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Autore: LazySoul    04/11/2017    2 recensioni
Trama:
Diana ha 17 anni, è la secondogenita dell'Alpha ed è trattata da tutti come una bambina.
Nel tentativo di dimostrare di essere grande abbastanza per combattere e difendersi da sola, chiederà aiuto alla persona che più la confonde, suscitando in lei sentimenti contrastanti, Xavier O'Bryen.
Tra uno spasimante indesiderato, una migliore amica adorabilmente pazza e un assassino in circolazione, riuscirà Diana ad accettare i sentimenti che prova per Xavier?
Estratto:
«Sei giovane, ancora non hai imparato che spesso gli odori celano delle emozioni», spiegò, appoggiandosi al materasso con le mani e avvicinando il viso pericolosamente al mio: «E sai cosa mi sta urlando il tuo odore in questo preciso istante?», mi chiese, anche se era palese che non si aspettasse una risposta.
«Prendimi», sussurrò ad un soffio dalle mie labbra.
Genere: Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Capitolo XIII: Meritata punizione

 

 

 

«Dove pensi di andare, signorina?»

Papà mi aveva intercettato proprio mentre stavo entrando in camera mia per posare il reggiseno. Fui costretta a lanciarlo a caso all'interno della stanza — così da evitare di dover dare spiegazioni anche sul perché fossi tornata dalla mansarda con quell'indumento intimo in mano e non addosso.

«Volevo vestirmi», mentii, facendogli notare con un gesto della mano che indossavo ancora il pigiama.

Papà sorrise, scuotendo la testa: «Dopo», disse semplicemente: «Vieni qua, tua madre ed io vorremmo parlarti».

Scomparve nuovamente in salotto e io sentii un brivido freddo attraversarmi la schiena.

La morte era vicina, me lo sentivo.

Con un sospiro chiusi la porta di camera mia e, scivolando sulle ciabatte pelose — nel tentativo di posticipare il più a lungo possibile l'interrogatorio che mi attendeva — percorsi il corridoio con sguardo basso.

Sapevo cosa mi attendeva, non ci voleva un'intelligenza superiore per capire che ero in un mare di guai.

Sbirciai in salotto, ma era vuoto.

Trovai mamma e papà seduti al tavolo della cucina; entrambi aveva una tazza fumante di fronte e uno sguardo serio e deluso in viso. Nonna mi dava la schiena e trafficava con un pentolino colmo d'acqua bollente e una tazza vuota; probabilmente mi stava preparando l'infuso che mi aveva promesso poco prima.

Mi bastò vedere i miei genitori in quello stato per sentirmi una pessima figlia, anche se una piccola parte di me continuava a ripetermi che ero abbastanza grande per cavarmela da sola e che la loro preoccupazione era esagerata.

Senza dire una parola papà mi indicò la sedia di fronte a loro e io mi sedetti, iniziando a giocare col bordo della maglia del pigiama per il nervosismo.

Rimanemmo in silenzio per qualche secondo e il mio stomaco ebbe la brillante idea di ricordarmi proprio in quel momento che era da parecchie ore che non mangiavo. Il rumore imbarazzante face ridere sotto i baffi mio padre e io non potei fare a meno di sperare che forse, per quella volta, sarebbero stati clementi. Nonna invece corso il brontolio del mio stomaco come un affronto e mi mise davanti un piatto di biscotti, incitandomi a mangiarli.

«Avevi promesso, Diana», disse mia mamma, posando i suoi occhi chiari e colmi di sconforto su di me: «Tuo padre ed io non sappiamo più cosa fare con te».

«Avevo promesso a papà che non sarei andata nel bosco da sola», dissi, cercando di salvarmi da qualsiasi punizione avessero in mente per me: «Per questo ho chiesto ad Isabel di accompagnarmi».

Mamma alzò gli occhi al cielo, bevendo un sorso del suo tè, mentre papà mi fissava con sguardo serio: «Ci hai mentito. Avevi detto che saresti andata a dormire da una tua amica, noi ci siamo fidati di te e tu ci hai preso in giro».

Abbassai lo sguardo, sentendo le guance e le orecchie bruciarmi per la vergogna.

Aveva ragione, li avevo ingannati e delusi.

