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Autore: FrancescaPotter    26/10/2017    2 recensioni
Long sugli ipotetici figli delle coppie principali di Shadowhunters (Clace, Jemma e Sizzy), ambientata circa vent'anni dopo gli avvenimenti di TDA e TWP. TWP non è ancora uscito al momento della pubblicazione, e nemmeno l'ultimo libro di TDA; questa storia contiene spoiler da tutti i libri della Clare fino a Lord of Shadows, Cronache dell'Accademia comprese.
Dal quarto capitolo:
"Will abbassò il braccio e distolse lo sguardo, ma lei gli prese delicatamente il polso. «Lo sai che puoi parlarmi di qualsiasi cosa, vero?» gli chiese, morsicandosi inconsapevolmente il labbro inferiore. Era una cosa che faceva spesso e che faceva uscire Will di testa. «So che è George il tuo parabatai» continuò abbassando la voce, nonostante non ce ne fosse bisogno perché George era concentrato sul suo cibo e Cath stava leggendo qualcosa sul cellulare. «Ma puoi sempre contare su di me. Mi puoi dire tutto. Lo sai, vero?»
Will sospirò. «Lo so, posso dirti tutto».
Tranne che sono innamorato di te."
Genere: Fantasy, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash | Personaggi: Clarissa, Emma Carstairs, Izzy Lightwood, Jace Lightwood, Julian Blackthorn
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Capitolo Dodici.
 
«Be’, eccoli qui» stava dicendo una voce, la voce di Jace. «Direi che sono sorpreso, ma sarebbe una bugia».
Rose sbatté le palpebre impastate di sonno un paio di volte e si mise a sedere. Si portò una mano alla tempia quando una fitta le attraversò il capo, come un fulmine che si abbatte sull’oceano. Stava da schifo. Non aveva più la nausea, ma era sicura che tra poco la sua testa sarebbe esplosa.
Will si era alzato e stava di fianco a suo padre con aria colpevole, il capo chino e le spalle incurvate come un bambino che l’ha combinata grossa, nonostante lui non avesse fatto niente di male. Jace e Will si somigliavano davvero tanto, notò Rose. I loro tratti erano chiaramente gli stessi: gli zigomi alti, la forma del viso, i capelli del colore del grano appena raccolto. L’unica differenza erano gli occhi, ma illuminati dalla luce della luna anche questi sembravano dello stesso colore.
«Sono un ragazzo dall’anima distrutta» disse George. «Ho il diritto di ubriacarmi».
«Non con metà Conclave due piani di sotto» commentò Jace. Poi spostò lo sguardo su Rose. «Anche tu, Rose?»
Rose borbottò qualcosa di sconnesso, incapace di formulare una frase di senso compiuto. Aveva la bocca secca e avrebbe pagato oro per un bicchiere d’acqua.
«Vi porto da basso, coraggio». Jace sospirò. «Non vorrei essere nei vostri panni quando Julian e Isabelle vi vedranno in questo stato».
«Sono messa così male?» chiese Rose, alzandosi da terra a fatica.
Jace la guardò e inclinò il capo di lato. «Se giro la testa, chiudo un occhio e poi chiudo anche l’altro, no, sei impeccabile. Ma qualsiasi persona con una vista e un olfatto medi può dedurre che cos’è successo qua. Si sente odore di alcol dal piano di sotto».
«Non c’è nessuna possibilità che, ipoteticamente parlando, tu decida di coprirci e non dire niente ai nostri genitori?» tentò George.
Jace ridacchiò. «Ormai si sono accorti tutti che mancate. E, davvero, io non devo dire proprio niente: il vostro aspetto parla da sé».
Rose si toccò i capelli e si rese conto che la sua acconciatura era ormai rovinata, e immaginava che non dovesse avere una bella cera. Anche George non era messo meglio di lei, con gli occhi arrossati e un colorito verdognolo che faceva quasi paura.
Seguirono Jace, consapevoli che i loro genitori sarebbero stati delusi dal loro comportamento. Rose iniziò a elaborare una strategia di difesa -suo padre non gliel’avrebbe fatta passare liscia- e per quando arrivarono davanti alla porta dell’ufficio di Julian aveva deciso che avrebbe dato tutta la colpa a sua madre e a Logan. Perché sì, era tutta colpa loro: di sua madre e della sua idea suicida di andare a uccidere i Riders di Mannan da sola, e di Logan e del suo essere uno stronzo.
Entrarono e a Rose sembrò che si stessero dirigendo verso il patibolo.
Tre sedie erano state disposte davanti alla scrivania, dietro la quale stava Julian con le braccia conserte; Emma era al suo fianco con l’espressione preoccupata e una mano sulla sua spalla, mentre Isabelle e Simon stavano parlando tra di loro a bassa voce.
«Sedetevi» disse Julian.
Obbedirono e nessuno di loro osò controbattere, neppure George. Jace si diresse vicino a Clary e le sussurrò qualcosa all’orecchio.
Quando Isabelle si accorse della loro presenza, si voltò di scatto e incenerì il figlio con lo sguardo.
«George Maxwell Lovelace» iniziò, e persino Rose rabbrividì. «Si può sapere a che cavolo stavi pensando? Non posso credere che tu abbia fatto una cosa del genere, soprattutto al compleanno di Rose!»
«In mia difesa» disse George. «È stata Rose a chiedermi di portare l’alcol».
Rose si mise una mano sul cuore. «Non mi sembra che ti sia dispiaciuto scolarti una bottiglia di tequila».
George le fece una smorfia e Rose incrociò le braccia al petto.
«Una bottiglia di tequila?» chiese Simon impressionato. «Roba leggera».
«In realtà erano tre» disse George. «Ma Will non ha voluto bere la sua. Uno spreco, davvero».
Isabelle gli puntò un dito contro. «Non un'altra parola, George. Non un’altra parola».
