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Autore: Micchan018    27/10/2017    0 recensioni
Vi siete mai innamorati di qualcuno che non avete mai visto di persona?
Vi è mai successo di trovare l'anima gemella grazie al bug di un sito d'incontri?
Beh, a me sì. E la mia vita non sarà mai più la stessa.
Genere: Introspettivo, Malinconico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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La domenica mattina era insieme il momento che più amavo della settimana, e quello che più detestavo. Amavo svegliarmi e guardare il sole filtrare dalle lamelle delle persiane, e rendermi conto che non dovevo alzarmi, correre, prendere autobus, ascoltare gente di cui mi importava poco o nulla. Amavo rigirarmi tra le lenzuola, accarezzare Elle che faceva le fusa accoccolata in mezzo ai miei capelli, guardare video sul cellulare, riaddormentarmi, poi svegliarmi e godere di nuovo del fatto che potevo stare lì quanto volevo, tanto non avevo niente da fare.

Odiavo però la solitudine. La domenica mattina casa mia era vuota, il telefono muto, il silenzio assordante. Quella domenica mattina più del solito. Mio padre era andato a trovare sua sorella, mia nonna era andata con lui, e gli unici abitanti della casa rimasti eravamo io, Elle, e i due cani in giardino. Ogni domenica mattina mi svegliavo e sentivo la mancanza di mia madre e di mio fratello, mi mancava sentirli fare rumore, mamma che preparava il pranzo, papà che faceva qualche lavoretto in giro per casa, Giacomo che faceva casino nella sua stanza per poi piombare nella mia e tentare di svegliarmi nel modo più fastidioso possibile. Mi mancavano tutte queste piccole cose. Mi mancava avere una famiglia.

Quella domenica mattina però era diversa dalle altre. C'era la luce che passava dalle finestre, il gatto che faceva le fusa, le lenzuola arrotolate e il silenzio di tomba; ma qualcosa era diverso. Quella domenica mattina non fui svegliata dalla fine del mio ciclo del sonno. Fui svegliata dal suono di un messaggio sul cellulare.

Aprii gli occhi lentamente, cercando di raccogliere le energie necessarie ad allungare il braccio, afferrare il telefono, e guardare chi mi avesse cercato.

Era Ryan.

Aveva scritto un semplice buongiorno, ma per me era molto di più. Non solo era la prima e forse unica persona a prestarmi attenzione di domenica, ma mi aveva scritto di nuovo. Questa cosa mi rese inopportunamente felice, e cercai di accelerare il mio lentissimo risveglio per poter scrivere una risposta di senso compiuto. Digitai un messaggio veloce con un sorriso cretino in viso, poi aprii la sua foto profilo e rimasi a fissarla per interi minuti come una cretina. Sì, era decisamente carino. La cosa che più mi piaceva di quella foto era il sorriso. Ero sicura di non aver mai visto un sorriso così luminoso, allegro, che dicesse così tanto della persona che lo portava. Quel sorriso faceva pensare che Ryan fosse una persona stupenda, e io mi auguravo con tutto il cuore che fosse vero.

Non ci mise molto a rispondere, e io saltai giù dal letto come se mi avessero attaccato il cavetto per la batteria. Presi il gatto e il telefono e corsi giù dalle scale per andare a prepararmi la colazione, con il sorriso perenne in volto e gli occhi sul telefono, rischiando più di una volta di farmi seriamente male sulla scalinata di granito gelido che collegava i due piani della casa.

Quella mattina avevo voglia persino di cucinare, e mi sentivo veramente cretina, perché tutta quella contentezza derivava dal semplice fatto che un ragazzo che conoscevo appena mi aveva mandato un messaggino del buongiorno.

Mi sentii in colpa per un istante, pensando a Matteo e a tutti i "buongiorno" che mi aveva detto, a tutti i messaggi che mi aveva mandato, a quanto ci aveva provato fino alla fine, e a come io gli avessi spezzato il cuore. Erano pensieri che mi perseguitavano molto più di quanto avrei voluto, e che ero certa mi avrebbero tormentato fino alla fine dei miei giorni. Non avrei mai finito di sentirmi in colpa, come non avrei mai finito di pensare che era stato meglio così.