«Vediamo il lato positivo: se fossi andata a dormire da Frida probabilmente Xavier sarebbe morto questa notte», dissi, cercando con lo sguardo un minimo di approvazione da parte dei miei genitori.

«Quello che hai fatto è stato sconsiderato e pericoloso, Diana!», esclamò mamma, posando con fin troppa forza la tazza sul tavolo, bagnando la superficie in legno con del tè: «Non vogliamo sentire altre giustificazioni, vogliamo darti la possibilità di raccontarci tutto ciò che è successo ieri sera e che ci hai tenuto nascosto. Solo allora decideremo quale punizione meriti di ricevere».

Ammettere tutto significava parlare della festa. Però, pensandoci bene, probabilmente ne erano già a conoscenza; in fondo avevo incontrato Michel e Francine a casa di Ling, per non parlare di Alan Truce. C'erano stati fin troppi testimoni e sarebbe stato ingenuo pensare che non ne sapessero nulla.

«Ieri pomeriggio sono andata da Frida per la ricerca di spagnolo, poi è arrivata anche Isabel e siamo andate insieme ad una festa», ammisi, grattandomi la tempia con l'indice per il nervosismo.

Sentii mia mamma prendere un profondo respiro e scuotere la testa, mentre papà immobile mi fissava con serietà. L'unica che non sembrava minimamente colpita dalle mie parole era la nonna che, appoggiata al bancone della cucina, mi fissava impassibile.

«Una festa? Hai rischiato la vita per una festa?!», esclamò mia madre, alzandosi in piedi e muovendo alcuni passi per la cucina. Sembrava davvero arrabbiata, faceva paura.

«Non ho rischiato la vita!», precisai, alzando gli occhi al cielo; odiavo quando i miei genitori esageravano le situazioni: «Siamo andate ad una festa e poi ci siamo accampate nel bosco, eravamo nella radura dove giocavamo sempre da piccole, a dieci minuti da casa. Non eravamo chissà dove nel bosco o fuori dai confini del branco. Eravamo al sicuro, poco distanti da qua».

«Al sicuro?! Vorrei ricordarti, signorina, che c'è un assassino a piede libero che gira per questi boschi! Avresti potuto morire, te ne rendi conto?!», urlò mamma, sbattendo con forza le mani sul tavolo e fissandomi coi suoi occhi lucidi.

Abbassai lo sguardo. Non sopportavo l'idea di vedere mamma piangere; non lei che di solito era sempre pacata e ragionevole.

«Non è successo niente di male», cercai di ricordarle: «E poi è da lunedì che l'assassino non mette piede nel nostro territorio, o sbaglio?»

Cercai la conferma nei loro occhi e, quando la trovai, sorrisi: «Perché dovrebbe tornare indietro? Non ne avrebbe motivo. Avrà capito ormai che Xavier si è stabilito qui e che...»

«Cos'è successo dopo che vi siete accampate?», chiese mio padre, interrompendomi.

«Ci siamo addormentate», iniziai, cercando di ricordare più dettagli possibili: «Mi sono svegliata intorno alle cinque perché dovevo fare la pipì, poi ho sentito Xavier e gli sono corsa incontro; sapevo che qualcosa non quadrava, che doveva essere ferito. Quando l'ho trovato non me la sono sentita di abbandonarlo nel bel mezzo del bosco, così mi sono trasformata e l'ho trasportato fino a qua; certa che nonna avrebbe potuto guarirlo».

Mamma appoggiò le mani sulle spalle di papà, annuendo al mio racconto: «Sei in punizione: potrai uscire solo per andare a scuola e tornerai a casa subito dopo la fine delle lezioni, non potrai invitare nessuna amica a casa, nemmeno per i compiti. Inoltre, non ti sarà permesso andare nel bosco».

Spalancai la bocca per la sorpresa e l'affronto.

Ok, non mi ero comportata bene, ma quella punizione era esagerata!

«Cosa?», mormorai, con un filo di voce, spostando lo sguardo da mia madre a mio padre, sperando di guadagnare uno sconto della pena facendo gli occhi dolci. Non funzionò. Quando spostai lo sguardo verso nonna, notai che mi aveva dato le spalle. Traditrice.

«Mi dispiace, Diana», disse papà, abbassando lo sguardo.

«Non è giusto!», esclamai, alzandomi in piedi a mia volta e fissando mamma dritto negli occhi.

