III
● Ti Troverò Prima delle Stelle
(Non
Lasciarmi Mai Andare)
Spesso
lui rivede la dolcezza con cui la ragazza incrociò la sua
strada, e
come decise di non andarsene.
Lei,
invece, ripensa a quando incontrò nuovamente i suoi occhi, e
intravide
tutte le preghiere che gridavano.
Il
Nature Park [1] era l’unico luogo che avesse mai avuto il
potere di
farlo sentire a casa. Il suo corpo aveva bisogno di riposo solo in
casi estremi, e anche lo stimolo della fame, tramite gli esperimenti,
era stato ridotto a un raro pungolo; così, solamente quando
i suoi
passi lo conducevano nel cuore smeraldino della Città K
riusciva a
comprendere, sentire fin nelle ossa, quella che veniva definita pace.
La
calma era ovunque, seguiva il ritmo della Natura e trasportava in un
mondo diverso, opposto a quello frenetico che circondava la zona; e
durante la notte i palazzi – e ogni luce artificiale con essi
–
svanivano sotto le stelle e rimanevano prigionieri del cielo fino a
quando l’alba non svelava nuovamente i loro contorni,
risvegliando
pure la vita.
Quando
era lontano dagli scontri e il tempo era al suo fianco, li osservava
a lungo: madri, bambini, impiegati, studenti, inseguitori di sogni e
obbiettivi, tutti rincorsi dalla propria esistenza…
tranne quando venivano avvolti dal pulsare della terra e i ruscelli
rapivano la voce, portando via anche i pensieri.
La
prima volta che si accorse di lui, nel crepuscolo che sempre cancella
la forma delle cose e rende le fantasie reali, la
mora
fissò la sua figura con calma. Per lunghi minuti lo
guardò
osservare la luna crescente dal viale che conduceva al Nature Park, e
nonostante le tante, troppe parole che già le pungevano la
lingua,
rimase ferma e in silenzio; così che, mentre giungeva la
sera, la
ragazza riuscì a scorgere nuovamente le ombre che
l’avevano
sfiorata la prima volta che aveva incontrato quegli occhi – e
di
cui mai si sarebbe dimenticata.
La
seconda volta che lo sentì,
il suo corpo era teso verso una corsa nervosa, la mente impegnata a
elaborare gli ultimi appunti di studio in vista dell’esame di
qualche ora dopo; ma nonostante l’agitazione
riuscì a percepire
quel senso di malinconia e attesa che sembrava circondare la figura
dell’eroe come una nebbia sottile, così comprese
che lui era lì,
da qualche parte vicino a lei – e allo stesso tempo,
inspiegabilmente, troppo lontano perché potesse trovarlo.
In
seguito, nelle altre volte in cui lo incontrò, ogni genere
di
esitazione la frenò da un seppur minimo contatto; fino al
giorno in
cui quest’ultimo non divenne necessario, e iniziò
a tracciare un
segno indelebile nel filo dell’Esistenza.
“Tu
non puoi morire, quindi. All’inizio deve sembrare una cosa
fantastica… ma alla lunga non porta altro che logoramento,
vero?
Da
quanto tempo hai smesso di aspettarti qualcosa da ciò che ti
circonda, dalla tua stessa vita?
Già,
tu sei un eroe e vivi per gli altri… sorvegli, aiuti, salvi,
e
nient’altro ti deve importare. A vederti così
freddo, letale, la
gente ti crederà invincibile, oltre ogni limite; eppure,
chissà…
chissà se qualcuno si è mai chiesto se sotto
quella pelle strana
possiedi veramente un cuore e dei sentimenti che possano essere
compresi anche dagli umani comuni.”
La
pioggia di quel mattino era calda, decisamente anomala per essere
primaverile; come se le nubi avessero risucchiato il calore del sole
e deciso di liberarlo sotto forma di improvvisi temporali.
Le
ultime gocce dell’ennesimo acquazzone scivolavano sugli occhi
tesi
verso un orizzonte che faticavano a scorgere con chiarezza, creavano
dei sentieri sugli abiti ridotti quasi completamente a brandelli e
sulle mani serrate fino a tremare; ma non riuscivano ad annegare, o
solamente allontanare, l’eco di quelle parole.
“Non
sarai mai come gli altri – come gli umani che tanto ti
acclamano:
un giorno si accorgeranno di tutte le cose che non puoi condividere
con loro, quindi si chiederanno l’entità delle
differenze… e in
quel momento inizierà la tua caduta.
Ciò
che non si conosce, che non si apprende appieno, fa paura: e tu
già
ora sei un’incognita.
Che
cosa accadrebbe, se la gente iniziasse a temerti?
La
paura non chiede fondamento: esiste a priori, è simile al
buio… e
come lui, si nasconde dietro i sorrisi fino ad avvelenarli.”