«Cath ha rotto con me!» esclamò lui, come se quello lo scagionasse da tutte le accuse.
«Oh, per l’amor dell’Angelo, George!» sbottò Will. «Cath non ha rotto con te!»
Simon e Isabelle si rivolsero uno sguardo preoccupato.
«Cosa vuol dire che Cath ha rotto con te?» chiese lei. «Stai scherzando, vero?»
«Io non mento» cantilenò George. «Ha rotto con me».
«Non è vero» disse Will.
«Oh, ma smettila!» George gli diede una spinta. «Tu non eri lì».
«D’accordo» li interruppe Julian. «George, mi dispiace tanto per Cath, ma non è questo il modo…»
«Aspetta» fece Rose. «Anche io avevo un buon motivo per ubriacarmi».
Julian alzò un sopracciglio e la guardò con sufficienza. «Che sarebbe?»
«Logan fa schifo» disse Rose, non riuscendo a dare la colpa anche a sua madre, che in quel momento la stava osservando in un modo che le fece contrarre il cuore. Era pallida e non sembrava neppure arrabbiata con lei, solo tanto dispiaciuta. Rose si sentì uno schifo. Avrebbe dovuto passare la serata insieme ai suoi genitori e a Holly, e invece era scappata sul tetto per ubriacarsi. Ma che cosa le era preso?
«Se mi fossi ubriacato ogni volta che tua madre usciva con Cameron Ashdown, ora non avrei più un fegato» rispose Julian.
«Io non sono ubriaco, comunque» disse Will, alzando una mano. «Per quel che vale».
Clary gli rivolse un’occhiata velenosa ma non disse niente, probabilmente rimandando una ramanzina a più tardi. Rose non poteva permettere che Jace e Clary se la prendessero con Will, che non aveva fatto niente.
«Will non ha colpa» disse. «Non arrabbiatevi con lui, non ha toccato la bottiglia».
Jace scosse il capo. «Sei proprio il disonore della famiglia, William. Almeno ti sei tenuto alla larga dalle caramelle?»
«Jace!» sibilò Clary, pestandogli di nascosto un piede.
«Volevo dire che sono fiero di te» si affrettò a correggersi lui. «L’ho sempre detto a Simon che sei il più responsabile».
Simon alzò gli occhi al cielo e lasciò perdere la provocazione.
Will si imbronciò e Rose si sentì male per lui. Non ricordava quanto successo sul tetto prima di perdere i sensi e addormentarsi: ricordava la bottiglia di tequila e George al suo fianco, le caramelle, l’odore e il rumore dell’oceano, ed era quasi sicura di aver vomitato a un certo punto; per il resto i suoi ricordi erano un caleidoscopio di colori e immagini sbiadite. Ma era sicura che Will avesse cercato in tutti i modi di convincerli a smettere di bere.
«Che ore sono?» chiese Rose, rendendosi conto che aveva perso la cognizione del tempo.
«È mezzanotte e sono tornati tutti a casa» spiegò Julian. «Avresti dovuto salutare, ma non ti si trovava da nessuna parte».
Rose abbassò il capo in imbarazzo, consapevole di non essersi comportata in modo educato. «Mi dispiace» disse, anche se in realtà non era per quello che era dispiaciuta: non le sarebbe potuto importare di meno di ciò che il Conclave pensava di lei.
«Sarà meglio andare» propose Clary, tirando fuori il suo stilo e iniziando a dare vita a un portale.
«Salutate da parte mia Magnus e Alec, e Max e Raphael» disse Rose. «E ringraziateli per essere venuti».
«Avresti dovuto farlo tu» continuò a infierire Julian.
Ho capito, basta! avrebbe voluto dirgli Rose, ma si morsicò il labbro e stette zitta.
«Certo, Rose». Simon le sorrise. Non sembrava arrabbiato con lei, forse la compativa.
«Muoviti, George. Non abbiamo finito io e te» disse Isabelle, prendendo George per il braccio e facendolo alzare. George era più alto di sua madre, anche se non di troppi centimetri, ma in quel momento sembrava ancora il bambino di sette anni che aveva combinato qualche guaio. «Buonanotte a tutti».
George fece un cenno di saluto a Rose e a Will, attraversando il portale assieme ai suoi genitori e scomparendo al di là di esso.
«Forza, Will» disse Jace. «Dopo di te».
Will sbiancò. «Non posso venire ora, vi raggiungo dopo».
«Non se ne parla» decise Clary. «Vieni via con noi adesso».
«Non posso!» continuò Will. «Devo parlare con Rose».
Un silenzio imbarazzante cadde nella stanza, e Rose intravide Will lanciare un’occhiata di sottecchi a suo padre.
Rose sapeva di essere arrossita, perciò cercò di non incrociare lo sguardo di nessuno.
«Will può restare per un po’» disse Emma. «Anche a dormire, se vuole».
Will guardò sua madre e Clary resse il suo sguardo decisa.
«Dobbiamo parlare ed è tardi» disse Clary. «Puoi venire qua quando ti pare e dire a Rose ciò che devi dire. Ora fila in camera tua» concluse, indicando il portale con la mano.
«Non sono un bambino, ho diciotto anni!» si arrabbiò lui. «Non potete continuare a…»
«Will» sussurrò Jace, scuotendo il capo. «Non ora, per favore. Rose deve passare del tempo con i suoi genitori».
Will ammutolì e si alzò impettito, rivolgendo un’occhiata di scuse a Rose.
Jace e Clary sapevano che cosa sarebbe successo l’indomani e volevano lasciarle quanto più tempo possibile con sua madre. Rose avrebbe voluto vomitare un’altra volta, ma si costrinse a sorridere. «Ci vediamo domani mattina, okay?»
Will si convinse e tutti e tre gli Herondale se ne andarono.
