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Autore: Lupe M Reyes    26/10/2017    3 recensioni
A Blair piace fare i turni di notte alla biblioteca dell'Arca. Fino alla sera in cui il Cancelliere Jaha non si presenta alla sua porta... Per impedirgli di inviare sulla Terra John Murphy, Blair cede al ricatto e contribuisce al progetto sui Cento. Ma l'incontro con Bellamy Blake cambierà ogni equilibrio. Fino al giorno in cui non diventerà lei stessa la persona numero 101 a raggiungere la Terra.
[Arco temporale: prima stagione]
Personaggi principali: Blair (personaggio nuovo), Murphy, Bellamy, Raven, Clarke, Jaha
Personaggi secondari: Finn, Octavia, Kane, Abby, Sinclair, Jasper, Monty
Genere: Drammatico, Romantico, Science-fiction | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Bellamy Blake, Clarke Griffin, John Murphy, Raven Reyes
Note: Missing Moments, Movieverse, What if? | Avvertimenti: Contenuti forti
Capitoli:
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LA BELLA E LA BESTIA



“Quindi hai comprato la nostra assoluzione con una password?”
La domanda di Jasper riassume perfettamente il mio piano B.
“Sì, esatto. Ho detto a Jaha che gli avrei dato la password che voleva a patto di ottenere l’amnistia per tutti i crimini dei Cento. Più me, Bellamy e Raven, ovviamente.”
Octavia allarga le braccia.
“Semplice ma geniale.”,
commenta, rivolgendomi un’occhiata per nulla sorpresa.
Io ringrazio il cielo che sia qui nella tenda con noi, che l’abbiano trovata prima che il fratello si accorgesse della sua scomparsa. Perciò le sorrido più di quanto vorrei.
Monty, alla mia sinistra, sta ancora riepilogando quel che ho spiegato:
“Avevi chiuso il sistema della biblioteca?”
“Il giorno della festa, sì. Bloccato.”
Jasper mi fissa, agitato come solo lui sa agitarsi:
“Ma che gli importava dei romanzi? Senza offesa.”
Clarke gli risponde per me:
“Il sistema bibliotecario dell’Arca include anche l’archivio medico, legislativo, tecnico… L’anagrafe…”
“È complicato organizzare una migrazione senza poter fare l’appello. Tanto per dirne una.”,
fa notare Finn, dando credito alla parole di Clarke. Lei si affretta a distogliere lo sguardo.
Monty è interdetto; è dall’inizio della riunione che qualcosa non gli torna. E se qualcosa non torna ad un tecnico preciso come lui, ha bisogno di vederci chiaro:
“E tu avevi accesso ad una cosa del genere?”
“Io no, ma il mio referente sì. E Doug mi ha prestato il suo Pass senza battere ciglio. Quel giorno purtroppo il mio l’avevo lasciato a casa…”
Raven mi sorride e Bellamy apre bocca per la prima volta da quando sono entrata:
“Avevo io il tuo Pass.”
Annuisco. Non sopportiamo di restare a lungo occhi negli occhi, perciò lui volta il viso altrove e io abbasso la fronte, rivolgendo la mia spiegazione al pavimento, fingendo di ignorare la distorsione della mia voce e quanto le parole si spezzino l’una sull’altra a fatica:
“Essere una brava bambina remissiva per tutta la vita fa sì che si fidino di te ad occhi chiusi…”
Finn, al di là del tavolo che ci separa, conclude il ragionamento al posto mio:
“…e allora puoi fregarli.”
Ci scambiamo un cenno, e capisco che il mio piano B ha conquistato anche lui.
Ma Monty non è ancora convinto:
“E se tu fossi morta? Scusami. Se ti fosse successo qualcosa e non fossi riuscita a dargli la password? Avresti sacrificato tutto lo scibile umano per…?”
“Perciò per sicurezza ho nascosto la password anche sul frontespizio de Il giovane Holden.”
Lo sguardo di Finn mi raggiunge, ancora una volta.
