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Autore: Mick_ioamoikiwi    27/10/2017    0 recensioni
[a Dungeons and Dragons Story]
Morwen non aveva ricordi della sua famiglia precedente. Ricordava fin dai tempi più remoti che era stata abbandonata a sé stessa e che, se non fosse stato per l’incontro con Lord Fagnar, avvenuto circa dieci anni prima, avrebbe vissuto il resto della sua vita come una reietta, uno scarto della società. Sola e senza speranza di sopravvivere.
[serie La fanciulla nera]
Genere: Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Incompiuta
- Questa storia fa parte della serie 'La fanciulla nera'
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Il primo incontro.
 
Morwen non aveva ricordi della sua famiglia precedente. Ricordava fin dai tempi più remoti che era stata abbandonata a sé stessa e che, se non fosse stato per l’incontro con Lord Fagnar, avvenuto circa dieci anni prima, avrebbe vissuto il resto della sua vita come una reietta, uno scarto della società. Sola e senza speranza di sopravvivere.
 
Ricordava bene quel giorno a Bezantur: la pioggia primaverile scendeva lenta, creando quasi una nebbiolina leggera, e il freddo penetrava così fin dentro le ossa che, per la strada, erano pochi i coraggiosi avventori che passeggiavano per la strada. Non mangiava da due giorni, aspettava il mercato in trepidante attesa nascosta in un anfratto tra due palazzi e sperando di trovare qualcuno da avvicinare per chiedergli qualche moneta. Purtroppo quasi nessuno era passato nel suo campo visivo ma, d’un tratto, un uomo basso e con una strana veste rosso sangue le passò davanti. Aveva la testa completamente calva e coperta di strani tatuaggi che si intersecavano tra di loro, mentre guance e mento erano coperti da una folta barba nera. Agli occhi di una bambina emarginata sembrava uno di quei personaggi usciti da un vecchio libro di favole. Osservò il rosso vibrante della sua veste che, nonostante la pioggia e il cielo plumbeo, sembrava risplendere di luce propria. La sua attenzione però venne attirata da un sacchetto tintinnante che teneva appeso alla cinta. Doveva assolutamente averlo, ma era impossibile avvicinarsi senza farsi scoprire. Un brontolio sommesso, proveniente dal suo stomaco, la ridestò dalle sue considerazioni: pensò a cosa avrebbe potuto comprare con quelle monete, forse sarebbe addirittura riuscita a mangiare per una settimana intera. “Un tentativo solo”.
 
L’ultima volta che era successo era a crogiolarsi vicino al fiume, fissando intensamente un sasso. Per divertirsi aveva provato a scrivere una filastrocca per farlo volare, inutilmente, fingendo fosse un potente incantesimo. E quel giorno, quasi come per magia, dopo aver detto la filastrocca il sasso si era alzato di qualche centimetro per poi cadere rovinosamente in acqua. Morwen corse a riprenderlo chiedendosi come aveva fatto, ma non c’era una spiegazione valida. Era successo e basta. Aveva ripetuto altre volte l’esperimento, riuscendo a farlo spostare non più di mezzo metro ma per lei era come se fosse stata il mago più potente del Thay.
 
Cacciò via i ricordi per concentrarsi nuovamente sul piccolo sacchetto in tela ma, al contrario di ciò che sperava, l’uomo con la veste rossa si girò a fissare incuriosito il luogo in cui era nascosta, quasi come se sapesse che fosse stata lei a tentare di derubarlo. «Vuoi il mio sacchetto, non è così?» Le chiese una voce bassa e calda che risuonò nella sua mente. “Sì” pensò chiedendosi chi fosse stato a parlarle ma, in quel momento, vide l’uomo con la veste rossa prendere dal sacchetto quattro monete d’oro, che le mostrò da lontano facendole segno di avvicinarsi. «Prendile, sono tue se vuoi» Le risuonò nuovamente in testa.
Titubante, Morwen uscì dal suo nascondiglio, avvicinandosi lentamente sotto la pioggia che le stava infradiciando i vestiti lezzi. L’uomo la guardò meravigliato, si aspettava qualcun altro forse, di sicuro non una bambina alta poco più di lui. «Sembra tu sia affamata»
Morwen fece un passo indietro. «Sì…» mormorò.
«Hai imparato da sola a far volare gli oggetti?» Chiese poi l’uomo.
La bambina dischiuse la bocca, stupita. «Io non ho fatto nulla!» Tentò di giustificarsi ma l’uomo accennò un sorriso.
«Perché io te l’ho impedito» Fece una pausa. «Vorresti diventare un mago, non è così?»
Morwen fece un altro passo indietro, sempre più spaesata dalle domande dell’uomo davanti a lei. «Come fai?»
«Io posso insegnarti questo ed altre cose, se vieni con me»
Morwen annuì senza pensarci due volte, seguendolo fuori dalla città e attraverso la campagna. Per fortuna aveva smesso di piovere.
Dopo qualche ora di cammino, vide in lontananza un edificio che ricordava uno dei tanti templi e monasteri della città. L’uomo accanto a lei non aveva detto nessuna parola da quando erano partiti, le aveva soltanto detto che il suo nome era Fagnar e, di tanto in tanto, si accertava che lei continuasse a seguirlo e che avesse finito di mangiare quello che le aveva comprato poco prima di partire.
Si fermarono poco distanti dal portone d’ingresso per parlare. «Questa d’ora in poi sarà la tua casa, avrai un posto dove dormire e da mangiare ma, cosa più importante, qui troverai altre persone come te: bambini, ragazzi, uomini… e imparerai la magia arcana per diventare, un giorno, un Mago Rosso»
Morwen sentì nel petto crescere una gioia immensa ma poi, rabbuiandosi, abbassò lo sguardo sui propri piedi. «Lord Fagnar…» Mormorò. «Gli altri bambini mi hanno sempre emarginata, non voglio restare di nuovo da sola»
Lord Fagnar rimase colpito da quella affermazione. «Non sarai sola, qui»
Non convinta, gli fece un’altra domanda. «Io cosa sono?» Spostò una ciocca di capelli per mostrargli le sue piccole orecchie appuntite. «Gli altri bambini mi hanno sempre evitata per colpa di queste»
L’uomo sorrise, quasi divertito da quel racconto. «Morwen, i bambini sono ingenui e preferiscono evitare quelli speciali come te»
«Speciali?»
«I mezzelfi sono creature affascinanti, qui troverai altri bambini come te e non ti sentirai sola»
Morwen annuì distrattamente, non aveva capito molto del discorso fattole da Lord Fagnar, né tantomeno sapeva cos’erano i mezzelfi ma di una cosa era certa.
«Lord Fagnar» iniziò, mentre l’uomo si avviava verso l’ingresso, fermandosi per guardarla. «Io… vi devo la vita»




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