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Autore: Chainblack    28/10/2017    1 recensioni
In fuga dalla disperazione dilagante della Hope's Peak Academy, sedici talentuosi studenti vengono rapiti e rinchiusi in una località sconosciuta, costretti a partecipare ad un nuova edizione del Gioco al Massacro senza conoscerne il motivo.
Ciò che sanno è che, per scappare da lì, dovranno uccidere un compagno senza farsi scoprire.
Guardandosi le spalle e facendo di tutto per sopravvivere, i sedici ragazzi tenteranno di scoprire la verità sul loro imprigionamento sapendo che non tutti potrebbero giungere illesi fino alla fine.
Ambientata nell'universo narrativo di Danganronpa, questa storia si svolge tra i primi due capitoli della saga.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Suspence | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Violenza
Capitoli:
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L'iniziale silenzio che, di norma, seguiva l'annuncio del verdetto fu rapidamente spezzato e obliterato in breve tempo.
Senza nemmeno poter riprendere fiato dal dibattito appena conseguito, Pearl Crowngale si trovò costretta ad opporsi con tutte le proprie forze tra Hillary e il guscio vuoto emotivamente provato che fino a poco prima era l'Ultimate Voice Actor.
Hillary Dedalus avvertì una scarica di adrenalina assieme alla necessità di sfogare rabbia e frustrazione sul catalizzatore principale della sua collera.
Nonostante la statura minuta, scatenò una forza tale che fu necessario l'intervento di June per riuscire a tenerla a freno ed impedirle di aggiungere altro danno.
- MOSTRO! - inveì contro il colpevole - Sei uno schifosissimo mostro! ASSASSINO! -
Rickard Falls teneva ancora il capo chino sul proprio banco; posizione che non aveva abbandonato sin dal momento in cui Karol lo aveva smascherato.
Alzò lentamente la testa fino ad incontrare lo sguardo furente di Hillary; il suo volto non mostrava che un vago riflesso di ciò che il ragazzo era.
- Hillary, datti una calmata! - intervenne Xavier - E' finita! Il processo è concluso! -
- No che NON mi calmo! Chi se ne importa del processo!? Al diavolo tutto e tutti! - continuò lei - Ha ucciso Lawrence, e ha ucciso Vivian! Li ha ammazzati come bestie per il suo tornaconto! La morte è troppo poco per un VERME come te, Rickard! -
Notando che June e Pearl erano in qualche modo riuscite a frenarla, Karol ne approfittò per avvicinarsi e tentare di farla ragionare.
- Hillary, siamo tutti sconvolti da ciò che sta accadendo. Ma infierire su Rickard non farà tornare Vivian tra noi... -
- Non me ne importa! Capito!? Un bel NIENTE! - ribatté Hillary in un ultimo slancio di sfogo - L'unica nota positiva è che, alla fine dei giochi, TU MORIRAI! Andrai in quella fottuta stanza e farai la fine che meriti! E solo quando sperimenterai lo stesso dolore di Vivian potrò...! -
Si udì un rumore rapido e secco, simile ad uno schiocco.
Hillary non riuscì a completare la frase; la sua bocca venne bloccata da un rapido colpo di palmo.
L'Ultimate Clockwork Artisan cadde a terra a causa del proprio impeto; sulla sua faccia erano comparsi cinque piccoli segni arrossati della forma di una mano.
Si massaggiò la guancia, ancora incapace di comprendere pienamente cosa fosse successo.
Poi, guardò verso l'alto.
Ad incontrare il suo sguardo vi erano due terrificanti occhi glaciali, fissi su di lei come un rapace.
Pearl ritrasse lentamente la mano e si tastò il polso, senza mai perdere la presa visiva sulla ragazzina ai propri piedi.
- Hillary - disse con voce soffusa, ma imperante - Ora. Basta -
Tutta la foga e la rabbia covati si trasformarono, per un attimo, in terrore.
Schiacciata dalla potenza dell'aura di Pearl, Hillary strinse i denti e piantò un pugno fragoroso al suolo; maledisse la propria impotenza e soffocò qualche altra imprecazione.
