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Autore: _Charlie_    27/11/2017    1 recensioni
Il pericolo incombe.
Le streghe della Congrega si preparano a fare ritorno.

Arya Mason è una ragazza di sedici anni che vive a Rozendhel, Virginia. Ha lunghi capelli color rosso ciliegia, occhi verdissimi, e un passato da dimenticare. Una Visione, una Chiave ed un Portale segneranno l'inizio di una guerra da cui non potrà tirarsi indietro.

Ma quali sono le schiere del Bene? Innanzitutto, esistono davvero?
Genere: Azione, Fantasy, Mistero | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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CAPITOLO 46:

 

Incubo

 

E l'Inferno avanzò su Rozendhel.
Ciò che si era a lungo predetto, ciò che si era temuto per millenni, aveva ormai infestato il cielo, inquinato le stelle e oscurato la luna.

Le nere lingue di fumo serpeggiavano in alto, come se vive e dotate di una propria coscienza, mentre i lampi color guerra accesero nuovamente le tenebre.
Fu soltanto allora che la nube scelse di aprire la sua pericolosa bocca di inchiostro – un anello di infinita larghezza, un vero e proprio utero dal quale fuoriuscivano ad intervalli regolari nuove creature e fameliche arpie.
In breve tempo, l'aria tornò a riempirsi di sghignazzi e urla di terrore.
« RITIRATA! » Ululò qualcuno dal basso. « VIA! VIA! »
« NO! TORNA INDIETRO, DAOMING! »
La Guardiana del Fuoco Aureo, che riusciva a stento a tenersi in equilibrio su quelle marsigliesi frastagliate, osservò il padre dei lupi allontanarsi con la coda fra le gambe – il volto di chi si era arreso, di chi aveva sempre avuto una tale paura da non riuscire a distinguere ciò che è giusto da ciò che è sbagliato. I suoi figli, i sopravvissuti, i vigliacchi, lo seguirono sino al limitare del bosco – tra guaiti ed inutili piagnistei.
La neve si era sciolta e lo zefiro aveva smesso di spirare.
La Guerriera, ormai debole e provata dagli eventi, implorò la forza che la teneva ancora in vita di lasciarla andare. Di lasciarla morire.
Scosse l'ala e chiuse gli occhi. Attorno a lei, rombi di guerra, esplosioni.
Realizzò che era già morta, che era morta da anni. Intrappolata in una vita che non le apparteneva, che non desiderava, guidata da ordini e manipolata da forze superiori, capì che era sempre stata morta.
Il tetto della villa, al primo contatto con una fattura, si disintegrò, facendola precipitare al suolo come una silente piuma nera.
Era la fine.
« ARYA? » La chiamò un ragazzo che dapprima non fu in grado di riconoscere: « TI PREGO! TI PREGO! »
« Darren? » Inarcò le sopracciglia, confusa: « sei rimasto? »
« Oh, grazie al cielo! » Esclamò lui, un rivolo di sangue che gli colava dalla tempia sinistra.
« Non lo hai seguito? »
« Ovvio che no... questa è la nostra città e dobbiamo difenderla a tutti i costi! »
Incubo ruggì ancora una volta e, subito, una foresta di cremisi saette piombò a terra, folgorando senza alcuna distinzione uomini e demoni.
Darren afferrò Arya per un polso e la trascinò con sé per le vie di Rozendhel – alle loro spalle, uno ad uno, crollavano gli edifici.
Trovarono quindi un tombino spalancato, ci si infilarono dentro ed attesero una qualche grazia.
Le fogne erano gelide ed estremamente sporche, con le pareti ad arco macchiate di un liquido nero ormai asciutto. Di tanto in tanto, si udiva ancora un gocciolio innocente provenire da lontano e lo squittio impaurito di un roditore far capolino dall'oscurità. Per entrambi fu come tornare al Rifugio, in quel maleodorante tunnel di pietra.
« Non azzardarti a toccare queste mura » lo ammonì Arya, valutandone i rischi.
« È sangue di demone, vero? » Le domandò Darren, preoccupato: « spero solo che Oliver e gli altri stiano bene ».
« Throker e Zhokron sono morti ».
