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Autore: mikybiky    23/06/2009    3 recensioni

Wexford è tutto un significato per gli adolescenti che la abitando: sogni nel cassetto, amori non corrisposti, avversioni ed incomprensioni verso altre persone, forti amicizie e incompatibilità tra le reginette della scuola e quelle che invece preferiscono una minore notorietà.
O almeno così era finché Chirs e Abigail Braight non sono giunti nella contea, stravolgendo la situazione e capovolgendo la storia.
Abigail fu la prima a scendere dalla luccicante limousine laccata di nero e sfilare lungo il corteo di paparazzi, seguita a ruota da suo padre Benjamin, che davanti alle telecamere non si staccava da lei un minuto. I flash arrivarono da ogni parte, e Abigail si sentì in dovere di assumere le pose più fashon per apparire sulle riviste più popolari del momento.
L’ultimo a scendere dall’auto fu Chris, che si mosse tranquillamente come se per lui tutta la gente attorno non esistesse. Ignorò le tredicenni ululanti che bramavano un suo autografo e oltrepassò i giornalisti indemoniati che si tiravano le macchine fotografiche in testa per realizzare lo “scatto esclusivo”.
Genere: Generale, Commedia, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Wexford 4

4. DAIGH MORGAN

Le onde del mare si infrangevano impetuose sul lido della spiaggia deserta. L’aspetto era più simile a quello di una laguna, estesa per chilometri e chilometri, senza nemmeno la sagoma di un ombrellone.
La giornata era coperta e molto ventosa. Alcuni schizzi d’acqua andavano a inumidire la sabbia rorida e compatta. L’Irlanda era così: spesso caratterizzata da un vento freddo, anche d’estate.
Dopo l’immagine prolungata del litorale, si susseguirono quelle di diverse steppe verdeggianti, dall’erba rigogliosa e irrorata. Davano l’idea di un tempo meno uggioso rispetto alla spiaggia.
« Wexford ». La faccia gioviale di Maiti occupava tutto il primo piano. Dietro di lei ancora si stendevano le praterie virenti della county town. « Una contea così bella e così florida, ma allo stesso tempo, si può dire, contraddittoria. Da una parte il freddo ma incantevole mare d’Irlanda; dall’altra le steppe assolate e mirabili ».
Apparve l’immagine di un pascolo brado: tante pecore brucavano tranquille in una distesa di erba priva di recinzione. Accanto, un contadino seminava verdure e ortaggi per la primavera a venire.
Di nuovo rispuntò il volto di Maiti, che indicava gli animali che pascevano.
« L’allevamento segue le regole della giusta alimentazione e il nutrimento è rigorosamente a base di erba. Gli ovini qui possono pascolare liberi e indisturbati. Quando c’è quiete si posso anche sentire i loro belati…».
« Beeeee» una voce scherzosa provenne da un punto imprecisato dello schermo.
« Mairtin piantala! » esclamò Maiti, divertita. « Sei uno stupido! Stava venendo fuori un pezzo bellissimo! »
« Io ti stavo solo aiutando a fare sentire i belati delle pecore! » ribatté il ragazzo, ilare. « Senti, le pecore fanno beeee! ».
Mairtin assunse una posizione buffa simile alla postura di una pecora e iniziò a girare su se stesso, fingendo di brucare e continuando ad imitare i belati degli animali.
« Oh, zitto, te la faccio vedere io! ».
Maiti gli saltò sulla schiena, facendogli perdere l’equilibrio. Entrambi caddero a terra, inumidendosi tutti i vestiti. Iniziarono a ridere, divertiti, mentre un contadino gli passava accanto, osservandoli con espressione buffa.

