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Autore: Micchan018    27/10/2017    0 recensioni
Emanuele e Giulia non potrebbero essere più diversi. Hanno stili di vita diversi, passioni diverse, amicizie diverse, caratteri diversi.
Hanno però una cosa in comune: un passato da dimenticare, e la voglia di riscatto.
E' questo che li fa avvicinare e che, dopo il loro primo incontro nel locale più squallido che si possa immaginare, li attira l'uno verso l'altra con una forza che nessuno dei due avrebbe potuto immaginare.
Questa potrebbe sembrare la classica storia del cattivo ragazzo che s'innamora della brava ragazza e cambia per lei.
In realtà è la storia di come, a volte, l'amore per una persona tanto diversa da te può cambiarti al punto da non riuscire più a riconoscere te stesso.
Genere: Introspettivo, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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Seguii Emanuele per chilometri, lungo le strade della città che mano a mano diventavano sempre più buie. Ci allontanammo dal centro, passando per zone che erano sempre più deserte via via che proseguivamo il nostro percorso. Gli avevo chiesto più volte dove volesse andare, ma lui mi aveva risposto che era una sorpresa. Quando ormai il dolore ai piedi, causato dai tacchi, era diventato totalmente insopportabile, tirai fuori il cellulare per controllare da quanto tempo stessimo camminando. Era passata un'ora. 
«Ehi, Emanuele» ansimai, interrompendo il suo discorso sulle moto da corsa «quanto manca? I piedi mi stanno uccidendo.» Lui si voltò a guardarmi e mi sorrise. Alzò il braccio, indicando una palazzina di fronte a noi.
«Complimenti per il tempismo, Giulia. Siamo arrivati.»
Alzai gli occhi, studiando il condominio che avevamo davanti. Era uguale a tanti altri, dipinto di bianco e con i balconi circondati da ringhiere di un grigio spento. Le finestre avevano ancora le tapparelle al posto degli scuri. Non era né un posto trasandato, né di lusso, era normalissimo.
«Che posto è?» domandai.
«Non è ovvio? Casa mia» rispose lui con tutta la tranquillità del mondo. 
Strabuzzai gli occhi, e improvvisamente mi sentii mancare l'aria. Una vocina in fondo alla mia testa iniziò a urlare: no, no, e no. Non adesso. No. 
Sapevo benissimo cosa significava salire a casa sua, e non ero neanche lontanamente pronta. In tutta la mia vita ero stata a letto con un solo uomo, ed era troppo presto per il secondo.
Continuavo a far scattare lo sguardo da lui al condominio, pensando a una scusa plausibile per rifiutare di salire nel suo appartamento.
In qualche modo, lui sembrò intuire il mio disagio, perché scoppiò a ridere e si avvicinò a me, dandomi un piccolo buffetto sotto il mento.
«Tranquilla, non faremo niente che non ti va di fare» disse con voce calda e rassicurante.
«Tu dici?» replicai, cercando di mantenere la calma. Mi sentivo ridicola, una donna di ventidue anni che va in panico al pensiero di stare sola con un uomo. Uno da cui era attratta, e che aveva finito di sbaciucchiare poco prima.
«Certo. E' solo il primo appuntamento, se non ti va lo capisco. Vieni, tranquilla.»
Mi tese una mano, e io la afferrai sentendomi più serena. Giulia, sei una cretina. Sei una donna adulta, mi diceva la mia testa.
Emanuele mi guidò verso il portone di casa, e tirò fuori un mazzo di chiavi dalla tasca della giacca. Armeggiò per qualche secondo con la serratura, poi aprì la porta e lo seguii all'interno del palazzo.
«Perché mi hai portato qui?» domandai mentre lui richiudeva la porta alle mie spalle.
Lui mi sorrise, precendomi sulle scale. «Tiro a indovinare: tu ti sei fatto l'idea che io sia un festaiolo, uno che è sempre in giro e che rimorchia ragazze ogni sera, probabilmente anche tossico, giusto?»
Arrossii. Mi scocciava ammetterlo, ma in effetti era parte dell'idea che mi ero costruita di lui. Il classico bad boy da discoteca. Non avevo minimamente il coraggio di affermarlo ad alta voce, ma per fortuna non ce ne fu bisogno.
«Come pensavo» disse lui prima che potessi aprire bocca. Sembrava fosse capace di capire ogni mio pensiero semplicemente guardandomi in faccia, e la cosa mi faceva sentire in qualche modo vulnerabile, come se fossi stata completamente nuda.
«E devo immaginare che sia un'immagine sbagliata?»
«Non del tutto...quella è l'immagine che la maggior parte delle persona ha di me, ma c'è dell'altro. Molto altro.»
Arrivammo davanti alla porta del suo appartamento, al secondo piano. Il campanello recitava "Tersigni William - Tersigni Emanuele"
Emanuele aprì la porta, e mi fece cenno di entrare. Era completamente buio, e quando lui chiuse la porta alle nostre spalle, lasciando fuori l'illuminazione che proveniva dal pianerottolo, per un attimo mi saltò il cuore in gola.