In quel momento, il silenzio tornò a regnare sovrano.
Pierce era rimasto tutto il tempo dietro al proprio banco a meditare; la sua espressione sembrava voler dire che ancora non riusciva ad accettare tutta quella situazione.
Dall'altro lato, Kevin era rimasto a fissare Rickard con sguardo assente. Aveva anche provato ad avvicinarsi e tendergli una mano di conforto, ma né il suo corpo si decise ad obbedire, soggiogato dal timore, né la situazione sembrava essere favorevole ad un atteggiamento di riguardo nei confronti del compagno.
Kevin Claythorne osservò il rapido sgretolarsi che aveva subito la sua ristretta cerchia di confidenti, ricordando la promessa fatta a Lawrence e Rickard settimane prima che non avrebbe mai potuto portare a compimento.
June si era tolta dalla mischia nel momento in cui il corpo di Hillary era capitolato al suolo; riprendendo fiato, tentò a sua volta di venire a patti con la propria coscienza.
Nel guardare Rickard non riuscì a non provare una sensazione di disgusto, la stessa che aveva sentito nell'udire il verdetto di Alvin.
Eppure, probabilmente mitigato dalle urla di disperazione di Hayley Silver, il suo animo nei confronti dei colpevoli aveva cominciato a porsi sempre più dubbi.
Xavier e Judith erano rimasti a fare da spettatori. 
Lui aveva ritrovato compostezza dopo l'aver evitato le accuse di Rickard e, di conseguenza, una dolorosa ed immeritata fine. Il panico sopraggiunto nel corso del processo si era andato lentamente ad alleviare.
Lei, dall'altra parte dell'aula, continuò la propria lotta interiore tra la parte di sé che voleva dare un seppur minimo aiuto a Rickard e quella che non voleva commettere nuovamente gli errori del passato.
A differenza delle altre volte, inoltre, Michael non sembrava particolarmente sollevato dall'aver scampato l'esecuzione.
L'enorme quantità di sudore prodotto dalla sua fronte mostrò quanto l'Ultimate Chemist avesse compreso di aver evitato la morte per un soffio.
Rimase a riprendere aria osservando ciò che accadeva da lontano, sorprendendosi in maniera particolare di ciò che Hillary aveva espresso.
Karol Clouds, infine, fu l'unico a muovere dei passi in direzione di Rickard; lo sguardo dell'insegnante era colmo di tristezza e rimpianto, ma la sua facciata di comprensione e autorevolezza non venne meno.
Rickard sollevò debolmente lo sguardo.
- Ah, Prof... - mormorò - Sei venuto anche tu a dirmi che mi odi...? -
- No, Rickard. Niente del genere... - sospirò lui - Voglio solo capire. Tutto qui -
Rickard Falls tossicchiò una risata nervosa.
- Capire...? Cosa c'è da capire? E' come ha detto Hillary, no? - disse con un filo di voce - Sono un mostro. Un mostro che ha assassinato due persone e ha tentato in tutti i modi di farla franca. Perché...? Perché volevo uscire da qui... ovvio -
- No, Rickard, ti sbagli - rispose perentorio - Non esistono "mostri" in questo gruppo. Siamo tutti esseri umani disperati che tentano a tutti i costi di sopravvivere. E io ho avuto modo di conoscere un Rickard gioviale e sorridente, e sono assolutamente certo che non fosse una semplice pantomima per ingannarci -
- Come puoi essere così sicuro...? -
- Lo so e basta. Se non fossi in grado di discernere almeno questo... che razza di insegnante sarei? -
Falls mostrò un altro, flebile sorriso.
- Sai, credo di capire cosa... provasse Alvin -
Gli occhi di Karol si illuminarono.
- Cosa intendi? -
- Credo di aver compreso da cosa derivasse il suo dolore - alzò lo sguardo verso il soffitto - Voleva rivedere a tutti i costi una persona, qualcuno di talmente speciale che il solo rischio di morire in questo posto o rimanerci in eterno sembra... inaccettabile. Un compromesso infattibile, capisci? -
- Quindi vale lo stesso... per te? - Kevin si fece avanti - C'è qualcuno che vuoi incontrare? -
Rickard Falls mascherò tutta la propria angoscia.
