[Questo capitolo contiene spoiler del manga, leggete a vostro rischio e pericolo -ma leggete lol-]
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When your warmth
disappear
I woke up from a dream
to face the reality door.
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Una goccia
di pioggia scivolò languidamente sul vetro, senza fretta,
interrompendo di tanto in tanto la piccola corsa come per posticipare
la propria fine quasi sapesse che si sarebbe schiantata contro il
davanzale della finestra prima o poi. Non aveva senso tardare
l'appuntamento con la morte, ella era sempre e comunque puntuale.
Chissà se la gocciolina stava desiderando di non essere mai
nata? Se non fosse mai nata non sarebbe mai caduta dal cielo e ora non
si starebbe per disintegrare in altre minuscole perle d'acqua che
sarebbero state inghiottite dal suolo senza lasciare segno del loro
passaggio. Sotto molti punti di vista l'inizio poteva essere ancor
più brutale della fine. Senza l'inizio nulla avrebbe potuto
smettere di essere.
Dazai ne era sempre più convinto. Se non fosse mai venuto al
mondo si sarebbe risparmiato molte sofferenze; certo, le cose belle che
aveva vissuto sarebbero sparite a loro volta ma se lui non fosse mai
esistito non avrebbe dovuto piangerle nel momento in cui si sarebbero
dissolte. Qualcosa, però, si impuntava dentro di lui,
sostenendo con determinazione che se lui e Tomie non si fossero mai
conosciuti una parte di lui l'avrebbe cercata per sempre nello stesso
modo in cui, in ventidue anni della sua vita, aveva cercato una ragione
per vivere. Ed era stata proprio Tomie a mostrargliela, a donargliela.
Aveva preso le sue mani e da quel momento Dazai aveva capito di averla
trovata.
Già, Tomie gli sarebbe mancata anche se non si fossero mai
incontrati.
Non aveva mai creduto nel karma sebbene lui era indiscutibilmente il
primo su cui si sarebbe dovuto abbattere. Ma come poteva esistere una
cosa del genere in un mondo dove le persone buone, innoque come gocce
d'acqua che scivolavano giù dal vetro, erano le prime a
trovarsi con al testa tra le mani?
Destino? L'idea che fosse già tutto scritto era solo una
scusa per non assumersi la responsabilità delle proprie
azioni. Le persone se ne lavavano le mani con frasi come "doveva andare
così a quanto pare". E se invece si sbagliassero? Se invece
avessero lottato un po' di più il finale sarebbe stato
sempre lo stesso? Chissà se se lo erano mai chiesto... Lui
sì, lui si ubriacava di quelle incognite.
Se quel giorno non l'avesse lasciata andare le cose sarebbero andate diversamente?
Probabilmente era l'unico che accumulava quelle riflessioni come cianfrusaglie. Sarebbe stato più facile anche per lui pensare che le cose dovevano andare in quel modo fin dall'inizio, ma il bambino capriccioso che preservava dentro si rifiutava categoricamente di crederci preferendo continuare a riempirsi di quesiti irrisolvibili piuttosto che ammettere la propria disfatta.
Mattino, ti prego, arriva presto ed accoglimi prima che non riesca più a nascondere la mia debolezza.
Prima di
unirsi all'agenzia i suoi monotoni giorni li trascorreva al bar a bere
come uno squallido senzatetto e a sognare un finale alternativo, uno
lieto magari. Qualche volta guardava la porta del locale come se Tomie
l'avrebbe spalancata con decisione da un momento all'altro. Poteva
quasi vederla davanti a lui; lei si guardava intorno per qualche
secondo, poi, dopo averlo intercettato e avergli rivolto uno sguardo
non esattamente morbido, gli si avvicinava prendendolo per un braccio
con l'intenzione di trascinarlo fuori da quella topaia. Avrebbe
accettato anche le sue urla o degli schiaffi, qualsiasi cosa pur di
avere la certezza che lei fosse davvero lì davanti a lui.