Dopo qualche istante, accese le luci.

Rimasi a bocca aperta.

Mi trovavo in un soggiorno luminoso, con le pareti bianche e tantissime lampade
di vario tipo sparse per la stanza. Alla mia sinistra c'era un mobile di legno
lungo tutta la parete, con sopra un televisore enorme, un impianto audio da
fare invidia a un cinema, due o tre console, e due porta CD pieni di videogames
e dischi musicali. Al lato opposto della stanza c'era un lungo divano con penisola
in tessuto color beige, e sulla parete al di sopra era appeso un enorme quadro
raffigurante un paesaggio di montagna. L'intera stanza era piena di mobili e
soprammobili di vario tipo, che riempivano l'ambiente.  Uno dei quattro lati confinava con una cucina
in legno scuro con i ripiani in finto marmo, e un tavolo nero lucido.

«Santo cielo!» esclamai dopo essermi guardata
attorno per qualche istante «ma che cavolo di lavoro fate tu e tuo fratello?»

Lui scoppiò a ridere, togliendosi la giacca e posandola su un bracciolo del
divano. «Hai i genitori straricchi e ti impressioni per un appartamentino così
semplice?»

«Io e Iolanda non possiamo permetterci tutta questa roba. La metà dei nostri mobili sono di cento anni fa. E comunque ho ventidue anni, so lavorare, non uso i soldi dei miei.»

Iniziai a passeggiare per la stanza, mentre lui mi osservava con
una vaga forma di ammirazione in viso.

«Che c'è?» chiesi quando me ne accorsi. Lui si strinse nelle spalle.

«Niente, mi chiedevo se per caso hai fame.»

«Sì.»

Store il naso, sollevando l'angolo della bocca in un sorriso. «Caspita, adesso
mi tocca preparare qualcosa.»

Si diesse a passo spedito verso la cucina,e aprì il frigorifero. Io lo seguii
appogiandomi con le mani a una delle sedie.

«Guarda che non c'è bisogno che i disturbi.»

«Tranquilla, mi piace cucinare. E poi, speravo di poter avere un'occasione di mostrarti le mie abilità in cucina.»
Richiuse il frigorifero, con le braccia piene di ingredienti di vario tipo. Posò tutto sul tavolo, e mi rivolse un sorriso.
«Spero che tu non sia vegetariana» disse prima di tornare a concentrarsi sugli ingredienti.
«Neanche per idea» dissi scuotendo energicamente la testa. Avevo un'antipatia piuttosto forte per vegani e vegetariani. «Che cosa prepari?»
«Conchiglie con formaggio, salsiccia e pistacchi.»
«Sembra buono» commentai, mentre mi rendevo conto di avere davvero fame.
«Lo è» aveva iniziato ad armeggiare con coltelli, padelle e utensili di vario tipo, e io stavo seduta al tavolo della cucina, osservandolo con un vago sorriso in volto.

