Fanfic su artisti musicali > Bangtan boys (BTS)
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Autore: De_drums    31/10/2017    0 recensioni
Seokjin, ad un certo punto, aveva avuto la più banale e terrificante delle rivelazioni: si era distratto. Non aveva guardato neanche mezzo secondo del film, perdendosi piuttosto ad ammirare il modo in cui il volto di Namjoon si illuminava ogni volta che rideva per una battuta stupida, o ad osservare come le loro mani si sfiorassero involontariamente, nel tentativo di prendere quanti più popcorn possibili; non gli importava dove fossero, cosa dicessero gli attori sullo schermo, se la mattina dopo non si sarebbe retto in piedi per il troppo sonno: era con Namjoon, e tanto bastava.
Era stato devastante rendersi conto di essersi innamorato, e la vocina era ritornata prepotente e beffarda, te l’avevo detto. Aveva cercato di combatterla, all’inizio, ma poi si era arreso: Namjoon gli piaceva sul serio. Non avrebbe saputo dire quando e come le cose erano cambiate tra di loro, semplicemente era successo – un giorno erano colleghi che a malapena si sopportavano, quello dopo facevano sesso, quello dopo ancora erano diventati amici. Era qualcosa di nuovo e spaventoso, e non era sicuro che sarebbe riuscito ad affrontarlo.
Genere: Commedia, Generale, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Kim Namjoon/ RapMonster, Kim Seokjin/ Jin
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno
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(Nda: se nel corso del capitolo doveste ritrovarvi a pensare "oddio, è così cliché", non preoccupatevi: è tutto voluto. Ho spiegato perché alla fine) 




“Namjoon-ah!”
“Sì, hyung?”
"Dovresti sistemare questi" sbuffò, lasciando cadere un plico di fascicoli sulla sua scrivania. “Pensi di farcela entro le otto?”
“Perché non dovrei?”
“Potresti essere troppo distratto” sussurrò lascivamente, sedendosi con noncuranza sulle sue gambe.
Namjoon fremette appena, il suo corpo stava già iniziando a reagire contro la sua volontà. “Lo sarò sicuramente, se continui così”
“Questa mancanza di autocontrollo non è un buon segno, sai? Non si addice ad una persona potente come te, dovresti avere la situazione in mano
“E tu dovresti smettere di tormentarmi”
“Come se ti dispiacesse” ribatté Seokjin, voltandogli le spalle e fermandosi appena prima di uscire dalla porta. "Ti concedo mezzora in più, solo perché sei tu. Otto e mezza, nel mio ufficio -vedi di non fare tardi"
“Puoi contarci" sorrise Namjoon, facendogli l'occhiolino. Si abbandonò contro lo schienale della sedia, le mani dietro la testa, chiedendosi per l'ennesima volta cosa mai avesse fatto di così buono per meritarsi tutte le cose belle che aveva. A ventitré anni, aveva un'intera azienda -ereditata dal padre- ai propri piedi, degli impiegati che lo rispettavano, una famiglia che lo sosteneva e abbastanza soldi da soddisfare qualsiasi capriccio, se solo avesse voluto.
Poi c'era Seokjin: bellissimo, sicuro di sé e altrettanto potente. Figlio di un amico di famiglia -di cui Namjoon conosceva a malapena il nome-, era stato trasferito in seguito ad un accordo tra le rispettive aziende, in quanto entrambi i loro genitori credevano sarebbe stato economicamente vantaggioso unire le due attività. Dire che a Seokjin non era andato giù sarebbe stato un eufemismo: da capo di uno staff di trenta persone, si era ritrovato a fare da stagista ad un ragazzino. Lo considerava un vero e proprio affronto, ma a nulla erano servite le proteste e le liti con il padre -nonostante fossero allo stesso livello, Namjoon era pur sempre il CEO lì e lui avrebbe dovuto sottostargli.
