua voce invece era calma e dolce,
come quella di un nonno che assiste dolcemente il nipote o almeno,
così sembrava. Non che a Pierre fosse mai capitato di
sentire
qualcuno parlargli così dolcemente. E poi..
Frank?
Frank
non era il nome di quell'uomo che gli era apparso in sogno? Quel
sogno surreale che faceva da ponte tra la sua vita passata e
ciò che
stava vivendo ora?
Pierre lo guardò con attenzione, e non
gli ci volle molto per rispondersi, anche se una parte di lui non ne
aveva bisogno.
Era
Frank. Era lo stesso Frank apparso in sogno. A lui e a tutti gli
altri. Certo, quello apparso in sogno aveva un aspetto diverso,
più
umano, più standard, più comune, una scelta fatta
per non
spaventarli, probabilmente, ma era lui. I tratti del visto, gli
occhi, persino l'altezza corrispondeva al Frank del sogno che Pierre
rammentava.
Straordinario. Assolutamente straordinario.
Henrich deve avere i dati dell'uomo che un tempo abitava questo corpo
nel computer, e con essi deve aver creato una proiezione olografica
da trasmettere nei nostri sogni. Come avrà fatto a
trasmetterla? Ci
ha collegati ad una macchina? Ha i nostri dati nel computer, che
avesse fatto tutto lì? Oppure delle onde sonore? O un altro
oggetto
usato per compiere l'opera? Ma soprattutto.. chi era quest'uomo? Come
ci è finito il suo cadavere in quel modo? Perché
era qui?
Ancora
quelle voci. Sentiva gli altri parlare. Sentì qualcuno
nominare
Frank. Evidentemente devono aver capito anche loro che era lo stesso
uomo del sogno. Oppure è stato Henrich a dirglielo. O Pierre
stesso
preso dall'euforia e l'interesse per la creatura che gli stava
davanti lo aveva detto ad alta voce senza accorgersene.
Una
volta sparita la paura, il gruppo si avvicinò con cautela, mentre
Giovanna era ancora svenuta, sdraiata sul divano lì vicino.
“Sembra
un Borg*!”
“Ma è pelle umana? Oppure è un altro materiale? Se è così, è incredibilmente realistico.”
Pierre
sospirò, appena prima di dire l'ovvio.
“E' pelle umana. E'
un cadavere che vive grazie ai circuiti cibernetici intorno al suo
corpo.” dichiarò, non riuscendo a reprimere del
tutto l'interesse
che stava provando in quel momento.
Interesse che qualcuno non
vide di buon occhio.
“.. e tu come fai a saperlo?”
borbottò Colton, a denti stretti.
Nella stanza si sentì come
un vento gelido. Il resto del gruppo si fece da parte, permettendo a
Pierre e Colton di stare uno davanti all'altro, a qualche metro di
distanza. Se fossero stati all'aperto, tutto avrebbe fatto pensare ad
un duello in pieno stile Far West.
“Non ho capito la
domanda.”
.. e invece l'avevo capita anche troppo bene, ma non volevo rispondere. Potevo immaginare cosa sarebbe successo se avessi risposto. Avrei potuto mentire, ma non ne ero capace. Non ero mai stato in grado di farlo. Sono un autentico genio, ho un quoziente intellettivo superiore alla media, ma mentire? No.
“Ma davvero? Allora proviamo con questa. Come mai tutto questo entusiasmo? E' un cadavere. E' disgustoso. E' la cosa più malata che abbia mai visto. E tu sembri qua..”
Più malata che tu abbia mai visto? Aspetta di conoscere me. I miei impulsi. Le mie azioni. Gli atti di cui mi sono macchiato. Il mio mondo. Non hai. Ancora. Visto. Niente.
A
quel punto intervenne Henrich.
“Forse dovremmo prenderci una
pausa, non credo che questo sia il mom..”
Pierre
lo bloccò con un gesto.
No. Non intervenire. Rimandare
questa conversazione? A quando? E perché? Attendere
peggiorerebbe
solo le cose. No. Ho una possibilità. La
possibilità di vedere come
reagiscono le persone normali a me. A noi. Pochissimi nel mio mondo
hanno avuto questa occasione. Io ce l'ho.