 

Mentre lui preparava la cena, io me ne stavo seduta su una delle sedie, osservandolo. C'era qualcosa di particolare in lui, nella concentrazione che dedicava a quel compito. Non parlava e aveva l'aria serissima, come un artista impegnato a dipingere un capolavoro. Era ancora più bello, e allo stesso tempo faceva quasi tenerezza, e una parte di me aveva voglia di alzarsi e abbracciarlo.Non disse una sola parola fino a quando, dieci minuti dopo, mi mise davanti un piatto di pasta fumante che emanava un odore delizioso.«Caspita» commentai, prendendo tra le dita la forchetta che mi stava porgendo «se è buono quanto il profumo, potrei avere un orgasmo da cibo.»
Lui si sedette davanti al suo piatto con un sorrisino trionfante in volto.«Beh, assaggia e fammelo sapere. Buon appetito.»

Mi lanciai sul piatto, e dovetti contenermi per non fare versi ambigui. Era probabilmente la cosa più buona che avessi mai mangiato. Lui sembro intuire la mia approvazione, perché sollevo le sopracciglia guardandomi con divertita curiosità.«Ti piace?» domandò.
«Ok, facciamo così» bofonchiai, senza smettere di mangiare «da domani, sei ufficialmente assunto come cuoco a casa nostra. Ne io ne Iolanda riusciremo mai a preparare qualcosa di così buono.»
Emanuele scoppiò a ridere, mentre prendeva una forchettata enorme senza togliermi gli occhi di dosso.«Non sai cucinare?»
«Si, me la cavo anche piuttosto bene, ma non così bene. Iolanda invece è pessima.»
Lui ridacchio, versando un goccio di vino rosso nel suo bicchiere.«Devi farmela conoscere, questa Iolanda. Sembra un tipo divertente.»
«Lo è.»
Finimmo di mangiare in silenzio, e quando letteralmente due minuti dopo entrambi avemmo svuotato i rispettivi piatti, Emanuele sgomberò il tavolo in mezzo secondo, lasciando solo i bicchieri e la bottiglia di vino. Mi offrii di aiutarlo a lavare i piatti, ma lui rifiutò con un sorriso. «I piatti possono stare lì. Ti va di vedere un film?»

Si diresse verso il soggiorno, inginocchiandosi di fronte al mobile su cui era poggiato il televisore. Aprì uno dei due ampi cassetti, e avvicinandomi vidi che era pieno di DVD ordinatamente messi in fila con il dorso rivolto verso l'alto. Fece scorrere lo sguardo lungo qualche secondo, poi un sorriso gli illuminò il volto e tirò fuori una custodia, rivolgendola verso di me. Io mi avvicinai per leggere il titolo, e mi sfuggì una risata: Spiderman 2
  «Vuoi guardare Spiderman?» domandai con tono divertito.
«Sì.» 
«Perché?»
«Perché è il mio eroe fin da quando ero bambino.»
Si alzò in piedi, posando la custodia sotto al televisore, e si avvicinò di qualche passo. Per poco non mi mancò il respiro quando lo vidi togliersi la maglietta, rivelando il fisico spettacolare che nascondeva. Era quello che per me rappresentava la perfezione fisica in un uomo: magro e con qualche muscolo, ma non eccessivamente. 
Rimasi col cervello appannato per qualche istante, domandandomi per quale motivo si fosse denudato così di punto in bianco, finché non lo vidi: un tatuaggio in basso, appena sopra la linea dei pantaloni, che recitava "falli secchi, tigre", con la piccola immagine di una tigre colorata con i colori del costume di Spiderman. Avevo visto tutti i film della saga di Sam Raimi, più volte, e riconobbi immediatamente la citazione. Alzai lo sguardo e gli sorrisi dolcemente.
«Ti piace?» chiese lui.
«Tanto.»
Si rimise la maglietta, e dopo avermi rivolto uno sguardo che non seppi decifrare si abbassò per inserire il DVD nella Playstation.