Cosa che non aveva fatto, perché nessuno poteva comandare Kim Seokjin a bacchetta.
Aveva fatto di testa propria fin da subito ma Namjoon non aveva detto una parola, facendolo irritare ancora di più. Come poteva prestargli così poca attenzione, addirittura ignorarlo? Come poteva lasciare che il nuovo arrivato spezzasse l'equilibrio, stravolgendo i metodi di lavoro ormai così radicati negli altri impiegati? Seokjin non riusciva a trovare una spiegazione quindi, dopo settimane in cui la situazione non era sembrata cambiare di una virgola, aveva deciso di parlargli.
Era successo in una domenica mattina, negli uffici deserti dell'immenso palazzo; sapeva che lo avrebbe trovato lì, la sera prima lo aveva sentito blaterare qualcosa a proposito di un progetto ancora incompiuto che doveva portare a termine entro lunedì. Entrando nella stanza, lo aveva trovato con gli occhiali calcati sul naso e una tazza di caffè lì vicino, nel misero tentativo di non addormentarsi sul mucchio di fogli sparpagliato davanti a sé.
Forse era stata la camicia sbottonata per il troppo caldo o il modo in cui Namjoon mordicchiava distrattamente la matita che teneva in bocca, gli ormoni o una botta in testa che non si era accorto di aver preso, ma qualcosa era scattato, nella mente di Seokjin. Non aveva mai avuto modo di soffermarsi davvero a guardarlo, sempre preso dai mille impegni e compiti che doveva svolgere; eppure, in quel momento, non lo vedeva più solo come il ragazzino fastidioso da cui avrebbe dovuto prendere ordini, c'era qualcosa di più.
“Oh, Seokjin-ssi!” l'aveva salutato, notando la sua presenza. “È il tuo giorno libero, come mai sei qui?”
Seokjin si era costretto a scacciare quei pensieri dalla testa. “Devo parlarti”
“Accomodati” l'aveva invitato Namjoon, indicando la sedia.
“Sei il capo qui, giusto?”
“Giusto”
“Allora perché mi lasci fare quello che mi pare? Tuo padre sa che sei così permissivo con i tuoi dipendenti?”
Namjoon aveva riso. “È quello che volevi, no? Non potresti sopportare di essere comandato, l'ho notato appena hai messo piede qui dentro”
“Quindi cosa hai intenzione di fare?”
“Nulla” si era stretto nelle spalle. “Per quanto il tuo atteggiamento sia indisponente, sei bravo e puntuale e non c'è mai un errore nei tuoi lavori. Perché dovrei importi qualcosa che chiaramente non accetteresti?”
“Seriamente?”
“Puoi sempre cambiare azienda, se non ti trovi bene. Non penso avresti problemi, con il viso che ti ritrovi”
Cos'era quello, un tentativo -pessimo- di flirtare con lui? Seokjin alzò gli occhi al cielo.
“Tu non mi piaci, lo sai, vero? Solo perché i nostri genitori sono amici, non vuol dire che noi due dobbiamo andare d’accordo”
“Non ti costringerei mai!” sbuffò Namjoon, lanciandogli un'occhiataccia. “Non so perché tu ce l'abbia così tanto con me ma, per la cronaca, il sentimento è reciproco”
Seokjin lo aveva fissato, non poteva credere alle proprie orecchie -non solo gli aveva dato dell'indisponente, si era pure permesso di rivolgerglisi con quel tono.
Yah, con chi credi di star parlando!?”
“Come sei permaloso, hyung” aveva risposto, calcando volutamente quell'appellativo. “Sei così egocentrico da credere che tutti ti adorino?”
