Anime & Manga > Bungou Stray Dogs
Segui la storia  |       
Autore: mvstrxl    05/11/2017    0 recensioni
Bungou Stray Dogs Fanfiction
[Dazai Osamu x OC]
...
Dal nono capitolo:
❝(...) Sperava di
sbagliarsi, desiderava tanto udire la risata della ragazza che si
espandeva in quel vuoto, che lo rincuorasse dicendogli che in
realtà stava bene e non era successo nulla. Ma quelle parole
non arrivarono mai. C'erano solo i singulti leggeri e il fracasso di un
cuore martellante.
Da quel momento in poi,
per quanto fosse stato orrendo quel sogno, Dazai sperò di
non svegliarsi mai più❞
...
//Gli avvenimenti non seguiranno né l'anime né il
manga ma si svolgeranno in un determinato capitolo di quest' ultimo che
per alcuni potrebbe essere spoiler, perciò
eviterò di dirlo esplicitamente se non alla fine della
storia.
Buona lettura~
Genere: Angst, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Nuovo personaggio, Osamu Dazai
Note: Lime | Avvertimenti: Spoiler!
Capitoli:
 <<  
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

[Questo capitolo contiene spoiler del manga, leggete a vostro rischio e pericolo -ma leggete lol-]

。。。

When your warmth disappear
I woke up from a dream
to face the reality door.

。。。

Una goccia di pioggia scivolò languidamente sul vetro, senza fretta, interrompendo di tanto in tanto la piccola corsa come per posticipare la propria fine quasi sapesse che si sarebbe schiantata contro il davanzale della finestra prima o poi. Non aveva senso tardare l'appuntamento con la morte, ella era sempre e comunque puntuale. Chissà se la gocciolina stava desiderando di non essere mai nata? Se non fosse mai nata non sarebbe mai caduta dal cielo e ora non si starebbe per disintegrare in altre minuscole perle d'acqua che sarebbero state inghiottite dal suolo senza lasciare segno del loro passaggio. Sotto molti punti di vista l'inizio poteva essere ancor più brutale della fine. Senza l'inizio nulla avrebbe potuto smettere di essere.
Dazai ne era sempre più convinto. Se non fosse mai venuto al mondo si sarebbe risparmiato molte sofferenze; certo, le cose belle che aveva vissuto sarebbero sparite a loro volta ma se lui non fosse mai esistito non avrebbe dovuto piangerle nel momento in cui si sarebbero dissolte. Qualcosa, però, si impuntava dentro di lui, sostenendo con determinazione che se lui e Tomie non si fossero mai conosciuti una parte di lui l'avrebbe cercata per sempre nello stesso modo in cui, in ventidue anni della sua vita, aveva cercato una ragione per vivere. Ed era stata proprio Tomie a mostrargliela, a donargliela. Aveva preso le sue mani e da quel momento Dazai aveva capito di averla trovata.
Già, Tomie gli sarebbe mancata anche se non si fossero mai incontrati.
Non aveva mai creduto nel karma sebbene lui era indiscutibilmente il primo su cui si sarebbe dovuto abbattere. Ma come poteva esistere una cosa del genere in un mondo dove le persone buone, innoque come gocce d'acqua che scivolavano giù dal vetro, erano le prime a trovarsi con al testa tra le mani?
Destino? L'idea che fosse già tutto scritto era solo una scusa per non assumersi la responsabilità delle proprie azioni. Le persone se ne lavavano le mani con frasi come "doveva andare così a quanto pare". E se invece si sbagliassero? Se invece avessero lottato un po' di più il finale sarebbe stato sempre lo stesso? Chissà se se lo erano mai chiesto... Lui sì, lui si ubriacava di quelle incognite.

Se quel giorno non l'avesse lasciata andare le cose sarebbero andate diversamente?

Probabilmente era l'unico che accumulava quelle riflessioni come cianfrusaglie. Sarebbe stato più facile anche per lui pensare che le cose dovevano andare in quel modo fin dall'inizio, ma il bambino capriccioso che preservava dentro si rifiutava categoricamente di crederci preferendo continuare a riempirsi di quesiti irrisolvibili piuttosto che ammettere la propria disfatta.