"Quando la smetterai di bere così tanto?" avrebbe detto lei
una volta a casa, ignorando di proposito gli occhi pieni d'amore di lui
che l'avrebbe presa per i fianchi, sapendo che la sua spavalderia
sarebbe crollata nel momento in cui l'avrebbe baciata. Forse avrebbero
fatto l'amore o forse si sarebbero limitati a sedersi sul divano e
restare abbracciati l'un l'altra mentre scambiavano quattro chiacchiere
parlando di nulla in particolare o anche solo restando in silenzio,
dimenticando tutta la faccenda.
Quelle utopie sparivano nel momento in cui Dazai veniva richiamato
dalla voce della barista che lo informava dell'imminente chiusura del
locale. A quel punto l'ex mafioso si alzava dallo sgabello e si recava
verso l'uscita in completa abiezione e solitudine. L'unica cosa che
ancora lo faceva sentire vicino alla ragazza dai capelli viola era il
medaglione che portava al collo. C'erano momenti in cui giurava di
sentire le iridi azzurri di Tomie sulla pelle. Quasi d'istinto, allora,
stringeva il pendente tra le dita e chiudeva gli occhi, cosciente,
tuttavia, che quella di cui troppo spesso si nutriva, era l'illusione
di trovarla davanti a sé una volta riaperti.
È strano, basta che tu non ci sia e la notte diventa così malinconica.
Avrebbe voluto avere almeno la consolazione di trovarsi sotto il suo stesso cielo, ma seduto sul lettino dell'ospedale reduce dall'operazione per estrarre il proiettile gentilmente regalatogli dal cecchino di Dostoevskiy, alzò gli occhi verso quest' ultimo -zeppo di nuvole grigie intente a dare sfogo alla loro ira-, il quale si estendeva davanti ai suoi occhi velati dal disinteresse e ancora una volta una risata riecheggiò dall'interno della sua mente, cupa e beffarda, ricordandogli che nessun lieto fine sarebbe stato scritto quel giorno, quello dopo e quello dopo ancora. Non per lui, perché il suo lieto fine era lei.
Ma ora non ho nessun
diritto di parlare di felicità.
Capisco più di chiunque altro che non mi si addice
un lieto fine.
* * *
Era da
tanto tempo, si disse Tomie, che non avvertiva la pelle accapponarsi in
quel modo in preda ad ondate di impetuoso gelo. Come scariche
elettriche le percuotevano il corpo facendolo formicolare, si
infilavano sotto la pelle, le attanagliavano lo stomaco e le bruciavano
le membra. Poteva sentire chiaramente il sangue fuoriuscire dalle sue
ferite e, mantenendo gli occhi chiusi come se aprirli fosse stato un
ulteriore dolore da sopportare, si ritrovò a sperare che il
Mietitore giungesse al più presto e la raccogliesse da terra
con delicatezza per portarla via con sé. Il fatto di essere
ancora cosciente non sapeva se considerarlo un regalo o una dannazione:
avrebbe potuto vedere, avvertire quel mondo
sfuggente -che per quanto l'avesse messa a dura prova rimaneva sempre
di una bellezza disarmante, ma di questo pareva rendersene davvero
conto solo in quel momento- un'ultima volta, pensare al sorriso caldo
di Dazai e sentire il sale delle lacrime un ultimo istante prima di
spirare.
Il suo respiro iniziò a rallentare e lei si
lasciò sfuggire un sorriso perché finalmente
avrebbe potuto riposare per davvero. C'erano tante
cose a cui non era riuscita ad adempiere come avrebbe voluto -dopotutto
la sua era stata un'esistenza breve-, ma in quel momento non parevano
rivestire un'importanza primaria, era troppo presa dal torpore che le
si stava accasciando pesantemente sulla schiena schiacciando il suo
corpo contro l'asfalto.