Sapevo che era lei la mente malvagia dietro quella punizione, doveva averla suggerita fin dall'inizio, prima ancora di sentire cosa avevo da dire in mia difesa.

«Quale punizione dovremmo darti, allora? Sentiamo», disse mamma, incrociando le braccia al petto.

«Non è successo nulla di male! Ammetto di avervi mentito; è stato un errore. Volevo godermi una festa senza avere Kyle come guardia del corpo, cosa che voi non avreste mai permesso. Proprio non riesco a capire che visione distorta abbiate delle feste. Per quanto riguarda la notte passata nel bosco, come ho già detto, eravamo vicino a casa ed eravamo in due. Quindi vorrei barattare la possibilità di andare nel bosco col mio cellulare».

«Vuoi che ti confischi il cellulare invece di impedirti di andare nel bosco?», chiese mamma, con tono confuso.

«Esatto», dissi, incrociando le bracci al petto e guardandoli con serietà.

«Non potrai andare da sola nel bosco», specificò mamma, puntandomi l'indice contro.

«Andata», dissi, con risoluzione.

Mamma e papà si guardarono negli occhi per qualche istante, poi vidi papà annuire.

«Va bene», acconsentì mamma: «Altro?»

Scossi la testa, addentando uno dei biscotti. Nonna mi lanciò un'occhiata colma di approvazione e orgoglio.

«Bene, allora se volete scusarmi, ho un incontro che mi attende», disse papà alzandosi e dirigendosi verso l'uscita.

«Un incontro?», chiese mamma, seguendolo con lo sguardo, mentre nonna mi porgeva una tazza fumante di tisana.

«Devo discutere con Rice per il plenilunio di sabato», spiegò papà, sorridendoci calorosamente.

Annuii distrattamente, poi un pensiero improvviso di fece sorridere: la mia punizione mi avrebbe impedito di partecipare a quell'inutile...

«Non ci pensare nemmeno», disse mamma, distruggendo con quattro parole il mio sogno ad occhi aperti: «Tu ci sarai», aggiunse, puntandomi un dito contro.

Misi il muso e aprii bocca per protestare, ma venni interrotta da papà: «Non discutere. É un evento molto importante, poi essendo sabato puoi rimanere senza doverti preoccupare della scuola».

Abbassai gli occhi e decisi di affogare nel cibo il mio disappunto.

Per una volta che essere in punizione sarebbe potuto risultare utile...

"Aspetta un attimo", pensai, smettendo momentaneamente di masticare, lo sguardo perso nel vuoto: "Non potrò uscire con Michel domani sera".

Tornai a masticare con gusto. In parte ero dispiaciuta di non poter uscire con Picard la sera successiva; ero dell'idea che prima gli avessi fatto notare la nostra incompatibilità, prima me lo sarei tolto dai piedi e prima sarei potuta tornare alla mia vita normale. Allo stesso tempo però ero molto contenta; la voglia che avevo di andare ad un appuntamento con Michel era pari a zero e la punizione di mamma mi aveva servito su un piatto d'argento la possibilità di rimandare o addirittura annullare per sempre la nostra uscita senza sentirmi minimamente in colpa.

"Voglio proprio vedere la faccia che farà mamma domani, quando il ragazzo con cui spera di vedermi accasata dovrà andare via senza di me, e tutto per colpa sua".

Un sorrisetto malvagio mi increspò le labbra.

«Cavolo se sei inquietante», disse Kyle, facendomi sussultare per lo spavento; non l'avevo sentito entrare.

«Cosa?», chiesi, cercando di nascondere la mia espressione compiaciuta di poco prima dietro alla tazza fumante.

Guardandomi intorno mi resi conto che eravamo rimasti solo io e lui in cucina. Sentivo chiaramente nonna sferruzzare in salotto, mentre mamma era in camera di Edith e la aiutava con i compiti. Papà invece doveva essere in viaggio verso il branco di Rice.

«Quel sorriso», disse mio fratello, sedendosi al tavolo accanto a me: «Che cos'hai in mente?», mi chiese, scrutandomi con sospetto.

Feci spallucce: «Niente».

«Non sei credibile», commentò, rubandomi il piatto dei biscotti.

«Hey!», esclamai, tentando di sporgermi per recuperarlo, ma Kyle fu più veloce e nell'arco di pochi secondi era in piedi e correva verso camera sua con in mano il dolce ostaggio.