- Sì... una persona molto, molto speciale. L'unica, credo, che abbia mai amato più di me stesso - ammise, con voce straziata - Le ho promesso che l'avrei raggiunta al mio ritorno. Le avevo preso un regalo... volevo solo... solo riabbracciarla ancora una volta... -
- Ma perché Vivian...? - chiese June - Perché ammazzarla in quel modo...? 
- Credetemi, ad un certo punto la mia mano si è mossa da sola. Ero completamente in preda al terrore... - rispose - Vivian... Vivian voleva proporre di restare qui per  sempre... di creare un'oasi dove nessuno di noi sarebbe più dovuto morire. Voleva accettare fino in fondo le regole di questo postaccio e... arrendersi -
- Vivian voleva... "arrendersi"...? - mormorò Hillary - Voleva restare qui? -
Rickard si asciugò alcune lacrime e prese aria.
- Voleva proteggerci. Tutti noi; soprattutto te, Hillary. E... - tirò su col naso - E Lawrence... -
- Era quello il tuo... "compromesso infattibile" - asserì Xavier.
Rickard si limitò ad annuire un paio di volte.
- Ho... ho ucciso due persone. Due innocenti. Due... due miei compagni. E lo ho rimpianto per tutto il tempo ma... MA...! - batté con forza il pugno sul banco - Ma per quanto sia orribile, io... IO...! -
Il concetto che Rickard tentò di esprimere era, oltre che di facile intuizione, piuttosto crudo e difficile da pronunciare.
Il resto della classe fu pervasa da un gelido brivido; la determinazione dell'Ultimate Voice Actor, in forte contrasto con la figura di lui che si erano creati nel corso del mese, mise a dura prova la fede di ognuno dei sopravvissuti.
- Io... voglio... DEVO RIVEDERLA! -
- Parole magnifiche, ma vane! -
Come tutti si stavano aspettando, la mefitica voce del pupazzo ursino fece capolino dagli schermi del tribunale.
Come una sola persona, tutti alzarono il capo.
Le pupille di Rickard Falls si dilatarono all'inverosimile.
- T-tu...! -
- Proprio io! - sghignazzò l'orso - Devo essere sincero, questo caso è stato emozionante all'ennesima potenza! Rickard Falls, sei una gran mente criminale, lo sai!? -
- Piantala di prendermi per il culo! - inveì lui - Io non... non starò alle tue regole! Non ti permetterò di ammazzarmi! -
Lo sguardo rossastro di Monokuma si fece più intenso.
Pierce Lesdar sentì l'energia alle gambe venirgli meno.
- Ooh? E qui chi abbiamo? Un assassino che gioca a fare l'eroe? Credi di essere... "superiore" alle leggi che regolano questo mondo? -
- "Mondo"? - sbottò Xavier - Più che altro il tuo personale parco giochi malato. Non sei forse tu che giochi a fare la divinità? -
- Già! Non sei che un codardo! - lo attaccò June - Sei lì a goderti lo spettacolo, seduto comodamente in poltrona! Perché non ti mostri, se ne hai il coraggio!? -
A quel punto, la sagoma di Monokuma comparve nella propria interezza nello schermo.
Sfoderò un artiglio in segno di minaccia; nonostante fosse solo un video, tutti ne avvertirono la pericolosità.
- Lasciate che vi dia un importante chiarimento - fece l'orso, con voce lenta e crudele - Io non "gioco" a fare Dio. Fintanto che siete nel mio mondo, io SONO Dio! Fino a che sarete in questa scuola, voi siete il gradino più basso della scala gerarchica! Siete anche meno di semplici pedine: siete giocattoli dei quali ho il diritto di vita e morte! E, a tal proposito, credo che sia proprio giunto il momento di dispensare un po' di quest'ultima! -
A quelle parole, le porte della sala delle punizioni si spalancarono con un boato.
Rickard Falls indietreggiò istintivamente.