Il nome di Dazai era l'unica cosa che continuava ad occupare posto
quasi prepotentemente nella sua testa; quanto avrebbe voluto averlo
accanto, dirgli addio una seconda e definitiva volta, accarezzarlo e
fargli sapere di nuovo che le dispiaceva così dannatamente
tanto per tutto. Le sarebbe piaciuto averlo al suo capezzale, forse non
così presto ma aveva sempre creduto che sarebbe stata lui
l'ultima cosa su cui i suoi occhi si sarebbero posati prima di
chiudersi per sempre. Forse, se quel giorno di quasi nove anni fa lei
non lo avesse fissato un po' troppo a lungo per poi sorridergli, se lui
non avesse ricambiato incerto... Forse, e solo forse, ognuno avrebbe
proseguito per la propria strada e, qualora lei fosse morta lo stesso,
non avrebbe dovuto ripensare con angoscia a quanto dolore gli avesse
procurato l'esatto momento in cui quella notte si era presentata in uno
dei suoi sogni con l'addome insanguinato e le parole lasciate a
metà.
Ma chi voleva prendere in giro? Se non avesse usato la sua
abilità tutto ciò sarebbe potuto essere evitato.
Non c'era modo di cambiare le cose, in ogni caso la colpa era sua.
Nel mortale dormiveglia finalmente le parve di percepire qualcuno
sostare in piedi davanti a lei. Non ebbe la forza di alzare il capo o
anche solo le palpebre ma continuò a sorridere fedele alla
convinzione che la morte era finalmente sopraggiunta, senza sapere che
davanti a lei, invece che il Mietitore, vi era un angelo con la gonna e
un fermaglio d'oro a forma di farfalla.
* * *
Quando i
suoi piedi incontrarono l'asfalto dovette quasi fermarsi per
riabituarsi a quella sensazione di concretezza sotto i piedi e
così fece, restando immobile a studiare la città
nel suo caotico viavai di vite distratte.
Il segni che il temporale aveva lasciato il giorno prima erano ancora
lì, raggruppati in tante piccole pozze d'acqua sporca di
terra. Dazai inspirò a pieni polmoni quell'aria putrida e
ancora carica di elettricità. Poteva sentirla eppure essa
non lo raggiungeva. Il suo corpo non era mai stato così
spento e privo di forze. L'unica vera scarica elettrica in grado di
farlo rinascere era il tocco di quelle dita sottili che mai l'avrebbero
sfiorato nuovamente, ma avrebbe dovuto farci l'abitudine. Non poteva
fossilizzarsi, sarebbe andato avanti ancora e ancora fino a consumarsi
l'anima, portando sulle spalle il peso che una volta aveva condiviso
con Tomie che ora era pronto a trasportare per conto suo.
«Non preoccuparti di nulla, ci penso io»
Dazai
infilò le mani in tasca per nascondere il loro tremore a
nessuno in particolare e iniziò a camminare verso l'agenzia,
riponendo tutte quelle pene in un cassetto e ripromettendosi di aprirlo
solo di notte. Cuore infranto o no, avrebbe dovuto darsi da fare. Non
avrebbe lasciato che esso lo intralciasse in alcun modo durante il
giorno anche se i suoi demoni trovavano sempre il modo per sfuggire al
suo controllo solitamente impeccabile.
Giurò di sentirli perfino in quel momento.
«Morto
morto morto, sei morto»
«Bestia»
«Sei una bestia»
«Sì, una bestia!»
«Un ranocchio che nessuna principessa
potrà salvare dalla sua condanna!»
«Ucciditi e fai un favore alla
società»
«Sei senza dignità»
Come un
libro dalle pagine ingiallite letto troppe volte, Dazai ricordava a
memoria le sentenze che quelle voci si divertivano a sputargli contro.
Le sentiva festeggiare, brindare alla sua disgrazia perché
sapevano, oh, sapevano bene che ora che Tomie non c'era più
avrebbero potuto fare di lui ciò che volevano. Lo avrebbero
portato all'Inferno e lì sarebbe rimasto, buono e ubbidiente
come un cane.