Mattino, ti prego, arriva presto ed accoglimi prima che non riesca più a nascondere la mia debolezza.

Prima di unirsi all'agenzia i suoi monotoni giorni li trascorreva al bar a bere come uno squallido senzatetto e a sognare un finale alternativo, uno lieto magari. Qualche volta guardava la porta del locale come se Tomie l'avrebbe spalancata con decisione da un momento all'altro. Poteva quasi vederla davanti a lui; lei si guardava intorno per qualche secondo, poi, dopo averlo intercettato e avergli rivolto uno sguardo non esattamente morbido, gli si avvicinava prendendolo per un braccio con l'intenzione di trascinarlo fuori da quella topaia. Avrebbe accettato anche le sue urla o degli schiaffi, qualsiasi cosa pur di avere la certezza che lei fosse davvero lì davanti a lui.
"Quando la smetterai di bere così tanto?" avrebbe detto lei una volta a casa, ignorando di proposito gli occhi pieni d'amore di lui che l'avrebbe presa per i fianchi, sapendo che la sua spavalderia sarebbe crollata nel momento in cui l'avrebbe baciata. Forse avrebbero fatto l'amore o forse si sarebbero limitati a sedersi sul divano e restare abbracciati l'un l'altra mentre scambiavano quattro chiacchiere parlando di nulla in particolare o anche solo restando in silenzio, dimenticando tutta la faccenda.
Quelle utopie sparivano nel momento in cui Dazai veniva richiamato dalla voce della barista che lo informava dell'imminente chiusura del locale. A quel punto l'ex mafioso si alzava dallo sgabello e si recava verso l'uscita in completa abiezione e solitudine. L'unica cosa che ancora lo faceva sentire vicino alla ragazza dai capelli viola era il medaglione che portava al collo. C'erano momenti in cui giurava di sentire le iridi azzurri di Tomie sulla pelle. Quasi d'istinto, allora, stringeva il pendente tra le dita e chiudeva gli occhi, cosciente, tuttavia, che quella di cui troppo spesso si nutriva, era l'illusione di trovarla davanti a sé una volta riaperti.

È strano, basta che tu non ci sia e la notte diventa così malinconica.

Avrebbe voluto avere almeno la consolazione di trovarsi sotto il suo stesso cielo, ma seduto sul lettino dell'ospedale reduce dall'operazione per estrarre il proiettile gentilmente regalatogli dal cecchino di Dostoevskiy, alzò gli occhi verso quest' ultimo -zeppo di nuvole grigie intente a dare sfogo alla loro ira-, il quale si estendeva davanti ai suoi occhi velati dal disinteresse e ancora una volta una risata riecheggiò dall'interno della sua mente, cupa e beffarda, ricordandogli che nessun lieto fine sarebbe stato scritto quel giorno, quello dopo e quello dopo ancora. Non per lui, perché il suo lieto fine era lei.

Ma ora non ho nessun diritto di parlare di felicità.
Capisco più di chiunque altro che non mi si addice un lieto fine.

