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Autore: _Qwerty_    29/10/2017    6 recensioni
Andromeda Black si scopre presto più matura della sua età e dei suoi compagni e deciderà di non aver paura delle proprie scelte, anche quando tutto sembra farle male.
Demetra Lestrange, molto talento, molti galeoni e molti complessi di inferiorità, imparerà col tempo che il compromesso non è sempre possibile, ma anche che non tutto il male viene per nuocere.
***
Eccomi qua con una nuova storia, quella che da tempo si nasconde nel pc e che finalmente ho ripreso in mano, ma soprattutto che ho trovato il coraggio di pubblicare qui. Si parlerà di Andromeda, di come ha conosciuto Ted e come ha maturato la decisione di allontanarsi dalla famiglia e scegliere lui, una nuova vita e nuovi valori, ma anche della sua miglior amica, Demetra Lestrange, un personaggio di mia invenzione, sorella minore dei famigerati Lestrange Mangiamorte e a sua volta sempre in bilico fra l’orgoglio purosangue tentato dalle arti oscure e la fedeltà ai sentimenti dell’amicizia e della giustizia.
La storia è stata scritta in parte anni fa e in parte adesso ed è una storia a cui tengo molto, per cui le recensioni sono ancora più gradite!
Genere: Angst, Generale, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Andromeda Black, Bellatrix Lestrange, Famiglia Black, Famiglia Lestrange, Nuovo personaggio | Coppie: Lucius/Narcissa, Rodolphus/Bellatrix, Ted/Andromeda
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dai Fondatori alla I guerra, Malandrini/I guerra magica
Capitoli:
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23. epilogo


XXIII



Quella mattina Demetra si mise al lavoro subito dopo colazione.
Suo padre andò al Ministero, ma Demetra sapeva che non era quella la mattina designata per l’attacco. Aveva ancora quattro giorni di tempo, perché sapeva che sarebbe uscita con Yaxley il venerdì e con tutte le probabilità i fratelli aspettavano proprio quella sera.
Il piano era quello di riprodurre esattamente quanto aveva fatto secoli prima Gramelius: incantare e trasfigurare una statua in maniera così potente che tutti i testimoni che fossero accorsi fuori dal pub avrebbero in seguito giurato di aver visto lei duellare con i fratelli, e cadere morta a terra. La magia doveva essere così potente che anche il cadavere doveva durare abbastanza a lungo da indurre i fratelli a convincersi di averla uccisa, mentre lei si sarebbe trasformata nell’ombra in rapace. Il punto debole, oltre al fatto che era davvero la prima volta dai tempi di Gramelius che qualcuno tentava una cosa del genere, era che prima o poi la magia si sarebbe dissolta e lei contava sul fatto che poi i due bruciassero tutto con l’Ardemonio, cancellando ogni possibilità di ricostruire il fatto. Quanto a suo padre, poteva solo tentare di salvarlo mettendo in allarme Crouch e gli Auror con una lettera anonima, che naturalmente avrebbe protetto da occhi indiscreti con lo stesso incantesimo che aveva usato tempo prima con la lettera ad Andromeda.
L’altra parte del piano riguardava quello che sarebbe accaduto dopo: Demetra decise che sarebbe rimasta una civetta per un po’, per qualche giorno, e poi si sarebbe nascosta più cautamente ai margini della comunità magica scozzese, trasfigurandosi variamente. Quando il mattino dopo i fratelli avrebbero attaccato suo padre, gli Auror sarebbero stati pronti a catturarli cogliendoli sul fatto in gruppo, avrebbero messo al sicuro suo padre da possibili ritorsioni e i due sarebbero stati spediti ad Azkaban. Solo quando fosse iniziato il processo a loro carico e la situazione fosse perlopiù rientrata, lei si sarebbe palesata di nuovo e avrebbe spiegato la situazione a Crouch e al Ministro stesso.
Demetra sapeva che il piano poteva fallire ad ogni passo e la cosa che più la angosciava era che suo padre non sospettava nulla e sarebbe andato incontro all’attacco alla Gringott come un agnello sacrificale, ma probabilmente era anche l’unico modo perché gli Auror mettessero le mani sui suoi fratelli, cogliendoli in flagrante e mostrando così a tutti la loro colpevolezza. Aveva anche preparato una borsa con tutto l’occorrente per la fuga temporanea: una bella borsa di pelle la cui capienza era stata adeguatamente espansa con un incantesimo e riempita di provviste impacchettate e rimpicciolite, boccette di pozioni di emergenza e qualche cambio. La statua designata a fare da substrato per l’incantesimo illusorio l’avrebbe presa da un cimitero monumentale della città Babbana: ormai spesso certi maghi ubriachi prendevano di mira i cimiteri Babbani vandalizzando le opere in pietra e mettendo su incantesimi ai danni dei Babbani, per terrorizzarli ancora di più in quel luogo di morte, per cui nessuno avrebbe fatto caso ad una statua mancante.
Sarebbe andato tutto bene, si ripeteva Demetra, e lei sarebbe stata quella che avrebbe assicurato i suoi fratelli alla giustizia, avrebbe riportato in alto il nome della famiglia e avrebbe mostrato a tutti quale era la verità.
Ogni volta che ripassava il piano accarezzava l’anello, sperando che davvero la proteggesse dalla malasorte, e pensava a suo padre.
La sera prima del venerdì, a cena, decise di tornare sull’argomento.
“Devo dirti una cosa – iniziò, aspettando che il padre le facesse cenno di continuare – Vorrei restituirti l’anello.”
“E perché mai? Io ho deciso che sei tu l’erede, per me le cose tanno benissimo così, e tu hai dimostrato di essere pronta.”
“No, io non credo di essere pronta. O meglio, io non credo che sia questo il tempo.”
“E cosa te lo fa dire?”
Demetra non poteva dirgli che contava sul fatto che gli Auror avrebbero salvato lui alla Gringott e avrebbero catturato i suoi fratelli mentre lei viveva in clandestinità, ma sapeva anche che suo padre riusciva sempre a cavarle di bocca la verità, che chiudesse la mente o meno, così optò per una mezza verità.
“Ho fatto dei sogni con l’anello indosso. E se l’anello protegge l’erede dal malconsiglio, credo di dovermi fidare del sogno.”
Suo padre la guardò a lungo, per poi sorridere.
“Come vuoi.”
Demetra sorrise a sua volta e gli restituì l’anello.
“Posso sempre farne una copia come quella che tu hai dato a Rodolphus, per bullarmi un po’ se ce ne fosse bisogno” aggiunse per sdrammatizzare, e suo padre rise di gusto.
Andrà tutto bene, si obbligò a pensare.