Quella volta avrebbe chiuso gli occhi per non vedere nessuna mano
tendersi verso di lui nel tentativo di salvarlo. Non era più
sicuro di volerlo.
* * *
La dottoressa Yosano si
alzò dalla sedia girevole stiracchiando le braccia al cielo.
Per quanto potesse essere morbida la sedia e calorosa la piccola stanza
arredata a studio medico apposta per lei, non riusciva a negare il
desiderio di voler uscire di lì il prima possibile. Amava il
suo lavoro ma l'odore clinico del disinfettante aveva iniziato a farle
girare la testa.
Sopprimendo un sospiro si alzò affacciandosi verso il
lettino sul quale Tomie stava riposando. Era fiera di se stessa e
sollevata di essere arrivata in tempo. Se fosse passato anche solo un
altro secondo sarebbe stato tutto inutile.
Rimase a studiare i lineamenti della giovane soffermandosi sui suoi
particolari capelli violetti. C'era qualcosa in loro che apriva una
piccola porticina della sua mente, non abbastanza da permetterle di
sbirciarvi al suo interno purtroppo.
Una strana familiarità che stentava a ritenere vera, un po'
per la stanchezza, un po' perché era certa di non aver mai
visto quella ragazza in vita sua, le incollava gli occhi purpurei
addosso.
Quella frustrante sensazione sarebbe sparita, Yosano si augurava, al
piú presto come una folata di vento, allo stesso tempo,
però, quando quest'ultimo soffiava non poteva certo essere
ignorato. Era un qualcosa di astratto, irraggiungibile, ma c'era e
accarezzava la pelle lascivamente, scompigliava i capelli e strappava
le foglie dagli alberi lasciandole inermi per terra.
Alla fine la donna si arrese decidendo che combattere con la propria
testa era una guerra persa in partenza. Magari quando la giovane si
sarebbe svegliata avrebbe potuto chiarirle le idee.
Tornò a sedersi sulla sedia accasciandosi contro lo
schienale. Quanto le sarebbe piaciuto chiudere gli occhi anche per soli
cinque minuti; era stata sveglia tutta la notte a vegliare su quella
ragazza e ora che l'alba era giunta con il suo manto dorato, Yosano
desiderò che lo stendesse su di lei come una coperta.
Un gemito la costrinse a distaccarsi dal desiderio di riposare ma in un
attimo esso parve sparire.
La giovane aveva aperto gli occhi rivelandone il loro colore azzurro.
Scrutò la dottoressa per qualche istante, la quale si
alzò quasi di scatto dalla sedia per andarle incontro.
-Come ti senti?-
La sua voce le giunse ovattata e anche se Tomie fu sicura di averla
udita non rispose limitandosi a qualche sguardo apatico.
Yosano iniziò a frugare tra i suoi attrezzi medici tirando
fuori da un cassetto uno stetofonendoscopio poi, tornando sui suoi
passi, infilò i piccoli canali nelle orecchie e fece per
posizionare il disco sul petto della giovane, ma questa alzò
una mano per fermarla.
Sotto lo sguardo perplesso di Yosano si mise a sedere lentamente,
dopodiché la guardò in viso per un paio di
secondi, i quali bastarono a farle scaturire un'inspiegabile voglia di
piangere.
-Noi... ci conosciamo?-
Tomie, ancora una volta, si limitò a guardarla. La sua voce
era come bloccata in gola dall'indissolubile certezza che qualsiasi
cosa avrebbe detto sarebbe servita a ben poco, dunque
preferí concentrarsi sul mondo fuoristante. Aveva ripreso a
scorrere, lo avvertiva dal più piccolo spostamento d'aria al
suono dei clacson che raggiungevano quello studio medico.
Ma cosa ci faceva lei lì?
Meritava davvero di essere testimone dello scorrere del tempo?
Si morse il labbro imprimendo
cosí nella carne il desiderio di piangere, vietando al suo
animo di dar sfogo alla prostazione che continuava a seguirla. Eppure
lei non aveva fatto granché per liberarsene.