« Ma che cosa stai dicendo? »
« La verità ».
Un fulmine colpì il tombino e tutto ciò che avevano attorno prese a vibrare.
Arya si accovacciò sulle ginocchia, stanca.
« Che fine ha fatto l'ala destra? » Darren la studiò con attenzione.
« L'ultimo ricordino di Morgante » rispose lei: « quando ha evocato Incubo, il fumo lo ha annientato. Ha avuto la fine che meritava ».
« Ed ora che pensi di fare? »
Arya fece spallucce: « secondo te? »
Lo sguardo da bambino di Darren comunicava molto più di quanto avesse voluto. In silenzio, stava sussurrando quanta pena e preoccupazione provasse nei suoi riguardi.
Arya tentò di immaginarsi dall'esterno, di analizzare ciò che era sempre stato palese agli altri nel corso di quei lunghi mesi di latitanza: i capelli erano il trionfo del disordine, gli occhi colorati di un fievole verde, le spalle curve, gli abiti sporchi di polvere e fuliggine.
Scostò il volto e lasciò che Darren le rispondesse.
« Non ci si può più tirar indietro. Hai ancora la Spada, no? »
« Sì. Non ha alcun graffio ».
« Bene! » Esclamò lui, pensieroso: « dobbiamo solo capire qual è il suo punto debole ».
« Perché, quella cosa ne ha uno? » Arya scoppiò in una triste risata: « quando smetterà di partorire, volerò lassù e lo colpirò alla bell'e meglio ».
« Non è un ottimo piano, sai? »
« E quando mai hanno funzionato i nostri piani, Darren? »
Si scambiarono un'ennesima occhiata, molto profonda questa volta.
Arya cercò di immedesimarsi nella ragazzina che era stata un tempo, la giovinetta che tutta fradicia era entrata nella locanda degli Hart, inconsapevole di ciò che il destino avesse in serbo per lei. Se gli eventi non l'avessero ghermita, avrebbe voluto riposare ancora tra le sue braccia o lo avrebbe allontanato comunque? Darren le avrebbe donato la felicità che, forse, meritava; lei, in cambio, avrebbe fatto lo stesso... ne sarebbe stata in grado.
Tuttavia non c'era più alcun modo di tornare indietro e scordarsi della devastazione, la morte ed il delirio che avevano dovuto sorbire.
L'una di fronte all'altro, custodirono gelosamente quell'istante di caotico silenzio.
Poco distante da lì, nel frattempo, un drago mugolò la sua resa.
« Oh, Rhaego... »
« Cavalcalo, no? » Partì Darren: « ti potresti avvicinare ad Incubo senza esporti troppo! »
La ragazza scosse la testa: « sarei troppo lenta e metterei in pericolo anche la sua vita ».
« Andare da sola sarà anche peggio! »
« È il mio destino, Darren! »
« Ma non è destino che tu muoia! » La rimproverò lui, con una vena del collo ingrossata: « non è questo il momento! »
Arya, visibilmente offesa, abbandonò le braccia lungo i fianchi e prese a sfilare nelle fogne, prima avanti e poi indietro, senza mai stancarsi. Percepì un brivido di freddo invaderle la pelle e del muco colarle da una narice. Faceva un tale freddo lì sotto che il topino, trascorso qualche minuto, nella sua tana incavata nella pietra, smise di squittire. Allora, Arya si strofinò il prolabio e cominciò: « mi manca la vita di un tempo... mi manca la spensieratezza e tutto ciò che avevo. Non ho più niente, Darren. La morte non mi incute paura. I primi giorni, al Rifugio, quando sorgeva il sole, restavo nel letto e tenevo gli occhi chiusi, sperando che qualcuno si avvicinasse e mi tirasse via la vita – prese una pausa, le mani congiunte dinanzi al petto – penso che alla fine sia successo, sai? Penso che qualcuno sia venuto davvero, perché non sento più nulla dentro di me ».
« Posso immaginare che effetto si provi » Darren deglutì: « credo sia naturale, nel corso della vita, trovarsi faccia a faccia con questo... non so come definirlo ».
« Vuoto? »
« Forse » egli riprese: « ma sta a noi prendere una decisione: possiamo lasciarlo vincere o possiamo annientarlo. Io sono sicuro che tu riuscirai ad andare oltre questo schifo ».