* * *

Era da tanto tempo, si disse Tomie, che non avvertiva la pelle accapponarsi in quel modo in preda ad ondate di impetuoso gelo. Come scariche elettriche le percuotevano il corpo facendolo formicolare, si infilavano sotto la pelle, le attanagliavano lo stomaco e le bruciavano le membra. Poteva sentire chiaramente il sangue fuoriuscire dalle sue ferite e, mantenendo gli occhi chiusi come se aprirli fosse stato un ulteriore dolore da sopportare, si ritrovò a sperare che il Mietitore giungesse al più presto e la raccogliesse da terra con delicatezza per portarla via con sé. Il fatto di essere ancora cosciente non sapeva se considerarlo un regalo o una dannazione: avrebbe potuto vedere, avvertire quel mondo sfuggente -che per quanto l'avesse messa a dura prova rimaneva sempre di una bellezza disarmante, ma di questo pareva rendersene davvero conto solo in quel momento- un'ultima volta, pensare al sorriso caldo di Dazai e sentire il sale delle lacrime un ultimo istante prima di spirare.
Il suo respiro iniziò a rallentare e lei si lasciò sfuggire un sorriso perché finalmente avrebbe potuto riposare per davvero. C'erano tante cose a cui non era riuscita ad adempiere come avrebbe voluto -dopotutto la sua era stata un'esistenza breve-, ma in quel momento non parevano rivestire un'importanza primaria, era troppo presa dal torpore che le si stava accasciando pesantemente sulla schiena schiacciando il suo corpo contro l'asfalto.
Il nome di Dazai era l'unica cosa che continuava ad occupare posto quasi prepotentemente nella sua testa; quanto avrebbe voluto averlo accanto, dirgli addio una seconda e definitiva volta, accarezzarlo e fargli sapere di nuovo che le dispiaceva così dannatamente tanto per tutto. Le sarebbe piaciuto averlo al suo capezzale, forse non così presto ma aveva sempre creduto che sarebbe stata lui l'ultima cosa su cui i suoi occhi si sarebbero posati prima di chiudersi per sempre. Forse, se quel giorno di quasi nove anni fa lei non lo avesse fissato un po' troppo a lungo per poi sorridergli, se lui non avesse ricambiato incerto... Forse, e solo forse, ognuno avrebbe proseguito per la propria strada e, qualora lei fosse morta lo stesso, non avrebbe dovuto ripensare con angoscia a quanto dolore gli avesse procurato l'esatto momento in cui quella notte si era presentata in uno dei suoi sogni con l'addome insanguinato e le parole lasciate a metà.
Ma chi voleva prendere in giro? Se non avesse usato la sua abilità tutto ciò sarebbe potuto essere evitato.
Non c'era modo di cambiare le cose, in ogni caso la colpa era sua.
Nel mortale dormiveglia finalmente le parve di percepire qualcuno sostare in piedi davanti a lei. Non ebbe la forza di alzare il capo o anche solo le palpebre ma continuò a sorridere fedele alla convinzione che la morte era finalmente sopraggiunta, senza sapere che davanti a lei, invece che il Mietitore, vi era un angelo con la gonna e un fermaglio d'oro a forma di farfalla.

* * *

Quando i suoi piedi incontrarono l'asfalto dovette quasi fermarsi per riabituarsi a quella sensazione di concretezza sotto i piedi e così fece, restando immobile a studiare la città nel suo caotico viavai di vite distratte.
Il segni che il temporale aveva lasciato il giorno prima erano ancora lì, raggruppati in tante piccole pozze d'acqua sporca di terra. Dazai inspirò a pieni polmoni quell'aria putrida e ancora carica di elettricità. Poteva sentirla eppure essa non lo raggiungeva. Il suo corpo non era mai stato così spento e privo di forze. L'unica vera scarica elettrica in grado di farlo rinascere era il tocco di quelle dita sottili che mai l'avrebbero sfiorato nuovamente, ma avrebbe dovuto farci l'abitudine. Non poteva fossilizzarsi, sarebbe andato avanti ancora e ancora fino a consumarsi l'anima, portando sulle spalle il peso che una volta aveva condiviso con Tomie che ora era pronto a trasportare per conto suo.

«Non preoccuparti di nulla, ci penso io»

Dazai infilò le mani in tasca per nascondere il loro tremore a nessuno in particolare e iniziò a camminare verso l'agenzia, riponendo tutte quelle pene in un cassetto e ripromettendosi di aprirlo solo di notte. Cuore infranto o no, avrebbe dovuto darsi da fare. Non avrebbe lasciato che esso lo intralciasse in alcun modo durante il giorno anche se i suoi demoni trovavano sempre il modo per sfuggire al suo controllo solitamente impeccabile.
Giurò di sentirli perfino in quel momento.