Condividerla con qualcuno non bastava per allegerirne il peso, era solo
l'ennesima bugia che si raccontava per avere una mera consolazione, e
quante volte era stata testimone di menzogne come quella. Eppure
lasciava sempre correre e l'avrebbe fatto ancora una volta, ancora una
volta.
«Non importa»
Non le importava, giusto?
Oppure era una bugia anche quella?
Con la lingua piena di falsità che si ritrovava, meritava davvero di avere una seconda possibilità?
«Chi te lo dice che Dazai sarà ancora lì ad aspettarti?»
La paura di non essere
più voluta le graffió la mente con unghie aguzze
e sporche di incertezza.
Si dimenticò per un attimo di essere tornata alla
realtà e il nulla l'avvolse ancora. Si trovò in
quel vuoto che l'aveva condannata, che aveva quasi ucciso la persona
che amava. Avrebbe voluto farsi del male, tanto, tanto male per non
commettere più alcun errore.
Non mi lasciare
Quella condanna che aveva e
continuava a dover scontare era ben incisa nella sua persona e avrebbe
continuato a essere parte integrante di lei fino alla fine dei suoi
giorni, lo sapeva sebbene continuava a ignorarlo di proposito.
Per un attimo biasimò la dottoressa Yosano per averla
salvata quando tutto ciò che avrebbe voluto -meriato-
era chiudere gli occhi una buona volta, ma ben presto
scacciò via qualsiasi astio perché il viso di lui
e dei suoi occhi gentili apparve nella sua testa come un fulmine; la
disintossicò da tutto il veleno di cui la ragazza si stava
nutrendo.
Sorrise mentre le lacrime iniziavano a solcarle il viso sotto lo
sguardo insicuro della donna. Finalmente seppe cosa fare
perché era tutto estremamente semplice e si maledisse per
non averlo capito prima.
Concedimi di essere
egoista
Concedimi di essere umana
Aveva una seconda occasione e questo, questa bastava.
* * *
Non si
aspettava alcun tipo di cambiamento all'interno dell'agenzia, dopotutto
il suo periodo di assenza era stato relativamente breve, sarebbe stato
alquanto impossibile scorgere un minimo mutamento in così
poco tempo tra quelle quattro mura che per anni erano rimaste
invariate. Però, si disse avanzando tra la grande stanza
occupata dalle scrivanie dei dipendenti, c'era qualcosa nell'aria che
gli solleticava la cute e il cuore.
Un profumo.
Sì, Dazai era sicuro che nell'aria aleggiasse un profumo a
lui familiare, nostalgico, che lo rendeva irrequieto. Non
riuscí ad ignorarlo benché si fosse ripromesso,
qualche attimo prima, di lasciarsi alle spalle quelle illusioni ormai
appartenenti al passato. Capì che per quanto volesse essere
più forte, il suo cuore vinceva sempre.
Iniziò a voltare il capo in tutte le direzioni, a far
scorrere gli occhi su ogni minuzia senza notarla davvero,
perché lui era in cerca di una cosa sola, utopica forse per
la parte razionale della sua mente, ma presente e viva nel resto di lui.
Aprì la bocca un paio di volte ma altrettanto la richiuse.
Dove sei?
Avvertì un formicolio percuoterlo dalla testa ai piedi ma
proprio quando si decise a muovere un passo, Yosano uscì dal
suo studio con occhi assonnati. La donna si sarebbe accorta di lui a
malapena se non fosse stato per la voce che fuoriuscì
strozzata dalla sua gola un attimo dopo.
-Yosano-san...-
Ancora una volta le parole gli morirono in gola nel momento in cui si
rese conto di non avere la minima idea di cosa dirle.
"Avete visto Tomie per caso? Sì, la ragazza che amo
con tutto il cuore e che dovrebbe essere morta. Sa, ho sentito il suo
profumo in questa stanza. Come? Ah no, non disturbatevi a chiamare il
manicomio, a breve mi farò rinchiudere per conto mio".
