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Autore: Adrienne    24/06/2009    5 recensioni
Gabriel Reeve è un ragazzo a cui importano solo poche cose: le sigarette, il sesso, il disegno e i Led Zeppelin. E' cinico, freddo, praticamente solo, e non sa cosa voglia dire amare. E se, per caso, si trovasse a scoprirlo?
Genere: Generale, Romantico, Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo undici

Capitolo undici.

 

« Oh, Gabriel, let me blow your horn, let me blow your horn. Oh, I never did, did no harm.

I've only been this young once. I never thought I'd do anybody no wrong. No, not once. »

Led Zeppelin, In my Time of Dying

 

L'indomani mattina mi svegliai a causa del sole che mi colpì in faccia. Mi lamentai mugugnando qualcosa, stiracchiando le braccia.
Poi aprii gli occhi e fissai il soffitto, cercando di capire perché fossi così felice, senza un motivo - apparentemente, almeno.

Il mio pensiero si spostò alla notte precedente, e pensai subito ad Astrid; alle sue labbra, ai suoi occhi e al suo sorriso. Mi ritrovai a sorridere come un ebete. Ma soprattutto, mi resi conto che lei – si, proprio lei – era stata il mio primissimo pensiero, appena sveglio. La cosa mi sconvolse ma non ci badai: ero troppo felice per rovinare tutto.
Mi alzai in piedi e mi tolsi la maglia dei Led Zeppelin, quella che indossavo la sera precedente. Mentre la sfilavo, notai che c'era – anche se vagamente – il profumo naturale di Astrid impregnato nel tessuto. Sorrisi, poggiando la maglia sullo schienale della sedia con più cura. Aprii l'armadio ed infilai una maglia a righe grigie e nere, e un paio di pantaloni sformati neri. Misi ai piedi le solite scarpe da ginnastica consumate; afferrai sigarette, blocco da disegno e lettore cd ed uscii dalla stanza, come ogni mattino.

Non sapevo perché, ma tutto mi appariva diverso e nuovo, come se avessi dormito per tanto tempo e mi fossi risvegliato solo in quel momento. Attraversai il solito corridoio – per una volta tanto non lo trovai lugubre – ed imboccai direttamente la strada per la mensa.
Arrivato lì, mi guardai attorno, ma non c'era nessuno che conoscevo.

E lei non c'era. Forse stava ancora dormendo.
Pochi minuti dopo mi venne sbattuta davanti la solita tazza di porridge. La guardai titubante, poi armato da una massiccia dose di coraggio, presi il cucchiaino e lo mangiai. Scoprii – con sorpresa – che non era così male come pensavo. Finii in pace la mia tazza di porridge e posai il cucchiaino con un rumore tintinnante. Dopo di ciò mi guardai nuovamente attorno: ancora niente. Ci stavo rimanendo malissimo.
Possibile che avessi un così disperato bisogno di Astrid, anche se erano passate non poi così tante ore?

Improvvisamente mi sentii senza forze, ma soprattutto senza alcuna difesa.

Mi sentivo come se quella persona che ero stato per tutto quel tempo fosse scappata via quella notte, mentre dormivo, e a questa fosse stata sostituita una persona più fragile, più trasparente. Senza nessuna maschera e senza nessuna vergogna.

O meglio, la vergogna l'avevo. Io, innamorato?

Ma pensandoci bene non ero vergognato.. ma felice. Soltanto questo..
All'improvviso mi risvegliai dai miei pensieri, poiché vidi Astrid, proprio Astrid, entrare nella sala. Sentii qualcosa che s'ingarbugliava dentro lo stomaco e d'istinto le immagini della sera precedente mi si materializzarono davanti agli occhi: i suoi capelli fra le mie dita, le nostre mani che si stringevano e le nostre labbra che s'incontravano in un bacio quasi interminabile..

Scossi la testa. Ridicolo! Sembravo una patetica adolescente alle prese con la sua prima cotta! Ci mancava solo che mi mettessi a scrivere il suo nome e ad ornarlo di cuoricini tutt'attorno sul mio blocco da disegno.

Astrid non si sedette al suo solito tavolo, ma andò da un paio di bambini e dissi loro qualcosa, abbassandosi alla loro altezza. Portava addosso una maglia viola scuro con un piccolo fiocco davanti, i jeans e la sua borsa di tela verde. Neanche a dirlo, era bellissima. Ancora più bella del solito.
I bambini, poco dopo, si dileguarono facendo chiasso e ridendo. Astrid rimase sola, e per un attimo il suo sguardo incrociò il mio, dato che la stavo fissando. Due secondi dopo – senza neanche fare la minima espressione o salutandomi – Astrid girò sui tacchi e uscì dalla mensa, con lo sguardo basso.

Rimasi a fissare quella porta per dei minuti, assente.

Ero ammutolito.