Quella
voce, quello
sguardo,
non avrebbero dovuto fare così male; non a lui, che non
aveva mai
avuto sensibilità e interesse verso gli inganni dei mostri
che era
chiamato a combattere, e conoscendo la differenza tra loro e
sé
stesso era – si
considerava
– protetto da qualsiasi bassezza. L’amaro
dialogo era stato estinto per sempre dalla morte dell’Essere
Misterioso, ma aveva lasciato comunque un segno tangibile
nell’umore
e ancora più sotto, nei luoghi dove si annidavano fantasmi
di
vecchie inquietudini.
Non
è cambiato nulla da allora? E io… già,
mi stupisco anche di me,
che non dovrei più farmi colpire da cose del genere.
Le
mani si strinsero ancora di più e le ombre che si agitavano
nello
sguardo si mossero con loro, aumentando la densità. Era da
quando
aveva visto le cose precipitare, nei laboratori di Genus, che non
sentiva un peso simile – e il disgusto più
malsano: un misto di
colpa che non aveva motivi per esistere ma c’era,
rabbia, impotenza, senso d’ingiustizia che si confondevano
insieme
e diventavano distanza;
qualcosa di segreto, impalpabile per chiunque non fosse lui, che se
incontrollato poteva distruggere molto più del visibile.
Quasi
non avessi fatto nulla per mutare la visione che ho di me stesso, e
la strada che per troppo tempo ho percorso.
Già…
come se fossi veramente un mostro, come loro.
Che
fantastico pensiero.
«Oh,
fantastico! Sono da strizzare da capo a piedi, lurida come uno
straccio, e sta per piovere di nuovo… e poi non mi dovrei
arrabbiare!
E
guarda in che stato sono i miei poveri libri!»
Per
la prima volta dal combattimento, l’eroe tornò
alla realtà.
Il
rombo di un tuono, anche se ormai lontano, era ancora presente nel
fremito del cielo; ma era stata quella voce acuta a dargli il brusco
risveglio, costringendolo a prestare attenzione a quello che stava
accadendo intorno a lui.
Era
giunto nel Nature Park; l’estremo bisogno di silenzio lo
aveva
inconsciamente condotto all’unico luogo che considerasse
adatto al
suo desiderio… ma che quel giorno non lo era.
Il
centro del ponte su cui stava era, infatti, letteralmente occupato:
una ragazza correva da una parte all’altra radunando volumi,
quaderni, penne e gli oggetti più disparati che erano caduti
da una
borsa grande il doppio di lei, i quali rotolavano placidamente in
ogni direzione, ignorando le urla sempre più alte della loro
proprietaria – che, a giudicare da abiti e capelli grondanti,
aveva
tutta l’aria di essere appena uscita da una tempesta.
«Se
rientro a casa così mamma mi massacra», continuava
intanto la
giovane, evidentemente ignorando il fatto di non
essere sola, «mi massacra, mi massacra di certo…
ho così tanto
fango addosso che avrebbe anche ragione! Insomma, proprio nel giorno
in cui mi sono venuti a trovare… e il cellulare, dove
diavolo è
finito?»
«Aspetta,
lasciami dare una mano.» Prima che l’altra potesse
voltarsi o
replicare, lui si chinò e raccolse gli ultimi averi.
«Oh,
grazie! Per fortuna che c’è lei, rischiavo di
andarmene senza aver
recuperato parte delle mie cose… però non guardi
lo stato in cui
sono, potrei farle paur-»
L’eroe
alzò lo sguardo, stupendosi dell’improvviso
silenzio; e quando lo
fece, due occhi d’ametista si ancorarono ai suoi. Esistono
davvero occhi simili?,
pensò per un istante, riuscendo a staccare
l’attenzione da loro
solo quando lei si mosse.
«Grazie…
davvero», disse questa, cercando di sistemarsi i riccioli
ribelli
come meglio poteva, «ho fatto un gran pasticcio. Certo,
questo tempo
non ha aiutato, però mi sono resa conto troppo tardi di aver
richiesto troppo da me stessa e da quella povera borsa…
chissà che
figura che ho fatto quando sono scivolata!»
«In
realtà non ho visto nulla», fu la sincera
risposta; e lui non poté
non accennare un sorriso allo sguardo stupito che la giovane gli
lanciò, prima di vederla arrossire violentemente.
«Beh…
in effetti se anche non lo dicevo non ci perdevo nulla… ma
ormai è
noto che io non riesca tenere a freno la lingua», rispose lei
facendo una breve risata, allungandosi in avanti per prendere
ciò
che le mancava; e fu allora che lui notò le lunghe cicatrici
che le
segnavano il dorso delle mani, finendo per guardarle un istante in
più del necessario.
L’altra
se ne accorse, e bastò un’occhiata per comprendere
che aveva letto
i suoi pensieri. «È… è una
storia lunga; e ormai passata»,
rispose infatti alla sua silenziosa domanda, dolcemente e senza
fretta, «e… e se posso ancora raccontarla,
è per merito suo.»
Una
pausa, che lui non infranse.