Uno spiacevole ricordo balenò nella mente di Judith nel momento in cui gli stessi arti meccanici che avevano ghermito e portato via Hayley erano ricomparsi in scena.
- No... NO! - urlò Rickard - LASCIAMI STARE! IO DEVO USCIRE DA QUESTA CAZZO DI SCUOLA! -
- Mi spiace, mio caro! Le regole valgono per tutti! Hai perso, e ne paghi le conseguenze! E, guarda caso, ho preparato una punizione molto speciale per Rickard Falls, Ultimate Voice Actor!
Punizione a cui spero nessuno avrà obiezione alcuna! -
Con quel discorso, Monokuma rivolse il proprio sguardo verso il resto della classe; in particolar modo, la sua attenzione andò su Judith.
L'Ultimate Lawyer deglutì a fatica.
- L'ultima volta abbiamo incontrato una piccola opposizione all'esecuzione, e te la sei cavata con una scossetta. Ma sia ben chiaro... - fece l'orso - Provate a mettervi in mezzo, e verrete giustiziati assieme a lui! E' il mio ultimo avvertimento! -
Bastò quella singola frase a soffocare completamente ogni barlume di rivolta. Pearl e Karol avevano già iniziato a dirigersi verso Rickard, ma si trovarono immobilizzati dal peso di quella minaccia.
Sotto il lo sguardo impotente, i primi due arti meccanici si avvinghiarono alle braccia di Rickard, che aveva tentato la fuga verso l'ascensore.
- NO! LASCIAMI, HO DETTO! LASCIAMI! - strepitò lui, mentre incontrava sempre più resistenza.
Allungò la mano verso uno dei banchi del tribunale, affondando le unghie nel legno fino a cavarlo con la sola forza delle proprie mani.
Quella manifestazione di potenza sorprese persino lo stesso Monokuma.
- Ho detto... che non mi lascio... UCCIDERE! -
- Rickard... - pianse Judith, coprendosi il volto.
La mano dell'Ultimate Voice Actor continuò a scavare nel legno in cerca di un appiglio più saldo, ma sapeva di stare per raggiungere il limite della sopportazione.
Le forze iniziavano a venire meno, e sempre più arti lo stavano trainando verso la sala.
L'ultimo, disperato tentativo di Rickard Falls andò a vuoto nel momento in cui perse del tutto la presa sul banco.
Il suo corpo venne trascinato via, scivolando sul pavimento lustro, lasciando una scia di unghiate e lacrime.
- NOO! NON PUOI... NON POSSO...! AIU... AIUTATEMI...! -
A quel punto, le sue urla persero ogni potere. Alzando momentaneamente lo sguardo, vide riflesso in ognuno dei propri compagni un sentimento di angoscia e impotenza.
Sapeva che nessuno sarebbe potuto venire in sue soccorso, sapeva che ogni speranza di poter scappare era vana.
Aggrappatosi con l'ultimo briciolo di forze rimasto, riuscì per un attimo ad intravedere, nel vuoto, lo scintillare di due occhi color verde smeraldo che lo fissavano con dolcezza.
Un'immagine residua di un'immaginazione che Rickard Falls sperò con tutto se stesso essere vera.
- Vera... Vera! - mormorò, prima di svanire nel buio della sala - VERAAAAA!!! -
Poi, le porte si chiusero; tacque ogni rumore.





Quando il mondo smise di girare, Rickard riprese lentamente i sensi per poi accorgersi di essere circondato da un buio profondo e assoluto.
Gli arti meccanici lo aveva trascinato per un tragitto notevole, ma non riuscì a capire effettivamente quanto lungo.
Tutto ciò che Rickard Falls sapeva era di essere stato messo in posizione verticale e che braccia e gambe gli erano stati legati e saldamente bloccati.
Provò a scuotere con violenza ogni parte del proprio corpo; ogni muscolo tentò di opporsi a quella prigionia.
Avvertì del freddo materiale a contatto con la propria schiena, come se fosse appoggiato su una pedana metallica.
Poi, ad un tratto, le luci si accesero. Delle lampadine rosse che emanavano una luce fioca e soffusa.
