NOTE
IMPORTANTI: Dei personaggi trattati qui, mi appartiene solo
l’OC
Umiko.
La
fic è stata scritta senza alcun scopo di lucro.
Detto
questo, volevo avvertire voi lettori che benché la raccolta
possa
essere considerata un seguito della mini-long “Just…
Stay”,
non
è necessario
aver letto quest’ultima, dato che tutti i riferimenti
verranno
spiegati.
Le
prime
due
shot presentano fatti che si svolgono negli anni precedenti alle
vicende raccontate nell’opera originale (rispettivamente,
quindici
e dieci anni la prima, due la seconda).
~ Partecipante al contest ‘È nell’aria profumo d’autunno’ indetto da Emanuela.Emy79 sul forum di Efp ~
Una Poesia (Anche per Te)
I
● Dove Vivono i Miei Demoni
(Salvami)
A
volte lui ricorda quando l’innocenza proteggeva il cuore,
ma
il buio era sempre più fitto.
Era
autunno la prima volta che lo percepì: un
sentore sconosciuto, pungente e allo stesso tempo inafferrabile,
vinse la protezione delle pareti del laboratorio semibuio e
accarezzò
i macchinari con delicatezza, fluttuando quasi fosse una creatura
fatta d’aria; e per quanto rapido, tanto bastò al
bambino per
dimenticare il dolore soffuso – sempre lo stesso, ogni volta
che
ritornava ad aprire gli occhi dopo il
Grande Buio:
perdita, smarrimento, vuoto – e iniziare a respirare di
nuovo. «Che
cos’è?»,
chiese con voce esitante, alzandosi sul lettino. «Che
cos’è?»
L’uomo
che gli dava le spalle si voltò, distogliendo
l’attenzione dai
molteplici schermi davanti a lui e dai parametri che presentavano,
osservandolo con intensità. Tutti sapevano che il Dottore
non doveva essere disturbato durante il proprio lavoro; ma il piccolo
aveva bisogno di sapere, non avrebbe potuto trattenersi oltre.
«Non
dovresti muoverti così velocemente, rischi solo di
peggiorare il
dolore. Cerca di riposare, invece.»
«Ma
non lo sentite anche voi?»
La
mano che giunse ad accarezzargli il capo era fredda e sfuggente, non
sarebbe mai riuscita a calmarlo e né, forse, ne aveva la
reale intenzione. «Cosa dovrei sentire?»
«Questo
profumo; è la prima volta che lo percepisco, e credo che
provenga da
fuori. È… è bello.
Piacevole.»
Sempre
più rapito dalla fascinazione e dall’attesa di una
spiegazione,
non notò l’espressione dell’altro
adombrarsi.
«Torna
a distenderti, Numero Sessantasei. È solo la tua
immaginazione, sei
troppo stanco per pensare lucidamente.»
Il
bimbo avrebbe voluto replicare che stava benissimo, decisamente
meglio di prima; ma il tono della risposta era stato così
glaciale
che rimase in silenzio, a obbedire e rinchiudere dentro sé
stesso la
sensazione di euforia che gli aveva dato così tanta forza.
«Ecco,
così. Chiudi gli occhi e presto ti sentirai
meglio.»
Non
sorrise; e ancor meno trovò motivi per farlo quando
sentì il
braccio pizzicare e con la coda dell’occhio intravide
l’ombra di
un ago scivolare sotto la pelle. Un rombo improvviso gli
impedì di
cadere subito nel dormiveglia che seguiva immancabilmente la puntura,
e lo stesso fece il suono leggero che lo raggiunse qualche istante
dopo; così che, mentre alzava lo sguardo cremisi al soffitto
–
quel
rumore proviene dall’alto, ogni volta; è un suono
diverso dai
tremiti del suolo, scuote le mura per un istante ma non crea
devastazione… e spesso giunge anche questo dolce mormorio.
Cos’è?
Cos’è?
–, riuscì a udire l’uomo mormorare:
«Ed ecco un altro motivo
per cui si odia l’autunno: tuoni e pioggia, e ancora
pioggia.»
Allora
si chiama pioggia… è un nome gentile,
si
trovò a pensare, mentre socchiudeva gli occhi e intrappolava
la
parola nella mente.
Inverno,
quando il freddo è più intenso;
Primavera,
e tutto ha un profumo fresco;
Estate,
il tempo in cui la luce è più forte e riesco a
vederla anch’io… e
infine c’è l’Autunno, quando la pioggia
non ha fine e squarcia
anche questo profondo silenzio. Fino a ora, è stata la cosa
più
viva che abbia mai sentito; sembra così…
così…
La
voce prese vita in un soffio, lacerandosi appena tra la prigione dei
denti e gli artigli di un’involontaria
caduta nell’incoscienza.
«Libera;
sì, lei sembra libera.»
Probabilmente
dovette mormorarlo con molta più forza di quanto creduto, e
qualcuno dovette ascoltarlo;
perché, come a voler realizzare un suo sogno segreto, fu
proprio
quel tamburellare ininterotto la prima cosa che lui sentì
quando
l’altalena tra sonno e veglia lo riportò da
quest’ultima.