«È
difficile che lei possa ricordarsi di me, con tutta la gente che
salva, ma se c’è qualcosa che io non
potrò dimenticare è che un
anno fa mi ha salvato da morte certa, e qualche mese dopo ha fatto lo
stesso con mio padre; e non solo fisicamente, ma molto più
in
profondità… così tanto che nemmeno un
grazie può esprimere tutta
la mia riconoscenza, dal momento che ha protetto molto più
della mia
vita. E, hmm…» Un’altra risata, questa
volta piena di imbarazzo,
«… per quanto volessi dirlo, avrei preferito farlo
non ridotta a
un Golem di fango… cavoli, sono un completo disastro. Mi
perdoni.»
La
mano dell’uomo si posò sulla testa della ragazza e
l’accarezzò
con la stessa gentilezza che lei esprimeva da ogni poro. «No,
non
credo che tu lo sia.» Finalmente, da quando quella giornata
era
iniziata, l’eroe riuscì a sorridere senza fatica.
«Grazie per
queste parole.»
La
guardò rispondere a sua volta con un luminoso sorriso, prima
di
scattare in piedi per un altro tuono. «Grazie
a lei per tutto ciò che fa, è un grande
eroe», gli sussurrò, e
già si era voltata quando si girò di nuovo.
«E grazie anche per
avermi aiutata, prima! Mi ricorderò anche di questo,
promesso!»
Lui
rispose con un cenno al suo saluto, quindi rimase a guardarla correre
via. «…
Non
che abbia fatto molto, questa volta; ma se
è questo l’entusiasmo che riesco a dare, allora
no, non
dimenticare»,
mormorò;
quindi si accorse di come la gratitudine di quegli occhi viola e le
parole di pochi attimi avessero placato la tenebra che lo aveva
inseguito per ore.
Alla
fine è anche per sorrisi simili che gli eroi combattono.
E
a quel pensiero, l’intera giornata sembrò
diminuire la propria
pesantezza, rasserenando ancora di più il suo animo.
La
ragazza ricorderà sempre con un sguardo particolare, che
solo lui può comprendere appieno,
come i giorni e le occasioni li fecero avvicinare. Il
tempo mite e la casa vuota, pervasa dalla malinconia della famiglia
distante, l’avevano sempre spinta a studiare e passare gran
parte
del tempo libero nel parco della città, a contatto con
quella natura
rigogliosa e con la sua calma; e proprio lì
iniziò a incrociare
assiduamente il suo cammino con quello dell’eroe.
Inizialmente
i loro furono poco più che gesti di cortesia: un sorriso, un
saluto,
alcune parole scambiate all’ombra degli alberi; poi,
gradualmente
ma senza alcuno sforzo – come
se ci fosse mai stato bisogno di un incentivo per liberare la sua
parlantina
–, queste si trasformarono in discorsi, gli istanti in
minuti, ore,
e infine in pomeriggi in cui lei spendeva le energie su enormi libri
o semplicemente riprendeva a respirare dopo una giornata intensa, e
lui le sedeva vicino per ascoltarne la voce o contemplare il silenzio
insieme, separandosi dal suo fianco solo quando la carezza della
notte giungeva a rivestire la città o
l’apparizione di un Essere
Misterioso richiedeva il suo intervento.
Da
quei lunghi o brevi momenti la giovane apprese molto di ciò
che la
fama e la notorietà degli eroi non lasciavano trasparire:
dalla
profonda sensibilità verso la vita e la sorte degli umani,
solitamente celata dietro l’imperturbabilità, fino
a lambire
l’oscurità che pulsava negli occhi rubini che la
fissavano sempre
con attenzione.
Lambire,
sì, ma non cogliere: perché c’era in
essi una barriera che le
sbarrava il passo quando si spingeva troppo avanti, unita a una
distanza che non riusciva ad arrestare se non retrocedendo, e
attendendo che ritornasse la normalità. I pilastri del suo
passato
affondavano nel dolore, questo lo aveva sospettato e capito
immediatamente; ma i graffi che quell’oscurità
aveva lasciato
sembravano essere molto più profondi, tenuti ben nascosti.
Spesso
era la ragazza stessa ad accorgersi che le sue parole cozzavano
contro una richiesta di oblio, e mutava il discorso ancor prima che
l’altro potesse replicare in qualche modo: in quei momenti
lei
trovava liberatorio parlare di sé e di ciò che in
pochi sapevano,
come a rispondere a una domanda che veniva da sé stessa.
Così,
l’eroe fu uno dei primi a sapere della sorte di Tomomi, il
suo
primo amore, e di come l’attacco di un Essere Misterioso
avesse
infranto i sogni che li legavano insieme.
Lui
raramente interveniva, preferiva ascoltarla liberarsi di tutte le
parole che si sentiva di sfogare; e, di questo lo avrebbe sempre
ringraziato, non la giudicava mai né la spingeva a rivelare
più di
quello che lei voleva.
«Tutto
ciò che compiamo e pensiamo ha una motivazione; se non
possiamo
comprenderla o saperla, ancor meno abbiamo il diritto di dare
giudizi», era una frase che le ripeteva spesso, quando
commentava
apprezzando la sua discrezione; quindi l’esortava a parlare
ancora,
a volte scherzando gentilmente con lei sull’inesauribile
energia
della sua lingua, illuminando ancora di più
un’altra sera di fine
estate. In
quello stesso periodo, l’inseparabile malinconia dei genitori
si
stemperò; e con essa iniziarono a svanire perfino quegli
incubi che
da sola non sarebbe riuscita a placare…
e che, come poi avrebbe compreso, non erano solamente suoi.