Cancellai malumore e sensi di colpa spaccando due uova in una ciotola e pregustandomi le crepe con la marmellata di fragole, poi decisi che quel silenzio era decisamente deprimente e accesi il televisore. Non riuscivo a fare una cosa in modo continuativo, continuavo a dare due mescolate alla pastella, poi guardavo il telefono, prendevo la padella dal cassetto, e guardavo il telefono, poggiavo la padella sul fornello, e riguardavo il telefono. Non riuscivo ad ignorare i messaggi di Ryan per più di tre secondi. Per poco non mi rovesciai addosso la pastella delle crepes quando mi mandò la seconda foto che abbia mai visto di lui. Indossava uno smoking nero con tanto di farfallino, e aveva l'espressione più stupida che avessi mai visto. Rimasi ferma a guardare quella foto a lungo, cercando di memorizzare ogni dettaglio. Quell'immagine mi accompagnò per tutto il giorno, mentre facevo colazione e mentre guardavo distrattamente la televisione continuando a parlare con lui; mentre preparavo il pranzo e mentre salivo in camera mia con aria rassegnata per prepararmi per l'allucinante interrogazione di latino che mi aspettava il giorno dopo. Non mi staccai da quel telefono nemmeno per un istante, e quello che non sapevo ancora era che non sarebbe più successo per parecchio tempo.

Solitamente amavo andare a dormire. Era il momento più bello della giornata, finalmente potevo lasciarmi alle spalle tutte le difficoltà della giornata appena trascorsa e rifugiarmi in un mondo in cui, la maggior parte delle volte, andava tutto bene. Quella sera invece non volevo addormentarmi: volevo continuare a parlare con Ryan, e non solo perché parlare con lui era semplice come respirare, ma anche perché segretamente, da qualche parte in fondo al cuore, avevo paura che se avessi chiuso la conversazione non si sarebbe più riaperta. Quella sera quando finalmente dovetti arrendermi al fatto che i miei occhi esigevano riposo, mi addormentai con il cuore leggero e un vago sorriso in volto. E non succedeva da tempo.
 

Il giorno dopo, come di consueto, alle due suonò il campanello di casa e io feci accomodare Jasmine sul balcone fuori dalla mia stanza. Accendemmo due sigarette e per qualche minuto restammo a guardare le macchine passare sulla strada sottostante.

«Hai più parlato con Matt?» domandò lei dopo qualche attimo. Io alzai gli occhi al cielo.

«Oddio Jaz, ma fai sempre la stessa domanda?»

«Non è vero!»

«Sì che è vero. Comunque no. Capisco che ti dispiace per la nostra rottura, ma rassegnati è finita. Over.»

Lei prese un tiro dalla sigaretta lanciandomi uno sguardo storto, e io pensai per un istante se fosse il caso o meno di parlarle di Ryan. Sì, parlare con lui era diventata velocemente una delle mie attività preferite, e quella mattina mi aveva scritto nuovamente; ma per il momento l'unica cosa sicura era che abitavamo a centinaia di chilometri di distanza. Continuai a fumare e a guardarla per un po', indecisa sul da farsi; poi mi dissi che in fin dei conti Jaz era la mia migliore amica, e che non avrei dovuto nasconderle nulla, neanche le cose che potevano sembrare piccole.

«Ehi Jaz» dissi.

«Sì?»

«Ho conosciuto un ragazzo.»

Lei si voltò a guardarmi con un sorriso malizioso e lo sguardo che sprizzava curiosità da tutti i pori.

«Quando?» domandò, lasciando trasparire la sua voglia di informazioni.

«Sabato pomeriggio.»

«Scusa ma non hai detto che sabato sei stata a casa tutto il giorno prima di uscire con noi?»

Eh, appunto.

«A parte che non è vero, sono stata a pranzo da mia madre, ma non l'ho conosciuto in giro. L'ho conosciuto su quell'app di incontri che ho scaricato un mesetto fa.»

«Oh, bello. Come si chiama?»

«Ryan»

«Bel nome. Hai una sua foto?»

Tirai fuori il telefono dalla tasca dei jeans e cercai la prima immagine di Ryan, la prima che io avevo visto, e la mostrai a Jasmine. Lei fece una smorfia che nel suo linguaggio corporeo significava "però, mica male."

«Ok è carino» disse spegnendo la sigaretta sul muretto che chiudeva il terrazzo «anni?»

«Diciannove.»

«E' più piccolo di te!»

Io inarcai un sopracciglio e la guardai con aria perplessa. «Jaz. Dave è un anno più piccolo di te. La differenza?»

«Ok hai ragione. Di dov'è? Ti ha già chiesto di uscire?»

Io mi morsi il labbro e distolsi lo sguardo, e fu un errore perché io e Jaz ci conoscevamo a menadito e lei capì subito che quella era la parte difficile del discorso.