“So che è un
cadavere. Lo so perché.. perché mi è
già capitato di trovarmi
vicino ad uno di essi.”
Silenzio.
“Sei
un becchino?” chiese qualcuno del gruppo, ma Pierre non
riuscì a
capire chi fosse.
Sentiva il sangue al cervello
pulsare.
Henrich si decise ad intervenire di nuovo, e questa
volta non fu fermato.
“Colton,
la questione è molto più complicata di quanto
sembra. Pierre..
Pierre viene da un mondo molto diverso dal vostro. Tutti voi, anzi
noi, proveniamo da luoghi ed epoche diverse quindi può
sembrare che
tutti veniamo da mondi diversi, ma il suo, il suo è di
tutt'altro
tipo. Qualcosa che nessuno di voi non può neanche
lontanamente
immaginare. Lui viene.. dal 3207.”
Tutti iniziarono a farsi
più interessati, e Colton divenne più curioso che
arrabbiato. Anche
Giovanna, che si era appena risvegliata, sembrava molto attenta.
“Ma
è impossibile! Indossa degli abiti stile 1950! Come fa a
vivere in
un futuro tanto remoto, indossando degli abiti così
antichi?”
chiese Kira.
Pierre non rispose. Avrebbe voluto spiegare la
sua situazione, ma gli era difficile. Come faceva a spiegare una cosa
del genere? E anche se avesse tentato, non sarebbe stato abbastanza
soddisfacente, perché lui poteva raccontare solo una parte
della
storia. La parte che aveva vissuto. Il suo punto di vista. Non aveva
altro modo di esporla, e mai si era posto il problema su come fare in
una situazione del genere semplicemente perché non pensava
si
sarebbe mai trovato in una situazione del genere.
“Questo..
questo perché Pierre non vive nel mondo libero. Lui vive nel
reclusorio francese. Giusto?”
Pierre annuì.
“Reclusorio?
E' sinonimo di prigione. Sei in prigione?”
“Non la prigione che conoscete voi. Dal 2754 verrà abolita in tutto il mondo la pena di morte, e al suo posto, il governo di ogni paese ha creato e costruito i reclusori. In pratica, quando viene commesso un reato violento, come un'aggressione o un omicidio, oppure viene diagnosticato a qualcuno una malattia mentale potenzialmente pericolosa, questa persona viene trasportata, tramite dei tubi, in una grande zona all'interno del paese in cui si trova, in cui è condannato a stare per il resto della vita. Si tratta di zone molto grandi ed estese in cui un tempo sorgevano molte città libere, con alberi, animali, insomma, una parte del territorio normale, dal quale però, è impossibile uscire. I tubi con i quali il prigioniero ci arriva, quando non devono funzionare, si ritirano in un box fatto di un materiale impossibile da scalfire. In pratica, chi finisce lì può comprarsi una casa, sposarsi, avere figli, fare gran parte delle cose che poteva fare anche nel mondo libero, ma si corrono grandi rischi. Queste zone sono interamente abitate da malati mentali e assassini. Non c'è una sola persona sana di mente o non pericolosa che viva lì. Sono molto pochi quelli che ci arrivano dai tubi, la maggior parte nascono lì da genitori che ci vivevano già da tempo, e ci passano la vita senza avere idea di come sia il mondo esterno. Pierre è uno di questi. Lui ci è nato, senza aver mai visto il mondo esterno.”
Un
grande silenzio calò nella stanza. Pierre si guardava i
piedi.
Henrich continuò.
“Per questo indossano abiti stile 1950.
Sono molto indietro rispetto al loro tempo perché devono
costruirsi
tutto da soli, dall'inizio. Quando i reclusori sono nati, non c'era
nulla. Solo foresta, e vecchi materiali usati. Si sono costruiti
case, scuole, edifici. Sembra a tutti gli effetti una città
normale
un po' datata. Sono le persone che ci abitano il problema.”