Il
marciapiede deserto ospitava solo i suoi passi svelti, echi nel buio
che le ore dopo la mezzanotte portavano con sé.
Per
quanto più stanca che agitata, la mora non vedeva
l’ora di
respirare l’odore delle proprie stanze e sapersi distante da
quelle
tenebre. Il locale in cui le amiche l’avevano trattenuta fino
a
pochi istanti prima le aveva messo addosso un fastidioso senso di
nausea, specie quando l’uomo che l’aveva presa di
mira per un’ora
buona le aveva afferrato una mano e fissata con un sorriso che tutto
meditava, ma non di certo un complimento – come infatti era
stato.
E
lo sapevo, lo sapevo che era meglio se me ne stavo a casa. Se
voglio essere presa in giro, lo posso fare benissimo da sola.
Si
fermò un attimo e respirò a fondo per liberare il
nervosismo;
quindi si mise a correre, riconoscendo dopo pochi istanti, seppur nel
buio che il telefono non riusciva a illuminare, la via che portava a
casa. Finalmente.
«Non
dovresti essere fuori a quest’ora.»
la
ragazza sobbalzò per la sorpresa, lasciando cadere le chiavi
del
cancello di casa e riuscendo a reprimere un grido solo
perché
riconobbe immediatamente la voce. «Zombieman…»,
sussurrò quando lui entrò nel raggio
d’azione della luce, «io…
mi hai sorpreso. Per poco non ti assordavo e svegliavo
l’intero
vicinato.»
«Già…
è una fortuna che ti abbia trovata io e non un altro, in
questo buio
si potrebbe nascondere chiunque. Non avete una luce, qui?»
Lei
fece una risatina, le mani che cercavano le chiavi a tentoni.
«Se
chi si occupa dell’illuminazione pubblica avesse ascoltato le
nostre richieste, sì, ce l’avremmo da tempo; ma
siccome questa è
la periferia, siamo sempre gli ultimi… per lo meno
è una zona
tranquilla. Se stai facendo una ronda o cercando qualcuno di
sospetto, ti consiglio di spostarti verso il centro: ci sono vicoli
che non sono il massimo al calar del sole…»
«Grazie
per il consiglio.»
Lei
corrugò la fronte, notando una sorta di esitazione o fatica
nel tono
dell’eroe; e quando lui le protese le mani per aiutarla a
rialzarsi, rabbrividì al suo tocco –
perché per quanto la pelle
del classe S non fosse mai stata molto calda, era la prima volta che
la sentiva così gelida. E
sta pure tremando.
«Trovato
tutto?»
«Sì…
grazie.»
«Allora
buonanotte, Umiko. Perdonami se prima ti ho spaventato.»
«A-aspetta.
Hai combattuto, non è vero?»
Nel
momento in cui si era rialzata, l’odore del sangue
l’aveva
colpita come uno schiaffo: un sentore fresco, troppo intenso per
essere prodotto da un semplice graffio.
«Non
ti preoccupare per me.»
«No»,
replicò lei, rincorrendolo appena sentì i suoi
passi allontanarsi,
«fermati! Stai tremando, come fai a reggerti in
piedi?»
«Credimi,
sto bene. Vai a dormire, è tardissimo.»
La
giovane allentò il passo, ma di poco; così che
riuscì a sentire il
gemito che dopo alcuni istanti ruppe il silenzio.
«Zombieman!»,
lo chiamò, dirigendosi verso l’eco; e quasi ci
sbatté contro,
scoprendolo chino al suolo.
«Passa
in fretta… è solo stanchezza… non ti
agitare così.»
«Non
mi agito più del necessario: so che sei forte, ma hai
comunque
bisogno di riposo», replicò lei, cercando il suo
braccio. «Non ho
la tua stessa forza, ma dovrei comunque riuscire a sostenerti. E per
fortuna che ho fatto tardi in quel postaccio, o davvero avresti
dormito qua fuori.»
Lui
non replicò più, ma si lasciò guidare
dalla mora fino alla sua
casa. «Guarda
che non ce n’è davvero bisogno», riprese
tuttavia appena sentì
cigolare la porta d’entrata.
Quando
lei accese le luci del corridoio e poté finalmente vederlo,
gli
lanciò un’occhiata molto più eloquente
di qualunque discorso; e
rimase immobile fino a che lui non la superò, e le ombre
della notte
furono rinchiuse lontano da entrambi.
L’eroe
accennò un sorriso mentre, dopo averlo condotto in cucina e
fatto
sedere sull’ampio divano, la ragazza recuperò
dal nulla un enorme asciugamano e una bacinella d’acqua; e a
niente
valse tentare anche un accenno di diniego.
