Ho
ventotto anni e nascondo un segreto nell’animo.
Il
dottore dice che il mio occhio è compromesso per sempre. Dice che avrei dovuto
dargli ascolto e non togliermi la benda per nessuna ragione al mondo e che
pagherò molto cara la mia sventatezza. E che, tra
l’altro, se non faccio molta attenzione, se non intraprendo uno stile di vita
più tranquillo, più sano e più morigerato, anche l’altro occhio potrebbe essere
seriamente a rischio.
Cieco,
potrei diventare cieco.
Questo
è quello che ha detto il dottor Lasonne e non ho motivo di non credergli, primo
perché è un medico molto competente, secondo perché mi vuole bene come ad un figlio ed ho visto il dolore sul suo volto quando mi
ha dato questa notizia ed ho sentito lo strazio nella sua voce e terzo perché
non avrebbe alcuna ragione per emettere una diagnosi eccessivamente
pessimistica.
Ma
il dottore non sa, lui non può sapere che tutta la farmacopea del mondo, tutta
la scienza e la medicina finora scoperte non potrebbero
liberarmi, guarirmi da quello che è il mio vero tormento, il supplizio con cui
convivo ormai da sempre, da quando ho memoria, da quando la mia mente ha
appreso l’arte del pensiero razionale.
Porto
un segreto nell’animo, che mi sta logorando e scavando dall’interno e per il
quale non c’è più sollievo, non c’è più refrigerio, non c’è più riparo.
La
mia Oscar era in pericolo ed io ho fatto l’unica cosa
che potessi fare: sono andato a riprendermela e me la sono riportata a casa.
Senza se e senza ma.
Non
mi importa di avere gli occhi se non posso guardare il
suo viso, né di avere le orecchie se non poso udire la sua voce; non mi curo di
avere mani se non possono servirle, né gambe se non possono correre da lei; e
il mio corpo, tutto intero, se non potesse viverle accanto ogni giorno ed
andare dove lei va ed essere dove lei è, allora non sarebbe che un involucro vuoto
e senza forma.
Per
questo non potevo seguire le raccomandazioni del buon dottore. Per questo ho
dovuto togliere la benda che proteggeva la mia vista, indossare ancora una
volta quel ridicolo costume da ladro mascherato e correre a liberare la mia donna.
Perché lei aveva bisogno di me.
Testona,
Oscar, ti sei avventurata da sola nel palazzo reale, dove dimora il duca
d’Orleans, e sono anni che discutiamo su quanto poco ci fidiamo di quel nobile,
che con i suoi modi fintamente liberali sta raccogliendo accoliti con il
dichiarato scopo di propugnare le idee illuministiche, ma con l’unico vero fine
di prendere per sé il trono di Francia.
Coraggiosa
la mia Oscar, come sempre il dovere innanzi tutto, mai
la paura, mai un cedimento. Un soldato abnegato, obbediente, coerente fino
all’ultimo.
Impulsiva,
amica mia, non hai voluto aspettare qualche giorno che io potessi
accompagnarti, ma hai voluto cercare da sola l’uomo che mi ha ferito.
Ti
sei sentita in colpa, Oscar, amore mio, e non dovevi; non è colpa tua se
quell’uomo in nero mi ha ferito durante la battaglia, ma
mia, non sono stato abbastanza veloce, non sono stato abbastanza attento.
Avresti dovuto inseguirlo e catturarlo allora, invece hai preferito lasciarlo
scappare per rimanere vicino a me. Mi stringevi la mano e ti sentivo urlare
“Andrè, Andrè, che cosa ti ha fatto?!” mentre il
sangue irrorava il mio viso ed un dolore mai provato prima mi faceva bruciare,
mi spaccava la testa in due. Mi stringevi la mano e mi parlavi con voce colma
di strazio e di angoscia ed io, ferito, a terra, tra le tue dita, non potevo
pensare ad altro che al calore del tuo corpo così vicino e quasi sono stato
grato a quel ladro, che ancora non conoscevo, perché mi stava dando
un’opportunità unica, la possibilità di sentirti così vicina, così preoccupata
per me.
