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Autore: iamnotgoodwithnames    08/11/2017    4 recensioni
“...io me ne sarei tornato in Ucraina”
È una battuta, Bob ride dall’altro capo del telefono, ma per Mickey è una soluzione, una dannatissima follia, comunque migliore di vagare per il Messico e poi più lontano fugge e meno dovrà preoccuparsi della polizia che, sicuramente, starà continuando a cercarlo
“da chi?”
[...]
Tre anni dopo gli avvenimenti della settima stagione le vite dei Gallagher sono andate avanti, Carl ancora interessato ad entrare in polizia, Frank distrutto dal lutto per la perdita di Monica, Lip intenzionato a non diventare come il padre, Fiona completamente assorbita dal lavoro, Debbie alle prese con la crescita della figlia, Liam curioso bambino impegnato negli studi ed Ian, intento a riprendere in mano il proprio futuro e dimenticare, per sempre, definitivamente, quel ragazzo del South Side che ha visto svanire oltre il confine messicano. Ma le loro non sono le uniche vite ad essere cambiate, come i Gallagher anche i Milkcovich sono andati avanti : Mandy lontana da Chicago, Iggy ancora immischiato nella criminalità da ghetto e Mickey, fuggito lontano; così lontano da scoprire una vita nuova, forse persino migliore di quella a cui si era rassegnato.
Un lato diverso, nuovi Milkovich all'orizzonte; siete pronti a conoscerli?
Genere: Angst, Drammatico, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Ian Gallagher, Mickey Milkovich, Nuovo personaggio, Un po' tutti, Yevgeny Milkovich
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza
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~ Chapter Five : (Not) Gone ~


Troieshchyna, Kiev, Ucraina 

Yehor si aggira per la stanza, i boxer scuri ne sfiorano la candida pelle, coprendone appena le parti intime, i castani capelli arruffati ed una domanda sulla punta della lingua, una domanda che ha cercato di respingere per anni, da quel giorno in cui lo incontrò per la prima volta, quel giorno in cui si presentò accompagnato da Serhij e gli chiese di coprire, non importava come, un tatuaggio chiaramente di artigianale fattura, tremulo e sbiadito, d’uno sgradevole color bluastro ed Yehor, per amore dell’arte, accettò senza perdere ulteriore tempo.
Fece del suo meglio, disegnando su quella pelle pallida un’opera che, col senno di poi, si adatta perfettamente al vissuto di Mickey, coprendo quel nome inciso manualmente, quel nome che per giorni incuriosì Yehor; ma il coraggio di chiedergli chi fosse quell’Ian Galagher non lo trovò mai, neppure dopo, quando divennero decisamente più intimi.

Il problema, in quei mesi, era il timore che una qualsiasi domanda sbagliata avrebbe potuto allontanare Mickey e, sinceramente, Yehor non aveva alcuna intenzione di rinunciare a quel corpo robusto sopra di lui e al sesso, al dannatamente perfetto sesso, con cui s’intratteneva nelle giornate di noia.
E poi quel sesso si tramutò in lenta, lentissima, conoscenza e, altrettanto lentamente, divenne convivenza ed Yehor a quel punto si sentì impossibilitato a chiedere, ma quel nome continuava a ronzargli tra i pensieri, infastidendolo ed incuriosendolo contemporaneamente; ma si disse che non poteva rovinare quel che avevano, qualsiasi cosa fosse.

Eppure oggi sente che è giunto il momento, a trattenere quella domanda Yehor non ci riesce più, ha bisogno di sapere, un bisogno viscerale, imporsi silenzio è impossibile ormai, inspira, catturando tutto l’ossigeno possibile


хто був?" (chi era?)


Chiede, poggiandosi allo stipite della porta, la nuca emerge timidamente dalla camera affacciandosi al corridoio, catturando le iridi di Mickey, placidamente poggiato al bordo del pianale da cucina, tra le dita una tazza, ancora poggiata alle labbra, arcua un sopracciglio


ім'я (il nome) – aggiunge Yehor, avanzando lento, sino a portarglisi di fronte – що ти татуював, перший" (quello che avevi tatuato, prima)


Mickey s’irrigidisce, il caffè vibra impercettibilmente racchiuso nella tazza, vi affonda il volto all’interno, quasi a volersi nascondere, ma non può nascondersi da un ricordo


ви були (stavate) – mormora incerto il castano, poggiando i palmi al pianale in marmo che li divide – він був...це був ваш хлопець" (eravate…vi frequentavate?)