Maiti sorrise. Mordicchiò la punta della matita, mentre si allungava per prendere il telecomando dal comodino. Pigiò un tasto e diminuì il volume dello stereo, mentre sua madre strepitava dalla cucina di abbassare « quella maledetta musica ». Riponendo l’oggetto sulla scrivania, schiacciò lesta un pulsante sulla tastiera del computer e il video si bloccò.
La ragazza stava montando il filmato che Sèanait voleva pronto per il giorno seguente. Era stato difficoltoso registrare i vari pezzi, soprattutto quando ad aiutarla c’era Mairtin.
Armeggiò con il mouse e con i comandi del computer, selezionando, eliminando e infine assemblando i vari spezzoni.
« Così dovrebbe andare bene » disse, soddisfatta di se stessa. « Bé, la parte sul paesaggio è completata. Ora mi manca quella sui luoghi frequentati dai ragazzi e… ». Si alzò dalla sedia per prendere i dischetti su cui aveva filmato il resto, ma alcuni schiamazzi provenienti dall’esterno richiamarono la sua attenzione.
Infastidita, si accostò alla sua finestra e guardò il gruppo di ragazzi sul marciapiede, la causa di tutto quel rumore. Per un momento le mancò il fiato.
« Daigh Morgan » sussurrò. I suoi occhi si soffermarono su di lui, così bello, così perfetto. Scherzava assieme ad alcuni amici; i suoi movimenti erano così fluidi, così sciolti… aveva un equilibrio perfetto, senza farlo volutamente.
La sua attenzione fu distolta solamente dalla porta che sbatteva e sua mamma che entrava in camera a tutta birra, arrabbiata.
« Maiti! Non ti ho forse detto di abbassare questa musica? ». Senza aspettare repliche, individuò il telecomando sulla scrivania, lo afferrò e dimezzò il volume. « Ora va bene ».
Maiti si voltò verso di lei, soprapensiero.
« Scusa, mamma » replicò. Raggiunse lo stereo, premette il pulsante “off” e la canzone cessò. Poi tornò alla finestra e riprese a fissare il gruppo di ragazzi: assieme a Daigh Morgan c’erano anche Bairre Allen, Uilliam McWilson e Bran O’Friel, due ragazzi che aveva visto ancora assieme a Brecc Stoker. Facevano tutti parte della squadra di rugby. Stranamente.
Maiti era imbambolata di fronte all’infisso, con gli occhi puntati su Daigh. Doveva fare qualcosa. Doveva fare maledettamente qualcosa. Voleva solo che lui la notasse, solo quello.
Faresti di tutto, si disse. Faresti di tutto pur di attirare la sua attenzione.
E così, ancora prima di ragionare e di scartare del tutto quell’opzione, chiamò Bairre. Non ebbe nemmeno il tempo di pentirsi.
« Ehy, Bairre! »
Lui si girò immediatamente. Il suo sguardo divertito divenne immediatamente stupito, poi imbarazzato. Rimase evidentemente senza parole: Maiti l’aveva salutato. Stava per blaterare qualche cavolata senza senso, ma Bran O’Friel gli tirò una gomitata. Lui sembrò riscuotersi.
« Ciao, Maiti! » disse, più rilassato. « Non sapevo che abitassi qui ». Fece una pausa, evidentemente cercando altri argomenti sensati da proporle. « Che cosa ci fai rinchiusa in casa con un tempo come questo? ».
Maiti guardò il cielo: si stava ricoprendo di nuvole. I suoi amici trattennero a stento una risata. Bairre diventò rossissimo.
« Bé… non avevo niente di importante da fare » rispose, cercando di toglierlo dall’imbarazzo. Sapeva perfettamente come ci si sentiva. Ma la sua attenzione ora era rivolta a Daigh Morgan. Aveva mosso il primo piede e per completare il passo doveva muovere anche il secondo. Non poteva tirarsi indietro a metà.
« Allora, ehm… voi cosa state facendo di bello? »
Trattienili prima che se ne vadano, si diceva, agitata.
« Noi… noi stiamo andando a fare un giro. Stiamo aspettando Brecc ».
« Come hai detto? »
Bairre alzò la voce:
« Stiamo aspettando Brecc ».
« Non capisco ». Bugia. « Aspetta, scendo un attimo ».
Si voltò di scatto, infilò le scarpe in qualche maniera, si sistemò i capelli alla bell’è meglio mentre scendeva la scale, afferrò il giubbotto e disse a sua mamma:
« Esco ».
« Ricordati di andare a prendere Tòmas alle cinque » cantilenò la donna. « E non fare troppo tardi ».
« Con ogni probabilità rientrerò tra un minuto » ribatté la figlia, prima di aprire la porta e uscire.
L’aria era fredda e sferzante e, a dispetto di quella mattina, il tempo stava peggiorando. Grosse nuvole cariche d’acqua sormontavano la valle, minacciando di piovere. Il vento forte scuoteva con violenza le piante, ma per la gente del posto era pressoché normale.