Arya sorrise: « sei sempre stato così ingenuo ».
« Probabile ».
Le pareti tornarono a vibrare ed il tombino balzò via dal suo incastro. Entrambi dovettero piegare le ginocchia e tentare di rimanere in equilibrio. La sensazione che Arya provò fu simile a quella che l'aveva assalita sulla nave di Haramir, quando non riusciva a reggersi in piedi per via della velocità e delle forti scosse causate dal vento. Fece quindi per aggrapparsi alla pietra, ma, ricordandosi di quanto fosse pregna di sangue di demone, ritirò immediatamente la mano.
Darren, che si era addentrato ancor di più nel tunnel, le fece cenno di seguirlo. Era strettamente necessario riemergere altrove, sperare che ci fosse ancora una strada tranquilla, priva di pericoli.
« Sai dove stiamo andando? » Gli chiese Arya con dubbio.
« E come potrei? Non sono mai stato qui ».
Con gli scarponi affondati in liquidi sconosciuti, con il tanfo di escrementi che appestava ogni angolo di quel labirinto, Arya per poco non diede di stomaco – proseguiva a passo svelto ed il naso tappato.
« Dimmi un po' » le disse ancora Darren: « quali sono i tuoi sogni? O meglio, cosa vorrai fare dopo che ci saremo liberati di Incubo? »
« Stai scherzando? » Ripeté lei.
« No, perché? »
« Te l'ho già detto! Non voglio proseguire con la mia vita ».
« Oh, quanto sei falsa, Arya Mason » la interruppe: « non dici mai la verità ».
« Certo, come ti pare ».
« C'è ancora un qualcosa che ti muove, che condiziona le tue decisioni ».
« E sarebbe? »
« Non lo so! » Disse lui, facendo spallucce e scorgendo nell'oscurità una scala di metallo verniciata di rosso che terminava in un nuovo tombino: « proviamo a vedere lì! »
« D'accordo! » Arya convenne di essere stata una maleducata nell'evitare di chiedergli quali, invece, fossero i suoi sogni. Aveva paura di ascoltare la risposta, che quelle parole, in un modo o nell'altro, l'avessero potuta ferire. Attese un gesto del ragazzo e si arrampicò a sua volta sulla scaletta. Tornati in superficie, Arya lo abbracciò. « Mi dispiace » disse in un sussurro: « per tutto ».
Non seppe mai se il volto di Darren, in quel momento, si aprì in un sorriso o si accigliò, o se, peggio, rimase impassibile. Chiuse le palpebre e lo strinse più forte; in risposta ottenne soltanto una pacca sulla schiena – proprio sul punto in cui si era formata una cicatrice provvisoria, lì dove anche la mano di Morgante si era andata a poggiare.
Arya capì e si scansò: « dove ci troviamo? »
« Difficile a dirsi! » Esclamò lui, perlustrando quel vicoletto dimenticato dal mondo.
Correva una fila di lanterne, tutte spente, sui muri, mentre la muffa divorava le insegne dei negozi e le saracinesche urlavano alla venuta del vento. Arya alzò il capo e notò quell'unico frammento di cielo che si apriva tra le costruzioni – Incubo taceva, forse intento a cercarla.
« Ci siamo allontanati parecchio, secondo te? » Le chiese Darren.
« No » fece lei, orientandosi: « sono già stata qui, tanto tempo fa ».
« Davvero? »
Arya si lasciò scappare una risata: « sembra una barzelletta, ma è cominciato tutto in questo vicolo! – ed indicò più avanti – vedi laggiù? Ecco, lì si trovava il Madame Minuit, il negozio della strega che mi ha venduto la Chiave. Oh, quanto tempo è passato! »
« Brutto scherzo del destino far finire ogni cosa nel punto esatto in cui si è partiti ».
« Mah, sinceramente io non mi stupisco più di nulla. Possibile che l'Universo lo abbia fatto di propria iniziativa, che abbia persino creato un passaggio segreto nelle fogne per farci arrivare qui! »
« E a quale scopo? » Darren aggrottò la fronte.
« Chissà! » Rispose Arya e, con un gesto veloce del polso, sguainò la Spada di Meera.
Percependola, Incubo ruggì di nuovo.