Rose rimase sola nella stanza con i suoi genitori e improvvisamente il peso di quanto accaduto quella sera si riversò su di lei, tutta la tristezza e la paura, la delusione e anche la rabbia vennero a galla, facendole salire un nodo alla gola.
«Mi dispiace tanto» riuscì a dire.
«Perché lo avete fatto?» chiese Emma, portandosi una mano al collo e stringendo l’anello dei Blackthorn. «Rose, era il tuo compleanno».
Rose distolse lo sguardo. «Non voglio che tu muoia».
Finalmente lo aveva ammesso, quello che la tormentava da più di due giorni, ciò che non la lasciava dormire la notte e che le impediva di pensare a qualsiasi cosa che non fosse l’immagine di sua madre morta il giorno del suo funerale.
«Rosie». Emma emise un verso strano che le fece venire da piangere. Poi le si inginocchiò di fronte e le prese le mani tra le sue. «Andrà tutto bene».
Rose scosse il capo e poggiò la testa sulla spalla di lei. Emma la avvolse in un abbraccio e la strinse a sé, dicendole che le voleva bene, che la amava più della sua stessa vita e che non si sarebbe dovuta preoccupare perché avrebbe pensato a tutto lei. Anche Rose avrebbe voluto dirle qualcosa, ma le parole rimasero impigliate tra i singhiozzi.
Prima di chiudere gli occhi e abbandonarsi alle carezze di sua madre, Rose intravide suo padre passarsi le mani sul viso e distogliere lo sguardo, come se la vista di Rose e Emma che piangevano abbracciate fosse troppo da sopportare.
 
Rose tornò nella sua camera con un peso sul cuore, consapevole che quella notte non avrebbe chiuso occhio, nonostante avesse bevuto una tisana contro il mal di testa e si sentisse un po’ meglio almeno sotto quel punto di vista.
Si tolse le scarpe e le gettò in un angolo, per poi iniziare a disfarsi le trecce. Solo quando i suoi capelli furono liberi dalle forcine e le caddero morbidi sulle spalle, si rese conto che c’era qualcuno che la stava osservando.
Si trattava di Cath, seduta ai piedi del letto che la guardava con i suoi grandi occhi chiari.
Rose sobbalzò e si portò una mano al petto. «Che cosa ci fai qui?»
«Sono passata per farti gli auguri» rispose Cath. «Buon compleanno, Rose. Avrei voluto farteli prima di mezzanotte, ma sei tornata solo ora».
«Grazie, ma… come hai fatto ad arrivare a Los Angeles?» chiese Rose, sapendo che l’unico modo per farlo in così poco tempo era passare attraverso un portale.
«Conosco uno stregone che mi deve un favore» tagliò corto lei, per poi indicare con il capo il muro di fronte a sé. «È bellissima. Scommetto che indovino al primo colpo chi l’ha fatta».
Rose seguì il suo sguardo e per poco non finì per terra. Sopra al suo computer, appesa al muro, c’era una grande tavola periodica disegnata e colorata a mano. A Rose bastò un istante per sapere che era opera di Will e non di suo padre. Li conosceva entrambi troppo bene ed era perfettamente in grado di distinguere il tratto dell’uno da quello dell’altro.
Si avvicinò e allungò una mano per toccarla, come per assicurarsi che fosse davvero lì, e notò che Will aveva disegnato in ogni riquadro qualcosa che contenesse una gran quantità dell’elemento. Doveva aver fatto molte ricerche, pensò Rose con una fitta al cuore.
Sulla scrivania invece era stato riposto un pacchetto –probabilmente il regalo degli Herondale a cui faceva riferimento Clary- e una lettera verde.
«Io…» Rose sbatté un paio di volte le palpebre. «Wow».
«C’è anche un biglietto» continuò Cath con malizia. «Non l’ho letto, tranquilla. Ma tu dovresti».
Rose prese la lettera tra le mani, e un sorriso spontaneo le spuntò sulle labbra quando riconobbe la calligrafia di Will: Per Rose, diceva. Rose fece per aprirla ma si fermò, rendendosi conto che Cath era ancora lì con lei. Alzò lo sguardo sulla ragazza e tornò improvvisamente seria quando notò il suo aspetto.
Cath indossava un paio di jeans e una felpa di qualche taglia più grande della sua, probabilmente appartenuta a George, e aveva il viso stanco e sbattuto, con occhiaie violacee che le cerchiavano gli occhi, le labbra screpolate e l’espressione triste di chi aveva appena perso tutto ciò che di bello possedeva.
«Non adesso, lo farò più tardi» disse Rose, raggiungendola sul letto. «Tu, piuttosto. Che è successo tra te e George?»
Cath trattenne il fiato e si morsicò il labbro inferiore. «Te l’ha detto, vero?» sospirò. «Ma certo che te l’ha detto».
«Sta da schifo» disse Rose. «E tu non sembri passartela molto meglio».
«Sono un’idiota» decise Cath, le unghie che premevano nel materasso. «Una grandissima idiota».
«Vero» concordò Rose. «Ma credo tu sia un’idiota con delle motivazioni».
Cath alzò gli occhi su di lei e annuì. «Penso sia giunto il momento che tu sappia».
«Che io sappia cosa?»
«La verità su mio padre» rispose Cath, iniziando a raccontarle tutto: di come suo padre soffrisse di depressione da quando la madre era morta, di come cercasse di alleviare il suo dolore con l’alcol, con il risultato che erano più i giorni in cui era ubriaco che quelli in cui era sobrio, e di come la accusasse della morte della moglie. Le raccontò anche di quelle volte che lui aveva alzato le mani su di lei, definendosi una stupida per non aver reagito.
Rose sentì di aver mancato incredibilmente di rispetto a Cath per essersi ubriacata quella sera e le chiese scusa mentalmente.