“Perché Il giovane Holden?”
“Perché è il libro preferito di Doug. Che senza avere accesso all’apparato della biblioteca, sarebbe stato costretto a prendere in mano l’originale, dietro la teca. E avrebbe scelto quello, prima o poi. Probabilmente per primo.”
Monty scuote la testa con energia.
“Ma è comunque un rischio enorme, non puoi…”
“E ho anche scritto ai miei genitori chiedendogli, cito testualmente, di salutare il mio professore dicendogli che se mai avesse avuto bisogno di me, mi avrebbe sempre ritrovata là dove migrano le anatre di Central Park quando ghiaccia il lago. Capito?”
Osservo la reazione di Monty alla mia spiegazione, sperando che sia sufficiente a dimostrargli che non sono una pazza, ma che ho avuto una buona idea. Ma lo spaesamento che lo turba è dovuto non tanto al mio piano, quanto più alle mie ultime parole. Mi guardo intorno e lo ritrovo su tutte le facce dei presenti.
“Nessuno di voi ha letto Il giovane Holden?”
 
La macchia di sangue, sul pavimento della navicella, non si è ancora decolorata completamente. È una pozza nerastra, frastagliata, che si spacca in mille schizzi intorno al perimetro, fino a colpire la parete di fronte a me.
Non ero mai salita di sopra.
Qui è dove hanno legato il Terrestre. Rimangono le catene, una grossa corda. E il sangue.
Lui è libero già da giorni, ma parte del suo corpo resterà per sempre sulla navicella. Dio solo sa come sia riuscito a scappare, senza l’aiuto di nessuno.
Non riesco a staccare gli occhi dalla chiazza scura. John deve aver usato un coltello. Forse una frusta. Spero gli abbiano risparmiato il teaser.
Mi si chiudono gli occhi. Se penso che tra poco dovremo metterci in marcia mi viene la nausea. Per la prima volta nella mia vita arrivo alla sera così stanca da non riuscire nemmeno a desiderare di leggere. Un po’ è colpa della forza di gravità, che sulla Terra è più pesante – e a noi, che non siamo abituati, sembra di trasportare sacchi di patate sulla schiena tutto il giorno. Mangiamo troppo poco, e male, e quando capita. Le mie braccia sono più sottili e più muscolose. Non ho mai fatto un lavoro fisico prima del mio arrivo qui e per quanto la mia famiglia non abbia mai navigato nell’oro, ho sempre avuto abbastanza da mangiare da non soffrire la fame e dimagrire. Per fortuna sulla Terra non ci sono specchi, ho la sensazione di assomigliare ad un ragazzino più che ad una donna.
Qualcuno solleva l’apertura della botola, alle mie spalle.
“Tra dieci minuti si parte.”
La voce di John era l’ultima che mi aspettassi di sentire. Vorrei sapermi trattenere, ma mi volto.
Lui è ancora a metà dell’ingresso, le gambe nascoste al piano inferiore, il braccio che regge il bocchettone.
“Tra dieci minuti si parte.”,
ripete, di fronte al mio silenzio.
Lo vedo sospirare, teso.
“Non sei d’accordo con l’evacuazione?”
“Preferivo l’idea di Blake. Restare e fare il culo a un po’ di Terrestri.”
“Loro avrebbero fatto il culo a noi, e lo sai.”
“Non lo so. Devi ammettere che l’idea del barbecue era geniale, Blair. Loro fuori, noi dentro, e booom.”
Il barbecue.
Raven aveva installato una rete di mine tutt’intorno alla navicella. Non mine attivabili a pressione, ovviamente - rispondevano ad un comando centralizzato. L’idea era di aspettare che i Terrestri si accorgessero che non avevamo obbedito al loro ultimatum, che avevamo deciso di restare e combattere. Una volta che fossero entrati nel campo, noi saremmo rimasti al sicuro dentro la navicella e loro fuori sarebbero saltati per aria.
Ma Clarke e Finn ci avevano convinto a rispettare i patti e andarcene, risparmiando la vita al più alto numero di esseri umani possibile.