  «Perché Spiderman?» domandai.
«In che senso?»
«Che ci sono tanti supereroi, Batman, Superman e compagnia cantante...quindi perché proprio Spiderman è così importante da meritarsi un tatuaggio?»
Emanuele si soffermò un istante, poi voltò il viso verso di me con un'espressione stranamente seria.
«Perché è uno sfigato» disse «nel senso...è un ragazzo normale e anche parecchio imbranato, poi un bel giorno viene morso da un ragno radioattivo e boom, ha i superpoteri...ma non è subito il migliore dei supereroi, deve imparare e diventare più forte, prendendosi un sacco di legnate nei denti. E' umano, è un po' come tutti noi. Da bambino mi piaceva credere che un giorno sarei stato come lui, che sarei diventato un figo capace di resistere a ogni cosa...ora che sono adulto, mi rendo conto di aver seguito il suo esempio. Ho preso tante legnate, e ne sono uscito più forte» inclinò leggermente un angolo della bocca in una specie di ghigno «e anche un po' più stronzo.»
Io annuii, e andai a sedermi sul divano. Lui si voltò a guardarmi con aria corrucciata. «Che fai?»
«Mi metto comoda» dissi, togliendomi i tacchi e incrociando le gambe sul divano «per guardare il film del tuo eroe insieme.»  
Lui rise, avvio la riproduzione, e si sedette accanto a me. Si tolse le scarpe, allungandosi comodamente sul divano.  
Non erano passati neanche due minuti, che lui si voltò a guardarmi. Lo vidi con la coda dell'occhio, ma tenni lo sguardo fisso sullo schermo.
«Tu hai tatuaggi?» chiese.
«Due minuti di film e già parli. Sappi che è una cosa che odio.»
«Anche io, ma questa cosa mi interessa veramente.»
Io ci pensai qualche istante, prima di rispondere. «Sì» dissi infine «ho un tatuaggio sulla schiena, in basso.»
Mi voltai, e lo vidi osservarmi con gli occhi sgranati. «Davvero? Che cos'è?» chiese.
«Un mandala a forma di fiore di loto. Lo ha disegnato Iolanda.»
Mi sorrise, con aria maliziosa. «Mi piacerebbe vederlo, un giorno.»
Io lo osservai per qualche secondo, indecisa. Una parte di me voleva rispondere con "beh, magari un giorno", e continuare a vedere il film. L'altra...l'altra era stata presa da un improvviso coraggio, un'intraprendenza che non sentivo mia ma che voleva a tutti costi prendere il controllo. 