Poi, tutto era successo fin troppo velocemente: Seokjin si era alzato di scatto, Namjoon lo aveva guardato dal basso con un sorrisetto strafottente, e un secondo dopo si stavano baciando. Senza un motivo, senza alcun tipo di sentimento, si erano ritrovati a fare sesso nell'ufficio -cliché, aveva pensato Seokjin in un raro momento di lucidità, sembrava una di quelle assurde commedie romantiche in cui la segretaria si innamora del capo. Con l'unica differenza che Seokjin non era una segretaria e mai avrebbe provato qualcosa per Namjoon.
Però era stato fantastico, non aveva potuto negarlo, e l'attrazione fisica tra di loro era così forte che, nei giorni seguenti, non erano riusciti a trattenersi.
Namjoon si era sentito confuso, all'inizio, perché non si considerava un tipo da scopa-amicizie. Le trovava superficiali, atte solo a soddisfare un bisogno puramente fisico, e rischiose per il rapporto che univa i diretti interessati. Aveva giurato a sé stesso che non si sarebbe mai trovato in una situazione simile: aveva degli amici e, occasionalmente, qualcuno con cui fare sesso, ma non avrebbe mischiato le cose. Non avrebbe mai potuto essere legato ad una persona dall'affetto, avere rapporti fisici con essa ma non andare oltre sul piano sentimentale. Era qualcosa che non riusciva a concepire. 
Seokjin, però, era diverso: erano colleghi, si stimavano professionalmente, ma oltre al sesso c'era poco o nulla. Nonostante il loro rapporto si fosse fatto un po' più civile, dopo quella prima volta, non andavano oltre ad un saluto quando arrivavano in ufficio, qualche parola durante la pausa pranzo e un sorriso ogni tanto.  La parte mancante, in tutto ciò, era proprio l'amicizia - Namjoon aveva così mandato al diavolo i propri principi morali, convincendosi di non star facendo nulla di male.
Lui e Seokjin non erano niente, solo colleghi che ogni tanto si facevano un favore a vicenda e si liberavano dallo stress in un modo puramente fisico. Niente sentimenti, niente cotte adolescenziali, niente relazioni noiose -era semplice e puro sesso. Andava avanti così da mesi.
Namjoon si alzò, guardando l’orologio appeso al muro: sette e cinquantanove - sorrise, aveva finito prima del previsto. Si stiracchiò, infilando il cellulare in tasca e chiudendo a chiave l’ufficio, dirigendosi poi verso quello di Seokjin.
Bussò, aspettando un qualche cenno che gli desse il permesso di entrare, ma fu Seokjin ad uscire.
“Uh?” mormorò, vedendolo indossare la giacca, la borsa portadocumenti in una mano. “Te ne stai andando?”
Stiamo andando via, Namjoon” ribatté.
“Ma- credevo saremmo rimasti qui”
“Non l’ho mai detto”
“Allora dove?”
“Casa mia” sorrise con noncuranza. “Vieni?”
Namjoon alzò gli occhi al cielo – come se potesse rifiutare un tale invito. “Sei sempre pieno di sorprese, hyung
Seokjin lo precedette fuori dal palazzo senza dire nulla, ma il ghigno soddisfatto sul suo volto non passò inosservato.
Il viaggio verso l’appartamento fu silenzioso, interrotto solo da qualche strofa canticchiata da Seokjin, che seguiva il ritmo delle canzoni alla radio – Namjoon, lo sguardo perso fuori dal finestrino, sorrise.
Una volta giunti a destinazione –erano in uno dei quartieri più ricchi di Seoul e non c’era da stupirsene-, Seokjin gli fece strada dentro l’edificio, su per l’ascensore e, infine, in casa.
Namjoon rimase a bocca aperta, sembrava uscita da una rivista: l’arredamento era moderno e minimale, eppure infondeva calore, forse grazie alle candele sparse un po’ ovunque; le pareti, l’unica parte più personalizzata, erano costellate di riproduzioni di quadri famosi e fotografie; il leggero disordine completava l’immagine, dando alla casa un’aria più vissuta e meno asettica.
“Jin, è stupenda!”