Solo che Raven si era rifiutata di smantellare tutto.
“Con il risultato che siamo circondati da esplosivo pronto all’innesco perché Raven è una testona.”
“Vuole avere un piano di riserva.”
John che difende Raven ha un che di surreale, che ha il potere di irritarmi. Lui se ne accorge.
“Non capisco. Perfino Octavia è d’accordo ora, e tu fai la difficile?”
Octavia era ricomparsa dal nulla affermando di appoggiare l’evacuazione. Così, all’improvviso. Aveva suggerito di dirigerci verso la costa, che senza dubbio era l’idea più sensata. Il mare ci avrebbe fornito una barriera naturale, un lato in meno da cui poter essere aggrediti, oltre che l’acqua potabile del fiume, alla foce. Non a caso la continentalità era una caratteristica delle città, prima che il disastro nucleare le spazzasse via. Gli umani hanno sempre iniziato a costruire dalla costa all’entroterra, non viceversa. E lungo i fiumi. Il piano di Octavia era azzeccato. Non fosse che non capivo come avesse fatto a fiorirle in testa senza preavviso. Io da parte mia non aspettavo altro che vedere l’oceano. Per gli scrittori della Terra era una specie di ossessione. Forse era l’elemento naturale a cui avevano dedicato più parole in assoluto. Promettevano meraviglie e ammesso che i Terrestri non ci maciullassero lungo il tragitto, avrei visto il mare.
E una volta raggiunta la costa, probabilmente il resto dell’Arca sarebbe già stato lì ad aspettarci. Le coordinate fornite da Raven a Sinclair dovevano servire allo scopo. Chissà che finalmente non sarei anche riuscita a vedere almeno un animale…
John mi riscuote dai miei pensieri.
“Sei pronta?”
“Ho solo la mia sacca. Lo sai.”
Lui invece di andarsene finisce di salire le scale ed esce. Richiude la botola.
“Dov’è Cecilia?”
“Non lo so. È scappata via.”
“Non mi sorprende, visto quello che ha appena saputo su suo padre. Non dovresti cercarla?”
“Immagino di sì.”
John schiarendosi la gola fa qualche passo verso di me.
Porto d’istinto la mano al Pass di Shenden, come un tic allenato dall’abitudine, come ogni volta che ho bisogno di aiuto. Non lo trovo. L’avevo lasciato a Cecilia, dopo averle raccontato tutto, e me n’ero dimenticata. Quel vuoto mi fa traballare.
Non avendo incontrato il Pass, le mie dita si sono appoggiate sul petto. Il battito del cuore non è solo rapido, è anche abbastanza intenso da farmi tremare la carne.
John si ferma di fronte a me. Si lecca il labbro inferiore, tirandolo indentro per un attimo.
“Decidi tu se lasciarli qui. Sono pesanti, ti rallenteranno. E ti avviso, non li porterò per te.”,
dice, sfilandosi lo zaino dalle spalle. Lo appoggia delicatamente ai miei piedi.
“Cosa sono?”
John si piega sulle ginocchia e fa scorrere la cerniera. Scosta i bordi dello zaino perché io riesca a vedere all’interno.
Una marea di bracciali metallici, aperti, luccicano nella penombra.
“Sono i tuoi libri.”
Non riesco ad abbassarmi al suo livello, a toccarli. Resto rigida, incapace di formulare il benché minimo ragionamento, con le braccia lungo il corpo e la bocca spalancata.
Lui si alza e mi spiega, roco:
“La tua amica, la superdonna, mi ci è voluto parecchio per farla parlare, ma dice che le schede di memoria sono intatte. Staccandoli, abbiamo solo annullato la radiotrasmissione. Il contenuto è salvo. Sarà sufficiente riconnetterli ad un computer qualsiasi e…”
Sono costretta a scavalcare lo zaino tra di noi per saltargli al collo. Gli butto le braccia intorno alla testa e le gambe sui fianchi, come una scimmietta. Lo sbilancio leggermente e lui fa un passo indietro, per contraccolpo. Mi passa le braccia intorno alla schiena dopo qualche momento di stordimento.