«Kiki. Di dov'è?» chiese nuovamente, con un tono di voce che esprimeva il suo prematuro rimprovero. La guardai e vidi che mi osservava con sguardo indagatore, come se cercasse di leggermi nella mente. Qualche volta ci riusciva davvero.

«Di Nepi...»

Rimase in silenzio per qualche secondo, probabilmente come me la prima volta stava cercando di ricordare se avesse mai sentito nominare quel posto.

«Dove sta?» chiese dopo che con ogni probabilità la sua scansione mentale non aveva rilevato nulla.

«Vicino a Roma.»

Per un istante temetti che la mascella le si sarebbe staccata. Mi guardava fisso con la bocca spalancata, e nonostante la sua potesse sembrare un'espressione sorpresa io riuscivo a leggerle negli occhi tutto il rimprovero che voleva esprimere.

«Vicino a Roma?? Sei matta?»

«No, ci abita davvero là.»

«Non ti ho chiesto se stai scherzando, ti ho chiesto se sei matta. E' troppo lontano!»

Avevo previsto perfettamente che la sua reazione sarebbe stata quella, e mi ero anche già preparata.

«Ehi, ti ho detto che ci siamo conosciuti non che mi piace.»

«Però ti piace.»

«No, non mi piace.»

«E perché me ne hai parlato se non ti piace?»

«Che ne so, per informarti?»

Lei mi guardava con lo sguardo da "non-raccontarmi-stronzate", e io le rivolsi un sorriso furbetto che stava per "tanto-non-mi-freghi."

«Va beh» sbuffò lei «comunque dammi retta, lascia perdere.»

«Non c'è niente da lasciar perdere.»

«Non è vero, comunque fingiamo per un secondo che tu abbia ragione: se mai ci fosse qualcosa da lasciar perdere, lascialo perdere. Non può funzionare, siete troppo lontani.»

Ignorai le sue parole. Non lo avrei mai ammesso, ma mi diede molto fastidio sentirle. Io e Ryan ci conoscevamo solo da tre giorni, ma tra di noi si era instaurata subito una connessione particolare; era una persona speciale, e una parte di me si sentì ferita dal fatto che la mia migliore amica avesse bocciato il tutto ancora prima che potessi pensare che iniziasse. 
 

In quinta liceo mi ero finalmente decisa a fare una cosa che probabilmente avrei dovuto fare diverso tempo prima: iscrivermi al corso per l'esame del FIRST Certificate in English. Ero sempre stata brava in inglese, ma mi ero decisa a farlo mettere per iscritto solo durante l'ultimo anno di scuola; così mi ritrovavo oltre a dover studiare come una pazza furiosa per l'imminente maturità, anche a dover frequentare dei corsi pomeridiani di inglese ogni martedì pomeriggio. Quel martedì pomeriggio in particolare era uno degli ultimi giorni di aprile e faceva parecchio caldo. Uscii da scuola, salutai i miei compagni e come era mia consuetudine andai a nascondermi in un piccolo parco a due passi dal liceo per potermi fumare una sigaretta in santa pace prima di andare a procacciarmi un pranzo. Mi sedetti su una panchina sotto un albero dai rami lunghi e pieni di foglie che creavano un'ombra incantevole e salvavita, perché faceva già un caldo assassino. Accesi la mia solita Marlboro e inizia a sbuffare fumo verso l'alto, guardando il cielo azzurro e limpido.

Per qualche motivo, quel cielo mi faceva pensare a Ryan. Nonostante i dubbi di Jasmine, tanto inutili quanto infondati, non smettevamo di sentirci un secondo. Lui mi faceva ridere, e allo stesso tempo era una persona profonda e sensibile, e mi piaceva parlare con lui; il che non significava necessariamente che mi piacesse lui. O almeno, questo era quello che continuavo a ripetermi, e di cui dovevo assolutamente convincermi perchè su almeno una cosa Jasmine aveva ragione: 249 chilometri erano troppi.
Come se fosse stato capace di leggermi nel pensiero, proprio nel momento in cui lo nominai nella mia testa mi arrivò un messaggio di Ryan, che come sempre aprii di gran fretta e con un sorriso idiota che contraddiceva tutto quello che mi ripetevo nella mia testa.

ehi, sei uscita da scuola?

sì sì, da poco.

ok senti, idea stupida. Ti posso chiamare?