Rickard socchiuse gli occhi, accecato dall'improvvisa nitidezza di ciò che aveva di fronte.
Poi, si guardò attorno.
Era stato legato davanti a quello che sembrava essere un leggio: vi era una piccola impalcatura con sopra montato un microfono. Di fianco vi erano alcune sedie e delle grosse casse collegate ad un proiettore. Da quest'ultimo partì un suono che ne segnalò l'accensione.
Rickard Falls continuò invano a tentare di liberarsi dalla morsa, ma sembrava essere molto più solida di quanto non apparisse già.
Ancorato alla parete, il giovane osservò con volto terreo lo svolgersi degli eventi.
Il video proiettato sembrava cominciare come un vecchio film di chissà quante decadi precedenti.
Un conto alla rovescia precedette l'apparizione di un'enorme scritta in grassetto, ben marcata: "MONOKUMA HOME THEATRE".
A fare la propria comparsa in scena fu un piccolo Monokuma nelle stesse ed identiche condizioni in cui si ritrovava Rickard.
Braccia e gambe erano state inchiodate alla parete, e altri due Monokuma gli erano di fianco mostrando espressioni malevolmente beffarde.
Rickard Falls ebbe uno sgradevole presentimento. Guardò con orrore alla propria destra e sinistra: grazie alla migliore illuminazione notò la presenza di due orsi meccanici che gli risero di gusto in viso.
Dall'esterno della sala, gli spettatori poterono vedere solo lo schermo e l'altra parte della pedana metallica.
Pearl strinse la propria mano sul braccio, che le tremò. Riuscì solo ad immaginare il terrore dipinto sul volto dell'Ultimate Voice Actor.
Una musichetta allegra cominciò a suonare nel momento in cui il filmato andava avanti. Lo stile grafico e sonoro potevano indurre a pensare si trattasse di un cartone animato vecchio stampo, ma nulla poteva essere considerato normale od innocuo in quella sala.
Uno dei due Monokuma aguzzini aveva tirato fuori una mazza da baseball comicamente enorme.
Caricò un colpo e, dopo appena un secondo, piantò un colpo ben assestato sul fianco del Monokuma prigioniero, che mostrò un'evidente smorfia di dolore.
Rickard non ebbe neppure tempo di rendersi conto di che significato avesse: avvertì un dolore lancinante al fianco destro.
Lanciò un urlo disperato, voltandosi di scatto: l'orso alla sua destra lo aveva appena colpito con una mazza da baseball di metallo.
Lo show continuò imperterrito mostrando ogni tipo di tortura subita dal Monokuma intrappolato.
Il resto della classe notò come i due pupazzi ai lati della pedana metallica imitassero ogni movimento che appariva sullo schermo, come a replicarne, oltre che lo stile, anche la ferocia.
Comparve prima un martello, poi un paio di pinze, e a seguire dei guantoni borchiati.
Dal lato delle tribune fu facile comprendere ciò che i due Monokuma stessero colpendo, oltre quella pedana.
June e Pierce smisero quasi subito di vedere, terrorizzati.
Nel cartone animato apparve un coltello; uno dei Monokuma lo conficcò nella gamba del malcapitato.
Kevin e Karol rimasero come ipnotizzati da quello sfoggio di violenza.
Xavier e Michael rimasero a guardare come per dare a se stessi un monito.
Una sega circolare apparve tra le mani di uno dei carnefici; mentre il Monkuma nel video vide il proprio fianco lacerarsi brutalmente, del sangue iniziò a schizzare dalla pedana.
La motosega si bloccò prima di scendere più in profondità.
Nel pieno di quel miscuglio di tensione e paura, Judith passò le unghie più volte sul vetro antiproiettile che la separava dal macabro spettacolo, come nel tentativo debole ed inutile di fare qualunque cosa per aiutarlo.
Hillary, più di tutti, si ritrovò a combattere con più parti del proprio animo. Il suo volto non mosse nemmeno un muscolo per tutta la durata dell'esecuzione.
Non le scesero lacrime, ma nemmeno si sentì sollevata o appagata.
Vi era il nulla; un vuoto siderale incolmabile.