Il Milkovich stringe la tazza tra le dita della mano destra, sino a renderne pallide le nocche, le lettere impresse alla pelle risaltano ancora di più, rendendo quasi chiaro un implicito messaggio; vaffanculo.

Dannazione era una mattinata perfetta, la primavera rendeva il clima meno rigido, non aveva impegni per la giornata, poteva rilassarsi, perdere tempo a fissare il televisore o commentare i disegni che, con infantile insicurezza, Yehor gli avrebbe mostrato per qualche futuro cliente da tatuare ed invece, a quanto pare, quell’idiota aveva deciso di rovinargliela.
Tre anni, tre fottuti anni, e mai una volta che avesse pensato di chiedergli di quel nome, quel cazzo di nome che si era fatto nascondere sotto altro inchiostro, era quasi certo che non gli importasse, che se ne fosse persino dimenticato; come diamine gli veniva in mente di domandarglielo proprio ora?

Cosa può rispondergli?
Che erano una coppia, forse?
Non ne era mai stato certo neppure lui, quel che erano non se l’è mai neppure chiesto, erano loro e a Mickey questo bastava.

Si morde il labbro inferiore, torturandoselo come i pensieri torturano la mente, memorie di tempi passati riemergono, un’onda travolgente di sensazioni, un uragano d’emozioni confuse, cos’era Ian?

Cos’erano loro?

Dov’è Ian, ora?


виправдання (scusa) – soffia sottile Yehor, affiancando il corvino, sfiorandone la spalla – Мені було просто цікаво...вам не потрібно відповідати, якщо ти не хочешero" (ero solo curioso...non rispondermi, se non vuoi)

що ти хочеш, щоб я вам розповідав?" (che cazzo vuoi che ti dica?)


Sobbalza Mickey, ritraendosi da quel lieve contatto che brucia, come fiamme infernali, diamine non credeva d’essere così sentimentale, ma la morsa alla base del ventre, il macigno alla bocca dello stomaco, quella sgradevole sensazione, qualcosa che forse somiglia al senso di colpa, è più insopportabile di un coltello conficcato tra le costole; incolpa quella testa rossa che credeva d’essersi lasciato alle spalle, è lui che l’ha reso così debolmente emotivo.
Non dovrebbe neppure sentirsi colpevole, per cosa poi?

Per essere andato avanti, per aver cercato di dimenticare Ian?

Per averne sostituito l’assenza?

Forse è questo, ragiona Mickey, il punto.

L’ha sostituito, con Yehor, un mero rimpiazzo.

No, sarà pure stronzo, si dice Mickey, ma non può negarsi di provare qualcosa, qualcosa di più intenso, reale, sincero per quella testa castana, perennemente china tra fogli colorati e matite consumate.
Forse è per questo che si sente così dannatamente colpevole, credeva che con Yehor avrebbe smesso di pensare ad Ian; definitivamente. 


нічого (niente) – sussurra il castano, passandosi una mano tra i capelli, è agitato Mickey lo nota da quegli occhi verde, macchiati di grigio, che vagano incerti da un punto all’altro della cucina – тільки...це було важливо?" (solo…era importante?)

хер (cazzo) – sibila il Milkovich, gettando la tazza, ancora colma di caffè, al lavandino, poggiandovisi contro – ти не маєш чортів, щоб робити?" (non hai qualche fottuto disegno da fare?)


Incrocia le braccia al ventre, sollevando le sopracciglia a formare archi d’imbarazzo e rabbia, quella domanda non andava posta, era l’unico limite mai espresso, oltrepassarlo era implicitamente proibito ed Yehor deglutisce a vuoto, annuendo impercettibilmente.
Non ha bisogno di sentirle da Mickey quelle parole che sono impresse in ogni centimetro del volto, che ne fanno tremare le iridi azzurre, che ne irrigidiscono ogni muscolo, chiunque fosse quell’Ian Galagher era importante, dannatamente importante, per lui ed una paura, un timore sopito, represso negli ultimi due anni con cieco ottimismo, si tramuta in un brivido che risale la spina dorsale di Yehor; se quel nome tornerà lo schiaccerà escludendolo e, anche dovesse restare un fantasma, sarà sempre costantemente presente, una memoria che aleggia tra di loro, anche se dovesse restare soltanto un nome continuerà ad essere l’unica vera minaccia.