“…riavrai la tua biblioteca.”,
conclude, con una voce completamente diversa.
Sta sorridendo, lo sento da come modula le parole. Le soffia, attraverso la massa dei miei capelli che gli solleticano la guancia. Io tuffo il naso nell’incavo del suo collo, ridendo di gioia. La mia voce suona ovattata, offuscata dal contatto tra la mia bocca e il suo collo.
“Grazie, grazie, grazie, grazie…”
Ho le lacrime agli occhi e continuo a stringerlo sempre più forte. Lui ricambia, finchè con un altro salto non scendo dalla presa e rimetto i piedi per terra. Ora sì che riesco a muovermi! Mi accovaccio subito sullo zaino, infilo le mani in quella miniera di libri… in formato alternativo. Ma sono sempre libri. E io sono sempre la bilbiotecaria, anche se rispetto a prima sono anche io in formato alternativo. Lancio uno strillo da ragazzina, accecata dalla felicità.
Non mi comporterei mai così di fronte a Bellamy; ma mi sento perfettamente a mio agio a lasciarmi andare con John. Con lui non ho bisogno di sforzarmi di essere meglio di quel che sono. Non millanto sicurezza, non mi spingo oltre il limite, non mi getto nel vuoto. Mi accomodo nel calore della mia casa.
“Mi sento come la Bella quando la Bestia le regala la libreria!”,
esclamo, incapace di contenere l’entusiasmo, e i miei pensieri infantili.
Quando Finn mi aveva raccontato di quando avevano sganciato i bracciali per tranciare le comunicazioni con l’Arca, avevo detto addio a buona parte del mio lavoro. Non tutti se li erano tolti, ma una consistente metà era andata perduta. Senza contare i morti. Era una piccolezza, in confronto al passare un cappio al collo del mio migliore amico, ma era un’altra delle idee balorde che non avrei perdonato a Bellamy Blake. Mi ero trattenuta dal rinfacciarglielo soltanto perché Finn mi aveva chiarito quanto John lo avesse aiutato nell’impresa. E perché bastava e avanzava quel che già pensavo di lui.
“Mi hai appena dato della bestia?”
Mi stringo uno dei bracciali al cuore e torno a voltarmi nella sua direzione.
“Beh, solo una bestia poteva rischiare di azzerare il patrimonio letterario del genere umano per…”
“…per una bella a caso.”
Lo fisso dal basso verso l’alto, ancora accucciata accanto allo zaino, con un bracciale in mano e la faccia più perplessa che riesco a fare, probabilmente.
“Blair, perché credi che Bellamy non volesse ci raggiungessero? Che ci credessero tutti morti per le radiazioni?”
La sua domanda cade nel vuoto della mia sorpresa.
“Tu sei il ricercato numero uno dell’Arca, te ne rendi conto? Cosa sarebbe successo, una volta che Jaha ti avesse avuto di nuovo a portata di mano?”
Mi sollevo, accorciando la distanza tra i nostri visi.
“John, sull’Arca ci sono i miei genitori. I nostri amici, le persone che… Ci sono dei bambini. Avete messo in pericolo la vita di tutti.”
“Lo so. Ma rivendico quell’idea con orgoglio.”
Lui scuote la testa, lascia affiorare il suo mezzo sorriso sghembo mentre i capelli gli dondolano sulla sua fronte, ipnotici.
“Siete due deficienti e più nello specifico tu sei un idiota. Sei un idiota, lo sapevi?”
Restiamo in perfetto silenzio per qualche momento. Stringo il bracciale fino a farmi sbiancare le nocche. Lo sto accarezzando con il pollice, come se volessi lucidarlo.
“Non ho letto la tua lettera.”
Registro l’informazione al rallentatore. Non sono sicura di aver sentito bene e sono costretta a chiedergli di ripetere. John inspira e obbedisce, a voce più alta, meno incerta:
“Non l’ho letta. Avevi ragione tu.”