“Niente di che, è stata un regalo di mio padre” minimizzò, gettando la giacca sul divano. “Ma non ti ho portato qui per vedere le opere d’arte, quindi vedi di non incantarti troppo”
“Mi chiedi troppo, hyung, con te davanti non posso fare altrimenti” ammiccò Namjoon, guadagnandosi uno sbuffo a quel complimento così banale, prima di lasciar perdere l’arte e fiondarsi sulle sue labbra.
“Ora si ragiona” sussurrò Seokjin, trascinandolo in camera da letto.
 
Namjoon si accasciò al suo fianco, ansimando, lo sguardo assente rivolto al soffitto. Non c’era nulla di diverso da tutte le altre volte, eppure una strana sensazione gli contorceva lo stomaco e non era colpa dell’orgasmo appena avuto. C’era stato qualcosa di più, nel modo in cui si erano cercati e voluti.
“Vado a darmi una ripulita” disse dopo un po’, lasciandolo solo.
Seokin annuì, prima di sprofondare nelle lenzuola – si sentiva bene. Namjoon sapeva sempre come soddisfarlo e come guadagnarsi la propria parte di meritato piacere, ormai si conoscevano così tanto a livello fisico da non avere nemmeno bisogno di parlare, sapevano esattamente i punti deboli l’uno dell’altro. Lo stesso non si poteva dire per – beh, per tutto il resto: non sapevano quasi nulla della persona che avevano di fronte, solo piccoli e insignificanti dettagli.
Se Seokjin doveva essere sincero, un po’ gli dispiaceva: nonostante le apparenze e il modo di relazionarsi che ormai si era stabilito tra di loro, Namjoon gli sembrava una persona interessante. Forse conoscerlo meglio, avere un rapporto normale, non era un’idea così assurda come aveva sempre pensato.
Quella che gli venne in mente il secondo dopo, invece, fu decisamente folle – ma parlò prima di riuscire a fermarsi e non poté rimangiarsi quello che aveva detto.
“Namjoon?” lo chiamò, gettando la roba sporca in un angolo e cercando qualcosa di più comodo da mettere. “Potremmo andare a cena questo weekend. Cosa ne pensi?”
Sentì il rumore dell’acqua nel lavandino e un tonfo sordo, poi Namjoon fece capolino dalla porta del bagno, il gomito arrossato (sicuramente aveva sbattuto da qualche parte, poco attento com’era) e uno sguardo incredulo sul viso.
“C-come hai detto, hyung?”
 
 
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Alla fine, a cena andarono davvero.
Dopo qualche titubanza da parte del più giovane, Seokjin riuscì a convincerlo – dopotutto, non era un mistero che fosse lui ad avere il controllo in quella sorta di relazione.
Non sapeva nemmeno lui perché lo avesse fatto, non è che Namjoon gli piacesse davvero – aveva iniziato a considerarlo quasi un amico, qualcuno a cui in un certo senso teneva, ma non lo stava corteggiando e quello non era un appuntamento. Anche se una cena in uno dei ristoranti più eleganti della città poteva dare l’idea opposta. Totalmente opposta.
Scosse la testa, cercando di scacciare quei pensieri: lui e Namjoon erano colleghi e scopamici, niente di più, quella non era una cenetta romantica e non si sarebbe preso una cotta quella sera.
Certo, il fatto che Namjoon fosse bellissimo non aveva aiutato –non che normalmente fosse il contrario, ma non lo aveva mai visto così elegante, sembrava si fosse messo in tiro apposta.
Riprenditi, Kim Seokjin, sembri una ragazzina!
Cercando di non pensare troppo al modo in cui il completo ricadeva perfettamente sul corpo del ragazzo, entrarono e si accomodarono al tavolo – prenotato, ovviamente, perché le cose andavano fatte per bene. Ragion per cui non erano mancati piatti costosi, un cameriere personale e il vino – okay, Seokjin dovette ammettere che, dopotutto, sembravano davvero una coppietta intenta a festeggiare il proprio anniversario.