Forse
una porta era stata lasciata aperta per sbaglio, oppure il mondo
esterno, l’oltre e il diverso, aveva trovato un modo per
vincere le
barriere; e il suo corpo non si lasciò raggiungere
passivamente da
questi ma dimezzò la strada, avanzando verso il muro da cui
penetravano la notte e quel sentore di qualche ora prima, che andava
spargendosi sulle sue mani con la forma di fredde gocce.
Strinse
ognuna di loro con forza, proteggendole come un tesoro fino a quando
la luce del timido mattino glielo permise; e a suo modo
provò a
ribellarsi quando, silenziosamente ma con fermezza, un paio di mani
lo circondarono e lo sollevarono dal pavimento.
«Ci
mancava solo questa infiltrazione… e tu hai davvero dormito
qui, a
giudicare da come sei bagnato.»
Il
piccolo non rispose, le dita serrate sugli abiti fradici nel
tentativo di trattenerli; fissò la parete ancora percorsa da
rivoli
d’acqua, sentieri effimeri che si snodavano sulla pietra come
serpenti, fino a quando non venne portato troppo lontano per poterla
vedere.
Per
anni il muro trattenne la traccia della pioggia; e per tutto quel
tempo esso divenne il suo rifugio, e un modo per provare ad alleviare
la costante assenza dentro di sé.
◦◦
A
volte lui ricorda quando la voce era libera,
e
faceva da scudo contro una disperata illusione.
«Un
altro fallimento?»
«Di
questo passo come potremo farcela?»
«Non
si mette bene…»
Che
cosa dovrei fare?
Che
cosa sarei disposto a dare per smettere di avere sotto gli occhi,
questi occhi incapaci di chiudersi, la stessa visione per giorni?
«“Immortali”…
che ironia.»
Perché
nessuno si rialza mai?
Perché
li riesco a ricordare tutti?
«Non
dovremmo più perdere tempo con loro; sono tutti
spacciati.»
Non
è vero: non siamo solo giocattoli nelle vostre mani.
Noi…
noi…
«Calmatevi,
tutti quanti. Finché anche solo uno degli esperimenti
resterà in
vita non potremo permetterci di arrenderci; e comunque, è
tutto
nella norma…
ce ne sono ancora tanti.»
Solo
una voce, un’imposizione dal tono neutro – quasi
annoiato –,
per portare la calma; e la bruciante sensazione di amarezza che si
mischiava a una stilla di pulsioni ancora più profonde, le
quali
assumevano sia la forma del livore che quella della ribellione.
«È…
è tutto finito?»
La
mano che raggiunse quella del ragazzino riportò sotto
controllo le
emozioni quasi immediatamente, nonostante la presa fragile, fin
troppo facile da spezzare o perdere. Lei era così: capace di
una
sensibilità che quasi feriva e allo stesso tempo portatrice
di una
resistenza impensabile, che solo davanti a quegli
eventi
si allentava.
Come biasimarla.
«Sì;
è tutto finito.»
«Sei
arrabbiato? Non mentire, lo sento da come serri le dita che sei
pronto a scattare.»
Un
sospiro. «Se
lo fossi veramente l’avrei già fatto, non
credi?»
Una
pausa, che aveva il sapore dell’urgenza di una domanda e allo
stesso tempo della paura della risposta. «A
chi è toccata?»
«Al
Numero Dieci.» Una pausa. «Lei
aveva una risata contagiosa.»
Un
movimento, un assenso nella penombra. «E i capelli
più morbidi che
abbia mai toccato.»
Ed
era solo un altro numero.
«Due
giorni fa ha chiuso gli occhi anche il Numero Ventinove…
parlava
bene, quasi quanto te. Stanno iniziando a essere in troppi quelli che
se ne vanno; troppi… e troppo presto.»
Lui
non riuscì ad annuire, il groppo allo stomaco che spandeva
il suo
acido fino in gola. Avrebbe dovuto dire qualcosa, in fondo era sempre
la sua la voce che alleviava la tensione e cercava di addossarsi
tutto il peso di quello che accadeva intorno a loro, tenendo celati i
lati più crudeli.
«Una
volta proprio il Numero Ventinove mi ha raccontato una storia
sull’autunno», riprese invece la compagna,
«ha usato termini che
non avevo mai sentito prima, come “albero” e
“foglie”, e per
quanto nemmeno lui stesso sapesse bene di cosa stesse parlando, era
una bella fiaba… anche se un po’ triste.»
Un
debole sorriso, una carezza gentile. «Dovresti stare lontana
da
racconti del genere, ti rovinano l’umore.»
«Tanto
la tristezza arriverebbe comunque; quindi, che differenza
può fare?»
Le
sue mani si mossero da sole: afferrarono la vita dello scricciolo
dagli occhi rossi, come
i suoi,
e premettero il corpo pallido contro quello del loro proprietario.
«Ricordati sempre che sono io
la differenza; in mezzo a tutto quello di cui hai paura,
c’è la
mia mano pronta a raggiungerti.»