Provai a raggiungerlo, abbandonando la tisana e rischiando di spaccarmi la testa a causa delle ciabatte, che slittarono in modo precario sulle piastrelle del pavimento, facendomi perdere l'equilibrio e sbattere contro l'anta della porta. Quando tornai a cercare con lo sguardo mio fratello, mi resi conto che si era ormai chiuso a chiave in camera sua.

Sbuffai, colpendo col pugno chiuso la porta che aveva intralciato il mio cammino, poi tornai sui miei passi, recuperai la tisana e decisi che era arrivato il momento di togliermi il pigiama.

Percorsi il corridoio con calma, guardando con odio verso la camera di Kyle poi, arrivata davanti alla mia stanza, non potei fare a meno di alzare lo sguardo e puntarlo sulle scale che portavano alla mansarda. Sfruttai il mio udito sovrannaturale per accertarmi che il cuore di Xavier stesse ancora battendo e, quando ebbi le conferma che fosse ancora vivo, entrai in camera mia, chiudendomi la porta alle spalle.

Rischiai di inciampare sul reggiseno che poco prima avevo lanciato; ma riuscii miracolosamente a sopravvivere e a non versare nemmeno una goccia di tisana sul pavimento.

Mi ritenni molto fortunata e decisi di non mettere ulteriormente alla prova la sorte, raccogliendo il reggiseno e abbandonandolo nella cesta dei panni sporchi, dove non avrebbe più potuto tentare di mettere fine alla mia vita.

Mi sedetti sul bordo del letto e presi il primo sorso dalla tazza.

Nonna mi aveva preparato il mio infuso preferito: citronella, ortica, foglie di eucalipto e rosa canina.

Un sorriso riconoscente mi addolcì i lineamenti, mentre mi perdevo a fissare il cielo grigio oltre il vetro della finestra di camera mia.

Ero contenta di aver barattato il mio cellulare con la possibilità di andare nel bosco. Certo, non ci sarei potuta andare da sola, ma quello era un dettaglio a cui avrei poi pensato quando sarebbe giunto il momento.

Mamma mi conosceva e sapeva perfettamente quali erano le cose senza le quali potevo sopravvivere e una di queste era il bosco e la libertà che esso mi trasmetteva. Ero contenta però di esser riuscita a farle cambiare idea, passando da una punizione da incubo ad una più sopportabile.

Non ero una grande amante della tecnologia; la utilizzavo per una questione di comodità. Per esempio trovavo molto utile Skype per conversare con Isabel schermo a schermo, così da rendere le nostre chiacchierate più reali. Non ero però una fan di Facebook. Anche se ero stata costretta da Sab a crearmi un account, non lo usavo quasi mai. Trovavo tutto così inconsistente e falso da farmi venire la nausea. A me piaceva la schiettezza, la sincerità; e nascondersi dietro ad uno schermo per criticare o dare un'idea di se stessi diversa dalla realtà era proprio qualcosa che non concepivo.

Probabilmente ero nata nel periodo storico sbagliato e dovevo semplicemente farmene una ragione.

Bevvi un altro sorso di infuso, poi abbandonai la tazza sul comodino e mi sfilai il pigiama, indossando un paio di pantaloni comodi e un maglioncino.

Una volta vestita, riacciuffai la bevanda e raggiunsi la scrivania, dove controllai distrattamente il diario, accertandomi di non avere compiti da svolgere. L'unica cosa che dovevo fare era studiare la ricerca su Cernuda per l'esposizione.

In quell'istante mi resi conto che il borsone che avevo abbandonato dentro alla tenda nel bosco quella mattina era ai piedi del mio letto, con accanto i vestiti e le mie scarpe, quelli che mi ero tolta in fretta e furia prima di trasformarmi per portare Xavier al sicuro.

Mi chiesi chi me li avesse riportati. Era stata la mamma? Papà? Kyle?

Sospirai e decisi di disfare il borsone, recuperando anche la ricerca su Cernuda e la poesia "Si el ombre pudiera decir lo que ama", che Frida aveva gentilmente stampato, dicendomi che dovevo assolutamente riuscire a impararla a memoria per l'esposizione.

Sbuffai e mi sedetti nuovamente sul letto, decidendo di mettermi all'opera.