***

“Allora buonanotte. Ci vediamo.”
“Ci vediamo? Sei proprio sicuro, Corban?” rispose Demetra, fissandolo diretta negli occhi.
Lei sapeva che lui sapeva ed ebbe la percezione che anche lui sapesse che lei aveva capito ogni cosa.
Il ragazzo non rispose niente, ma alla fine fu Demetra a fargli abbassare lo sguardo.
Si incamminò verso la piazzetta davanti al pub Il Velo, la bacchetta salda in mano.
Ad un certo punto, come aveva previsto, arrivarono. O meglio, prima arrivò un’ondata di aria fredda come poche volte aveva sentito, e poi avvertì che qualcuno si era appena materializzato.
“Oh, chi abbiamo qui? La nostra sorellina adorata” disse nel buio la voce di Rodolphus.
Poi avanzò sotto la luce dei lampioni, dando le spalle alla vetrata scura del pub e Demetra vide che portava una lunga veste nera, forse quella con cui i Mangiamorte erano soliti compiere gli attacchi, ma camminava col cappuccio abbassato, a volto scoperto.
Qualche passo dietro di lui, Rabastan si guardava intorno. Forse aveva il compito di controllare che nessuno intervenisse.
Rodolphus scagliò uno Schiantesimo non verbale, ma Demetra aveva già evocato uno scudo.
“Tu sai fare solo il Sortilegio Scudo, vero?” ghignò lui.
Non cedere alla provocazione, non cedere alla provocazione, lascialo solo camminare fino al punto…
Demetra evocò un altro scudo, ma lo Schiantesimo del fratello superò per un pelo la barriera e fece alzare una nuvola di polvere, facendo saltare diverse pietre del lastricato a terra.
“Non ho intenzione di rincorrerti. Crucio!”
Il Sortilegio Scudo servì soltanto ad attutire la morsa che investì la pancia di Demetra e a darle il tempo di trascinarsi nell’ombra a riprendere fiato, col cuore che batteva all’impazzata. Non doveva cedere al dolore che sentiva in testa e perdere la lucidità, quella era la sola cosa che poteva fare la differenza.
Rodolphus avanzò ancora, scagliando maledizioni nel buio e facendo esplodere le panchine in pietra sul lato della piazzetta. Il trambusto attirò gli avventori del pub alla vetrata e qualche impavido fece capolino fuori.
“Più pubblico c’è meglio è, no, Rab? Così anche Lui avrà dei testimoni se vorrà” commentò Rodolphus.
“Avanti, fatti sotto, non ho paura!” emerse la voce di Demetra nel buio.
“Che succede qui?” intervenne MacAllister il locandiere.
“Affari di famiglia in cui non devi impicciarti” rispose Rabastan per tutti.
Sotto la luce dei lampioni, MacAllister e tutti gli avventori videro Rodolphus Lestrange che duellava con la sorella Demetra a colpi di fatture e nessuno sembrava avere l’intenzione di fare alcunché. Qualcuno forse aveva cercato di smaterializzarsi, ma Rabastan doveva aver lanciato sull’intera piazzetta un incantesimo anti-materializzazione.
Demetra perse il senso del tempo e dello spazio, rannicchiata nel buio addossata al muro sul retro del pub, concentrata a mormorare a mezza voce le formule che dovevano guidare i gesti della statua trasfigurata, mentre sentiva una morsa di dolore stringersi sempre di più attorno alle tempie. Era la fatica che comportava una magia del genere e sapeva anche che non poteva durare ancora a lungo. Inoltre, la statua non scagliava reali fatture ma pronunciava solo le parole, limitandosi a scoppi luminosi e a schivare i colpi. Perché Rodolphus ci metteva tanto a scagliare l’Anatema che uccide?
Ormai la polvere dovuta alle fatture scagliate alla cieca era alta e non si vedeva più molto. Demetra tremava e ondeggiava mormorando tutte le formule degli incantesimi di illusione per sostenere il sortilegio sulla statua, ma percepiva che il controllo stava venendo meno e anche la statua aveva movimenti più rigidi e meno naturali.
“Adesso basta” disse Rodolphus, freddo.
Dai, fallo.
Avada Kedavra.
Pur nel buio umido del retro del pub, Demetra sentì il freddo della lama verde fendere l’aria e colpire la sua statua personificata.
Non doveva perdere il controllo, quello era il momento più importante.
Ripeté ancora la formula decisiva, sforzandosi con la gola e con tutti i muscoli del collo perché la voce non tremasse e con la testa perché il controllo non la abbandonasse.
Ad un certo punto fu il silenzio.
“Morgana grande, è tutto vero! È davvero la ragazza Lestrange!” esclamò qualcuno.
Nella mente di Demetra passò l’immagine del proprio cadavere steso a terra e impolverato, sul lastricato divelto della piazzetta.
“Missione compiuta, mio Signore” esclamò Rodolphus.