-Oh, Dazai. È un piacere rivederti-.
Normalmente il detective non avrebbe perso tempo a posarsi una mano sul
petto in maniera melodrammatica, enunciando quanto stesse soffrendo per
quell' indifferenza, ma in quel momento la sua parte burlesca sembrava
non essere mai esistita. Notò come gli occhi della donna
fossero contornati da cerchi neri, segno inequivocabile di una notte
passata in bianco.
-Va tutto bene?-
Yosano annuí perdendosi a fissare il solco delle mattonelle
accanto si suoi piedi ma Dazai aveva capito ancora prima che c'era
qualcosa che non andava. La donna, infatti, gli rivolse lo sguardo una
seconda volta e incrociò le braccia al petto iniziando a
raccontare della nottata in bianco, di come avesse salvato quella
strana ragazza e di come la medesima avesse fatto scaturire in lei la
sensazione di conoscerla da tempo immemore.
Man mano che il racconto proseguiva gli occhi di Dazai si allargavano a
dismisura, il suo cuore scalpitava come mai prima di allora e le gambe
sembravano star facendo uno sforzo immane per reggere il suo peso. Le
sentiva urlare, incitarlo a correre anche se aveva l'impressione di
poter svenire da un momento all'altro.
-Dazai, ti senti bene?-.
Dazai fu riscosso dal caos che imperversava in lui come un bambino
pestifero che sbatteva idee e sentimenti a destra e a manca senza
preoccuparsi del conseguenziale disordine e puntò le iridi
castane in quelle violette della donna. Tutto ciò che
riuscì a dire con voce scombussolata e rauca all'interno
dell'agenzia risuonò come un grido disperato.
-Dov'è adesso?-
* * *
Correva a
perdifiato. Poco importava della ferita ricucita che ancora pizzicava,
poco importava che i suoi polmoni si stessero svuotando completamente,
poco importava degli sguardi dei passanti.
Ogni volta che i suoi occhi scorgevano un luccichio porpora si fermava
speranzoso per poi riprendere a correre una volta resosi conto che non
erano i capelli di Tomie quelli.
Nel momento esatto in cui la dottoressa Yosano gli aveva riferito che
la misteriosa ragazza era andata via senza rivelarle la meta verso la
quale era diretta, Dazai era schizzato fuori dall'agenzia con il cuore
in gola e l'ansia che gli squarciava il petto. Non trovava altri modi
per descrivere a se stesso cosa stesse provando in quell'attimo che
pareva non finire mai, sapeva solo che il suo corpo fremeva di una
folle euforia mai percepita. Attorno a lui qualsiasi cosa aveva perso
forma quasi fosse stato coperto da una coltre di nebbia indissipabile.
I suoi occhi vedevano solo il colore viola o l'azzurro, niente di
più. Tutto il resto era grigio.
Senza nemmeno rendersene conto aveva girato gran parte della
città ma di Tomie non vi era traccia. La sua mente
iniziò a deriderlo ancora e ancora con cattiveria e Dazai
dovette resistere all'impulso di tapparsi le orecchie o urlare.
Quanto avrebbe voluto avere un interruttore per poter spegnere quelle
voci.
«Sei
pazzo, sei pazzo, sei pazzo pazzo pazzo!»
«Se anche fosse viva non tornerebbe mai da
te!»
«Rinuncia, fallito!»
«Non riesci nemmeno a toglierti dai piedi, non vedi
quanto sei patetico?»
«Se fossi in te tornerei a casa e mi farei
curare»
«Lei è morta e tu sei solo un corpo che
cammina, privo di anima e del diritto di esistere»
Il respiro
gli si accorciò come se la fatica della corsa si fosse
moltiplicata, piombandogli addosso senza pietà. Si
sentì perso, non riconosceva più le strade della
sua città, le luci erano troppo accecanti e le voci delle
persone erano amplificate a tal punto da fargli fischiare le orecchie.