«Forza,
lasciami dare una pulita a tutto questo sangue. Mi domando che razza
di scontro possa essere stato per ridurti così»,
sussurrò infatti
lei, parandoglisi di fronte in assetto
di guerra.
L’uomo
la lasciò fare e chiuse gli occhi sotto il tocco delicato
che gli
liberò il volto dall’odore di ferro e morte, anche
se non riuscì
a nascondere un leggero imbarazzo per tutta quella premura.
«Ecco
fatto», mormorò lei dopo qualche minuto,
«ora mettiti
immediatamente a dormire, tra un po’ mi cadevi tra le
braccia.»
«La
stessa cosa dovresti fare tu.»
«Guarda
che non me ne andrò da questa stanza finché non
ti vedrò chiudere
gli occhi.»
«Va
bene, va bene, mi arrendo», sospirò infine
l’eroe, «riconosco
che contro di te, in questo stato, non posso proprio vincere.»
«Perché
sei una persona saggia», replicò la fanciulla,
correndo via e
ritornando subito dopo con una coperta, mentre lui già si
era
spogliato
dell’impermeabile e delle inseparabili armi. «Lo
so, sarebbe meglio un letto», si scusò,
«ma l’unico che c’è
è
piccolo pure per me…»
«Non
ti scusare: è molto più di quello che mi
attendevo da questa
notte», replicò lui, avvolgendosi nel morbido pile
offertogli.
«Questa è una prospettiva decisamente migliore, lo
riconosco.»
«Ti
ripeto: sei una persona saggia», sbuffò lei
scherzosamente,
rivolgendo quindi l’attenzione all’impermeabile
dell’uomo.
Conoscendo
il modo in cui combatte, non credo sia lo stesso che mi ha prestato
quella volta; ma alla fine non è un grande problema,
pensò, sedendosi sulla sedia più vicina al divano
con l’indumento
sulle ginocchia e un nuovo asciugamano pronto a ripulirlo.
Ridacchiò
tra sé e sé al ricordo della lettera imbarazzante
che sua madre
aveva voluto inviare a tutti i costi all’uomo, per
ringraziarlo di
averle salvato l’unica figlia; e poi si emozionò
nel rivedere
come, dopo aver ucciso il mostro, lui le fosse rimasto accanto fino
all’arrivo dei soccorsi, confortandola e rassicurandola
sull’entità
delle sue numerose ferite.
«Spesso
mi dici che sono gentile», mormorò lei, alzando lo
sguardo, «come
se non lo fossi anche tu.» Si interruppe e sorrise nel vedere
l’eroe
già immerso nel sonno; quindi spense
ogni luce, e seppur conscia del fatto che, nonostante la stanchezza,
non sarebbe riuscita ad addormentarsi con la stessa facilità
del suo
ospite, si risistemò il più comodamente possibile
sulla sedia. «È
bello sapere che per almeno una notte non sarò
sola», sussurrò
alle stelle che la fissavano dalla finestra, splendendo per
un’alba
ancora lontana, con solamente il battito del proprio cuore a cullarle
la mente.
Fu
quando spalancò gli occhi che si accorse di essersi
appisolata,
nonostante la luce del sole che invadeva la stanza e la
preoccupazione per le condizioni di Zombieman; e la prima cosa che
fece fu proprio volgere lo sguardo a lui, ancora disteso sul divano.
«Non
te ne sei sgattaiolato via, alla fine… che bravo»,
mormorò,
alzandosi dalla sedia e ignorando quanto più possibile i
crampi in
tutto il corpo. Si chinò su di lui e gli sfiorò
un braccio,
sospirando di sollievo quanto sentì sotto le dita il
consueto, tenue
calore.
Il
suo aspetto è già migliorato, nonostante siano
passate poche ore.
Aspetta un attimo… ma che ore sono?
Si
girò per guardare meglio l’orologio,
all’altro lato della
cucina; e in quello stesso istante, la mano dell’uomo
afferrò la
sua, stringendola con forza. «Non andare.»
«Ah,
allora sei sveglio? Credevo stessi ancora
dormendo…»
«Ti
prego… ascoltami! Rimani anche solo un istante in
più… te ne vai
sempre troppo presto.»
La
giovane si voltò lentamente, lo fissò. No,
non è sveglio… sta sognando,
riconobbe – così come vide immediatamente i
tremiti che
all’improvviso iniziarono ad agitarlo.
«Ve
ne andate tutti via, sempre», lo sentì gemere
nuovamente, «ma non
posso camminare da solo… non è colpa mia, non
è colpa mia!»
«Zombieman…»,
mormorò lei, inginocchiandosi al suo fianco e afferrando
l’altra
mano, «svegliati, stai solo sognando!»
Quelle
parole non riuscirono a raggiungerlo; e nemmeno lei poté
ripeterle,
perché le si mozzarono in gola quando gli occhi serrati del
classe S
iniziarono a piangere. Che
cosa sta vedendo di così terribile? E non riesce a svegliarsi…
Come
posso tranquillizarlo?
«Qualcuno,
se può sentirmi… per favore…»
Lei
strinse i denti davanti a quella supplica, scossa; e fece
l’unica
cosa che aveva sempre avuto il potere di calmarla dagli incubi.