Mi
vuoi bene, Oscar, mi vuoi bene anche tu, ti preoccupi
per me. Questo pensiero mi ricolma di un orgoglio selvaggio.
Quasi
me ne vergogno, dovrei essere io a prendermi cura di te e proteggerti, invece
finisce sempre che sei tu che mi guardi le spalle. Ma
la vergogna non basta a non farmi sentire dentro la gioia e l’orgoglio muto che
monta nel mio cuore quando ti sento così vicina, quando sento il tuo cuore che
batte all’unisono col mio.
E quindi,
dopo averti inflitto questo dolore, non potevo certo fare come voleva il
dottore, lasciare che qualcuno ti facesse del male, che ti tenessero
prigioniera, che ti costringessero a fare qualcosa di
alieno dalla tua volontà e dalla tua purezza d’animo.
Ti
tenevano in quella segreta sotto la minaccia del ricatto. Ma nessuno può
ricattare la mia Oscar, nessuno può piegare la sua
volontà. Il suo cuore è integro ed il suo animo puro.
Oscar è una creatura che non si piegherà mai ad un
volere che sente sbagliato, anche solo chiederglielo costituisce una violenza
su di lei ed io non potevo permetterlo, non potevo.
Mi
sono portato via la mia Oscar perché la sua volontà
incoercibile non la ponesse in una situazione rischiosa per la sua incolumità.
Mi sono portato via il mio amore perché senza di lei la mia vita non è che una mera esistenza senza luce.
C’era
anche lei quando il dottore ha emesso il suo terribile verdetto di condanna al
buio per sempre; l’ho osservata impallidire, le tremavano le labbra; mi ha
guardato con una ferocia che un osservatore meno attento avrebbe potuto
scambiare per odio, ma non io, non io. Lo so a che cosa stai pensando, amore
mio, che non sarei dovuto venire da te, ma sprechi il tuo tempo e lo sai bene.
Si
è precipitata nella stanza dove l’uomo che è risultato
chiamarsi Bernard Chatelet dormiva, ferito da una
pallottola proveniente dalla sua pistola, urlando che avrebbe fatto a lui ciò
che la sua lama aveva fatto a me.
L’ho
seguita per impedirle un gesto folle e insensato, ma sapevo già che era una
precauzione inutile.
La
nobiltà di Oscar non le permetterebbe mai di colpire un uomo disarmato ed indifeso, inerme nel suo letto, nemmeno per vendicare me.
Ecco
perché la amo di un amore così incommensurabile. Perché Oscar, al di là di ogni sua altra innegabile qualità, oltre tutta la
sua indiscutibile bellezza, è una persona buona.
È
buona ed io sono in pena per lei, perché questo mondo ingiusto in cui viviamo sembra
fatto apposta per ferirla e per farla soffrire.
Non
m’importa dell’occhio, davvero. Posso ancora vedere il sole e le altre stelle.
Posso ancora vedere il tuo viso. E poi sono contento che sia successo a me e
non a te. Il tuo viso è troppo bello, troppo perfetto per deturparlo con una
cicatrice.
Hai
detto che consegnerai Chatelet alle guardie della
Regina che comandi, un messo è già stato mandato ad avvertire tuo padre del
nuovo successo ottenuto da suo figlio in campo militare.
Ma io so
che non lo farai Oscar. Tu non consegnerai Bernard, ma aspetterai che sia
guarito e poi lo lascerai andare. E lo farai non perché in fondo al tuo cuore
pensi che ciò che lui sta facendo per il popolo
francese sia giusto e sacrosanto; e nemmeno perché ritieni che il Terzo Stato
abbia bisogno di un suo paladino e lo abbia trovato in questo eroe che se ne va
in giro mascherato, rubando ai ricchi per donare a chi ha meno.
No,
Oscar, non per questo.
Tu
lo lascerai andare a continuare la sua opera a favore dei poveri e dei
dimenticati del regno perché te l’ho chiesto io.
Lo
farai per me.
È
questo il nostro segreto. Questa è la complicità che noi condividiamo.
E
questo segreto mi riempie l’animo di una gioia inconfessabile, che mi ripaga di
ogni dolore, fintanto che starò al tuo fianco e tu sarai per me gli occhi che
un giorno non avrò più.