A quel punto, il video arrivò alla sua aspettata, tragica conclusione.
I due Monokuma legarono il terzo con delle funi metalliche e, premendo un pulsante, attivarono una scossa elettrica che fece esplodere l'intera struttura.
Rickard Falls osservò la scena con il cuore in gola. Ebbe appena il tempo di urlare qualcosa di indefinito, poiché dalla sua bocca non uscì altro che sangue e saliva.
Dopo appena un attimo, l'intera sala fu avvolta da corrente ad altro voltaggio, e ben presto non vi fu che un cumulo di fumo e fiamme.
Tutto ciò che era nella stanza, se non era andato a fuoco, rimase coinvolto nell'esplosione dei circuiti elettrici.
Vi furono alcuni momenti di inquietante silenzio.
Un Monokuma arrivò dopo breve tempo con un estintore alla mano, sedando tutto ciò che era rimasto delle fiamme.
Da esse ne uscì la sagoma di un corpo martoriato con dei vestiti carbonizzati e il volto fisso su di un'espressione di terrore.
Delle tende rosse scesero dal soffitto fino a occultare la scena.
Il sipario era calato.




La classe si era lentamente ritirata verso l'ascensore; anche quella volta nemmeno una parola uscì dalla bocca di nessuno.
Era una situazione a cui era impossibile fare l'abitudine.
L'ascensore era sempre più vuoto e spazioso ad ogni tragitto; l'innegabile verità della natura di quel posto costrinse tutti gli studenti a chinare il capo.
Xavier fece per seguire gli altri all'interno, ma qualcosa distolse il suo sguardo.
Si voltò di spalle: non tutti gli studenti avevano abbandonato il tribunale.
Hillary Dedalus non aveva mosso un passo dalla sua posizione; i suoi occhi erano ancora fissi sulle tende rosse della sala delle punizioni.
Il resto della classe notò il comportamento anomalo, ma nessuno se ne meravigliò.
Si scambiarono tutti un'occhiata comprensiva.
Una voce si levò dal mezzo.
- Vado io -
Karol Clouds si fece largo in mezzo ai pochi rimasti.
- Sei... sicuro, Prof? - chiese Judith - E' un momento delicato -
- Ne sono cosciente, ma non possiamo lasciarla lì - annuì tristemente - Vado a parlarle -
Nessuno ebbe niente da ridire. June lo pregò di utilizzare le parole giuste, ma sapeva di avere a che fare con un ragazzo capace.
In una situazione simile, l'unico affidabile pareva essere l'Ultimate Teacher.
Karol aggirò lentamente il perimetro circolare del tribunale, con passo lento e cadenzato.
Dal rumore dei suoi passi sarebbe stato semplice capire che si stava avvicinando, ma Hillary non batté ciglio.
Lui si portò al suo fianco, nella medesima posizione.
Dall'altro lato della stanza, diverse paia di occhi curiosi stavano scrutando la situazione chiedendosi come Karol sarebbe riuscito a fare breccia nell'animo devastato della compagna.
I due rimasero in silenzio per diverso tempo.
Hillary scrutò il leggero muoversi delle tende di velluto rossastro come a cercare un significato che non esisteva.
Karol non riuscì a sopportare quella vista miserevole, neanche per un secondo di più.
- Hillary... - le disse - Dobbiamo andare -
Lei sollevò lievemente il labbro superiore.
- Andare...? Andare dove? - chiese - Ad ucciderci...? -
- Vorrei davvero trovare un modo per evitarlo - asserì lui - E non intendo lasciarti qui da sola -
Lei strinse i pugni.
- Vivian non sarebbe dovuta morire... - disse con voce soffocata.
- Nessuno meritava di morire, tra noi - la corresse lui.
- Nessuno...? Nemmeno... gli assassini? -
Karol scosse il capo.