L’eroe
sussultò quando le sue braccia lo strinsero, le mani le
afferrarono
i capelli come per strapparglieli; ma dopo qualche istante si
aprirono e scivolarono via, accarezzandole il volto.
Un
sospiro le lambì le gote, mentre i tremiti svanivano con la
stessa
rapidità con cui erano sorti e le membra si rilassavano,
concedendo
la serenità nell’ultima mezz’ora che
l’uomo passò
addormentato.
Lei
rimase a vegliarlo, senza muoversi di un passo, fino a quando non lo
vide aprire gli occhi e fissarli nei suoi. «Quello
è il volto di
chi ha fatto una notte da sentinella. Non ce n’era
bisogno.»
«Non
avrei mai potuto dormire dopo averti visto ridotto in quel modo.
Spero che tu stia meglio.»
Lui
si mise a sedere, quindi le rivolse un sorriso. «Di certo il
calore
di questa casa ha aiutato.»
La
giovane rimase in silenzio per qualche istante.
«Prima… prima hai
pianto, e gridato. Sembravi davvero solo, in quel brutto sogno da cui
non riuscivi a svegliarti», rivelò infine,
fissandolo attentamente
e con un’ombra di tensione negli occhi.
Lo
sguardo che l’uomo le rivolse, da stupito che era, divenne
immediatamente triste. «Ti
devo aver fatto preoccupare…»
«No,
non farlo: non chiedere perdono per i tuoi incubi.
Loro,
quando arrivano, non lo fanno mai», fu la risposta.
«Mi dispiace
che tu abbia sofferto così tanto da avere simili
visioni.»
Fece
per voltare il capo, la voce che non riusciva a farsi strada; ma lui
le intrappolò lo sguardo nel suo, scendendo così
a fondo che la
ragazza lo sentì fin nell’anima. Cercava qualcosa,
dentro di lei:
e allora, tutto quello che aveva – che era – glielo
mostrò,
attendendo in silenzio davanti a quell’abituale barriera che
dopo
aver vacillato per alcuni istanti, riprese rapidamente il controllo
lasciandola fuori.
Parlami;
dimmi qualunque cosa… voglio solo aiutare, se posso; ma se
non
posso, come potrò mai saperlo?
Parlami:
io sono qui.
Silenzio;
e con la forza di un’implorazione o una promessa, un limite
si
ruppe. «La mia lingua molte volte non si sa frenare,
è vero; ma
allo stesso tempo riesce a capire quando è il momento di
rimanere
immobile, e permettermi di ascoltare. So comprendere, so vedere; e
sappi che non ho intenzione di indietreggiare davanti a quelle ombre
che ti seguono sempre.»
L’altro
non replicò, quindi lei sospirò. «Tu
sapevi che, chiunque
sia,
sarebbe venuto a trovarti nei tuoi sogni. È così,
vero? Rispondi
solo a questo. Per favore.»
«No:
perché non viene, ma rimane.
Nel sonno è semplicemente più vivido... vicino; e
fa più male –
seppur di poco.»
La
mora annuì; e una volta ancora si ritrasse, percependo
dall’altra
parte una verità che non era ancora pronta a svelarsi. «Ti
ringrazio», sussurrò con dolcezza, «l’ultima
cosa che voglio è ferirti fino a rompere le tue difese.»
Lo
sussurrò piano; perché da tempo sapeva che le
cose importanti non
venivano mai urlate, spesso nemmeno si spargevano nell’aria
poiché
erano fatte di concretezza, d’azione. Per questo, con la
spontaneità che chi la circondava ben conosceva, gli
riservò
l’abbraccio più grande che il suo corpo potesse
donare.
«Quando
senti la necessità di chiudere gli occhi e fermare il mondo,
ma temi
ciò che questo comporta, ricordati che puoi sempre venire
qui. Te
l’ho detto, una presenza in più farebbe bene a
queste stanze… e,
credimi, so bene quanto molte cose facciano meno paura se qualcuno
è
con noi.»
Quando
alla fine l’eroe lasciò la casa, non fu certa che
tutto quello che
era accaduto avrebbe portato a un seguito – qualunque fosse
stato;
ma qualche mattino dopo, nel trovare un piccolo dono sulla finestra,
non poté fare a meno di chiedere se davvero quel muro che
proteggeva
la parte più fragile dell’uomo non avesse iniziato
a presentare
qualche crepa.
“Vai
al parco, la fioritura è stupenda.
Tuttavia,
questi sono solo per te: i primi, i più forti.
È
un dono semplice;
ma
siccome apprezzi anche le piccole cose, so che sorriderai vedendoli.
Riesco
già a immaginarti, senza difficoltà.
Grazie.”
Delicatamente,
si portò il piccolo mazzo di anemoni [2] alla bocca e rimase
a
fissare la linea dell’orizzonte, e le foreste che spargevano
il
loro profumo sulla città, come una benedizione.
La
Speranza arriva sempre dopo la tristezza.
