Sulle
rotte dei pirati
Donquijote
Doflamingo- Oro e piacere
Rotta Maggiore
Alle
prime luci dell’alba il
vascello pirata “Royal Flamingo”, le vele e la
bandiera decorate con uno strano
teschio sorridente con sovrapposta una sbarra nera, era ancora
all’ancora,
silenzioso.
Nelle
grande e lussuosa cabina di
poppa, intanto, qualcuno si destò e scese dal letto
sbadigliando.
Donquijote
Doflamingo, capo
dell’omonima ciurma, su cui pendeva una tagli di 340 milioni
di berry, si trovò
davanti due dei suoi tanti schiavi, deferenti e vestiti umilmente,
rapiti in
chissà quale razzia, che gli porsero gli occhiali da sole e
lo aiutarono a
indossare un grosso cappotto rosa e una pesante catena d’oro
al collo.
Il
pirata si sedette affamato al tavolo
della colazione e gli furono serviti in brocche e piatti di porcellana
cioccolata
calda, pane, prosciutto e frutta tropicale.
Pochi
minuti dopo che ebbe finito
il pasto la porta della cabina si aprì cigolando e
all’entrata si affacciò un
ragazzo biondo, avvolto in una pesante giacca blu sotto di cui
indossava una
canottiera rosa, le braccia tatuate, il viso solcato da una cicatrice e
solitamente beffardo e maligno, ma ora stranamente rispettoso.
“Oh,
signor Bellamy ( lo so che
non era nella sua ciurma, ma era comunque un suo subordinato e lo
vedevo bene
in questo ruolo nda)” disse pulendosi la bocca con un
fazzoletto di lino.
“Signor
comandante, ci preparavamo
a salpare e ho pensato di avvertirvi”.
I
due uscirono dalla cabina e si
incamminarono per il ponte, fra gli sbuffi degli uomini che lavoravano
all’argano e si arrampicavano sui pennoni imprecando.
In
poco tempo il veliero acquistò
velocità e si diresse in mare aperto; lo scafo pitturato di
rosso- rosastro e
la polena a forma di fenicottero potevano trarre in inganno chi non
conoscesse
la nave possentemente armata e il suo equipaggio assetato di sangue.
Doflamingo
avrebbe voluto
rivolgersi al suo primo ufficiale, così leale e ardimentoso
in battaglia, in
termini meno formali, ma preferiva non usargli trattamenti di favore
perché la
sua popolarità fra i marinai sarebbe decaduta parecchio se
avesse concesso
troppo a quell’attaccabrighe di Bellamy.
“A
proposito signor Bellamy,
andreste in cabina a prendere la mia spada?” gli chiese.
Il
biondo fece appena in tempo a
tornare e il capitano ad infilarsi l’arma nella cintura che
l’uomo di vedetta
urlò sporgendosi dalla coffa: “Nave in vista! Nave
a tribordo!”.
Gran
parte della ciurma si accalcò
alla fiancata per vedere meglio, e l’ufficiale di guardia
ringhiò abbassando il
cannocchiale e agitando i pugni: “E’
“Gente,
ai posti di combattimento,
subito!” ordinò perentorio il comandante mentre i
centoventi uomini
d’equipaggio correvano su e giù e scendevano dagli
alberi e Bellamy rideva
satanico portando la mano all’impugnatura del coltello che
nascondeva nella
tasca dei pantaloni.
“Ma
sì, venite pure. Vi aspettiamo
calorosamente” pensò ironico Doflamingo sorridendo
e appoggiandosi al
parapetto, mentre le palle di cannone sparate dal vascello nemico
affondavano
in acqua vicino al battello pirata sollevando fragorosi spruzzi.
***
Neanche
dieci minuti dopo era
tutto finito.
Era
bastato che il capitano con un
pugno di uomini abbordasse la nave per provocare una strage.
Doflamingo,
seduto sulla fiancata,
aveva usato i propri poteri per manovrare gli avversari e costringerli
a
uccidersi a vicenda, con suo grande spasso.
Bellamy,
grazie al frutto del
diavolo che aveva mangiato, si era messo a rimbalzare fra il ponte e
gli alberi
sparando con la pistola e prendendo a pugni o a coltellate chiunque gli
capitasse a tiro.
Anche
gli altri avevano fatto la
loro parte, menando colpi furiosi a destra e manca.
Il
capitano prese a calci un
marine sanguinante, e, accorgendosi che era ancora vivo, lo
infilzò nella gola
con la spada, quindi passò le mani sulla ricca elsa dorata e
pulì con un
fazzoletto la lunga lama, fino a poco prima custodita al sicuro nel
fodero e
ora lorda di sangue scarlatto.