«Morto morto morto, sei morto»
«Bestia»
«Sei una bestia»
«Sì, una bestia!»
«Un ranocchio che nessuna principessa potrà salvare dalla sua condanna!»
«Ucciditi e fai un favore alla società»
«Sei senza dignità»

Come un libro dalle pagine ingiallite letto troppe volte, Dazai ricordava a memoria le sentenze che quelle voci si divertivano a sputargli contro. Le sentiva festeggiare, brindare alla sua disgrazia perché sapevano, oh, sapevano bene che ora che Tomie non c'era più avrebbero potuto fare di lui ciò che volevano. Lo avrebbero portato all'Inferno e lì sarebbe rimasto, buono e ubbidiente come un cane.
Quella volta avrebbe chiuso gli occhi per non vedere nessuna mano tendersi verso di lui nel tentativo di salvarlo. Non era più sicuro di volerlo.

* * *

La dottoressa Yosano si alzò dalla sedia girevole stiracchiando le braccia al cielo. Per quanto potesse essere morbida la sedia e calorosa la piccola stanza arredata a studio medico apposta per lei, non riusciva a negare il desiderio di voler uscire di lì il prima possibile. Amava il suo lavoro ma l'odore clinico del disinfettante aveva iniziato a farle girare la testa.
Sopprimendo un sospiro si alzò affacciandosi verso il lettino sul quale Tomie stava riposando. Era fiera di se stessa e sollevata di essere arrivata in tempo. Se fosse passato anche solo un altro secondo sarebbe stato tutto inutile.
Rimase a studiare i lineamenti della giovane soffermandosi sui suoi particolari capelli violetti. C'era qualcosa in loro che apriva una piccola porticina della sua mente, non abbastanza da permetterle di sbirciarvi al suo interno purtroppo.
Una strana familiarità che stentava a ritenere vera, un po' per la stanchezza, un po' perché era certa di non aver mai visto quella ragazza in vita sua, le incollava gli occhi purpurei addosso.
Quella frustrante sensazione sarebbe sparita, Yosano si augurava, al piú presto come una folata di vento, allo stesso tempo, però, quando quest'ultimo soffiava non poteva certo essere ignorato. Era un qualcosa di astratto, irraggiungibile, ma c'era e accarezzava la pelle lascivamente, scompigliava i capelli e strappava le foglie dagli alberi lasciandole inermi per terra.
Alla fine la donna si arrese decidendo che combattere con la propria testa era una guerra persa in partenza. Magari quando la giovane si sarebbe svegliata avrebbe potuto chiarirle le idee.
Tornò a sedersi sulla sedia accasciandosi contro lo schienale. Quanto le sarebbe piaciuto chiudere gli occhi anche per soli cinque minuti; era stata sveglia tutta la notte a vegliare su quella ragazza e ora che l'alba era giunta con il suo manto dorato, Yosano desiderò che lo stendesse su di lei come una coperta.
Un gemito la costrinse a distaccarsi dal desiderio di riposare ma in un attimo esso parve sparire.
La giovane aveva aperto gli occhi rivelandone il loro colore azzurro. Scrutò la dottoressa per qualche istante, la quale si alzò quasi di scatto dalla sedia per andarle incontro.
-Come ti senti?-
La sua voce le giunse ovattata e anche se Tomie fu sicura di averla udita non rispose limitandosi a qualche sguardo apatico.
Yosano iniziò a frugare tra i suoi attrezzi medici tirando fuori da un cassetto uno stetofonendoscopio poi, tornando sui suoi passi, infilò i piccoli canali nelle orecchie e fece per posizionare il disco sul petto della giovane, ma questa alzò una mano per fermarla.
Sotto lo sguardo perplesso di Yosano si mise a sedere lentamente, dopodiché la guardò in viso per un paio di secondi, i quali bastarono a farle scaturire un'inspiegabile voglia di piangere.
-Noi... ci conosciamo?-
Tomie, ancora una volta, si limitò a guardarla. La sua voce era come bloccata in gola dall'indissolubile certezza che qualsiasi cosa avrebbe detto sarebbe servita a ben poco, dunque preferí concentrarsi sul mondo fuoristante. Aveva ripreso a scorrere, lo avvertiva dal più piccolo spostamento d'aria al suono dei clacson che raggiungevano quello studio medico.
Ma cosa ci faceva lei lì?