Settembre
fuggì via in un battito, privando le foglie della propria
veste
smeraldina e dipingendole dei colori del tramonto; giunse ottobre, e
con esso i sospiri di un precoce inverno.
Nell’osservare
insieme il crepuscolo o lo spettacolo arboreo che li circondava, la
ragazza cercò spesso una protezione dal freddo sotto l’impermeabile
dell’eroe; e venne sempre accolta, anche quando al suo collo
apparve un’enorme sciarpa e i tremiti di freddo diminuirono.
Sarebbe stato solo il primo dei tanti rituali che avrebbero scandito
i loro momenti; così, anche nei rari giorni in cui
l’ultimo calore
dell’estate si mostrò, lei non rinunciò
a rannicchiarsi contro il
fianco del classe S, sotto la sicurezza della sua veglia.
I
ricordi di quei pomeriggi ritornavano poi a mostrarsi durante la
notte, e più di una volta lei si svegliò nel
cuore del buio con la
sensazione della sua presenza e del calore che le trasmetteva
impressa sulla pelle; in quelle occasioni il letto minuscolo
diventava fin troppo grande, mentre una leggera, sconosciuta
malinconia cullava i suoi pensieri fino a quando le stelle non
venivano spente dalla pioggia e dai suoi infiniti riflessi, forse gli
stessi che raggiungevano anche lui.
Quando
fu il mese di novembre, le piogge giunsero di nuovo sulla
città: e
l’eroe
guardava l’ombrello
azzurro della ragazza stagliarsi contro il cielo, portando una nota
di colore e allegria sui sentieri oscurati dalle nubi; la voce
squillante e il guizzo della sciarpa divenuta ormai inseparabile,
rossa come tutto ciò che lei indossava, lo guidavano sui
ponti del
parco e gli rendevano impossibile curarsi del grigiore del cielo. Il
legno reso umido dalla pioggia trasformava ogni passo in una
possibile, pericolosa caduta; ma Umiko, completamente dimentica di
tale rischio, improvvisava una danza tutta sua, in una sorta di inno
alla gioia che liberava tutta la sua spontaneità.
Il
profumo del mare era come un abbraccio che avvolgeva l’intera
città e rivelava da dove avessero avuto origine gli ultimi
temporali; e agli occhi dell’eroe
questo era un altro motivo per pensare che i gesti della ragazza
appartenessero a una dimensione distinta, che riguardava unicamente
lei e le onde che portava nel nome [3]. Nonostante ciò, la
ragazza
non temeva di mostrare quella sua parte di mondo anche agli altri
–
ed era questa la sua grande forza: non aveva paura di ciò
che era.
Venne
il tempo di dicembre, del gelido gennaio: e il freddo bruciò
le mani
della giovane senza alcun riguardo, si impresse sulla pelle e
trasformò le cicatrici da ombre rossastre a sentieri d’inchiostro.
Ogni mattino lei sfilava i guanti che indossava anche in casa per
proteggerle e le fissava, le toccava; e per quanto non potesse
odiarle, ormai divenute così parte di sé stessa
da non riuscire più
a immaginarsi senza di esse, la vista di quelle ragnatele nere la
turbava un poco.
La
gente le teme. Per quanto siano una memoria, preferisce non vederle,
e a volte è impossibile non notare come gli sguardi si
ritraggano o
evitino di guardare anche il mio viso. Forse…
forse dovrei tenerle solo per me, se turbano così tanto?
«Sei
stranamente silenziosa.»
A
volte quei pensieri la prendevano per tutto il giorno; e per quanto
ci provasse, non riusciva a tenerli celati allo sguardo rubino che
osservava molto più di quanto sembrasse –
così come sapeva che
l’eroe avrebbe vagliato bene ciò che avrebbe detto
per sviare
l’argomento. «Scusami… è
stata solo una fitta di dolore. Il
freddo ha scottato la pelle e a volte questa si
lamenta,
diciamo.»
Quando,
quel normale pomeriggio, pronunciò quella parziale
verità che
tuttavia si scontrava con la più complessa
realtà, il classe S le
tese le mani. Dopo un istante di titubanza, lei gli porse le sue, non
riuscendo a non sussultare quando lui le sfilò i guanti.
«Non le
guardare», mormorò immediatamente, «sono
diventate orribili. Per
quanto le tenga coperte e curate, finché non
ritornerà la bella
stagione rimarranno così.»
«Non
saranno mai orribili,
dentro di te lo sai bene… ma se solo lo sapessero anche gli
altri
sarebbe meglio, vero?»
Lei
rimase in silenzio, le dita leggermente contratte, che tuttavia
rilassò appena lui gliele strinse con delicatezza. «Una
volta una ragazza mi ha detto che non ci si deve mai scusare per i
propri incubi», le sussurrò, «e ora ti
rispondo che non lo si deve
fare nemmeno per ciò il nostro passato ci da. In questo caso
è
stato anche il coraggio a lasciare il suo segno: mi hai raccontato di
come ti sei procurata queste cicatrici perché non hai voluto
lasciare il corpo di Tomomi, ma è stata la
tua unica
ferita perché lui ti ha protetto.
