Capitolo undici.
« Oh, Gabriel, let me blow your horn, let me blow your
horn. Oh, I never did, did no harm.
I've only been this young
once. I never thought I'd do anybody no wrong. No, not once. »
Led
Zeppelin, In my Time of Dying
L'indomani mattina mi svegliai a causa del sole che mi
colpì in faccia. Mi lamentai mugugnando qualcosa, stiracchiando le braccia.
Poi aprii gli occhi e fissai il soffitto, cercando di capire perché fossi così
felice, senza un motivo - apparentemente, almeno.
Il mio pensiero si spostò alla
notte precedente, e pensai subito ad Astrid; alle sue
labbra, ai suoi occhi e al suo sorriso. Mi ritrovai a sorridere come un ebete. Ma soprattutto, mi resi conto che lei – si, proprio lei –
era stata il mio primissimo pensiero, appena sveglio. La cosa mi sconvolse ma non ci badai: ero troppo felice per rovinare
tutto.
Mi alzai in piedi e mi tolsi la maglia dei Led
Zeppelin, quella che indossavo la sera precedente.
Mentre la sfilavo, notai che c'era – anche se vagamente – il profumo naturale di Astrid impregnato nel tessuto.
Sorrisi, poggiando la maglia sullo schienale della sedia con più cura. Aprii
l'armadio ed infilai una maglia a righe grigie e nere, e un paio di pantaloni
sformati neri. Misi ai piedi le solite scarpe da ginnastica consumate;
afferrai sigarette, blocco da disegno e lettore cd ed uscii dalla stanza, come
ogni mattino.
Non sapevo perché, ma tutto mi appariva diverso e
nuovo, come se avessi dormito per tanto tempo e mi fossi risvegliato solo in
quel momento. Attraversai il solito corridoio – per una volta tanto non lo
trovai lugubre – ed imboccai direttamente la strada per la mensa.
Arrivato lì, mi guardai attorno, ma non c'era nessuno che conoscevo.
E lei non c'era.
Forse stava ancora dormendo.
Pochi minuti dopo mi venne sbattuta davanti la solita
tazza di porridge. La guardai titubante, poi armato da una
massiccia dose di coraggio, presi il cucchiaino e lo mangiai. Scoprii –
con sorpresa – che non era così male come pensavo. Finii in pace la mia tazza
di porridge e posai il cucchiaino con un rumore tintinnante. Dopo di ciò mi
guardai nuovamente attorno: ancora niente. Ci stavo rimanendo malissimo.
Possibile che avessi un così disperato bisogno di Astrid, anche se erano passate non poi così tante ore?
Improvvisamente mi sentii senza forze, ma soprattutto
senza alcuna difesa.
Mi sentivo come se quella persona che ero stato per tutto quel tempo fosse scappata via quella
notte, mentre dormivo, e a questa fosse stata sostituita una persona più
fragile, più trasparente. Senza nessuna maschera e senza nessuna
vergogna.
O meglio, la vergogna
l'avevo. Io, innamorato?
Ma pensandoci bene non ero vergognato.. ma felice. Soltanto questo..
All'improvviso mi risvegliai dai miei pensieri, poiché vidi Astrid,
proprio Astrid, entrare nella sala. Sentii qualcosa
che s'ingarbugliava dentro lo stomaco e d'istinto le immagini della sera
precedente mi si materializzarono davanti agli occhi: i suoi capelli fra le mie
dita, le nostre mani che si stringevano e le nostre labbra che s'incontravano
in un bacio quasi interminabile..
Scossi la testa. Ridicolo! Sembravo una
patetica adolescente alle prese con la sua prima cotta! Ci mancava solo che mi
mettessi a scrivere il suo nome e ad ornarlo di cuoricini tutt'attorno sul mio
blocco da disegno.
Astrid non si sedette al
suo solito tavolo, ma andò da un paio di bambini e dissi loro qualcosa,
abbassandosi alla loro altezza. Portava addosso una maglia viola scuro con un piccolo fiocco
davanti, i jeans e la sua borsa di tela verde. Neanche a dirlo, era bellissima.
Ancora più bella del solito.
I bambini, poco dopo, si dileguarono facendo chiasso e ridendo. Astrid rimase sola, e per un attimo il suo sguardo incrociò
il mio, dato che la stavo fissando. Due secondi dopo –
senza neanche fare la minima espressione o salutandomi – Astrid
girò sui tacchi e uscì dalla mensa, con lo sguardo basso.
Rimasi a fissare quella porta per dei minuti, assente.