“E
se.. se un bambino nato in questo posto poi non diventa
pericoloso?”
chiese ingenuamente Giovanna.
Questa volta fu Pierre a
rispondere.
“Non succede. Non è mai successo e non
succederà mai. Quasi tutti ereditano le malattie mentali dai
genitori alla nascita, altri le sviluppano con traumi nel corso
dell'infanzia, cosa che capita molto spesso considerando la
popolazione, ma la maggior parte dei bambini muoiono prima di
impazzire del tutto o capire cosa sta succedendo.”
Le
parole di Pierre erano fredde e distaccate, come se descrivesse
qualcosa che non lo riguardava, come se descrivesse qualcosa di cui
non gli importava nulla. Come uno scienziato parlerebbe del dolore
che i suoi esperimenti causano alle cavie.
“E tu che
problema hai?” chiese Kira.
“Disturbo ossessivo –
compulsivo in forma lieve, apatia in forma grave, necrofilia e
cannibalismo.” fece Pierre, con la sua solita voce
distaccata.
Vide il gelo e il terrore sugli occhi dei suoi
compagni. Ma come biasimarli?
La
maggior parte di loro erano combattuti, combattuti tra la tristezza e
la compassione che provavano per lui e per quello che aveva passato e
l'orrore che provavano nell'immaginare che lui avesse fatto delle
cose tanto orribili.
In verità il cannibalismo è stata
più una necessità che un problema vero e proprio.
Ci ricorro solo
se sono affamato e non ho altro cibo o se devo sbarazzarmi di un
cadavere per via della puzza. Sono le prime tre il problema. Tuttavia
ho commesso cannibalismo, quindi era meglio dirlo fin da subito
piuttosto che nasconderlo. La carne umana non è
così terribile,
somiglia al manzo e al pollo, ma c'è di meglio da mangiare.
Si
sentì un forte rumore.
Era Colton.
Fece qualche passo
verso Pierre pieno di rabbia, anche se quest'ultimo non sapeva se la
rabbia era dovuta al poliziotto o all'uomo.
Sembrava
volesse colpirlo, ma poi ci ripensò. Deve aver ricordato
ciò che
era successo quando Kira lo aveva ferito e quello che Henrich aveva detto,
quindi preferì uscire di scena. Ritornò in una
delle camere in cui
avevano dormito, e sbatté violentemente la porta dietro di
sé.
“Andrà meglio.” fece Henrich, mettendo
una mano
sulla spalla sinistra di Pierre, come un padre amorevole fa con il
figlio.
“Come facevi a conoscere così
dettagliatamente..”
cominciò Pierre.
Henrich deglutì, come se rispondere gli
costasse più fatica di quanto volesse ammettere.
“Uno dei
cinque del mio gruppo.. proveniva dal tuo stesso mondo. Reclusorio
polacco, anno 3012. Lui era.. il miglior amico che abbia mai
avuto.”
Note
(*):
1) DOC = diminutivo di Disturbo Ossessivo - Compulsivo
2) Borg = esseri cibernetici incapaci di pensare autonomamente e
singolarmente della saga Star Trek
Eccomi
tornata! Questo capitolo ha richiesto più del previsto,
anche perché mi sono documentata un minimo sul DOC prima di
iniziare a scriverlo. Anzi, se qualcuno di voi, che magari studia
psicologia e ne sa più di me, nota delle inesattezze in
questo ambito, che me lo dica pure.
Per quanto riguarda il Background di Pierre, l'idea proveniva da un
vecchio mio racconto ambientato proprio in queste prigioni del futuro
abitate da malati mentali e serial killer. Avevo scritto solo qualche
capitolo e poi ho lasciato perdere, pensando di usare l'idea per
un'altra storia. Una storia come questa.
Come al solito ringrazio ogni anima pia che leggerà il
capitolo fino alla fine e ancora di più che si
prenderà del tempo per lasciarmi una piccola recensione.
Vi è piaciuto? Non vi è piaciuto? Che ne pensate
di Pierre? Fatemi sapere, e noi ci vediamo con il prossimo capitolo! A
presto!