Era impossibile che Astrid non mi avesse visto o non m'avesse riconosciuto. Forse avevo sbagliato qualcosa? Forse non aveva gradito quei baci e non voleva più vedermi? No, impossibile. Sicuramente non mi aveva visto. Poteva capitare.
Lo stretta allo stomaco si fece più acuta e dolorosa.
Mi alzai in piedi di scatto, volendo seguirla, e nel farlo la mia testa incontrò qualcosa di duro.
“Ahia!” esclamai, chiudendo gli occhi e portando la mano sulla fronte dolorante, pronto per aggredire l'idiota che si era scontrato con me con una valanga d'insulti. “Porca..”

Aprii piano gli occhi e mi resi conto che la persona in questione gli insulti se li meritava tutti. Era Lucas!
“Reeve, che cazzo fai!” anche Lucas aveva una mano alla fronte, lamentando un dolore proprio lì.

Che cazzo fai tu, Smith, stai sempre in mezzo!”
Lucas fece un lamento, e lentamente si sedette di fronte a me.

“Ehi, Reeve, vedo che stai meglio.”

Ma cosa dici? Mi hai appena colpito in fronte!” esclamai ancora.
Eddai, Reeve. E' solo una botta, suvvia.”
Mi sedetti di nuovo al mio posto e levai la mano dalla fronte, sperando che non l'avessi arrossata o con un bernoccolo. Astrid poteva aspettare.

 “Ma io sto benissimo, comunque sia.” dissi.

“Mi riferivo a ieri sera. Cos'è, già hai dimenticato?” chiese, alzando un sopracciglio con aria sospettosa. Mi si accese una lampadina; non ero così fesso da tradirmi da solo.
“Ah, sì. Stamattina mi sento molto meglio, infatti. dissi.
Lucas annuì. “Ieri sera quando sono tornato pensato di passare a trovarti per vedere come stavi, ma poi ho pensato che dormissi..
Ancora quello stretta allo stomaco, accidenti! Meno male che c'aveva ripensato..

“Beh, sì, infatti ho dormito tantissimo. E a quanto pare ha funzionato.” dissi distrattamente, deciso a cambiare discorso. Lucas rimase qualche attimo in silenzio.
“Mi sembri
diverso stamattina. E' successo qualcosa?” chiese poi all'improvviso.
Io sobbalzai e lentamente mi voltai per fissarlo negli occhi. “Io, diverso?”
Lucas annuì. “Sì, proprio tu. Non so da cosa dipenda, ma è una sensazione..”
“Non ho nulla.” mentii fermamente, guardandolo senza battere ciglio.
Fece spallucce di tutta risposta. “Mi sarò sbagliato.”
“Evidentemente..
Abbassai di nuovo lo sguardo, mordendomi la lingua. Una cosa era certa: non ero ancora pronto - in un certo senso – a dire a Lucas quello che era successo la notte scorsa, e soprattutto ad informarlo sui miei sentimenti.

Mi avrebbe preso in giro; ma la cosa che mi frenava più di tutte era che neanche io ero sicuro di quel che provavo, né di quel che realmente provava lei. Insomma, era quasi una forma di scaramanzia. Non volevo parlare prima di sapere come stavano le cose realmente.

Presi il blocco da disegno e lo aprii, decidendo di chiarirmi le idee disegnando qualcosa, anche se non sapevo cosa. Ero confuso, e forse un po' scoraggiato. Ma, cosa peggiore, non sapevo più riconoscermi in quel momento.

Che fine aveva fatto quella persona fredda e spietata?
Dovevo assolutamente tornare normale.

“Ho capito, ti lascio solo con i tuoi disegnini. disse Lucas, alzandosi dalla sedia, poiché aveva visto che stavo per disegnare qualcosa sul mio fantomatico blocco da disegno.
Lo seguii con lo sguardo. “Se vuoi..
“So che non ti piace essere osservato mentre operi.”
Feci spallucce e riabbassai lo sguardo sul blocco. “Come ti pare.” dissi.
Perché era così facile con Lucas, ma non lo era per niente quando pensavo o stavo con Astrid? Forse perché ero davvero innamorato di lei?

Ma cosa significava essere innamorati, poi? Non lo ero mai stato!

Mi portai le mani alla testa, afferrandomi i capelli come se volessi strapparli via. Mi sentivo impazzire.. e tutto per una ragazza. Una ragazza! Una delle tante, uno dei tanti pesci nel mare. Non mi ero mai fatto scrupoli né film mentali come quella volta. Ma in fondo, anche se me stesso cercava di ignorarlo o rifiutarlo, sapevo che Astrid non era una ragazza, ma la ragazza. Non era una qualsiasi, e non era uguale a nessuna ragazza che avevo mai incontrato prima d'allora; forse era comprensibile – in minima parte – che ne fossi rimasto così folgorato, ammaliato, o.. o qualsiasi altro sinonimo.
Mentre la mia mente navigava, Lucas era già andato via. Fissai il foglio bianco, la mente svuotata, nessuna ispirazione. Ma cosa dovevo fare?