Maiti si strinse nel cappotto, un gesto usuale per chi abitava in Irlanda. Guardò Bairre, che la scrutava a sua volta, con speranza. Si sentì un’infame: lo stava utilizzando per i suoi scopi. Era ancora in tempo per lasciarli andare e tornare indietro, ma proprio mentre trovava una scusa per tagliare corto, Daigh Morgan piantò gli occhi su di lei. A questo punto ogni buon proposito per fare la brava ragazza si spense, soffocato da quelle iridi verde intenso.
Le parole le morirono in gola, lasciandola con la bocca aperta e lo sguardo fisso sul suo. Per un momento le sembrò di essere su un altro pianeta, magari su un mondo parallelo. Daigh Morgan la stava guardando. Stava guardando lei.
Bairre se ne accorse subito e abbassò il volto a terra. Poi lo rialzò, nascondendo la frustrazione, e si schiarì la voce, annunciando:
« Maiti, io credo che tu conosca Daigh. Ehm… Daigh, lei è Maiti ».
Daigh le sorrise, cordiale. Maiti si sentì morire. Era sicura che stesse sognando e che quando si sarebbe svegliata avrebbe avuto solo un bel ricordo di un altrettanto stupenda immaginazione.
« Io… tu… noi… voglio dire… cioè, sono Maiti. Ciao ».
Abbassò immediatamente gli occhi, imbarazzata. Come aveva potuto fare un discorso così “non discorso”? Ora Daigh si sarebbe messo a ridere e non l’avrebbe più filata. Ma come si faceva a balbettare cose senza senso in quel modo?
Era pronta a fare dietrofront e tornare in casa, turbata, ma un’occhiata di Bairre le fece capire di non fare stupidate, che stava andando benissimo. E in quel momento seppe di non essere mai stata più vile e abietta. Perché lo stava facendo? Perché solo per attirare l’attenzione del ragazzo che le piaceva aveva utilizzato spudoratamente una persona che avrebbe preferito evitare in ogni istante della sua vita? C’era forse con la testa, o l’aveva persa nel preciso attimo in cui aveva visto Daigh Morgan sul marciapiede davanti a casa sua?
« Ciao Maiti » rispose il ragazzo. « È un piacere conoscerti ».
« Lo è anche per me » disse lei. Guardò Bairre. Le sorrise, ma era chiaro che fosse tutto tranne che contento. Aveva intuito le intenzioni dell’amico ancora prima che lui le avesse in mente. « Bé, ora torno in casa » continuò la ragazza. « Credo sia meglio ».
« Oh, ma non dai nessun fastidio » replicò Daigh, lanciandole un sorriso ammiccante.
La ragazza faticò a trovare una risposta; era in completa agitazione. La sua mente le stava inviando una sola informazione: “Daigh Morgan è di fronte a te e ti sta parlando”. Sperando che la sua agitazione non fosse notata, pronunciò le prime parole che le vennero in mente: « I-i-io ti ringrazio, ma voi dovrete andare, e io… io devo… insomma ». Deglutì. In un solo istante sentì tutti i mali possibili assalirla: lo stomaco le bruciava e la pancia le doleva; la sudorazione e la salivazione erano aumentate e aveva la bocca impastata. « Voi comunque dovrete andare » concluse, banale.
« In effetti… » rispose Uilliam McWilson, un po’ scocciato.
« Non dire stupidaggini » lo rimbeccò Daigh, senza nemmeno guardarlo. « Stiamo ancora aspettando Brecc ».
« Già » ribatté Uilliam, sottolineando l’insistenza nella parola. « Ma quando arriverà dovremo andare, e questa è una riunione di noi amici solo per noi amici; non ci sono nemmeno le rispettive ragazze. L’hai stabilito tu ».
« Sì, ma per lei si può fare un’eccezione ». Questa volta il ragazzo guardò l’amico dritto negli occhi, con uno sguardo severo. « Anche Bairre è della mia opinione, vero Allen? ».
Bairre, paonazzo, puntò lo sguardo sul ghigno divertito di Daigh. Quando anche gli altri due ragazzi risero, lui guardò altrove, chiaramente a disagio. Maiti non desiderò mai come in quel momento non avere richiamato la sua attenzione cinque minuti prima alla finestra.
« No…non fa niente » si affrettò a precisare, mentre una folata di vento le spettinava i capelli castani. Lesta, afferrò il ciuffo ribelle con una mano e lo rimise a posto. « Non fa niente, sul serio. Io devo finire quel maledettissimo video per domani, quindi davvero, torno in casa. Se non sarà pronto per domani Sèanait si arrabbierà tantissimo ».
« Oh, non c’è problema, con Sèanait posso parlarci io » propose il ragazzo.
« No! » esclamò Maiti. « No! No, no-no! È meglio se lasci stare. D’accordo… d’accordo! Verrò con voi. In fondo il video posso finirlo anche più tardi ».
Daigh le sorrise.
« Bene » disse, con l’aria di chi non ne perde una. « Ora manca solo Brecc ».