Avevo il sospetto, o la paura, che lo scopo di Emanuele fosse proprio quello. Mostrarmi il lato più dolce di lui per arrivare dove voleva, ottenere quello che otteneva da ogni ragazzo.
O forse gli piacevo veramente, e aveva voluto aprirsi con me. Non sapevo quale delle due ipotesi fosse quella giusta...sapevo solo che mi aveva colpita come non succedeva da anni. Guardavo i suoi occhi verdi che mi fissavano, il suo sorriso ironico, provocatorio, e mi ritrovai ad agire senza riflettere.
Senza pensarci ulteriormente mi voltai, dandogli le spalle. Mi tolsi la giacca, tremando, posandola sul tavolino alla mia sinistra, poi con dita esitanti abbassai lentamente i jeans, quel tanto che bastava per mostrare il disegno impresso poco sopra il mio fondoschiena. *
Lo sentii trattenere lievemente il respiro, e dopo un istante sentii le sue dita sfiorarmi delicatamente nel punto in cui c'era il tatuaggio, facendomi trasalire.
«E' davvero bello» mormorò «pensi che Iolanda potrebbe disegnarne uno anche per me? E' brava.»
«Penso di sì, se glielo chiedi...» risposi, col fiato corto. Il suo tocco leggero si fece più forte, spostandosi lungo la schiena. Lo sentii avvicinarsi, scivolando sul divano, e vidi le sue braccia avvolgermi. Abbandonai la testa sulla sua spalla, mentre lui mi spostava i capelli e iniziava a lasciarmi una scia di baci delicati sul collo. Con una mano prese la mia, intrecciando le dita, mentre l'altra si muoveva delicatamente sulla mia pancia. Lo sentii salire, poi si fermò un istante.
«Posso?» sussurrò nel mio orecchio.
«Che?»
«Posso toccare, o ti da fastidio?»
Mi sfuggii una risata, troncata dal respiro che era diventato via via più corto e veloce.
«Alla tua età mi chiedi se puoi toccarmi? Hai dodici anni e non me lo hai detto?» lo provocai.
Con un unico, brusco movimento, lui mi fece voltare, e mi spinse sul divano stendendosi sopra di me. «Sei tu quella che si faceva un sacco di paranoie...» mormorò, mentre una mano si infilava lentamente sotto la mia maglietta, baciandomi un angolo della bocca. Sentivo caldo, un caldo tremendo, e una parte di me cominciava a sperare che si sbrigasse a togliermi i vestiti.
«Ho cambiato idea.»
«Ah sì? E come mai?»
Mi feci coraggio, e afferrai il bordo della sua t-shirt, sollevandola. Lui la tolse senza farselo ripetere due volte, per poi togliere la mia. Infilò le braccia sotto di me, slacciando il reggiseno. Iniziò a tracciare il profilo con le dita, delicatamente.
«Perché ho imparato che se un uomo deve fare il bastardo, lo farà comunque, che abbiate fatto l'amore o no. Quindi tanto vale divertirsi...»
Lui mi baciò, con calma, e io avvolsi le braccia attorno al suo corpo, carezzandogli delicatamente la schiena con le unghie. Lo sentii emettere un piccolo gemito.
«Fare l'amore...come sei romantica.»
Si allontanò quel poco che bastava per guardarlo negli occhi, e il suo sguardo mi provocò un brivido che mi percorse dalla testa ai piedi, insieme a un'ondata di calore. Erano fuoco puro. Nessun uomo mi aveva mai guardato in quel modo...forse perché nessuno degli uomini che avevo conosciuta, era anche solo lontanamente paragonabile ad Emanuele.
«Tu come lo chiami?»
Lui sorrise, provocante. Si alzò mettendosi in ginocchio, e mi tolse i jeans con un gesto brusco e improvviso che mi causò una scarica di eccitazione senza precedenti. Lo vidi togliersi i jeans e i boxer, mentre quel poco di lucidità che mi rimaneva mi abbandonava definitivamente. 
Infilò le dita nel bordo dei miei slip, per poi sfilarli lentamente.
Eravamo nudi, e io sentivo il cuore battermi in petto come un martello pneumatico impazzito. Avevo paura di svenire, e rovinare tutto. Non solo perché era incredibilmente bello in ogni dettaglio, ma perché era il secondo uomo che vedevo nudo in tutta la mia vita, a cui permettevo di vedermi nuda, e lo avevo conosciuto solo il giorno prima.
O io ero del tutto impazzita, o lui era più speciale di quanto potessi immaginare.
Si abbassò, posando il suo corpo nudo sul mio, baciandomi con trasporto. Io mi aggrappai a lui, stringendolo tra le gambe, come una silenziosa richiesta di fare quello che volevo facesse, prima  che la paura prendesse il sopravvento e cambiassi idea. 
Si fermò, per un solo istante, avvicinando le labbra al mio orecchio.
«Tesoro...io lo chiamo fare l'alba.» 
                                 

 

   
 
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