Ritorna
a mostrarle con orgoglio, quando saranno guarite: ciò che
significano non merita di restare nascosto.»
E
come lei stessa aveva fatto tempo prima, con uguale forza l’uomo
l’abbracciò
fino a toccarle l’anima;
e in quel momento la ragazza seppe, una volta di più, di
aver
trovato in lui qualcuno con cui poter crescere ancora.
La
primavera non si fece attendere ancora per molto, né la
calda
estate: e come l’uomo
insegnava a lei le strade tra le stelle, la mora conduceva lui sulle
spiagge della Città J. Le memorie più profonde di
uno e dell’altra
trovarono la via per liberarsi: così che il primo apprese
dei giochi
e dei sogni che si erano intrecciati tra le onde, in un’altra
vita, e la seconda pianse davanti a tutto ciò che l’eroe
le rivelò, nello sguardo di una mezzanotte intessuta di
empatia.
«Tu
non sarai mai un mostro», mormorò la voce della
ragazza in quelle
ore, il mormorio del mare, la dolcezza della sua anima;
«Ma
solo nei tuoi occhi ho trovato questa certezza», rispose lui,
l’eco
della pioggia, il coraggio di chi è forte ma conosce anche
la
delicatezza della sensibilità, il dono della sofferenza.
Lo
so, proteggerò sempre la tua voce,
e tutto ciò che illumina.
Lo
so, amerò ogni tua ombra, come qualunque parte di te.
Sotto
il frammento di cielo che fissava solo loro, nessuna promessa fu
più
grande e capace di realizzare ciò che fino allora era
rimasto
segreto; ma solo quando la ragazza si sporse verso l’uomo
e intrecciò le braccia intorno al suo collo, mescolando i
reciproci
respiri, divenne qualcosa in cui ognuno avrebbe potuto credere.
«C’è
ancora così tanto che dobbiamo imparare l’uno
dall’altra,
il nostro viaggio è appena cominciato; ma non dubitare mai
di me,
che sono giunta qui per restare. Sono e sarò sempre con
te»,
sussurrò; e nessuno dei due avrebbe mai saputo dire chi
baciò per
primo l’altro,
quando
già la notte degli incontri e dei desideri [4] finiva, ed
era un
giorno nuovo.
Lo
sai? Noi siamo creature della luce.
Lei
ci guida, ci cerca, ci tende la sua mano anche quando siamo nelle
tenebre da così tanto tempo da essere divenuti ciechi;
ci
attende, non esita mai a mostrarsi anche se solo per un istante.
Una
sua stilla palpita in noi, ci permette di riconoscerla all’esterno;
e poi tocca a noi trovare la grazia per seguirla.
Per
non dimenticare.
Per
perdonare.
Siamo
nati per sorridere, per perderci nel cielo, per ascoltare.
Per
non rimanere soli.
NOTE
[1] Questa parte iniziale non è stata ideata completamente da me, ma ispirata da alcune fan art trovate su Pinterest.
[2] Ho scelto l’anemone giapponese non solo perché è un fiore autunnale, ma anche in virtù di alcuni dei suoi significati: in questo caso, il vero me/sincerità. Ho trovato quanto mai appropriato che, dopo aver mostrato a Umiko i suoi incubi – involontariamente – e averle rivelato, anche se solo per un istante e molto vagamente, ciò che lo opprime, Zombieman regalasse questo fiore alla ragazza: come a indicare che da quel momento, con i suoi tempi e modi, si aprirà sempre di più, fino a mostrarle l’altro lato del vero me.
Lei è una degna destinataria di questo dono e ciò che sottintende, perché è pronta ad affrontare i demoni dell’eroe con tutta la sua dolcezza, e al suo fianco.
[3] Umiko significa “bambina/figlia del mare.”
[4] Piccolo riferimento a Tanabata: festa che viene celebrata il 7 luglio, la quale ricorda la leggenda di Orihime e Hikoboshi (identificati nelle stelle Vega, della costellazione della Lira, e Altair, dell’Aquila: le due stelle più brillanti del Triangolo Estivo, composto con Deneb, del Cigno), i due amanti separati ai lati opposti della Via Lattea e destinati a ricongiungersi solo per una notte all’anno.
Tra le usanze di questa festa c’è quella dei tanzaku: strisce di carta su cui vengono scritti i propri desideri.
ANGOLO di MANTO
E
siamo giunti alla fine.
Care
Emy e
Angie,
voi due ormai siete le mie muse per quanto riguarda questo fandom, e
non so più come ringraziarvi **
Il
titolo della storia riprende l’omonima
canzone di Elisa, mentre quelli dei capitoli sono frasi riprese e
riadattate rispettivamente da Demons
degli
Imagine Dragons, Elegy
dei Globus e Hoshi
yori Saki ni Mitsukete Ageru
(I’ll Find You Sooner Than the Stars) di Hiroko Moriguchi
(l’ending
theme dell’anime).
Quest’ultima
shot è dedicata a Ori_Hime,
che di fluff non ne ha mai abbastanza **