- Dimmi, Hillary. Come ti senti ora che Rickard è morto...? - le chiese con tono neutro, ma malinconico - Soddisfatta? Senti che la morte di Vivian è stata vendicata? -
- No, io... io non... -
- La rabbia spesso ci porta a mentire a noi stessi - le disse dolcemente - Ma non dobbiamo farci obnubilare il giudizio. Rickard è stato costretto a fare cose che... -
- LO SO! - pianse lei - Lo so che Rickard era solo un'altra... un'altra vittima! Ma io non...! Come faccio ad andare avanti, così...!? -
Karol mostrò un'espressione colma di dispiacere.
- Hillary... -
- Io... per tutta la vita ho... ho finito per dipendere da altre persone... - confessò piangendo - Non sono forte, né fisicamente né mentalmente... ho SEMPRE avuto bisogno di qualcuno a cui appoggiarmi. Qualcuno di più forte che... che mi facesse sentire protetta, capisci? -
- Credo di intuire di cosa parli - annuì tristemente lui.
Lei si asciugò e lacrime con la manica della maglia.
- Ho sviluppato questa... dipendenza affettiva da cui non riesco a liberarmi...! - strepitò - E ora che Vivian è morta, io... io cosa farò...!? Io non volevo... non volevo dire quelle cose a Rickard, ma...! Ero così frustrata! E spaventata! Non sapevo nemmeno cosa stavo dicendo, e...! -
- Hillary - le appoggiò di scatto le braccia sulle spalle - Le debolezze del nostro animo sono dolorose e complicate da superare, ma non sono ostacoli insormontabili. Per nessuno -
- N-nessuno...? -
- Non puoi continuare a dipendere da qualcuno per tutta la vita, ma so che è difficile abituarsi ad un nuovo stile di vita. Permettimi di aiutarti -
L'Ultimate Clockwork Artisan mostrò uno sguardo confuso, ma al contempo quasi sollevato.
- Aiutarmi? -
- A superare il tuo complesso - sorrise lui - Me lo permetterai? -
- Ma perché...? Perché vorresti...? -
Lui si sistemò lo cravatta.
- Perché sono il tuo insegnate. Anzi, anche di più - disse, porgendole la mano - Sono tuo amico -
Vi fu una pausa in cui gli occhi dei due si incrociarono. Hillary scavò a fondo in quelli di Karol per trovare anche solo la minima traccia di gentile falsità dietro le sue parole.
Ma non vi fu niente, non ne trovò.
La ragazzina dai capelli rossi scoppiò in un pianto liberatorio per poi fiondarsi tra le braccia di Karol, affondando la testa nella sua camicia azzurra.
Osservando la scena, il resto della classe riuscì a ritrovare parzialmente un po' di serenità.
- Karol ci sa fare, eh? - commentò June, sorridendo.
Diverse teste fecero cenno di assenso, fatta eccezione per Michael, troppo orgoglioso per mostrare empatia, e di Xavier e Judith.
Questi ultimi parvero profondamente immersi nelle parole di Karol; ciò che l'Ultimate Teacher aveva pronunciato per aiutare la compagna era un qualcosa che destò in loro numerose considerazioni.
Dall'altro lato del tribunale, Karol rimase in piedi, fermo, stringendo le braccia attorno alle spalle di Hillary, incitandola a portare fino in fondo il proprio pianto purché la facesse sentire meglio.
Le calde lacrime della compagna non lo infastidirono affatto. Al contrario: sul volto di Karol era comparso un sorriso sincero e soddisfatto.
Sentì di avere tra le mani un proprio piccolo, personale successo.
Carezzò più volte i capelli di Hillary, stringendola a sé. 
Plasmare lo spirito di un allievo e compagno e aiutarlo a rialzarsi fu per lui la sua più grande conquista.
- Andrà tutto bene, Hillary - pensò - Ti proteggerò io, ora. Ti farò uscire di qui, te lo prometto -
Lei non rispose. Si limitò ad annuire debolmente con la testa.
Karol avvertì, nonostante tutto, la sua gratitudine.
Altre lacrime andarono versate sulla camicia del Prof, ma ogni goccia aveva la consistenza stessa del successo.
Poi, Karol Clouds avvertì una sensazione peculiare.
Una strano senso di calore appiccicaticcio, quasi fosse sudore.