Infondo Yehor l’aveva sempre sospettato, poteva coprire quel nome, imprime così tanto inchiostra proprio lì, in quel punto, ma non poteva fare nulla per le memorie ad esso legate, non importava quanto c’avrebbe provato, con quanta forza o intensità, non sarebbe mai riuscito a cancellare il peso di memorie distanti racchiuse nella mente di Mickey.
Non importa, cerca di dirsi Yehor, basta anche questo, i momenti sereni, le risate spensierate, quel che hanno avuto e quel che hanno ancora, basta questo si ripete ed un sorriso mesto ne plasma le carnose labbra color salmone, vorrà dire che s’impegnare a far durate tutto questo, a renderlo ricordi indelebili, a marchiarsi come inchiostro su pelle tra le memorie di Mickey, anche solo d’alcune.


ебать Еор (cazzo Eor) – esclama Mickey, afferrandogli le spalle, guardandolo dal basso di qualche centimetro di differenza – у вас є забагато дурних думок в цій проклятій голові" (ti girano troppi pensieri del cazzo in quella fottutissima testa)


Yehor gli direbbe che è colpa sua, dei suoi innumerevoli segreti e silenzi, di quel dannato passato di cui non parla mai, ma le labbra del Milkovich glielo impediscono ed un sorriso incerto s’infrange tra i denti del corvino


зробити їх мовчати" (falli stare zitti)


Soffia questi, carezzandogli di rude dolcezza la nuca, spingendone poi il capo con un buffetto lieve ed Yehor si lascia sfuggire un risolino spensierato, afferrandogli  il bordo della sottile canottiera scura


може ти можеш мені допомогти" (magari puoi aiutarmi tu)


Soffia mellifluo, umettandosi le labbra malizioso ed un sorriso sincero plasma le labbra di Mickey, non ha bisogno di nasconderlo, non vuole nasconderlo; Yehor deve vederlo, deve mostrarglielo


чи ми колись зробили це на кухні?" (l’abbiamo mai fatto in cucina?)


Chiede Yehor, sfiorando sensuale il lobo destro del corvino, le mani discendono con estenuante lentezza lungo i fianchi, perdendosi al di sotto dello scuro tessuto


ми зламали три прокляті чашки" (abbiamo rotto tre fottute tazze)

що ми хочемо сьогодні розбити?" (cosa vogliamo rompere oggi?)


Sogghigna di pura lussuria Yehor, gettando la canotta al suolo, catturando le labbra di Mickey tra le sue, lasciando che le mani del corvino s’insinuino con prepotente delicatezza tra la stoffa dei suoi boxer; mugugnando d’impaziente piacere.


 
 
South Side, Chicago, USA 
 
Ancora stenta a riconoscerla, siede al tavolo in cucina da minuti eppure ad Ian risulta ancora difficile scorgere, oltre lo scuro mascara spesso, le carnose labbra tinteggiate di viola, i lunghi capelli biondo accesso che le incorniciano, lisci come seta, il pallido volto la Mandy che era solita rubare magliette dall’armadio dei fratelli ed aggirarsi tra le strade del South Side con la fierezza e la rabbia che solo un Milkovich possiede.
È diversa, persino diversa dall’ultima volta che si sono incontrati, i jeans attillati e la sottile camicia perlacea che indossa sembrano essere ancora più costosi dell’abito che le aveva lavato l’ultima volta, in circostanze che Ian preferirebbe dimenticare; abbozza un sorriso incerto alludendo alla borsa griffata che pende dallo schienale della sedia


“te la passi bene”


Mandy esibisce quel ghigno, quell’inconfondibile ghigno di sfacciato orgoglio che i Milkovich sembrano possedere in dotazione sin dalla nascita, ed annuisce afferrando la birra tra le affusolate dita laccate di nero


“lavori ancora – tituba Ian, non è ancora riuscito ad accettare la scelta dell’amica – come…”

“escort – conclude per lui la bionda, annuendo soltanto – ma non devo più preoccuparmi di stupidi figli di puttana”

“quindi non rischierò di ricevere un’altra chiamata d’allarme rosso?”