Gli occhi verde-azzurri mi trafiggono, in tutta la loro limpidezza. Tanto chiare le tue iridi quanto misterioso il tuo cuore, John Murphy.
“Ma hai detto che era roba da roman…”
“Ti volevo far credere che l’avessi fatto, e ho inventato qualcosa di plausibile per prenderti in giro. E ho indovinato. Perché ti conosco.”
La smorfietta riappare.
Io avrei bisogno di un po’ di tempo per capire davvero quel che mi sta confessando. Ma non ne abbiamo, mi ricordo all’improvviso. Tra cinque minuti si parte. Quindi chiedo, semplicemente, “Perché?”.
John continua a sorridermi ma sul suo volto si addensa un’ombra tetra, nebulosa.
“Sapevi che mio padre ha fatto la stessa cosa?”
Scuoto la testa, anche se lui sa già la risposta. John si rigira un elastico tra le dita, alternando lo sguardo dalle sue mani al mio viso.
“Prima di rubare le medicine. Sapeva cosa sarebbe successo. Mi ha lasciato una lettera, molto lunga, per dirmi addio, per chiedermi perdono, per…”
Lasciamo sfumare la frase nel vuoto.
“L’ho letta così tante volte da averla imparata a memoria.”
Io cerco di indurire l’espressione che sto mostrando, perché ho paura di come potrebbe reagire di fronte alla compassione che provo ora. Temo potrebbe richiudersi nel suo guscio. Allora mi fingo più fredda di quel che sono, meno dipendente dalle sue parole, meno sua.
“I miei incubi peggiori sono di lui seduto alla scrivania del nostro lotto, con una penna in mano. Non potevo rivivere la stessa cosa con te. Le due persone che amavo di più si erano sacrificate per me. Era un peso che non potevo sostenere. E leggere quella lettera mi avrebbe condannato. Non ti volevo nei miei incubi. Non era il tuo posto.”
“Perché l’hai tenuta, allora?”
John mi guarda come quando dico qualcosa di stupido. Le sue iridi brillano di una luce che è solo loro – e che è solo per me.
“Mostro. Dove avrei trovato la forza di buttarla?”
E ora che l’ha detto mi sembra così ovvio che vorrei rimangiarmi la domanda.
Invece di chiedergli scusa, infilo una mano in tasca.
“Credo sia ora che tu sappia, John.”
La busta, ormai un ammasso di carta spiegazzato, resta tra di noi, in attesa che lui la prenda. Lo osservo valutarla, ragionare su quanto sto offrendogli. Pensa a suo padre.
Faccio un passo avanti e la apro per lui, la estraggo, la distendo, torno a porgergliela, di nuovo con la mano tesa.
“John, non sono un fantasma. Sono viva, sono qui e niente è riuscito ad allontanarmi. Nemmeno tu.”
Lui mi guarda. In un unico gesto prende la lettera, se la porta vicino al viso e inizia a leggere quel che gli ho scritto ormai due mesi fa, quando credevo sarei morta e che non l’avrei rivisto mai più. 




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26/10/17
Sono nel bel mezzo di un trasloco - perciò la mia presenza su EFP è stata così ballerina, ma "We're back, bitches!" (cit. Octavia Blake).

Due ringraziamenti speciali, uno alla Pixel, che senza come avrei fatto NON LO SO, e uno ad una new entry a sorpresa che mi ha lasciato una recensione così bella che ogni tanto me la dovrei rileggere, per farmi coraggio quando non cavo una frase azzeccata nemmeno a piangere. Grazie Miriss_110
E poi come sempre un abbraccio a tutti i lettori silenziosi - a cui però devo aggiungere Morgengabe, Nina e tutti gli altri che sono così gentili, ma così gentili, che non solo seguono la storia, ma si prendono anche la briga di commentarla, e con quanta cura <3 Grazie! 

A presto!,
LRM
   
 
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