Meritava davvero di essere testimone dello scorrere del tempo?

Si morse il labbro imprimendo cosí nella carne il desiderio di piangere, vietando al suo animo di dar sfogo alla prostazione che continuava a seguirla. Eppure lei non aveva fatto granché per liberarsene.
Condividerla con qualcuno non bastava per allegerirne il peso, era solo l'ennesima bugia che si raccontava per avere una mera consolazione, e quante volte era stata testimone di menzogne come quella. Eppure lasciava sempre correre e l'avrebbe fatto ancora una volta, ancora una volta.
«Non importa»
Non le importava, giusto?
Oppure era una bugia anche quella?

Con la lingua piena di falsità che si ritrovava, meritava davvero di avere una seconda possibilità?

«Chi te lo dice che Dazai sarà ancora lì ad aspettarti?»

La paura di non essere più voluta le graffió la mente con unghie aguzze e sporche di incertezza.
Si dimenticò per un attimo di essere tornata alla realtà e il nulla l'avvolse ancora. Si trovò in quel vuoto che l'aveva condannata, che aveva quasi ucciso la persona che amava. Avrebbe voluto farsi del male, tanto, tanto male per non commettere più alcun errore.

Non mi lasciare

Quella condanna che aveva e continuava a dover scontare era ben incisa nella sua persona e avrebbe continuato a essere parte integrante di lei fino alla fine dei suoi giorni, lo sapeva sebbene continuava a ignorarlo di proposito.
Per un attimo biasimò la dottoressa Yosano per averla salvata quando tutto ciò che avrebbe voluto -meriato- era chiudere gli occhi una buona volta, ma ben presto scacciò via qualsiasi astio perché il viso di lui e dei suoi occhi gentili apparve nella sua testa come un fulmine; la disintossicò da tutto il veleno di cui la ragazza si stava nutrendo.
Sorrise mentre le lacrime iniziavano a solcarle il viso sotto lo sguardo insicuro della donna. Finalmente seppe cosa fare perché era tutto estremamente semplice e si maledisse per non averlo capito prima.

Concedimi di essere egoista
Concedimi di essere umana

Aveva una seconda occasione e questo, questa bastava.