« Adesso devo proprio andare » disse in un sussurro, cogliendo un suo ultimo sguardo.
« Ma che dici? Non puoi andartene via così! Non hai nemmeno recuperato le forze! »
« Promettimi – lo ignorò di proposito – che non ti dimenticherai di me, Darren Hart ».
« E non parlare come se non dovessimo più rivederci » rispose lui, serio: « sbrigati a tornare a casa ».
Ella soffocò l'ennesimo istinto di abbracciarlo. Agitò poi l'ala ed abbandonò la terra, restando a guardarlo sinché non divenne microscopico, sinché i palazzi non tornarono ad essere semplici macchiette indistinte. Era in alto, al confine tra vita e morte.
Vide Rhaego leccarsi una ferita, le macerie stagliarsi tutt'attorno. Dei suoi compagni, nemmeno l'ombra.
Proseguì, imitando l'espressione di Zehelena, fiera e decisa, per poi arrestarsi dinanzi a quell'orrida nube nera – uno spettacolo a cui l'Universo aveva già assistito.
Incubo tuonò, magari anche un po' divertito, obbligandola a retrocedere di qualche metro. Liberò quindi la sua ira e fruste di fumo che la colpirono su tutto il corpo.
Arya menò un primo fendente, che però andò a vuoto. Prese un lungo respiro e s'impose il coraggio.
Quindi tentò ancora, l'elsa impugnata con entrambe le mani, rovente. Come un raggio di sole, la lama si muoveva furtiva e radiosa tra i mille tentacoli – quando infine riuscì ad annientarne uno, tutti gli altri partirono alla carica, più furiosi di quanto non fossero mai stati. Arya improvvisò un gesto dell'ala, proteggendosi.
Dall'anello si originarono nuove creature – spettri dai lunghi capelli bianchi e pelle raggrinzita che avanzarono, pericolosi, contro la sua figura. Essendo sprovvisti di un paio di gambe, strisciavano nell'aria con le loro code di fumo e le braccia protese in avanti.
Ma la loro permanenza in questo mondo durò pochissimo: al primo contatto con gli incantesimi richiamati da voci lontane, infatti, esplosero in cenere argentea – la quale sfumò via immediatamente, trovando armonia nell'Universo.
Arya era incapace di formulare un pensiero sensato. Si voltò e capì che erano state Beckah e Cassandra.
« Non vorrai mica prenderti tutto il merito? » La canzonò quest'ultima, in perfetto equilibrio nel vuoto, a centinaia di metri da terra: « voglio avere anch'io un paragrafo nei libri di storia magica! »
Beckah, al contrario, si limitò a sorridere timidamente ed agitare le ali fornitele da Bartek.
« È pericoloso stare qui, ragazze! » Esclamò Arya, preoccupata.
« Non abbiamo granché da perdere, sai? » Ammise Cassandra: « combatteremo fino alla morte se necessario ».
Le lingue di fumo ripresero a contorcersi come serpenti velenosi e le tre streghe schizzarono da una parte all'altra come frecce nere nella notte più buia. Lampi di luce, incantesimi e grida.
Incubo schiuse nuovamente la bocca, originando un vortice senza eguali che gli permise di attirare a sé, ed ingollare, ogni cosa.
Arya frenò bruscamente e prese a fuggire in direzione contraria, verso il Madame Minuit, strizzando gli occhi e tentando quanto più possibile di evitare una collisione con porte, schegge di vetro, massi e concittadini. Persino un licantropo, conoscendo la vera natura dell'oscurità, dovette arrendersi in un torpido guaito. Arya imprecò. Se i figli di Daoming erano andati via... no! Non doveva trattarsi di Darren!
« ARYA! » Gridò Beckah, i capelli tirati indietro e le unghie che cercavano di aggrapparsi ad un qualcosa di immateriale: « NON MOLLARE! »
Arya agitò il capo. Prima d'allora non aveva mai sperimentato un terrore del genere.
Raggiunse la ringhiera di una terrazza miracolosa e, con le gambe penzoloni verso quel vortice di oscura energia, pregò l'Universo di intervenire, di far qualcosa al riguardo. Tutto inutile. Fatica sprecata.