Alzò lo sguardo al cielo implorante.
Dove sto sbagliando?
Un silenzioso desiderio di aiuto rivolto alle nuvole tinte di arancione raggiunse il culmine ma non fuoriuscì mai dalle labbra del detective.
Stavo facendo meglio di così!
«Bugiardo!»
«Dai, dinne un'altra!»
«Un'altra menzogna, sei tanto bravo a
dirle!»
«È l'unica cosa che gli riesce»
Io... non ce la faccio più...
'A cosa pensi?'
Dazai sgranò gli occhi.
'Mi piacerebbe andare sulla spiaggia.'
Mormorii spezzati dal battito incessante del suo cuore sciagurato. Un segno forse, un piccolo aiuto sussurrato nel suo orecchio. I suoi piedi si mossero quasi automaticamente mentre un tramonto vermiglio lo scrutava da lontano.
* * *
Il
detective si ritrovó a combattere contro la sabbia che
risucchiava i suoi passi, ma nonostante la fatica continuò
ad avanzare imperterrito finché non ebbe raggiunto la riva
del mare.
L'atmosfera era così tranquilla che per un attimo credette
di non trovarsi nel mondo reale o, anzi, di essere un'altra persona.
Qualche volta si divertiva a farlo: immaginava di chiamarsi in un altro
modo, avere una vita e un passato completamente differenti da quelli
marchiati a sangue che lo caratterizzavano. Ma bastava un momento, un
pensiero piccolo che si insinuava subdolo in lui e tutto tornava come
prima. Tutto gli ricadeva addosso cogliendolo impreparato. E ancora una
volta si dimenticava come essere felice.
Anche adesso aspettava di vedere le sue innumerevoli utopie
sgretolarsi, ma il pensiero che metteva sempre un punto ad esse non
giunse mai. Era come se lì, in quel preciso istante, sulla
riva del mare e con il vento che ne increspava la superficie tutto
tornasse al posto giusto. Tutte le pene che aveva sofferto erano
dissipate dagli ultimi raggi del sole; perfino le voci si erano
attutite fino a diventare meri sussurri.
Era tutto quasi perfetto.
Mancava solo un dettaglio fondamentale ma esso non tardò ad
arrivare.
-Che atmosfera meravigliosa, non trovi?-
Dazai si voltò piano dando le spalle alla distesa azzurra.
Poco distante da lui, Tomie lo osservava con quel suo sorriso
caratteristico che mandava in panne il cervello del detective. Non
desiderò più essere qualcun altro, voleva essere
se stesso con tutto il dolore e tutto l'amore che provava
perché Tomie era lì, non in un' altra vita, non
in un altro mondo e non amava nessun uomo che non fosse Dazai Osamu.
Infine, senza aspettare oltre, la giovane spalancò le
braccia e con voce rotta dall'emozione proferì: -Allora? Non
vieni a salutarmi?-.
Dazai non se lo fece ripetere due volte. Si fiondò tra le
sue braccia assaporandone il calore e beandosi del suo profumo,
stringendola non come se avesse avuto paura di perderla, ma con la
certezza di averla tra le braccia e la promessa che non l'avrebbe
più lasciata andare. Tomie si aggrappò al suo
impermeabile piangendo silenziosamente, distaccandosi quel poco che
bastava per poterlo guardare negli occhi. Dazai, allora, le prese il
viso tra le mani e la baciò con una delicatezza disarmante,
assicurandosi di imprimere tutto quello che c'era da dire sulle labbra
dell'altra.
E Tomie capì; comprese ogni singola parola e lo
baciò a sua volta, affondando le mani nei suoi capelli per
sentirlo più vicino, per stampare nell'ultimo raggio di sole
e nella prima stella della sera le loro anime che si stringevano senza
lasciarsi ostacolare dai corpi.
E mentre dietro di loro il giorno si concludeva, un altro era pronto
per essere scritto.
Fine