“Ti tratti bene, hyung” mormorò Namjoon, quel lusso era troppo perfino per lui.
“Sono stato abituato così, ma non credere che sia un tipo selettivo, finché si tratta di cibo accetto tutto!”
“Anche il bar all’angolo?”
“Anche il bar all’angolo” confermò Seokjin.
“Allora, per la prossima volta, propongo quel piccolo locale che vende street food a due isolati da qui. Ci stai?”
Il più grande annuì. “Sempre che ci sia una prossima volta” specificò poi, in tono noncurante.
Namjoon arrossì, rendendosi conto di averlo appena invitato ad uscire. Si concentrò sul cibo, cercando di non fare disastri e non rendersi ancora più ridicolo di quel che già sembrava.
Nonostante tutto, scoprirono che parlare come due persone civili non era poi così impensabile e passarono il resto della cena a chiacchierare come se si conoscessero da sempre, entrambi decisamente stupiti dalla miriade di cose che avevano in comune. Tanto che, al termine di quella serata, Namjoon lo invitò a casa propria –non per fare sesso, incredibilmente, ma per giocare ai videogiochi. Qualcuno gli avrebbe dato dell’infantile, Seokjin invece annuì entusiasta, iniziando a blaterare di come avesse passato gran parte della propria infanzia attaccato ad una consolle. Fu un’ardua sfida, perché Seokjin era dannatamente bravo, ma Namjoon avrebbe potuto giurare di non essersi mai divertito così tanto – non da quando aveva preso in mano l’azienda, perlomeno, e la vita da adulto l’aveva sopraffatto. Erano stati davvero bene, almeno fino a quando Seokjin non aveva ripreso ad usare quel suo sarcasmo e quel tono di sufficienza che, a volte, erano decisamente inappropriati.
“Sai, Namjoon, non sei poi così terribile come pensavo”
“Ovvio che non lo sono, ti ho appena battuto!”
Seokjin alzò gli occhi al cielo. “No, intendo come persona”
“Che vuoi dire?”
“Oh, insomma, sai come la pensavo su di te”
Namjoon incrociò le braccia al petto, guardandolo sospettoso. “Stavi iniziando a piacermi, Jin, perché devi rinvangare il passato?”
“So che nemmeno tu mi apprezzavi, all’inizio, non fare finta di niente”
“Sì ma-“
Seokjin lo zittì con un bacio. “Volevo solamente darti fastidio, sei carino quando ti arrabbi. Non rimuginarci troppo su, mi raccomando”
Namjoon non disse nulla, quella giornata era stata fin troppo strana per tentare di trovare una spiegazione alle sue azioni. “Ci vediamo in ufficio?”
“Ho una proposta”
“Spara”
“Colazione insieme? Al bar all’angolo”
“Quindi dicevi sul serio” disse Namjoon con un sorriso, scuotendo la testa. “Non sei così pretenzioso come sembra”
“Dovresti imparare a fidarti di me, Joonie, non riesco proprio a capire perché sei così scettico”
“E tu dovresti essere meno permaloso, hyung” lo spinse verso la porta, era decisamente tardi. “Ci vediamo domattina, sii puntuale”
Seokjin rise, prima di lasciare l’appartamento – sì, si sentiva bene. Fin troppo bene.
La cosa peggiorò, se così si può dire, nelle settimane seguenti: tra il lavoro, i brunch saltuari e le sessioni di giocate a casa di uno o dell’altro, Seokjin si ritrovò a passare gran parte del proprio tempo con Namjoon.
Non ci sarebbe stato nulla di male, se non che non si sentiva completamente a proprio agio – per quanto fosse piacevole stare in sua compagnia, c’era sempre quella fastidiosa vocina nella testa che gli diceva di fare un passo indietro; che non doveva lasciarsi trascinare, che avrebbero dovuto restare solo scopamici, perché se uno dei due si fosse davvero affezionato sarebbe stata la fine.