Un
assenso lieve, quindi una smorfia che avrebbe voluto essere più
serena.
«Guarda
che puoi stringermi ancora di più; tu non mi fai mai male,
anche se
mi abbracci forte.»
«Va
bene.»
Una
pausa. «Sai… se non ti volessi bene, ti invidierei
fino a odiarti.
Sei speciale, tu: e presto tutti se ne accorgeranno.»
«Non
stiamo esagerando, ora?»
«Credimi,
perché sarà così: un
giorno…» Un sospiro. «… Un
giorno il
mondo conoscerà il tuo nome, anche se non so in che modo. Ma
vedrai,
qualunque cosa questo significhi… ce la farai.»
«Perdonami
se ho dubitato di te. Tu sei… sei semplicemente perfetto:
per
aspetto, risposta agli impulsi, resistenza, sei molto più di
quanto
mi sarei aspettato quando ho iniziato gli esperimenti.
Eccellente.»
Il
giovane non alzò lo sguardo dal suolo per tutto il tempo che
l’altro
parlò; gli occhi non vedevano nulla, non potevano
né volevano.
Tutte
le mie promesse… tutto ciò che portava a
te…
«L’unica
cosa che mi rattrista…»
Le
mani tremavano; ma di certo non avrebbero fatto scivolare al suolo il
tesoro che cullavano dolcemente.
Non
ti meritavi tutto ciò, non ti doveva accadere nulla di
questo.
Porta
via anche me. Portami con te.
«…
è che probabilmente sarai l’unico.»
Non
lasciarmi qui.
«Tuttavia,
non ho così tanti motivi per rammaricarmi… in
fondo, tu potresti
essere il mio capolavoro.»
Non
posso vivere per tutti voi: non riesco a farlo da solo.
Ti
prego, aiutami.
«Non
piangere per loro,
ora che stai per diventare un dio.»
La
stoffa che proteggeva il volto candido, finalmente sereno ma
immobile,
frusciò sotto le dita quando il giovane
l’accarezzò.
«Vi
sbagliate», sussurrò, «e anche tu ti
sbagliavi, amica mia.
Non
sarò mai un dio, non potrò essere nemmeno un
uomo; sarò una
maledizione, invece… sarò solo Morte.»
A
volte lui ricorda la resa.
Ricorda
i sussurri e le preghiere di quella notte lontana, davanti al muro
che anni prima gli aveva fatto capire che la libertà era
più vicina
di quanto pensasse, ma aveva un prezzo; ricorda la sensazione
dell’ignoto, e tutti gli sguardi che solo lui poteva
scorgere. «Il
mondo conoscerà il tuo nome», sussurrava una voce
nella sua mente,
«e da quel momento, tutto sarà nelle tue mani.
Nessuno
deve decidere per noi, sai? No, nessuno deve farlo.
Sbaglia,
cadi, rialzati.
Erra,
corri, osserva.
Urla,
sorridi… vivi.
Il
destino non è mai una strada tracciata: lo
imparerai.»
E
fu così facile fare a pezzi le proprie catene, come una
fiera che
sente il richiamo della propria natura e nessuno vi si può
più
opporre; e fu così necessario distruggere tutti i simboli
della
prigionia, lasciare dietro di sé la stessa rovina che aveva
provato
fin in fondo all’anima.
«Il
mondo conoscerà il tuo nome; e sarà con
te.»
Sul
far dell’alba e appena dopo il buio più intenso,
la luna e le
stelle di un freddo autunno si prepararono a lasciare la volta solo
dopo aver fissato lo sguardo lucente su nuove lacrime; e
fu allora che l’uomo nacque, e iniziò a camminare
su un sentiero
creato dalle proprie mani.
ANGOLO DI MANTO
Salve
a tutti! Benvenuti nell’ennesimo sclero della sottoscritta su
Opm,
ergo fuggite
finché siete in tempo
spero che tutto quello che avete letto e leggerete vi possa piacere
*offre
cuoricini*
Nonostante
per un (brevissimo) tempo avessi considerato di non riprendere
più
in mano personaggi già apparsi in Just…Stay,
alla fine una notevole dose di fangirling
ha completamente rovesciato i piani: quindi eccoci qui, con una
storia tesa a dare il via a quella che ormai è diventata
un’OTP.
Insomma,
quando le idee proprio non riescono ad abbandonarti e rimangono sulla
punta delle dita, insoddisfatte e tese, l’unico modo per
trovare un
po’ di pace è dare loro
un’opportunità per liberarsi, qualunque
sia la strada che vogliono prendere.
Detto
questo, sono decisamente felice di aver reso protagonista uno dei
personaggi di ONE che più amo (e che già molti
lettori del webcomic
avranno riconosciuto, credo), ma allo stesso tempo sto ancora
navigando in un mare di feels per quello che ho dovuto trattare.
Dato
che della ““favolosa”” infanzia
del nostro eroe immortale non
si sa molto, mi sono tenuta sul vago, basandomi su quello che
già
sappiamo e tirandolo fino allo sfinimento.
Sperando
di non aver fatto cavolate, come sempre.