George era a conoscenza di tutto e avrebbe voluto che lei lo dicesse ai suoi genitori, ma Cath non se la sentiva di denunciare suo padre al Conclave, nonostante tutto.
Rose si era aspettata qualcosa di simile dai vaghi racconti di George e dai comportamenti evasivi di Cath, ma non si era aspettata che la situazione si fosse spinta fino a quel punto.
«È solo che gli credo, quando dice che è colpa mia se mia madre è morta» concluse Cath con la voce spezzata. «Se una persona passa la sua vita ad accusarti di qualcosa alla fine inizi a credere che abbia ragione».
Rose sentì la rabbia montarle nelle vene, e immaginava che George dovesse sentirsi allo stesso modo, se non peggio. «Eri una bambina senza addestramento e rune. Non avresti potuto fare niente per aiutarla».
Cath annuì distrattamente e poi continuò. «La situazione sta uscendo fuori dal mio controllo. Credo che sia arrivato il momento di dirlo a qualcuno. Di più adulto di te e George, intendo».
Rose non sarebbe potuta essere più d’accordo. «Certo. I genitori di George possono aiutarti e, se chiederai loro di non denunciare apertamente tuo padre, sono sicura che riusciranno a trovare un compromesso diverso in modo che tu sia felice e al sicuro». Le scostò una ciocca di capelli biondi che le era ricaduta sul viso e gliela sistemò dietro all’orecchio con fare quasi materno. «C’è però ancora una cosa che non mi è chiara: come mai hai rotto con George?»
Gli occhi di Cath si riempirono di lacrime. Fece per dire qualcosa ma non ci riuscì e scoppiò a piangere, coprendosi il viso con le mani.
Rose la abbracciò e la strinse a sé, accarezzandole piano prima la schiena e poi i capelli, cercando di farla calmare, ma Cath continuava a singhiozzare e sembrava inconsolabile.
«Non vorrà vedermi mai più adesso» riuscì a borbottare tirando su con il naso. «Dev’essere così arrabbiato con me. Sai com’è lui».
«Lo so» disse Rose, allontanandosi un po’ da lei per prenderle un fazzoletto. «E ti ama più di qualsiasi altra cosa, Cath. Te lo giuro».
Cath si soffiò il naso e si asciugò le lacrime, ma continuò a piangere, incapace di fermarsi. «Stavo litigando con mio padre e mi ha detto una cosa… mi ha fatta pensare. George si merita molto meglio di tutto questo. Si merita una ragazza che lo inviti a cena tutti i fine settimana, con una famiglia normale. Prima o poi George si stancherà di me, di mio padre, e mi lascerà, è inevitabile. Non voglio che sprechi altro tempo prima di realizzare che gli causo solo dolore e che rovino ogni cosa che tocco».
«Per l’Angelo» sussurrò Rose, scuotendo il capo. «Hai proprio ragione: sei davvero un’idiota».
Cath emise un verso strozzato a metà tra una risata e un singhiozzo. «Non amerò mai più nessun altro in questo modo, lo so e basta. È così. Ma ho pensato che lui può innamorarsi di nuovo, magari tra un po’, e se io sarò distrutta per sempre non avrà importanza fintanto che lui sarà felice».
«E pensi che potrà esserlo senza di te?» chiese piano Rose.
Cath annuì e si soffiò di nuovo il naso. «Penso di sì. Credo sul serio che meriti di meglio, ma allo stesso tempo mi sento morire. George è tutto ciò che mi ha permesso di andare avanti in questi anni e io sto per chiudere ufficialmente le cose con lui... Sono passate solo un paio d’ore da quando ho deciso e guarda come sto. Non voglio essere egoista, voglio lasciarlo andare, ma… cosa devo fare, Rose? Non riesco a respirare».
«Te lo dico io che cosa devi fare» disse Rose con calma. «Domani lo chiami e gli dici tutto quello che mi hai appena detto; secondo me si mette a piangere perché hai pensato che ti ami meno di quanto tu ami lui».
Cath arricciò il naso e ridacchiò. «George non piange».
«Per te, Cath, lo farebbe. Ma credi davvero che ti lascerebbe andare così? Non vedi quanto ti ama?» La sua era una domanda sincera. Era così evidente, come poteva Cath non rendersene conto?
«Lo so che mi ama». Cath poggiò il capo sulla sua spalla. «Mi sento una stupida per aver pensato anche solo per un’istante che questa fosse una buona idea. Ora ho rovinato tutto, sono sicura che è furioso con me».
«No, è solo confuso» la rassicurò Rose.
«Vorrei chiamarlo adesso».
«Chiamalo».
«No, non posso. Starà dormendo». Cath si lasciò cadere con la schiena sul letto. «Deve dormire un po’».
Rose si sdraiò al suo fianco e si mise su un lato, così da poterla guardare in faccia.
«Puoi stare qui stanotte» le disse.
Cath voltò il capo verso di lei e incrociò il suo sguardo. «Davvero?»
«Certo. Will domani deve venire qui, puoi farti aprire un portale per andare da George».
Cath annuì e sorrise. «Grazie, Rose».
Rimasero in silenzio per un po’; Rose era ancora vestita e truccata di tutto punto, ma non aveva la forza per andare a cambiarsi, non dopo quello che le aveva raccontato Cath.
«E tu come ti senti?» le chiese ad un tratto lei. «Ho parlato tutto il tempo dei miei problemi, ma i tuoi sono certamente più grandi. Sei riuscita a convincere tua madre a non partire?»
«No, niente da fare» disse Rose. «E non scusarti. Anzi, ti ringrazio perché mi hai distratta».
Era la verità, pensare per un po’ alle preoccupazioni di Cath le aveva fatto dimenticare temporaneamente le proprie.
«Come mai Will viene qui domani?»
«Non lo so» sussurrò Rose. «Ha detto che mi deve parlare».