Immaginò un pulsante con la sua faccia stampata sopra. Un pulsante che l'Universo si divertiva a premere ogni cento anni, o giù di lì. Immaginò le mani incorporee o stellate di quell'entità clonare una nuova Arya Mason, la quarta per la precisione, e rifletté che non avrebbe dovuto più permetterglielo.
Si reggeva con sole cinque dita – le altre impegnate sulla Spada – e sentiva i capelli staccarsi uno ad uno. Era probabile che avesse desiderato così tanto la morte che Incubo l'avesse in un qualche modo ascoltata e che adesso si stesse impegnando tanto solo per non deluderla e, finalmente, accontentarla.
Arya strinse i denti: « ti prego... basta ».
Ed improvvisamente il vento cessò di soffiare. Nel cielo di Rozendhel, scoppiò la pace.
Accadde tutto in maniera così repentina che la giovane si accorse del dolore agli stinchi solamente un minuto più tardi, quando le gambe le erano cedute ed erano già andate a sbattere contro la ringhiera del balcone.
Tornò a mezz'aria, in preda agli spasmi, e cercò un volto familiare. Niente. Anche la terra taceva – i sopravvissuti, gli automi, quei poveretti, vagavano sotto shock e con le lacrime a rigar loro i volti. Il silenzio regnava sovrano.
« C'è nessuno? » Chiamò Arya, flebilmente: « vi prego... ».
La Spada di Meera si animò nel suo pugno. In un muto sussurro le chiese di rimetterla alla prova.
« Non ce la faccio più » Arya scoppiò a piangere: « BASTA! BASTA! BASTA! »
Si colpì le tempie con una serie infinita di pugni, fuori di sé. « NON CE LA FACCIO PIÙ! BASTA! »
Una lingua di fumo calò lentamente dal cielo, serpeggiò solitaria nella notte, raggiungendola, quieta e passando inosservata da occhi e bocche nemiche. In un attimo, strangolò la lama di luce e la annientò, frantumandola in polvere.
Arya, non appena si rese conto del fatto, non appena capì che non c'era più alcuna speranza, lasciò andare l'elsa ormai spoglia e precipitò al suolo.
Con i capelli sparsi sull'asfalto, le labbra semi-aperte e la carnagione cadaverica, la Guerriera riposò.
Non un singolo raggio di sole avrebbe mai più rischiarato il cielo di Rozendhel. Le vocette dei bambini erano appassite, il dolce canto degli usignoli era migrato altrove e le foglie dei platani non ombreggiavano più i viali... i ricordi, anche loro, ben presto, sarebbero svaniti, e di quella piccola cittadina non sarebbe rimasto altro che niente.
Un'ultima lacrima rigò il volto di Arya. Non era il finale che si era aspettata. Non era ciò che voleva, che aveva desiderato!
Immagini confuse presero a scorrerle nella mente, come un vecchio nastro tutto impolverato e malridotto: riuscì a distinguere la volta in cui Beckah le promise di farle vedere un suo dipinto, il primo incontro con Nathaniel, un bacio rubato, l'abbraccio di sua zia, la risata sguaiata di Hazelle, un giro in macchina con Oliver, le piume di Bartek e quelle di Quinn. E ancora, il cinema francese, il rogo di Markos, Dalila, Logan, Throker e Zhokron.
Sentì il cuore scoppiarle in petto, incendiarle l'animo e, in un attimo... andò a fuoco.
Si alzò in piedi e lasciò che le più alte fiamme le invadessero le carni.
L'ala si carbonizzò, la divisa mutò in brandelli.
I capelli le frustavano il volto fiero, mentre dal basso si originava un anello di fuoco biondo.
Alzò le braccia e quella nuova torre di lava incandescente la condusse su, in alto, faccia a faccia con Incubo per l'ultima volta.
La Guardiana del Fuoco Aureo, priva di ogni armatura, con il sudore che le colava tra i seni, sprovvista di ogni esercito, allungò le mani da bambina e accese la notte.
I capelli le si tinsero di quell'inconfondibile sfumatura dorata che da sempre aveva obbedito ai suoi ordini e comandi. Gli occhi le dardeggiarono di rosso.
Ruggì: « incendio! »

 

 

 

 

  
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