* * *

Non si aspettava alcun tipo di cambiamento all'interno dell'agenzia, dopotutto il suo periodo di assenza era stato relativamente breve, sarebbe stato alquanto impossibile scorgere un minimo mutamento in così poco tempo tra quelle quattro mura che per anni erano rimaste invariate. Però, si disse avanzando tra la grande stanza occupata dalle scrivanie dei dipendenti, c'era qualcosa nell'aria che gli solleticava la cute e il cuore.
Un profumo.
Sì, Dazai era sicuro che nell'aria aleggiasse un profumo a lui familiare, nostalgico, che lo rendeva irrequieto. Non riuscí ad ignorarlo benché si fosse ripromesso, qualche attimo prima, di lasciarsi alle spalle quelle illusioni ormai appartenenti al passato. Capì che per quanto volesse essere più forte, il suo cuore vinceva sempre.
Iniziò a voltare il capo in tutte le direzioni, a far scorrere gli occhi su ogni minuzia senza notarla davvero, perché lui era in cerca di una cosa sola, utopica forse per la parte razionale della sua mente, ma presente e viva nel resto di lui.
Aprì la bocca un paio di volte ma altrettanto la richiuse.
Dove sei?
Avvertì un formicolio percuoterlo dalla testa ai piedi ma proprio quando si decise a muovere un passo, Yosano uscì dal suo studio con occhi assonnati. La donna si sarebbe accorta di lui a malapena se non fosse stato per la voce che fuoriuscì strozzata dalla sua gola un attimo dopo.
-Yosano-san...-
Ancora una volta le parole gli morirono in gola nel momento in cui si rese conto di non avere la minima idea di cosa dirle.
"Avete visto Tomie per caso? Sì, la ragazza che amo con tutto il cuore e che dovrebbe essere morta. Sa, ho sentito il suo profumo in questa stanza. Come? Ah no, non disturbatevi a chiamare il manicomio, a breve mi farò rinchiudere per conto mio".
-Oh, Dazai. È un piacere rivederti-.
Normalmente il detective non avrebbe perso tempo a posarsi una mano sul petto in maniera melodrammatica, enunciando quanto stesse soffrendo per quell' indifferenza, ma in quel momento la sua parte burlesca sembrava non essere mai esistita. Notò come gli occhi della donna fossero contornati da cerchi neri, segno inequivocabile di una notte passata in bianco.
-Va tutto bene?-
Yosano annuí perdendosi a fissare il solco delle mattonelle accanto si suoi piedi ma Dazai aveva capito ancora prima che c'era qualcosa che non andava. La donna, infatti, gli rivolse lo sguardo una seconda volta e incrociò le braccia al petto iniziando a raccontare della nottata in bianco, di come avesse salvato quella strana ragazza e di come la medesima avesse fatto scaturire in lei la sensazione di conoscerla da tempo immemore.
Man mano che il racconto proseguiva gli occhi di Dazai si allargavano a dismisura, il suo cuore scalpitava come mai prima di allora e le gambe sembravano star facendo uno sforzo immane per reggere il suo peso. Le sentiva urlare, incitarlo a correre anche se aveva l'impressione di poter svenire da un momento all'altro.
-Dazai, ti senti bene?-.
Dazai fu riscosso dal caos che imperversava in lui come un bambino pestifero che sbatteva idee e sentimenti a destra e a manca senza preoccuparsi del conseguenziale disordine e puntò le iridi castane in quelle violette della donna. Tutto ciò che riuscì a dire con voce scombussolata e rauca all'interno dell'agenzia risuonò come un grido disperato.
-Dov'è adesso?-

* * *

Correva a perdifiato. Poco importava della ferita ricucita che ancora pizzicava, poco importava che i suoi polmoni si stessero svuotando completamente, poco importava degli sguardi dei passanti.
Ogni volta che i suoi occhi scorgevano un luccichio porpora si fermava speranzoso per poi riprendere a correre una volta resosi conto che non erano i capelli di Tomie quelli.
Nel momento esatto in cui la dottoressa Yosano gli aveva riferito che la misteriosa ragazza era andata via senza rivelarle la meta verso la quale era diretta, Dazai era schizzato fuori dall'agenzia con il cuore in gola e l'ansia che gli squarciava il petto. Non trovava altri modi per descrivere a se stesso cosa stesse provando in quell'attimo che pareva non finire mai, sapeva solo che il suo corpo fremeva di una folle euforia mai percepita. Attorno a lui qualsiasi cosa aveva perso forma quasi fosse stato coperto da una coltre di nebbia indissipabile. I suoi occhi vedevano solo il colore viola o l'azzurro, niente di più. Tutto il resto era grigio.
Senza nemmeno rendersene conto aveva girato gran parte della città ma di Tomie non vi era traccia. La sua mente iniziò a deriderlo ancora e ancora con cattiveria e Dazai dovette resistere all'impulso di tapparsi le orecchie o urlare.
Quanto avrebbe voluto avere un interruttore per poter spegnere quelle voci.

«Sei pazzo, sei pazzo, sei pazzo pazzo pazzo!»
«Se anche fosse viva non tornerebbe mai da te!»
«Rinuncia, fallito!»
«Non riesci nemmeno a toglierti dai piedi, non vedi quanto sei patetico?»
«Se fossi in te tornerei a casa e mi farei curare»
«Lei è morta e tu sei solo un corpo che cammina, privo di anima e del diritto di esistere»

Il respiro gli si accorciò come se la fatica della corsa si fosse moltiplicata, piombandogli addosso senza pietà. Si sentì perso, non riconosceva più le strade della sua città, le luci erano troppo accecanti e le voci delle persone erano amplificate a tal punto da fargli fischiare le orecchie.
Alzò lo sguardo al cielo implorante.