E la fine arrivò, inesorabilmente, in una fredda sera di febbraio. Avevano optato per un film a casa del più grande, giusto per cambiare un po’, e si erano ritrovati con le coperte tirate fin sopra il naso, una ciotola di popcorn da dividere e una stupida commedia alla tv.
Seokjin, ad un certo punto, aveva avuto la più banale e terrificante delle rivelazioni: si era distratto. Non aveva guardato neanche mezzo secondo del film, perdendosi piuttosto ad ammirare il modo in cui il volto di Namjoon si illuminava ogni volta che rideva per una battuta stupida, o ad osservare come le loro mani si sfiorassero involontariamente, nel tentativo di prendere quanti più popcorn possibili; non gli importava dove fossero, cosa dicessero gli attori sullo schermo, se la mattina dopo non si sarebbe retto in piedi per il troppo sonno: era con Namjoon, e tanto bastava.
Era stato devastante rendersi conto di essersi innamorato, e la vocina era ritornata prepotente e beffarda, te l’avevo detto. Aveva cercato di combatterla, all’inizio, ma poi si era arreso: Namjoon gli piaceva sul serio. Non avrebbe saputo dire quando e come le cose erano cambiate tra di loro, semplicemente era successo – un giorno erano colleghi che a malapena si sopportavano, quello dopo facevano sesso, quello dopo ancora erano diventati amici. Era qualcosa di nuovo e spaventoso, e non era sicuro che sarebbe riuscito ad affrontarlo.
Altri giorni erano volati via e, tra un timido tentativo di fargli capire ciò che provava e una battuta sarcastica per nascondere la propria insicurezza, niente sembrava essere cambiato. Continuavano ad uscire, a divertirsi, a fare sesso, ma sembrava che Namjoon non avesse il minimo sospetto – Seokjin non sapeva se esserne sollevato o deluso.
Giunse perciò ad un’unica conclusione: doveva parlarne con qualcuno, altrimenti sarebbe impazzito.
L’occasione gli si presentò una mattina, a colazione.
“Ho un problema” esordì, mentre suo padre alzava gli occhi dal giornale e lo fissava interrogativo.
“Non hai mandato all’aria l’azienda, vero?”
“No, no, niente di simile” lo rassicurò, scuotendo la testa. “Mi piace una persona”
“Oh, finalmente!” esclamò l’uomo, sorridendo. “Com’è lei? È bella?”
Seokjin arrossì. “Vedi, papà, il fatto è che quella persona è-“
“Non dirmi che è la figlia di Woojin-ah! È sempre stata viziata ed insopportabile, non te lo perdonerei mai”
“Namjoon” confessò, prima che suo padre lo interrompesse nuovamente. “Mi sono innamorato di Namjoon”
“E dov’è il- aspetta, cosa? Quel Namjoon?”
Seokjin annuì, troppo imbarazzato per dire alcunché.
“Lui lo sa?”
“No, non ho avuto il coraggio di dirglielo”
“E perché mai!?”
“È complicato, papà! Non è che posso andare da lui e dirgli che lo amo come se nulla fosse!”
L’uomo posò la propria tazza di caffè sul tavolo e sorrise divertito. “Devo proprio spiegarti tutto”
 
Fu così che, qualche ora e molte chiacchiere più tardi, Seokjin si ritrovò davanti al palazzo in cui abitava Namjoon vestito di tutto punto, una nuvola di profumo ad avvolgerlo e un sacchetto di cibo in mano.
Non era poi così sicuro che avrebbe funzionato, il consiglio di suo padre gli sembrava un po’ assurdo (“la sorpresa è la migliore arma che tu abbia a disposizione, non potrà dirti di no”) ma era anche l’unico che avesse ricevuto e, in fin dei conti, non si era mai dichiarato a qualcuno, un consiglio valeva l’altro.