Sentii una sensazione di vuoto improvviso allo stomaco che mi fece quasi venire le vertigini. Non avevo ancora sentito la sua voce, e per qualche strano motivo l'idea mi terrorizzava a morte. Nella mia testa iniziarono a formarsi mille paranoie: e se non mi piace la sua voce? o peggio, se a lui non piace la mia? In effetti Erika hai una voce abbastanza idiota. E se per telefono non avete niente da dirvi? 
Mentre il mio cervellino complessato formulava tutta una sequela di paranoie più o meno stupide e di utilità dubbia, la mia mano decise di fare di testa propria digitando sullo schermo dell'iPhone senza che io avessi pienamente voce in capitolo.

sì, certo!

Premetti invio e poi attesi, con gli occhi incollati sullo schermo e la sigaretta che ormai si era fumata da sola fino al filtro. Il telefono non suonava. Passarono diversi minuti e io iniziavo a sentire i morsi della fame e dell'ansia, lo schermo divenne nero, ma di telefonate nemmeno l'ombra. Dopo cinque minuti mi arresi e riposi il telefono nelle tasche, dicendomi che forse aveva trovato di meglio da fare. E fu proprio in quel momento che la marimba dell'iPhone mi distrusse le orecchie attraverso le cuffiette che avevo collegato.
Staccai il jack, premetti il tasto "rispondi" con un nodo alla gola, e mi portai il telefono all'orecchio.
«Pronto?»
«Ehi ciao, scusami stavo n'attimo a parla coll'amici.»
Ok Erika, questa è stata l'idea migliore che hai avuto oggi.
Tutte le possibili paranoie sul fatto che potesse non piacermi la sua voce scomparvero all'istante, perché aveva la voce più bella che avessi mai sentito con le mie povere orecchie da umana. Era calda, morbida, avvolgente; come quella di un attore. E l'accento romano mi faceva impazzire, era sempre stato così e avrei dovuto ricordarmelo prima di premere quel tasto, perché ora non c'era niente al mondo che poteva impedirmi di telefonargli a tutte le ore del giorno e della notte. Avevo sentito otto parole e già desideravo di sentirgli fare discorsi interi. 
«Ehi? Ci sei?»
«Sì sì, scusami. Comunque tranquillo tanto non ho niente da fare.»
«Do stai?»
«In un parco fuori da scuola, mi fumo una sigaretta poi vado a vedere di trovare del cibo.»
«Ma te stai sempre a fuma?
«No, solo una volta ogni tanto. Tu che fai?»
«Io niente, aspetto gli amici poi ci facciamo un salto al bar. Comunque mi piace la tua voce, l'accento romagnolo è fico.»
Mi sfuggì un risolino e non ebbi alcun bisogno di guardarmi allo specchio per sapere che ero diventata rosso fuoco. E non era per colpa dei venticinque gradi.
«Sicuro? Molte persone pensano che io abbia una voce nasale, acuta e fastidiosa. Comunque anche a me piace molto la tua. Hai un accento stupendo.»
«Dici? Qua da me molti me dicono che c'ho 'na voce strana, tipo fastidiosa.»
Sì, perché non capiscono un cazzo.
«A me piace molto invece.»
«So contento. Senti oggi c'hai quel corso di inglese ve?»
«Sì, perché?
«A che ora iniziava?»
«Alle due.»
«Eh, so le due meno dieci.»
Guardai l'orologio e mi resi conto con orrore che aveva ragione. Non sapevo come avessi fatto a non accorgermi di essere rimasta in quel parco per quasi un'ora, ma nel momento in cui vidi l'orologio scattai in piedi come una molla.
«Oddio hai ragione! Scusami devo andare, non ho ancora mangiato niente!»
Lui scoppiò a ridere, e per un secondo smisi completamente di provare interesse verso il corso di inglese.
«Dai corri su. Ci sentiamo per messaggio ok?»
«Ok, ciao.»
«Ciao.»
Chiusi a malincuore la telefonata e iniziai a correre più velocemente che potevo verso la piadineria che distava trecento metri da lì. Quando arrivai davanti, mi fermai per un istante. Mi sentivo felice, per qualche ragione. Sentire la voce di Ryan lo aveva reso...vero; e sapevo che la cosa avrebbe dovuto terrorizzarmi ma in realtà mi sentivo felice. Felice perché era una persona stupenda, e perché esisteva davvero.
Spinsi la porta della piadineria e entrai, con un sorriso indelebile che mi attraversava il viso.
Jasmine cara, mi dispiace ma ogni tanto sbagli anche tu. E mi sa che questa volta hai sbagliato di grosso.

 
   
 
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