Rose non sapeva bene che cosa aspettarsi. In quell’ultimo periodo non lo capiva: prima si comportava in modo strano, come se la stesse tenendo a distanza di sicurezza, poi passava la notte con lei e la stringeva come se da quello ne dipendesse la propria vita, dicendole cose che nessuno le aveva mai detto prima, e infine le confessava di essere innamorato, ma senza dirle di chi. Probabilmente lo era di sua cugina Olivia e la cosa mandava Rose su tutte le furie. Ne aveva il diritto, certo, Olivia era bellissima e tutto ciò che un ragazzo potesse desiderare, ma non capiva perché allora Will si fosse comportato in modo così ambiguo con lei.
«Sei innamorata di lui, vero?» chiese piano Cath.
Rose si immobilizzò, lo sguardo fisso in quello di lei.
Non batté ciglio. Non lo aveva mai detto ad alta voce, a mala pena lo aveva pensato, e da quando lo aveva visto baciare quella fata due anni fa si era ripromessa che si sarebbe impegnata per vederlo solo come un amico. Ci aveva provato e aveva fallito miseramente.
«Ma certo che lo sei» sospirò Cath.
«Non l’ho detto» disse Rose.
«Non ne hai avuto bisogno». Cath le prese la mano e la scosse. «Sono convinta che anche lui sia innamorato di te».
«Lo dubito fortemente» grugnì Rose depressa.
«E invece sono convinta».
«Come fai a esserne certa?»
«È ciò che faccio, ciò in cui sono brava» disse lei. «So leggere le persone».
Rose era troppo stanca per ribattere o chiedere altre spiegazioni, perciò chiuse gli occhi e decise che, solo per quella notte, le avrebbe creduto. 
 
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Devi venire qui. Subito.
George lesse il messaggio e lanciò il telefono sul comodino, per poi voltarsi dall’altro lato. Chiuse gli occhi e pregò di riuscire a riaddormentarsi, decidendo per una volta di ignorare il suo parabatai.
Will avrebbe capito.
Gli faceva male la testa –sua madre per punizione non gli aveva permesso di prendere nulla per alleviare il dolore- e non era pronto ad affrontare un mondo in cui Cath non voleva più stare con lui.
Cath.
Una fitta di dolore gli attraversò il petto, come se fosse appena stato pugnalato: ora capiva cosa intendesse la gente con l’espressione avere il cuore spezzato. Non era una metafora, George sentiva un vero e proprio dolore fisico.
Non aveva ancora realizzato, perché non poteva finire in quel modo, la amava troppo e sapeva che anche lei amava lui, e se i suoi sentimenti non fossero cambiati, George era sicuro che avrebbero superato ogni cosa. Non è ciò che ti dicono sempre? Che l’amore vince contro tutto e tutti e che è la forza più grande che esista? Prima di incontrare Cath George non ci credeva, ma ora come poteva non farlo?
George non poteva sopportare l’idea che lei non lo amasse più, gli faceva troppo male perché, se così fosse stato, si sarebbe dovuto fare da parte: voleva che lei stesse con lui per sua volontà e non perché si sentisse in qualche modo costretta.
Il suo telefono vibrò di nuovo.
Lo so che sei sveglio e che mi stai ignorando di proposito. Muoviti!
George si alzò dal letto con un grugnito e si diresse in bagno. Si buttò subito sotto il getto dell’acqua fredda nonostante fosse autunno inoltrato e la casa fosse tutt’altro che calda. Era una cosa che faceva spesso, la doccia gelata, per svegliarsi bene e schiarirsi le idee.
Se Will non avesse avuto bisogno di qualcosa di importante, si disse, non gliel’avrebbe fatta passare liscia, non quel giorno che il suo umore era così a terra. Non si era mai sentito così a pezzi, sia fisicamente che mentalmente.
Dopo una decina di minuti uscì dalla doccia e si infilò un paio di jeans e una maglietta, per poi tornare nella sua camera a prendere il cellulare e la giacca.
«Che cavolo, Will!» esclamò. Poi scosse il capo. «In realtà è colpa mia. Me lo sarei dovuto aspettare».
Will stava infatti seduto suo letto in tenuta da combattimento e con una spada angelica stretta tra le mani. Non aveva toccato alcol la sera precedente, eppure George credeva che avesse un aspetto peggiore del suo, con i capelli scompigliati –cosa strana per Will, che prestava loro un’attenzione quasi maniacale- e gli occhi arrossati. Sembrava che non avesse dormito, e forse era così.
«Ti ho detto di venire subito da me» fece lui, guardandolo dal basso verso l’alto con fare accusatorio. «E tu sei andato a… farti una doccia? E se fossi stato in pericolo di vita?»
«Lo avrei saputo. Siamo parabatai, genio. Tengo alla mia igiene». George alzò le spalle. «E poi ricordi cos’avevamo stabilito? Niente portali nella mia camera. Se fossi stato nudo?»
Will aggrottò la fronte, poi ghignò. «Ti ho già visto nudo».
«Vero» disse George con un brivido, ricordando uno degli episodi più imbarazzanti della sua vita. «Non il mio momento migliore».
Will scrollò le spalle e si alzò in piedi. «Guarda qui» disse, porgendogli la spada. Questa non era stata ancora nominata e quando George la prese giacque fredda tra le sue mani.
«Una spada angelica» disse. «Tutta questa confusione per una spada angelica?»
«Non per la spada!» esclamò Will con gli occhi che brillavano. «Per la runa che ho disegnato sulla spada».
George osservò la lama con più attenzione e notò che, oltre alle solite rune che conosceva a memoria, ce n’era anche una che non aveva mai visto.
«Non la riconosco» sussurrò, tracciandone il contorno con il dito. «È nel Libro Grigio?»
«No!» Will sembrava sul punto di esplodere per l’esaltazione. «Ho controllato e non esiste. Be’, non esisteva: l’ho appena creata io».