Durante il tempo che impiegai a bere l'infuso, riuscii ad imparare buona parte della biografia di Cernuda e, ritenendomi soddisfatta, decisi di fare una pausa per riportare in cucina la tazza e magari cercare qualcosa da mangiare.

Trovai nonna intenta a riporre su un vassoio un bicchiere d'acqua e un piatto colmo di minestrina.

Lo spuntino di Xavier non era affatto invitante e non potei fare a meno di dispiacermi per lui.

«Oh, Diana», mi chiamò nonna, interrompendo la mia ricerca disperata di cibo: «Hai voglia di portarla di sopra? Io devo assolutamente stirare».

«Stiro io», proposi senza pensarci e con fin troppa enfasi, stupendo la nonna.

«Cara, stai bene?», chiese nonna, guardandomi con un misto di preoccupazione e divertimento: «Tu odi stirare», mi fece notare, porgendomi il vassoio.

Sospirai e accettai la mia sorte avversa, prendendo lo spuntino di Xavier e rassegnandomi a non poter tenere le distanze dalla mansarda come avrei voluto.

«Non ci sono dei biscotti per me?», chiesi, guardando nonna speranzosa.

«Hai già finito quelli che ti avevo dato?», domandò, con stupore: «Guarda che ti rovinerai la cena se continuerai a mangiare», mi rimproverò, prima di dirigersi verso il salotto, dove l'asse da stiro era comodamente posizionato di fronte alla tv, così da garantirle un minimo di intrattenimento durante il lavoro.

«Me li ha rubati Kyle!», le spiegai con tono lamentoso, ma nonna non sembrava prestarmi attenzione; stavano trasmettendo uno dei suoi programmi di cucina preferiti.

«Va bene, ho capito», borbottai, dirigendomi verso la mansarda: «Volete farmi morire di fame».

Una volta davanti alla porta di Xavier presi un profondo respiro e bussai.

«Puoi entrare», mi invitò la voce di O'Bryen e un caldo languore mi invase istantaneamente lo stomaco.

"Questo è il motivo per cui non volevo venire quassù! Non posso continuare a stargli intorno e non affezionarmi a lui!"

Aprii la porta, facendo attenzione a non rovesciare il contenuto del vassoio ed entrai.

Finsi di non essere minimamente scossa dal suo odore o dalla vista dei suoi occhi chiari; mantenendo un'espressione impassibile sul volto.

Ma aveva senso fingere quando il mio cuore traditore batteva ad un ritmo vertiginoso?

«Sei tornata», disse semplicemente, abbagliandomi con le sue fossette.

Feci una smorfia, avvicinandomi al suo letto: «Senza volerlo sono stata promossa infermiera», mi lamentai, sedendomi sulla sedia accanto a lui, appoggiando il vassoio sul comodino.

«Non sei costretta a rimanere, se non vuoi», mormorò, distogliendo lo sguardo.

Aprii bocca, poi la richiusi.

"Oh, Xavier, perché non puoi rendermi le cose più facili? Perché devi essere così perfetto?"

Sarebbe poi stato tanto grave conoscerlo, lasciare che si insinuasse ancora di più sotto la mia pelle?

Scossi la testa, decisa a non pensarci in quel preciso momento.

«Stai meglio?», gli chiesi, decidendo di cambiare discorso.

Xavier annuì, lo sguardo pensieroso fisso sulle travi a vista del soffitto.

«Tanto da potermi dare lezioni di combattimento domani?», gli chiesi, abbozzando un sorriso.

Le sue labbra si arricciarono in una smorfia, poi si aprirono in un sorriso complice e divertito: «Non esageriamo», disse, scrutandomi coi suoi occhi chiari: «Temo che dovrai aspettare almeno fino a martedì, tua nonna mi ha prescritto riposo, riposo e ancora riposo», mi confidò con una smorfia.

«Che noia», dissi, guardandomi intorno.

«Puoi dirlo forte», mi diede ragione, muovendosi appena tra le coperte.

Un gemito di dolore gli sfuggì dalle labbra e smise istantaneamente di rigirarsi, lasciando cadere il capo contro il cuscino e chiudendo gli occhi per lo sconforto.

Senza pensarci mi alzai, sedendomi sul letto accanto a lui: «Non fare il bambino, vedrai che un paio di giorni passeranno in fretta e...»