Si voltò verso Rabastan, con un sorriso luciferino.
Morsmordre!” disse Rodolphus alzando la bacchetta verso il cielo nero.
“Lo spettacolo è finito, gente – biascicò Rabastan – MacAllister, puoi chiamare gli Auror adesso.”
“Ehi, ma non mi avete aspettato? Sono arrivato ora io!” disse esaltata la voce di Avery.
“Sì, io ho già fatto, andiamo” disse Rodolphus, senza degnare di uno sguardo il corpo della sorella.
“Uffa! No, ora io accendo un po’ di luce e ci scaldiamo un po’!”
Rodolphus capì in ritardo cosa voleva dire Avery.
“No, testa di cazzo, niente Ardemonio per mano tua! Già l’ultima volta…”
Ma dalla bacchetta di Avery era già uscita una fiamma a forma di serpente, che circondò il corpo della ragazza e si attaccò all’orlo della veste, divampando all’improvviso in una torcia gigantesca.
“Sei un idiota!” iniziò ad urlare Rodolphus.
“Avevo detto di no, cazzo, avevo cambiato idea! E tu non sai controllare il fuoco!”
“Come sei permaloso!” disse Avery con una risata spettrale.
“Almeno cerchiamo di non far bruciare il pub – intervenne Rabastan – Perché sennò questa è la volta buona che MacAllister ci vende agli Auror.”
“Gli Auror stanno arrivando, se è per questo, andiamocene e basta. MacAllister sa badare a sé stesso e se non lo sa fare, la faremo pagare anche a lui” disse Rodolphus, smaterializzandosi.
Avery lo seguì, mentre Rabastan indugiò un attimo a contemplare le fiamme che si spandevano nella piazzetta, con il calore che aveva iniziato a far sciogliere anche le pietre e tutti stavano semplicemente cercando di scappare dalla fornace che stava diventando la piazzetta.
Ancora rannicchiata a terra, Demetra sentiva arrivare il calore del fuoco magico fino a lì e le voci concitate degli avventori. Qualcuno si era smaterializzato non appena i fratelli avevano revocato l’incantesimo andandosene loro, altri erano nel panico.
Demetra, l’ultimo sforzo, e domani li prenderanno, tuo padre e Crouch e Andromeda capiranno e giustizia sarà fatta.
Facendo appello a tutta la sua concentrazione, Demetra si trasformò in civetta e spiccò il volo fino al primo ramo vicino.
L’albero su cui era appollaiata era diverse decine di metri lontano dalla piazzetta, ma i suoi occhi di rapace potevano vedere molto più in lontananza di quelli umani.
Gli Auror erano arrivati e per il momento tutto il loro impegno era quello di spegnere l’Ardemonio e salvare il locale. Solo quando il fuoco fu domato Demetra trovò il coraggio di avvicinarsi, andando a posarsi sul cornicione del pub, e vide un Auror parlare con MacAllister. L’Auror doveva aver evocato una fattura protettiva contro il calore che ancora emanava dal terreno e contro l’odore fortissimo di bruciato.
MacAllister stava raccontando i dettagli dell’agguato, ma sembrava impegnarsi più che altro nell’allontanare da sé i sospetti di essere stato complice dei due Lestrange, dal momento che non aveva chiamato immediatamente gli Auror.
Pochi minuti dopo apparve che un giornalista del Profeta armato di macchina fotografica, che si diresse subito a scattare foto alle pietre fuse e ai cespugli carbonizzati. Mentre MacAllister era ancora a tu per tu con l’Auror, apparvero anche Cuffe, il direttore del Profeta, con gli occhi sbarrati, e il signor Crouch, scuro in volto.
Crouch spinse via il fotografo e si avvicinò al cumulo di pietre dove doveva essere caduto il cadavere di Demetra.
Non era rimasto niente, la carne doveva essersi come evaporata in una nuvola di cenere, mentre un’accozzaglia informe di pietra fusa era sparsa poco distante.
“Dunque è tutto vero – mormorò chinandosi a terra a raccogliere un piccolo grumo scuro e duro, come solidificatosi dopo essere stato fuso, che doveva essere stato a suo tempo un anello o una spilla, comunque un monile magico – La lettera era vera. Merlino ci aiuti.”
“Ferguson e Thompson restano qui a guardia e a raccogliere le testimonianze. Shacklebolt, hai finito?” disse rivolto all’Auror che stava interrogando MacAllister.
“Sì, capo, come vuole lei.”
“Bene, tutti quanti in Dipartimento, riunione d’emergenza” e si smaterializzò con un crack cupo, facendo sobbalzare Cuffe.
Seguì un parlottio diffuso, mentre MacAllister si guardava intorno, incerto se tornare dentro e chiedendosi se l’avesse scampata anche quella volta.
Nella confusione, nessuno si accorse di una civetta che era rimasta appollaiata fissa sul cornicione.