«Ma tu non sai creare nuove rune» disse George, ridandogli la spada. «Giusto?»
«Era ciò che pensavo anche io, ma mia madre e le mie sorelle dicono che le rune ti appaiono indipendentemente dalla tua volontà, succede e basta. E se semplicemente non mi fosse mai successo prima d’ora?»
George si prese qualche istante per metabolizzare la notizia. Era fantastico, perché significava che Will avrebbe potuto dare origine a nuove rune che avrebbero aiutato incredibilmente i Nephilim, ma non capiva che bisogno ci fosse di presentarsi nella sua camera di prima mattina come se avesse appena trovato una cura per la sifilide demoniaca.
«È molto interessante, William. Scusami se non sono dell’umore migliore per festeggiare» disse George. «Che cosa fa questa nuova runa, comunque?»
Will sbatté le palpebre un paio di volte, come se si fosse dimenticato della sua presenza. «Non ho avuto modo di provarla, ma ho questa sensazione…» Alzò lo sguardo su di lui. «Permette alle armi di trapassare i Riders di Mannan».
George lo fissò. «Porca miseria. E tu ne sei sicuro?»
«Lo so e basta» disse Will. «Mi è venuta in mente appena sono andato a dormire e ho passato la notte a cercare di darle un significato. Verso le sei mi sono addormentato e quando mi sono svegliato era tutto chiaro, come se l’Angelo mi avesse parlato nel sonno».
George non si lasciò sfuggire neppure un secondo; afferrò arco e faretra e provò a copiare la runa su una freccia.
«Come ti sembra?» chiese una volta terminata.
«Mmm» fece Will. «Dovrebbe andare. Forse dovresti provare a disegnare meglio…» George lo fulminò con lo sguardo. «Voglio dire, va benissimo».
«Dobbiamo dirlo a Rose. E a Emma». George afferrò la giacca e se la infilò. «Posso mettere la tenuta a Los Angeles, ora diamoci una mossa».
Will sfoderò lo stilo e nel giro di un paio di minuti si ritrovarono in California, nel corridoio dell’Istituto di Los Angeles davanti alla stanza di Rose.
«Però quando si tratta di Rose non crei un portale direttamente nella sua camera». George si guardò attorno indispettito. «A dir poco ingiusto».
Will lo ignorò e iniziò a bussare, ma non ricevette alcuna risposta. George lo spintonò di lato e prese in mano la situazione, iniziando a battere forte con il palmo contro la porta.
«Blackthorn» sibilò a voce abbastanza alta affinché lei sentisse, ma non da svegliare mezzo Istituto. «Alza il tuo fondoschiena dal letto, abbiamo…»
Quando la porta si spalancò, George si bloccò con la mano ancora a mezz’aria. Si era aspettato di trovarsi davanti il viso assonnato di Rose, con i suoi capelli scuri e gli occhi di quel colore così brillante da sembrare innaturale. Ma non era Rose che stava in piedi davanti a lui in quel momento, era Cath.
Catherine, fece per dire, ma le parole gli si bloccarono in gola.
Non riusciva a muoversi, a malapena riusciva a respirare, poteva solo osservarla come se quella fosse l’ultima volta che la vedeva. Che cosa mi hai fatto? si chiese con l’anima a pezzi.
Non si era aspettato di trovarla lì e la sua vista lo aveva colto totalmente impreparato, togliendogli la terra da sotto i piedi. Poggiò una mano contro allo stipite della porta, bisognoso di qualcosa che lo sostenesse; sentiva Will al suo fianco, teso e sorpreso quanto lui.
Anche Cath lo stava osservando, i capelli lunghi che le ricadevano sulle spalle come due tende chiare.
«Rose dorme» disse rivolta a George. «Ho sentito la tua voce e…». Ammutolì, come se si fosse resa conto di aver detto qualcosa di sbagliato.
George fu salvato dal dover rispondere proprio da Rose, che si era precipitata giù dal letto e li aveva raggiunti, il mascara sbavato e il vestito della sera precedente ancora addosso.
«Voi due dovete parlare» decretò, prendendo George per il polso e spingendolo nella sua camera, per poi chiudersi la porta alle spalle e lasciarlo solo con Cath.
George si sentiva come se fosse sott’acqua e tutti gli stimoli esterni gli arrivassero ovattati. Sentì le voci di Will e Rose sfumare lontano, segno che si stavano allontanando per lasciar loro un po’ di privacy.
Cath lo stava guardando in attesa, stropicciandosi le maniche della felpa che erano troppo lunghe per le sue braccia. Quella era la sua felpa, realizzò George con una stretta al cuore. Perché stava indossando proprio la sua felpa in quel momento?
«Hai deciso di uscire con Rose adesso?» chiese piatto, cercando di spezzare la tensione. «Un po’ crudele da parte tua».
Cath si morse il labbro e George fece per allungare un braccio nella sua direzione, ma si trattenne. Notò che gli occhi di Cath erano arrossati e brillavano, come se avesse appena smesso di piangere.
«Hai un aspetto orribile» le disse con un piccolo sorriso. In teoria stava dicendo la verità, Cath aveva davvero un aspetto orribile, occhiaie, capelli sfatti e unghie mangiate fino alla carne, ma per George era bellissima lo stesso. «Perché hai un aspetto orribile? Sei stata tu ha rompere con me».
«Non ho rotto con te» disse. «Ma stavo per farlo oggi».
«Allora fallo». George si schiarì la voce. «Dillo e basta, così possiamo farla finita. Non mi ami più?»
Cath si coprì il viso con le mani. «Ma certo che ti amo ancora, George. Ti amo così tanto che quasi mi spaventa. Non saprei come fare senza di te».
George non capiva. Provava così tanti sentimenti tutti insieme che temette di esplodere.