In principio nemmeno ci fece caso, ma col tempo divenne più incalzante.
Abbassò lo sguardo.
Hillary Dedalus era ancora abbracciata a lui; singhiozzò ancora per alcuni istanti.
Karol Clouds avvertì di nuovo quello sgradevole sentore, stavolta individuandone la fonte. Proveniva dal punto in cui Hillary aveva posto la fronte sul suo petto.
- Hillary...? - chiese.
- Sì? -
D'istinto, Karol scostò delicatamente e con gentilezza il capo della compagna dal proprio corpo.
Fu lì che il suo sguardo si congelò.
Assieme alle lacrime ed a chiare tracce di muco, una gigantesca chiazza di sangue era apparsa a macchiare la camicia.
- Cos-...!? - esclamò, atterrito.
Non avvertì alcun dolore, nessuna fitta in alcuna parte del corpo. Men che meno dal petto.
Poi, un pensiero orrendo gli attraversò la mente: guardò davanti a sé.
Le narici di Hillary Dedalus avevano iniziato a perdere copiosamente sangue.
Quest'ultima mostrò uno sguardo confuso, come se a stento se ne fosse accorta.
- H-Hillary!? -
- Ma cosa...? - si domandò placidamente lei.
Il resto della frase non uscì. Quando mosse le labbra, ciò che ne uscì fu una violenta scarica di vomito.
Sostanze intestinali miste a sangue caddero ai piedi di Karol, che si ritrovò ad osservare una scena tutt'altro che piacevole.
Hillary tossì violentemente, appoggiandosi con il braccio al banco per sorreggersi. Un fiumiciattolo di sangue cominciò ad uscirgli dalle cavità oculari.
- HILLARY! - gridò Karol - AIUTO! RAGAZZI, AIUTATEMI...! -
Il resto della classe si precipitò fuori dall'ascensore nel momento stesso in cui udirono le prime urla.
- Ma che cazzo...!? - si sbalordì Xavier alla vista di Hillary, correndo verso i due compagni.
L'Ultimate Clockwork Artisan non riuscì più a contenere tosse e vomito. Si ritrovò ad annaspare alla disperata ricerca di aria, ma persino i polmoni si rifiutarono di collaborare.
Perse l'equilibrio, cadendo a terra in mezzo al proprio stesso sangue.
Karol Clouds rimase completamente paralizzato, incapace anche solo di muovere un muscolo.
I loro sguardi si incrociarono di nuovo, stavolta con un significato differente.
Hillary tese la mano verso di lui, vomitando altro sangue.
Cinque piccole, sottili dita ossute si trascinarono verso la sagoma esterrefatta di Karol, pregandolo in silenzio di fare qualunque cosa.
- A-a..iu...t-t...oooh... -
Karol tese a sua volta la mano in uno slancio di istintiva pietà.
Arrivò quasi fino a sfiorarle le unghie.
Poi, il braccio di Hillary cadde a terra. La ragazza rimase immobile, lo sguardo vitreo fisso nel nulla.
Nel momento in cui il resto della classe si riunì attorno a lei, nessuna parte del suo organismo sembrò dare cenni di vita.
Pierce, Kevin e June guardarono la scena con profondo orrore.
Judith, Xavier e Pearl non riuscirono a credere nemmeno per un istante a ciò a cui avevano assistito.
Michael mosse lentamente dei passi all'indietro, spaventato all'inverosimile.
Karol, invece, cascò in ginocchio.
Allungò le braccia verso le spalle di Hillary come aveva fatto poco prima, dandole una lieve scrollata.
- Hillary...? - la chiamò - Hillary, rispondi... Hillary? -
Passarono degli interminabili momenti di dolente terrore.
Momenti in cui, nella mente dell'Ultimate Teacher, si alternarono rapidamente immagini di una Hillary rabbiosa, triste e devastata a quelle del suo corpo freddo e dilaniato dal dolore.
- Hillary... - la chiamò un'ultima volta, con voce sempre più debole.
Poi, l'Ultimate Teacher lanciò l'urlo di dolore più forte che si fosse mai sentito in quell'aula di tribunale.


   
 
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