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Autore: avocadodonald    29/10/2017    0 recensioni
“Sei un imbecille”. Le ragioni sarebbero tante.
Non ho mai controllato la mia voglia di pane tostato con burro d’arachidi.
Tanto meno le mie erezioni.
Ho spesso paura dei miei pensieri, è vero. Ci sono attimi in cui io stesso provo vergogna nell’immaginare.
Genere: Erotico, Malinconico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Cross-over, Lemon, Lime | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Universitario
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Non riesco ad entrare la chiave nella porta. Non riesco mai al primo colpo.
Adesso è buio e penso che dovrei portarmi dietro il cappotto, invece che uscie con solo camicia e gilet. Magari con una camicia che possa chiudersi tutta.
Questa notte devo anche chiudere quella dannata finestra. Perchè sono sicuro di chiuderla sempre? Forse lo sogno solamente.
Le lezioni non sono ancora iniziate e ho già la tasca dei pantaloni piena di carte e nomi strani.
Nomi di ragazzi e ragazze di cui non conosco il volto e di cui non ricorderò mai i nomi.
Prima di iniziare ogni anno prendo la mia agenda. Mi siedo davanti a loro, agli stronzi dico, e li osservo. Osservo i loro gesti, aspettando che qualcosa catturi la mia attenzione per annotarla. A qualcosa dovrà pure servire quell’agenda. Il più delle volte non so se la penna che tengo in mano funzioni. Non annoto mai nulla. Nulla mi attrae nei loro movimenti. Nulla che valga la pena di essere ricordato e che mi aiuti a distinguerli. Non ricorderò le loro voci.
Mi sento come uno dei protagonisti dei quadri che proietto sulla parete bianca. Mi sento un quadro d’arte contemporanea che non viene capito. Osservato in silenzio. Giudicato. Malamente.
A volte li sento raccontarsi particolari della mia vita che in realtà non sono mai avvenuti.
Chissà perchè amano inventarsi storie. Che stronzi. Se realmente vivessi quella vita forse non avrei bisogno di tenere ancora la fede al dito, per sentirmi meno fallito.
Loro sì che avrebbero bisogno un’agenda.
Li vedo scrivere, scrivere di continuo. Mentre io parlo e parlo di continuo.
Prima o poi prenderò un quaderno a caso e lo leggerò. Chissà cosa dico poi di tanto interessante.
Spero che questa sia una buona annata. Spero che sia un buon vino. Se potessi scegliere lo prenderei bianco. Leggermente frizzante.
Odio la mia gola secca e le bollicine terrebbero a bada la mia noia.
Finalmente riesco ad entrare in casa.
La stanza è bianca e grigia. Accendo le luci: tanti faretti uno dietro l’altro. Allineati perfettamente. Tutto è simmetrico qui.
Non come il mio pane.
Sbottono il colletto della camicia. Il secondo bottone non esiste, quindi passo subito al terzo.
Mi piace proprio questo numero.
Vado in cucina. E prendo il mio pane integrale. Lo tosto. Lo tosto più del dovuto. Mi piace sentire la crosta che graffia sotto i denti. Il rumore della crosta mi fa sentire meno solo, in una casa perfetta dove non riesco ad essere simmetrico.
Mi siedo a tavola. Il piatto quadrato e le fette di pane, il barattolo di burro d’arachidi e…prendo il bicchiere di cartone con la vodka. Me ne ero dimenticato.
“Bugiardo”
In realtà ho pensato tutto il tempo a questo stupido cilindro marrone.
Lo rigiro tra le mani e leggo il nome del bar “Pleonastico”. Sorrido. Uno dei suoi sinonimi è Inutile. Ed è fottutamente inutile continuare a pensare a questa mattina.
Pensare a cosa poi? Al nulla. È così irritante vedere come il nulla faccia parte dei miei pensieri.
Pretende di far parte della mia vita, e ci riesce.
Alla domanda “cosa è successo oggi?” mi viene da rispondere “Nulla”.
Non so perché ho ancora tra le mani questo bicchiere di vodka, ma ne sono felice. Ne ho bisogno adesso.
Lo apro e lo mando giù. Insieme al pane caldo. Il sapore si mescola nella mia bocca creando un calore inaspettato. Ne sono piacevolmente sorpreso.
Finisco il pane e mi rendo conto di non averne abbastanza. Quella sensazione di calore mi faceva sentire sazio.
Riprendo il cartone ormai vuoto. Sì, è vuoto. Sono deluso.
“Bugiardo”
Ho lo strano bisogno di farmelo riempire. Non metà questa volta.
La gola è più secca del solito.
Ho bisogno di sentire il bicchiere colmo. Tanto da sporcarmi e dita. Tanto da sporcare il bancone di quel bar.
Mi alzo di scatto e chiudo l’ultimo bottone della camicia.
Mi ritrovo fuori dal portone col bicchiere in mano. Ho bisogno che lei me lo riempia.
Ho la camicia e gilet. E sono senza cappotto "Imbecille”.
   
 
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