“cazzo, no – storce le labbra Mandy, poggiandole poi al collo della bottiglia – niente più bastardi, i ricconi che frequento ora sono fottutamente noiosi e innocui, solo dannatissime cene di gala e stupide serate di beneficienza, come se gliene fregasse qualche cazzo di cosa della merda di povertà”


Ed Ian sogghigna, rigirandosi il bicchiere ricolmo di succo d’arancia tra le dita, adesso la riconosce


“vivi ancora con quelle ragazze?”

“no, mi sono spostata, adesso sono circondata da avvocati del cazzo e dottori con più soldi che educazione”

“nell’Indiana?”

“già, Indianapolis, non è male – storce il naso Mandy, poggiando la bottiglia al tavolo, guardandosi attorno – stranamente silenzioso”


Il rosso sbuffa un risolino nervoso, ingollando un sorso d’aranciata


“devo ancora abituarmici – ammette, tamburellando le dita al bordo del bicchiere – le cose vanno un po’ meglio, da qualche anno”


La bionda annuisce, continuando ad analizzare la cucina, è diversa dall’ultima volta che vi era stata, c’è ordine, pulizia, ma soprattutto nessun Gallagher urlante, né Frank a blaterare monologhi inutili, una tranquillità che la sorprende piacevolmente


“e…tu – chiede Ian, spinto da curiosità che nasconde domande che non sa come porre – il resto della banda?”


Ironizza, alludendo ai fratelli Milkovich e la bionda scrolla le spalle, scostandosi una ciocca dietro l’orecchio, cercando tra la borsa un pacchetto di sigarette, fuma ancora le slim


“come cazzo vuoi che vada? – dice retorica, portandosene una alle labbra, la fiamma dell’accendino le illumina le chiare iridi – quel pezzo di merda di Terry è in carcere, di nuovo, Joey è dietro le sbarre, a quanto pare Colin si è trasferito da quell’altro pezzo di merda di Bob, a lavorare con i cugini, l’unico che se la passa meglio è Iggy”


Soffia un sorriso nascosto dietro fumo grigio, gettando la cenere nel posacenere in plastica arancione al centro del tavolo


“convive con una tipa, una strana, una cazzo di hippie uscita dai fottuti anni ottanta – ridacchia, roteando lo sguardo al cielo – ma se è felice, cazzo buon per lui, se lo merita quel cretino strafatto”


Ian, negli insulti tra Milkovich, ha imparato a leggervi velate manifestazioni di sincero affetto, a distinguerli dai canonici insulti, è il tono con cui vengono pronunciati, la lieve incurvatura delle labbra, una luce diversa nello sguardo a permettergli d’intuirlo


“già – inspira, cercando di farsi coraggio, sanno entrambi per quale motivo sono l’uno di fronte all’altra – e…”

“no – risponde secca Mandy, mozzando la domanda prima ancora che possa scivolare dalle labbra del rosso – non l’ho più sentito”

“non sei…”

“Ian, cazzo, no, non sono preoccupata e non voglio cercarlo, ha fatto la sua scelta, se n’è andato”


Una scelta che avrebbe potuto compiere anche lui, quando ne aveva l’occasione, una scelta che non rimpiange, o almeno così si ripete il rosso, ma che altro poteva fare; lasciarsi la vita che si era faticosamente costruito alle spalle ed essere davvero come Monica?


“a volte…penso a…”

“anch’io – ammette in un soffio Mandy, la cenere s’accumula al fondo del posacenere – è una fottutissima testa di cazzo, ma è mio fratello e quello stronzo se n’è andato, senza dirmi un cazzo, ma è un fottuto Milkovich ovunque sia se la starà cavando”


Lei sa, meglio di chiunque altro, quanto Mickey sia abile nella difficile arte della sopravvivenza e legge, nelle iridi verdi dell’amico, la necessità di rassicurarlo, quella medesima necessità di cui anche lei ha bisogno, a volte, quando troppo domande le affollato, contro ogni suo volere, la mente.
Sta bene, si dice ogni volta, sa come sopravvivere, si ripete ogni giorno, dopotutto è un Milkovich; la sopravvivenza è nel loro DNA.
Ian deglutisce a vuoto fingendo di crederle, ma la titubanza che ne anima lo sguardo non può essere mascherata neppure dal più ampio dei sorrisi e Mandy decide di cambiare discorso


“e tu, invece, stai ancora quel tipo, Mr. Perfezione?”