«È solo che penso che meriti molto meglio di me e di mio padre» disse Cath. «Meriti una ragazza con una famiglia normale, con un padre normale che ti minaccia di spezzarti le gambe se la fai soffrire ma che in realtà ti vuole bene come se fossi figlio suo. Mi sono resa conto che quello che ti ho fatto è imperdonabile: ti ho chiesto di mentire alla tua famiglia per me, e tu lo hai fatto e non hai idea di quanto io te ne sia grata, ma non avrei mai dovuto chiederti una cosa del genere. Per questo volevo rompere con te, perché speravo ti innamorassi di nuovo e potessi essere felice, ma… guardami, lo hai detto anche tu, ho un aspetto orribile ed è passata solo una notte da quando ho deciso. Mi ero ripromessa di non essere egoista e di essere forte, ma non ci riesco, non riesco a guardarti in faccia e mentirti dicendoti che non ti amo più, che non ti voglio più, perché la mia anima e il mio cuore vorranno sempre e solo te. E mi dispiace così tanto. Vorrei che le cose fossero diverse, vorrei poterti lasciare andare, ma come faccio? Sei tutto ciò che mi impedisce di impazzire».
George deglutì, incapace di parlare. Sentiva gli occhi bruciare e lo stomaco in subbuglio. Il solo pensiero che Cath credesse quelle cose lo distruggeva dall’interno.
Cath gli si avvicinò titubante, come se avesse paura che lui la respingesse.
«Ho deciso che è arrivato il momento di dire tutto ai tuoi genitori» continuò. «Avevi ragione tu, hai sempre avuto ragione tu: ho bisogno di aiuto».
George annuì, felice che finalmente lo avesse capito.
«Ho litigato con mio padre ieri sera» andò avanti Cath quando si rese conto che George non avrebbe aggiunto alcunché. «E mi ha detto che ti stavo rovinando la vita. È stato quello a convincermi a chiudere le cose. Ma ho sbagliato, mi sono lasciata condizionare da lui e mi dispiace. Mi dispiace tanto, se mi vuoi ancora…»
«Rovinarmi la vita?» George spalancò gli occhi. Gli tremava la voce ma non gli importava. «Catherine, io avrei voluto chiederti di sposarmi, come puoi pensare che tu non mi renda felice e che mi stia rovinando la vita?»
«Tu… cosa?» Cath trattenne il fiato e si portò una mano alla bocca, troppo sconvolta per parlare. George si maledisse perché aveva passato mesi a pensare a come chiederglielo, a fare in modo che fosse un momento intimo e romantico, e si era bruciato tutto in quel modo.
«Hai capito. Stavo aspettando il tuo diciottesimo compleanno per chiedertelo. Se ti voglio ancora?» George le si avvicinò e finalmente, finalmente, si concesse di toccarla. Le prese il viso tra le mani e piantò i suoi occhi scuri in quelli chiari di lei. «Adesso ascoltami molto attentamente. Sapevo a che cosa sarei andato incontro due anni fa quando ti ho baciato per la prima volta, perché ti sei fidata così tanto di me da dirmi subito di tuo padre. Il minimo che potessi fare era custodire il tuo segreto, perché è tuo e io non ho alcun diritto di confessarlo a nessuno. Non rimpiango niente, non un solo istante, rifarei tutto da capo. Ho sempre avuto la sensazione che mi mancasse qualcosa per essere davvero felice, provavo una costante sensazione di malessere che cercavo di colmare abbordando una ragazza diversa ogni sera. Ma non cambiava niente, la sensazione rimaneva. E poi ho incontrato te e tutti i pezzi sono andati al loro posto. Tra tutte, ho scelto te, e tu, per qualche combinazione cosmica fortunata, hai scelto me. E ti sceglierei di nuovo, per sempre». George le carezzò piano lo zigomo con il pollice. «Se ho mai fatto qualcosa per farti dubitare dell’amore che provo per te, mi dispiace».
Cath stava scuotendo il capo. «No, no, no. Era tutto nella mia testa».
«Ti amo, Catherine» le disse allora. «Ti amo nonostante tuo padre».
Cath si alzò sulla punta dei piedi e lo baciò, e George si sentì morire e poi rinascere di nuovo. Le allacciò le braccia attorno alla vita e la sollevò da terra, così che i loro corpi si incastrassero alla perfezione.
«Ho mentito prima» le sussurrò sulle labbra, per poi baciarla ancora, il cuore che minacciava di uscirgli dal petto. «Ho detto che hai un aspetto orribile, ma era una bugia. Sei bellissima».
Cath rise e George pensò che non esistesse suono più bello della sua risata. Si era allontanata quando bastava per poterlo guardare in faccia. «Stai piangendo, George» gli disse, accarezzandogli piano la guancia.
«Io non piango» rispose lui in automatico, per poi rendersi conto che Cath aveva ragione e che c’erano delle lacrime sul suo viso.
«No». Cath gli sorrise. «Solo un pochino, non volontariamente».
George portò di nuovo le labbra sulle sue e la baciò con più trasporto. Cath gli morse delicatamente il labbro inferiore e anche l’ultima stilla di autocontrollo che pensava di avere lo abbandonò, partendo per la tangente. Voleva quello ogni mattina di ogni giorno, voleva potersi svegliare con Cath al suo fianco e stringerla a sé come se fosse un continuo del suo stesso corpo.
George rafforzò la presa sui fianchi di Cath e la fece sdraiare sul letto, reggendosi con i gomiti sul materasso per non gravarle con il suo peso.
Le tracciò una scia di baci dal collo alla clavicola, mentre raggiungeva con le mani l’orlo della felpa per sfilargliela.
«Aspetta» sussurrò Cath. «È il letto di Rose».
George alzò il capo e la guardò negli occhi. Avevano entrambi il fiatone, come se avessero corso per chilometri senza fermarsi. «Non me ne frega niente» disse. Poi fece per alzarle la felpa, ma si bloccò. «Pensi che a Rose importi?»