«Vorrei vederti al mio posto», disse: «Non resisteresti un minuto».

Arrossii, in parte perché sapevo che aveva assolutamente ragione, in parte perché non pensavo di essere così prevedibile.

«Non è vero», dissi, testardamente decisa a non dargli soddisfazione.

«Bugiarda», mormorò, allungando la mano per intrecciare le sue dita alle mie: «Provamelo».

«Come scusa?», chiesi, cercando di capire cosa intendesse.

Il contatto con la sua pelle tiepida era piacevole, troppo piacevole. Avrei voluto allontanare la mano, ma le sue parole mi destabilizzarono troppo, facendomi dimenticare i miei propositi.

«Sdraiati qua, accanto a me», disse: «Provami che non stai mentendo e che riusciresti a stare ferma senza fare nulla senza impazzire».

La sfida nei suoi occhi mi colpì dritto al petto.

Gli avrei dimostrato che non avevo paura di quell'insulsa competizione e che ero più che capace di perdere tempo senza dare di matto. Sarebbe stato facile come bere un bicchier d'acqua.

«Va bene», gli dissi, issandomi sul letto accanto a lui, accomodandomi sul materasso e lasciando che la mia testa sprofondasse sul cuscino.

Rimanemmo in silenzio per qualche minuto.

«Dovrei imboccarti, nonna mi ha mandata apposta per nutrirti», dissi, guardando il vassoio che avevo lasciato sul comodino e di cui mi ero totalmente dimenticata.

«E così che vuoi perdere la sfida? Per imboccarmi?», chiese, voltando il capo verso il mio.

Alzai gli occhi al cielo: «Muori di fame allora».

Rise delle mie parole, scuotendo il capo.

Fu lui ha spezzare il silenzio: «Ti ho sentita litigare coi tuoi genitori».

Voltai il viso verso il suo e, solo in quell'istante, mi resi conto di quanto fossimo vicini; a separarci c'erano pochi miseri centimetri.

«Non si origliano le conversazioni altrui», lo sgridai, cercando di tenere a bada lo strano formicolio che sentivo alle mani. All'improvviso tutto quello che riuscivo a pensare era che avrei voluto toccarlo e non per fargli male.

«Non stavo origliando», si difese, aggrottando la fronte: «Non ho potuto fare a meno di sentire te e tua madre gridare», aggiunse.

«Sei stata ad una festa?», chiese.

«Mi sono imbucata ad una festa di compleanno, sì», precisai, tenendo lo sguardo puntato sulle travi a vista.

Non avevo intenzione di voltarmi verso di lui, anche se ero curiosa di vedere le sue espressioni; non volevo rischiare di cedere alla tentazione e fare qualcosa di molto stupido. Tipo baciarlo.

«E ti sei divertita?», domandò,

«Abbastanza», feci spallucce; non avevo voglia di raccontargli come la presenza di Francine e Michel mi avesse impedito di divertirmi a dovere.

«Mi dispiace di non esserci stato, mi sarebbe piaciuto vederti tutta agghindata».

Non potei resistere e voltai il capo verso di lui, cercando di capire dalla sua espressione se fosse serio o mi stesse prendendo in giro.

«Io non mi agghindo», dissi, con un'espressione schifata in volto.

«Chissà perché non avevo dubbi in proposito», sussurrò, voltandosi a sua volta verso di me.

Ebbi la conferma che mi stesse stuzzicando dal modo in cui mi sorrideva.

«Tu invece? Dove eri scomparso?», gli chiesi, decisa a spostare i riflettori su di lui.

«Eri preoccupata?»

Il suo tono di voce, profondo e caldo, mi mandò in tilt il cervello.

Senza pensare a quello che stavo facendo mi voltai interamente verso di lui, accoccolandomi contro la silhouette del suo corpo e appoggiando il capo contro la sua spalla, facendo attenzione a non fargli male.

«Certo che no», risposi, ma sapevamo entrambi che stavo mentendo.

«Non volevo farti preoccupare, mi dispiace», sussurrò contro la mia fronte, lasciandoci un bacio.

«Non farlo più».

Avrei voluto ordinarglielo, scuoterlo e urlargli contro che mi aveva terrorizzato a morte, invece la frase mi uscì come una supplica; avevo le guance che mi bruciavano per l'imbarazzo.