Abigail fu la prima a scendere dalla luccicante limousine laccata di nero e sfilare lungo il corteo di paparazzi, seguita a ruota da suo padre Benjamin, che davanti alle telecamere non si staccava da lei un minuto. I flash arrivarono da ogni parte, e Abigail si sentì in dovere di assumere le pose più fashon per apparire sulle riviste più popolari del momento.
L’ultimo a scendere dall’auto fu Chris, che si mosse tranquillamente come se per lui tutta la gente attorno non esistesse. Ignorò le tredicenni ululanti che bramavano un suo autografo e oltrepassò i giornalisti indemoniati che si tiravano le macchine fotografiche in testa per realizzare lo “scatto esclusivo”.
Quando furono entrati tutti nell’hotel, Benjamin fu l’unico ad avvicinarsi al bancone per chiedere informazioni. Abigail estrasse uno specchietto dalla borsetta e iniziò subito a specchiarsi, terrorizzata che il brufolo che le era cresciuto sotto il mento non fosse minuziosamente coperto di fondotinta.
« Scherzi? » ironizzò Chris, mentre si attaccava al cellulare per chiamare la madre. « I giornalisti scovano tutte quelle imperfezioni ».
« Christopher, lascia stare tua sorella » ordinò il padre, mentre la ragazzina scappava urlando su per le scale, spaventando tutti i presenti. « Sembra di stare all’asilo » aggiunse poi, rivolto al portiere. « La giornata è già stata terribile abbastanza ».
L’uomo gli sorrise, porgendogli una tesserina. Benjamin l’afferrò, ricambiando il sorriso.
« Camera numero 1214, signor Braight. I vostri bagagli vi saranno recapitati tra pochi minuti ».
« La ringrazio ». Benjamin si voltò, sbirciando lungo gli scalini ricoperti da una sontuosa moquette rossa. « Vedrò di andare a recuperare mia figlia da qualche parte. Qual è il bagno più in vista salendo le scale? ».
« No, non ho detto che sono Sharon Jakobs, maledizione! » strepitò nel frattempo Chris al telefono. « O forse credete che abbia subito un intervento alle corde vocali?! Non me ne faccio nulla delle sue scuse! Voglio parlare con mia madre, santo cielo! Mi passi lo studio di Miranda Carlington, immediatamente! Ma quali chiamate estere? Ma di che diamine di prefisso sta parlando? Santo cielo! Sì, sì, proprio lei. Me ne frego se è in riunione in questo momento, voglio parlare con lei, sono suo figlio! Mi chiamo Chris Braight. Che cosa significa che lei è Batman, mi sta forse prendendo in giro? Prono? Pronto! Mi hanno riattaccato! ».
Il portiere guardò Benjamin comprensivo.
« Primo piano, seconda porta a destra; è il primo bagno che trova ».
Il regista fece un cenno con la testa e, sconsolato, si diresse verso le scale. Osservò il figlio infuriato pretendere di fare una chiamata dall’hotel, permettendo l’addebito sulla sua carta di credito.
Scosse la testa, salendo i gradini. Che famiglia strana, la sua.


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Chiedo venia xD. Lo so che avevo promesso di postare il più in fretta possibile, ma non ci sono riuscita. Del resto, come avete visto anche voi, questo capitolo non è dei migliori. Mi sono bloccata davvero molte volte.
Rngrazio, come sempre, coloro che mi hanno inserita tra le storie seguite, e invito Davilcat e_New_Moon_ a lasciarmi i loro pensieri su questa storia *_*.
Sarò sadica, ma a volte mi piacerebbe ricevere anche delle critiche xD laddove siano costruttive.
Kinderbuena89: ahaha mi dispiace ma non è arrivato così in fretta come speravi questo capitolo. Comunque, spero ti sia piaciuto anche questo, nonostante non sia un granché!
  
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