***


NdA: c'è poco da dire, se non che questo è il finale, è ovviamente aperto ad un seguito che è già work in progress e che spero sia all'altezza di tutto il resto! In realtà non sono convintissima, temo che non si capiscano alcune cose e che altre sembrino un po' tirate per i capelli, ma ormai era già tutto scritto e non avrei saputo più metterci le mani. Solo alcune note: ho immaginato che l'Ardemonio sia un fuoco proprio della magia oscura e come tale abbia la capacità di bruciare davvero tutto, compresa la pietra e leghe metalliche, cosa che il fuoco reale fa a temperature diverse e in precise condizioni ambientali, così come per fermarlo non basta l'acqua ma serva l'intervento di vere controfatture che appunto eseguono gli Auror (in fondo, anche in HP7 alla fine l'Ardemonio distrugge la stanza delle necessità e solo la magia che la isola dal resto ferma l'incendio se non sbaglio, no?). Venendo a Demetra invece, converrete con me che il suo piano fa acqua da tutte le parti, ma nella sua testa era importante dimostrare davanti a tutti la colpevolezza e la malvagità dei fratelli, che fino ad allora nessuno aveva mai accusato esplicitamente, perché come  farà poi Malfoy avrebbero anche potuto dire di essere stati sotto l'Imperius, e invece tutti dovevano vedere e sapere.
Dita incrociate per le recensioni!
  
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