Dove sto sbagliando?

Un silenzioso desiderio di aiuto rivolto alle nuvole tinte di arancione raggiunse il culmine ma non fuoriuscì mai dalle labbra del detective.

Stavo facendo meglio di così!

«Bugiardo!»
«Dai, dinne un'altra!»
«Un'altra menzogna, sei tanto bravo a dirle!»
«È l'unica cosa che gli riesce»

Io... non ce la faccio più...

'A cosa pensi?'

Dazai sgranò gli occhi.

'Mi piacerebbe andare sulla spiaggia.'

Mormorii spezzati dal battito incessante del suo cuore sciagurato. Un segno forse, un piccolo aiuto sussurrato nel suo orecchio. I suoi piedi si mossero quasi automaticamente mentre un tramonto vermiglio lo scrutava da lontano.

* * *

Il detective si ritrovó a combattere contro la sabbia che risucchiava i suoi passi, ma nonostante la fatica continuò ad avanzare imperterrito finché non ebbe raggiunto la riva del mare.
L'atmosfera era così tranquilla che per un attimo credette di non trovarsi nel mondo reale o, anzi, di essere un'altra persona. Qualche volta si divertiva a farlo: immaginava di chiamarsi in un altro modo, avere una vita e un passato completamente differenti da quelli marchiati a sangue che lo caratterizzavano. Ma bastava un momento, un pensiero piccolo che si insinuava subdolo in lui e tutto tornava come prima. Tutto gli ricadeva addosso cogliendolo impreparato. E ancora una volta si dimenticava come essere felice.
Anche adesso aspettava di vedere le sue innumerevoli utopie sgretolarsi, ma il pensiero che metteva sempre un punto ad esse non giunse mai. Era come se lì, in quel preciso istante, sulla riva del mare e con il vento che ne increspava la superficie tutto tornasse al posto giusto. Tutte le pene che aveva sofferto erano dissipate dagli ultimi raggi del sole; perfino le voci si erano attutite fino a diventare meri sussurri.
Era tutto quasi perfetto.
Mancava solo un dettaglio fondamentale ma esso non tardò ad arrivare.
-Che atmosfera meravigliosa, non trovi?-
Dazai si voltò piano dando le spalle alla distesa azzurra. Poco distante da lui, Tomie lo osservava con quel suo sorriso caratteristico che mandava in panne il cervello del detective. Non desiderò più essere qualcun altro, voleva essere se stesso con tutto il dolore e tutto l'amore che provava perché Tomie era lì, non in un' altra vita, non in un altro mondo e non amava nessun uomo che non fosse Dazai Osamu.
Infine, senza aspettare oltre, la giovane spalancò le braccia e con voce rotta dall'emozione proferì: -Allora? Non vieni a salutarmi?-.
Dazai non se lo fece ripetere due volte. Si fiondò tra le sue braccia assaporandone il calore e beandosi del suo profumo, stringendola non come se avesse avuto paura di perderla, ma con la certezza di averla tra le braccia e la promessa che non l'avrebbe più lasciata andare. Tomie si aggrappò al suo impermeabile piangendo silenziosamente, distaccandosi quel poco che bastava per poterlo guardare negli occhi. Dazai, allora, le prese il viso tra le mani e la baciò con una delicatezza disarmante, assicurandosi di imprimere tutto quello che c'era da dire sulle labbra dell'altra.
E Tomie capì; comprese ogni singola parola e lo baciò a sua volta, affondando le mani nei suoi capelli per sentirlo più vicino, per stampare nell'ultimo raggio di sole e nella prima stella della sera le loro anime che si stringevano senza lasciarsi ostacolare dai corpi.
E mentre dietro di loro il giorno si concludeva, un altro era pronto per essere scritto.

Fine


  
Leggi le 0 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<  
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > Bungou Stray Dogs / Vai alla pagina dell'autore: mvstrxl