«Non pensavo che mi sarei scontrato con lui», disse: «Volevo solo trovarlo, stabilire la sua posizione e tornare qua», una breve risata gli scosse il corpo, facendolo gemere di dolore subito dopo: «Volevo tornare entro ieri sera, chissà perché mi ero messo in testa che dovevo assolutamente convincerti a uscire con me».

Scossi piano il capo, al ricordo dell'ultima volta che mi aveva invitato ad uscire.

«Non ti arrendi mai?», chiesi con un filo di voce.

«No, mai», rispose, con tono solenne.

Spostai il capo, in modo da poterlo guardare negli occhi: «Ti avrei detto di no».

«Lo so, ma prima o poi mi dirai di sì», ribatté, il viso serio e gli occhi colmi di ostinazione.

«Cosa te lo fa pensare?», chiesi, sinceramente curiosa di ricevere una risposta.

«Non puoi sfuggirmi Diana, ammiro il tuo tentativo di tenere le distanze e la tua ostinazione nel non volermi lasciare entrare nella tua vita, ma sappiamo entrambi che ormai è troppo tardi».

Strinsi le labbra in una linea sottile e chiusi gli occhi.

"Quanto sarebbe grave se lo lasciassi avvicinare? Se gli lasciassi scoprire il mio mondo e sbirciassi a mia volta nel suo?"

«Perché hai paura Diana? Non voglio farti del male», sussurrò.

«Non sono pronta», dissi semplicemente mentre aprivo gli occhi, decidendo che la sincerità fosse la carta migliore da giocare: «Io non voglio una relazione, non voglio innamorarmi».

«Perché no?», mi chiese, gli occhi chiari puntati nei miei.

«Perché mi piace la mia libertà», ammisi: «Perché questa vita mi sta stretta e voglio andarmene. Appena mi diplomerò voglio viaggiare per il mondo come mia zia, come mia nonna quando era giovane».

Sorrise, la preoccupazione nei suoi occhi era scomparsa, sostituita dalla comprensione: «E questo viaggio deve essere per forza solitario o accetteresti la compagnia di qualcuno?»

«Nessuno vuole venire con me», dissi: «Le persone che conosco sono troppo contente di vivere la vita che stanno vivendo. Sab non vede l'ora di diventare la moglie trofeo di qualcuno e sfornare cuccioli, mio fratello vuole laurearsi e trovare un lavoro in città, Edith è troppo piccola...»

«Vengo io».

«So già che mamma e papà daranno di matto appena scopriranno che non ho intenzione di...», lasciai la frase a metà, sbarrando gli occhi.

"L'ha detto davvero o me lo sono immaginata?"

I suoi occhi erano limpidi e sinceri.

«Verresti davvero?», chiesi, le parole che faticavano ad essere pronunciate a causa del nodo stretto che mi bloccava la gola.

«Sì, ne sarei onorato», rispose, sorridendomi.

"Beh, questo cambia tutto", pensai, abbassando lo sguardo.

Avevo sempre pensato che avrei dovuto scegliere tra l'innamorarmi o vivere il mio sogno; forse perché non avevo mai conosciuto qualcuno come Xavier prima. Qualcuno che non sembrava troppo legato alle proprie radici per potersi lasciare tutto alle spalle e incominciare una nuova vita con me.

Un timido sorriso comparve sulle mie labbra: «Vedremo», sussurrai, alzando lo sguardo sul suo viso: «Se sarai abbastanza meritevole».

«Sfida accettata», ribatté, facendomi l'occhiolino.

In quell'istante mi chiesi se potesse esistere una felicità maggiore di quella che mi comprimeva il petto, impedendomi di respirare normalmente, in quel momento.

"Oh, Xavier, sarai la mia rovina".

 

 

********

Ciao a tutti!

Ecco il nuovo capitolo, spero che vi sia piaciuto e che abbiate tempo e voglia di dirmi cosa ne pensate!

Ho una brutta notizia da darvi, temo che non riuscirò a postare la storia ogni sabato/domenica come ho fatto fino ad ora, molto probabilmente gli aggiornamenti slitteranno di qualche giorno, ma vi terrò aggiornati in proposito.

Buona domenica e un bacio a tutti!

LazySoul

  
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