Cath si mise a ridere nervosamente. «Penso di sì, George».
George sbuffò e si allontanò, sdraiandosi a pancia in su di fianco a lei. Osservò il soffitto sopra di sé e prese un respiro profondo per calmarsi, ancora scosso da quanto era successo in quelle ultime dodici ore.
Cath gli prese la mano e gliela strinse. «Stai bene?» gli chiese.
George si girò di lato e le diede un bacio sulla guancia. «Adesso sì».
 
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Rose lo prese per il braccio e iniziò a trascinarlo lungo il corridoio. Quando furono abbastanza lontani dalla sua camera si fermò di botto e Will per poco non le finì addosso.
«Rose, non hai idea di quello che…» iniziò Will, ma Rose si era voltata verso di lui e aveva alzato il capo per guardarlo negli occhi. Si era sciolta i capelli, che ora le incorniciavano il viso e le ricadevano morbidi sulle spalle, e non si era cambiata: indossava ancora il vestito rosso scuro della notte precedente. Will fece appello a tutta la sua forza di volontà per non alzare la mano e toglierle con il dito il mascara sbavato attorno agli occhi.
«Cosa?» Rose lo stava fissando in attesa. «Cosa c’è?»
Will ripensò a quanto accaduto solamente poche ora prima, a come Rose gli fosse caduta addosso e a come il suo respiro gli avesse sfiorato la guancia facendolo rabbrividire. A come lei gli avesse chiesto con voce tremante perché non fosse innamorato di lei. Rivisse nella sua mente il momento esatto in cui le aveva detto che invece la amava e in cui l’aveva implorata di ricordarlo la mattina seguente. E invece Rose quella mattina pareva non ricordare nulla. Will si trovava ancora al punto di partenza, nonostante una nuova speranza si fosse impossessata di lui: anche Rose ricambiava per davvero i suoi sentimenti? O era solo ubriaca e le sue parole non significavano niente?
Will deglutì, odiandosi per dover rimandare ancora. «Penso di aver trovato un modo per ferire e uccidere i Riders di Mannan».
Rose spalancò gli occhi e Will la vide tendersi come una corda di violino. «Ma non…» Si schiarì la voce. «Non è possibile».
Will le raccontò della runa e di come avesse capito la sua funzione; Rose lo lasciò parlare senza interromperlo, coprendosi la bocca con le mani come per impedirsi di urlare.
«Capisci? Significa che possiamo trapassare la loro armatura!» esclamò Will, riuscendo a stento a contenere l’entusiasmo. «La runa ha effetto per un paio d’ore e poi scompare, quindi va riapplicata, ma penso sia sufficiente…».
«O mio Dio» sussurrò Rose, come se stesse realizzando solo in quel momento quanto appena scoperto. «O mio Dio! Ma tu non sai creare nuove rune».
Will alzò le spalle. «A quanto pare sì, invece. Probabilmente non me ne era mai venuta in mente nessuna, questa è la prima».
Rose scosse il capo e gli gettò le braccia al collo, stringendolo così forte a sé che Will si sentì mancare l’aria dai polmoni. Poi gli diede un bacio sulla guancia e gli prese il viso tra le mani. «Ti adoro, William Herondale. Ti adoro immensamente. Grazie».
Will rimase immobile sentendo un nodo all’altezza della gola. Rose era così vicina che l’avrebbe baciata, se solo la situazione fosse stata diversa. Commise l’errore di abbassare gli occhi sulle sue labbra, perché Rose lo notò e trattenne il respiro.
«Non mi devi ringraziare» riuscì a dire. «Abbiamo avuto fortuna, usiamola».
Rose si riprese, tolse le mani dal suo viso e si allontanò da lui. «Hai ragione. Sarà meglio andare a chiamare George e Cath. Spero abbiano risolto ogni cosa».
«Cath ti ha detto perché ha chiesto a George una pausa?»
Rose annuì. «Crede che George meriti meglio e che lei gli causi solo dolore».
«Ma è ridicolo» disse Will. «George la ama come non ha mai amato nessun’altra».
«Lo so» concordò Rose. «Ma se nella vita hai conosciuto solo dolore e sofferenza, arrivi a un punto in cui pensi di non meritare qualcosa di così bello».
Will le sorrise dolcemente. «Hai appena fatto un’analisi psicologica di Cath?»
«Analisi psicologica non è assolutamente il termine che userei» disse lei. «Però se intendi dire che ho capito ciò che prova, sì. Ho capito».
«Te lo ha detto, vero?» chiese allora Will, riferendosi alle condizioni del padre di Cath.
«Sì, mi ha spiegato tutto». Rose sospirò. «Non pensavo che la situazione fosse così grave. Vorrei poter fare qualcosa per aiutarla, ma non so che cosa. Mi sento così…»
«Impotente» concluse per lei la frase Will. «Inutile».
«Esatto». Rose lo guardò negli occhi. «Chissà come si sente George».
«Come se avesse una ferita che quando è sul punto di rimarginarsi riprende a sanguinare» sussurrò Will.
Rose fece per aggiungere qualcosa, però poi ci ripensò e sospirò. «Dobbiamo darci una mossa». Il suo viso ora era serio e la sua espressione determinata. «Andiamo a far vedere ai Riders di Mannan cosa succede quando ci fai arrabbiare». 
 

NOTE DELL'AUTRICE
Buon compleanno, Rose! 
Questo capitolo è un po' strano, nel senso che avrei dovuto pubblicare la prima parte con lo scorso, ma non potevo perché altrimenti sarebbe stato troppo lungo. Quindi questo capitolo mi sa un po' di minestrone, ma vabbe! 
Non ho molto da dire, vi ringrazio se continuate a leggere e vi abbraccio. <3

A presto,
Francesca 
  
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