“Caleb – la corregge con una smorfia di puro disgusto il rosso – no ed è tutto fuorché perfetto, si scopa le donne”

“non era gay?”

“sì, ma no, cioè – sospira Ian, stringendo il bicchiere tra le dita – bisessuale latente, stando a quanto dice Trevor”

“chi cazzo è Trevor?”


Già, mancano gli ultimi aggiornamenti, ridacchia nervoso il rosso, sollevando lo sguardo al volto contratto da stupore di Mandy


“uno con cui uscivo, dopo lo stronzo”

“e mio fratello in carcere – si lascia sfuggire la bionda, mordendosi poi la lingua – non…”

“Mickey era dietro a delle fottutissime sbarre, che cazzo avrei dovuto fare?”


S’agita Ian, si sente quasi in dovere di giustificarsi, di prendere le proprie difese, in fondo che poteva fare; aspettarlo?
Glielo aveva promesso, certo, aveva mentito lo sapeva lui e lo sapeva anche Mickey, aveva mentito e si era sentito indescrivibilmente male, come se avesse commesso il peggior crimine nella storia dell’umanità, il senso di colpa lo perseguitò per giorni e, tutt’ora, è ancora lì, a ricordargli quando insensibilmente meschino fu


“per te – esclama Mandy, stringendo la bottiglia così forte da rendere pallide le nocche – era dietro a delle fottutissime sbarre per te, coglione”

“non glielo ha chiesto un cazzo di nessuno”

“fanculo Ian, è un Milkovich – dice semplicemente l’amica, tra le iridi azzurre, così simili a quelle di Mickey, danzano scintille di rabbia – che cazzo t’aspettavi che facesse? Quella puttana della tua mezza sorella ti ha spedito in un fottuto carcere militare, ha provato a fotterti e nessuno, cazzo nessuno, fotte la famiglia”


Le gambe del rosso picchiettano al tavolo, in una danza nervosa, non le ha mai raccontato del casino con i militari, mai, se ne ricorderebbe altrimenti, e se non è stato lui allora può significare soltanto una cosa


“che cazzo pensavi? Che non c’avessi mai parlato? Lo stronzo è mio fratello – chiarisce Mandy, come se fosse in grado di leggere tra i pensieri dell’amico – e l’idea del cazzo è stata di Debbie, fanculo, Mickey l’ha aiutata e guarda che cazzo c’ha guadagnato, i Gallagher, i fottutissimi Gallagher”


La lingua freme tra i denti, vorrebbe ribattere Ian, dire quello che anche Lip direbbe, ma sa che ogni singola parola, ogni singola frase, è un colpo che deve incassare, infondo Mandy ha ragione, da quando le loro vite si sono intrecciate in un mix caotico e confusionario nulla è andato bene, per nessuno di loro, ed in qualche modo tutto è stato distrutto, socchiude gli occhi inspirando quanta più aria più, sente l’ossigeno mancare nei polmoni


“scusa – mormora Mandy, prima che possa farlo Ian – non è colpa tua, né di nessun altro fottutissimo Gallagher, ma…se n’è andato senza dirmi nulla, lasciandomi indietro e cazzo…mi manca”


Apre gli occhi il rosso, deglutendo a vuoto, quelle iridi azzurre non le ha mai viste velarsi di lacrime testardamente respinte come ora, istintivo s’alza avvicinandosele lento, cingendole le spalle tra gli avambracci, stringendola in un abbraccio che dice tutto quel che Ian non sarebbe in grado di dire a parole, tutte le scuse che non saprebbe neppure come pronunciare, sussurrando un lieve


“manca anche a me” 


 


 
Innazitutto ringrazio infinitamente tutti coloro che leggono, spero vi stia piacendo, e tutti coloro che aggiungono ed hanno aggiunto tra preferite/seguite/ricordate la storia, grazie mille. 
Grazie anche alle splendide recensioni che mi hanno resa immensamente felice.
Spero che i personaggi non siano troppo OOC e che il capitolo non sia stato troppo noioso, so che ci sto mettendo un po' a far ingranare la storia, ma l'azione (diciamo così) arriverà; ve lo assicuro.

Grazie ancora a tutti, 
alla prossima 
   
 
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