Indugiò sulla soglia del portone, indeciso – ormai era lì, ma l’idea di confessare quello che provava a Namjoon lo spaventava a morte, non sapeva come avrebbe reagito. Nei mesi passati, nonostante i suoi infiniti tentativi, l’altro non sembrava aver colto nessuna delle sue allusioni, rimanendo in quell’odioso limbo che non sfociava mai in nulla di concreto; avevano addirittura smesso di fare sesso, come se fosse in qualche modo una cosa sbagliata, eppure non erano riusciti a smettere di incontrarsi ed uscire.
Seokjin odiava quella situazione, era qualcosa che non aveva mai sopportato – le mezze misure non gli appartenevano, soprattutto in amicizia o in amore: vedeva bianco o nero, essere in stallo era una delle sensazioni più tremende che avesse mai sperimentato.
Prese un respiro profondo, decidendosi finalmente ad entrare – non aveva motivo di comportarsi come un ragazzino impaurito, cosa avrebbe pensato Namjoon se lo avesse visto in quello stato?
Decise di fare le scale nel vano tentativo di avere più tempo per calmarsi, ritrovandosi poi a salire i gradini a due a due, troppo agitato per aspettare ancora. Arrivò in cima stremato, ma la fatica gli aveva in qualche modo schiarito le idee ed era più che convinto di quello che doveva fare.
Entrò –erano ormai così in confidenza che l’altro gli aveva dato una copia delle chiavi, per qualunque evenienza- e la prima cosa che notò furono le luci accese in corridoio e un paio di scarpe che non riconobbe. Poi, un suono gli arrivò alle orecchie: era inequivocabile e, beh, d’altronde Namjoon era un uomo e aveva bisogno di soddisfare i propri desideri, anche da solo se necessario. Non era di certo il modo in cui avrebbe voluto rivelargli tutto, ma forse avrebbe aiutato a smorzare la tensione.
Si diresse verso la camera da letto, ripassando mentalmente il discorso che si era preparato, voleva essere sicuro di non dimenticare nulla.
Fece l’ultimo, lungo respiro, poi aprì la porta -e rimase pietrificato. “N-Namjoonie?”
 

Saaalve a tutti, I'm back!
Con una Namjin divisa in due parti, ebbene sì - in realtà avrei anche potuto lasciarla tutta intera, ma la frase finale faceva troppo episodio televisivo che viene interrotto sul più bello, quindi perché no? lol
Ho da fare qualche appunto: come scritto sopra, è volutamente cliché e non sto scherzando. Il prompt mi è stato suggerito da un anonimo su tumblr e l'ho seguito quasi alla lettera. Il punto è che era già di suo un po' "classico", la solita cosa di due che iniziano come scopamici e poi succedono cose (che non spoilero, altrimenti che gusto c'è?); quindi mi sono detta, perché non renderlo ancora più cliché, usando un po' le classiche scene da commedia romantica e vedendo cosa ne esce? Spero non un pasticcio, a proposito ahahah l'idea era sì di usare un prompt ""banale"", ma spero che comunque la storia vi lasci qualcosa!
Sono solo due capitoli perché, fondamentalmente, non so scrivere long e tendo a concentrare gli avvenimenti, quindi ho ritenuto che due parti fossero più che sufficienti. Non è nemmeno una storia con chissà quale pretese, anche per quello non l'ho sviluppata chissà quanto. Penso di aggiornare domenica, btw ^^
Il titolo è come sempre un po' a caso- è preso dall'omonima canzone dei Beast, se vi interessasse.
Detto questo, me ne vado. Se volete farmi sapere cosa ne pensate, mi trovate sempre qui!
De(b)

Ps: mi dispiace avervi deluso nel caso vi foste aspettati smut dettagliato, ma non potevo farcela lol
  
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