Era un vero e proprio tormento.

Astrid Halls era il mio tormento.

 

***

Non vidi più Astrid in giro per una settimana. Pensai con orrore che qualcuno l'avesse presa a portata via, o qualcosa simile.

O, peggio ancora, che mi stesse evitando. Possibile? Non era da Astrid.

O forse stava solo male e non voleva contagiarmi. Sì, era sicuramente così.
No, Astrid si era resa conto del grosso sbaglio che aveva fatto baciandomi e ora mi stava evitando di proposito.
Questa situazione mi fece diventare irritabile, o almeno più del solito. Rispondevo malissimo a Lucas anche se lui non faceva niente, e smisi praticamente di mangiare. Per non parlare del disegno: non sapevo più cosa disegnare, dato che avevo praticamente fatto tutto; la ricerca del ritratto perfetto si allontanava inesorabilmente. Trovavo pace soltanto ascoltando i miei adorati Led Zeppelin, e divorando i Dylan Dog di Lucas.
..Per una ragazza!
Esattamente una settimana dopo quel famigerato sabato sera, dopo pranzo vidi Astrid che sfrecciava nel corridoio, probabilmente diretta dai mocciosi. Lei non mi vide, e decisi che questa volta non mi sarebbe scappata via. Mi voltai verso Lucas, che era con me; stavamo andando al solito cortile a fumarci la solita sigaretta dopo aver mangiato. O meglio, dopo che lui aveva mangiato.
Mi fermai di colpo in mezzo al corridoio, e Lucas fece lo stesso, voltandosi a guardarmi.
“Ehi, Reeve, che ti prende?”
Lo fissai.

“Ehm, io, ecco..il mio cervello sfrecciò a velocità supersonica, “..devo andare in bagno.”
La mia capacità per le scuse era davvero scarsa.
“Oh, okay. Ti aspetto qui?” disse lui.

Scossi la testa. “No no, vai pure avanti: ti raggiungo.

Lucas spallucciò e senza voltarsi indietro uscì verso il cortile, attraversando un portone con delle grosse zanzariere.

Io, rimasto solo, girai sui tacchi e sparii oltre una porta a sinistra, proprio dove Astrid era sparita cinque minuti prima. Attraversai vari corridoi e porte e alla fine arrivai proprio di fronte la stanza ampia e circolare, dove Astrid stava con i bambini. Mi avvicinai di qualche passo facendo per entrare, ma all'improvviso vidi proprio lei uscire dalla porta.

Rimasi impalato, ma automaticamente alzai una mano in segno di saluto. Era così bello rivederla dopo tutto quel tempo.
Per tutta risposta, Astrid rientrò frettolosamente nella sala, come se avesse visto Satana in persona. Spiazzato, rimasi sempre lì impalato a fissare quella maledettissima porta, non capendo, e più deluso che mai.

Adesso ne avevo la conferma: per qualche motivo oscuro, Astrid mi stava evitando.
Decisi che era troppo. Mi stavo già umiliando parecchio, poiché io non seguivo le ragazze in quel modo – semmai accadeva il contrario – e adesso dovevo pure dovuto sopportare tutto quello? Essere rifiutato e simili?
Assolutamente no!
Poco dopo mi accorsi di stringere i pugni, quasi tremando. Maledizione..
Come una furia feci dietro-front. Percorsi la strada e ritroso e infine uscii all'aperto, in cortile: mi avvicinai a Lucas che stava già fumando la sua sigaretta, seduto sul muretto.
“Allora,” esordii, poggiando una mano sulla spalla di Lucas, “stasera ho proprio voglia di uscire. Dove andiamo?”
Lucas balzò appena in aria e dopo di ciò mi guardò sorridendo.
“Allora non ti sei infrocito!” esclamò.

Io risi e mi sedetti sul muretto accanto a lui. “Proprio no.”
Lui annuì mentre inspirava ed espirava dalla sua sigaretta. “Possiamo andare al solito locale. Se uniamo i nostri soldi, una birra ci viene.”
Annuii di rimando, mentre anche io prendevo una sigaretta dal pacchetto in tasca e l'accendevo. “Volentieri.” dissi soltanto.

Lucas sembrava più allegro a quella notizia, e in effetti lo ero anch'io.

Anche se era un pensiero piuttosto infantile, volevo prendermi una piccola rivincita.

Così imparava quella stupida ad evitarmi.

Va al diavolo, Astrid!







grazie per le recensioni e i preferiti (: appena avrò un po' più di tempo risponderò a tutti! grazie! baci.
   
 
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