Un
altro tentò di parlare,
probabilmente per chiedere pietà, ma le parole gli morirono
in gola perché
Cirkeys, secondo ufficiale e grande amico di Bellamy, gli
staccò la testa con
il suo grosso pugnale.
“Questi
bastardi non si meritano
nient’altro” sentenziò acido facendo
scorrere il dito lungo la lama per
controllare che fosse ancora affilata a dovere.
Stavano
per andarsene quando
sentirono un fruscio e si accorsero di un marinaio che, appostato su un
pennone, prendeva di mira il comandante pirata con un moschetto.
Con
un tranquillo gesto della
mano, Doflamingo lo costrinse a gettare l’arma, quindi egli
stesso salì in
piedi sulla fiancata e saltò giù.
La
differenza fu che lui atterrò
sulla “Royal Flamingo”, mentre l’altro
precipitò nel vuoto gridando.
“Che
ne facciamo capo della nave?
Volete che la prendiamo a rimorchio?” chiese Bellamy.
“No,
un veliero mi basta e avanza.
Bruciatela o lasciatela andare alla deriva”
replicò lui senza nemmeno voltarsi.
“A proposito: Bellamy, Cirkeys, avete combattuto bene, quindi
aspettatevi una
quota extra di bottino. In più stasera siete tutti invitati
a cena nella mia
cabina”.
***
La
sera trascorse veloce, e i
convitati tracannarono fiumi di rum e vini fra i più
pregiati del mondo, certo
frutto di mille abbordaggi.
Per
Bellamy, Cirkeys, il nostromo,
il navigatore e il capo cannoniere erano rare le occasioni in cui
cenavano
nella grande e lussuosa cabina di poppa e non nel piccolo e puzzolente
quadrato
ufficiali, e ciò significava che il capitano era ben
disposto nei loro
confronti.
La
stanza, interamente in legno
pregiato, era tappezzata da tende e tappeti di seta intrecciati con oro
e
diamanti, predati da ricchissime navi, e da manifesti da ricercato di
Doflamingo, in segno di narcisismo e vanteria.
Dopo
il pasto, il comandante
estrasse da una scatoletta argentata una coppia di dadi
d’avorio e invitò gli
altri a una partita.
“Come
ben sapete signori” disse
lui gettando i dadi e ottenendo dieci “la mia filosofia di
vita è: goditi tutto
finché puoi, e non avere rimpianti”.
“Ce
ne eravamo accorti già da
quando ci siamo imbarcati la prima volta signore”
replicò Cirkeys fra il serio
e il sarcastico. “Oh! Sembra che io abbia ottenuto due
sei!”.
Doflamingo
gli consegnò con
assoluta noncuranza e una grossa risata una borsa piena di monete
d’oro
zecchino, quindi continuò: “Il mio stile di vita
vi sembrerà esagerato e
tendente al lusso e alla strafottenza, ma solo così
l’uomo può vivere felice e
senza preoccupazioni”.
“Senza
dubbio capitano” annuì
Bellamy mezzo ubriaco e probabilmente non molto cosciente.
“Che
senso ha fare la vita del
pirata, breve, pericolosa e faticosa, vagando per anni fra mari
insidiosi e
isole deserte, schiacciando chiunque incontri sul tuo cammino, se poi
devi
morire affogato, di febbre, avvolto nel tuo sudore, con una spada in
corpo,
tagliato in due da una cannonata o appeso a una forca fra lo scherno di
quelli
che fino al giorno prima ti idolatravano?”.
Tutti
tacquero, in attesa della
risposta a quella domanda retorica.
“Il
senso lo ottieni se puoi
vivere al calduccio o al fresco, con una bottiglia di rum in mano, una
bella
ragazza al tuo fianco, una montagna d’oro e gemme ai tuoi
piedi e il tuo nome
sulla bocca di tutti! Così deve ragionare un pirata, non
come quegli stupidi
che vivono inseguendo chimere e
ideali…Citrulli…Non hanno ancora capito che con
i sogni non ci si riempie la pancia e che uno come Gold Roger non
nascerà mai
più! Dovremmo spazzare via tutta quella gentaglia, e
costruire una nuova
generazione di bucanieri fedeli a me e a me soltanto. Una nuova
era!”.
Tutti
farfugliarono sottovoce fra
di loro e, dopo aver escluso che il capitano fosse ubriaco, convennero
che
aveva ragione e decisero di suggellare le sue parole con un brindisi.
“Alla
nuova era della pirateria! E
alla salute del nostro beneamato condottiero, Donquijote
Doflamingo!” gridarono
sbattendo i boccali e ingoiando soddisfatti il vino dolce e nerastro.