Ero ammutolito.
Era impossibile che Astrid
non mi avesse visto o non m'avesse riconosciuto. Forse avevo sbagliato qualcosa?
Forse non aveva gradito quei baci e non voleva più vedermi? No, impossibile.
Sicuramente non mi aveva visto. Poteva capitare.
Lo stretta allo stomaco si fece più acuta e dolorosa.
Mi alzai in piedi di scatto, volendo seguirla, e nel farlo la mia testa incontrò
qualcosa di duro.
“Ahia!” esclamai, chiudendo gli occhi e portando la mano sulla
fronte dolorante, pronto per aggredire l'idiota che si era scontrato con
me con una valanga d'insulti. “Porca..”
Aprii piano gli occhi e mi resi conto che la persona in
questione gli insulti se li meritava tutti. Era Lucas!
“Reeve, che cazzo fai!” anche Lucas aveva una mano alla fronte, lamentando un
dolore proprio lì.
“Che cazzo fai tu, Smith,
stai sempre in mezzo!”
Lucas fece un lamento, e lentamente si sedette di fronte a me.
“Ehi, Reeve, vedo che stai meglio.”
“Ma cosa dici? Mi hai appena
colpito in fronte!” esclamai ancora.
“Eddai, Reeve. E' solo una botta, suvvia.”
Mi sedetti di nuovo al mio posto e levai la mano dalla
fronte, sperando che non l'avessi arrossata o con un bernoccolo. Astrid poteva aspettare.
“Ma io sto
benissimo, comunque sia.” dissi.
“Mi riferivo a ieri sera.
Cos'è, già hai dimenticato?” chiese, alzando un
sopracciglio con aria sospettosa. Mi si accese una lampadina; non ero così fesso da tradirmi da solo.
“Ah, sì. Stamattina mi sento molto meglio, infatti.”
dissi.
Lucas annuì. “Ieri sera quando sono tornato pensato di passare a trovarti per
vedere come stavi, ma poi ho pensato che dormissi..”
Ancora quello stretta allo stomaco, accidenti! Meno male che c'aveva
ripensato..
“Beh, sì, infatti ho dormito
tantissimo. E a quanto pare ha funzionato.” dissi distrattamente, deciso a cambiare discorso. Lucas rimase qualche attimo in silenzio.
“Mi sembri diverso stamattina. E' successo qualcosa?” chiese poi all'improvviso.
Io sobbalzai e lentamente mi voltai per fissarlo negli occhi. “Io, diverso?”
Lucas annuì. “Sì, proprio tu. Non so da cosa dipenda,
ma è una sensazione..”
“Non ho nulla.” mentii fermamente, guardandolo senza
battere ciglio.
Fece spallucce di tutta risposta. “Mi sarò sbagliato.”
“Evidentemente..”
Abbassai di nuovo lo sguardo, mordendomi la lingua. Una cosa era certa: non ero
ancora pronto - in un certo senso – a dire a Lucas quello che era
successo la notte scorsa, e soprattutto ad informarlo sui miei sentimenti.
Mi avrebbe preso in giro; ma la cosa che mi frenava
più di tutte era che neanche io ero sicuro di quel che provavo, né di quel che
realmente provava lei. Insomma, era quasi una forma di
scaramanzia. Non volevo parlare prima di sapere come stavano le cose realmente.
Presi il blocco da disegno e lo aprii, decidendo di
chiarirmi le idee disegnando qualcosa, anche se non sapevo cosa. Ero confuso, e
forse un po' scoraggiato. Ma, cosa peggiore, non
sapevo più riconoscermi in quel momento.
Che fine aveva fatto quella
persona fredda e spietata?
Dovevo assolutamente tornare normale.
“Ho capito, ti lascio solo con i tuoi disegnini.” disse
Lucas, alzandosi dalla sedia, poiché aveva visto che stavo per disegnare
qualcosa sul mio fantomatico blocco da disegno.
Lo seguii con lo sguardo. “Se vuoi..”
“So che non ti piace essere osservato mentre operi.”
Feci spallucce e riabbassai lo sguardo sul blocco. “Come ti pare.” dissi.
Perché era così facile con Lucas, ma non lo era per niente
quando pensavo o stavo con Astrid? Forse
perché ero davvero innamorato di lei?
Ma cosa significava essere
innamorati, poi? Non lo ero mai stato!
Mi portai le mani alla testa, afferrandomi i capelli
come se volessi strapparli via. Mi sentivo impazzire..
e tutto per una ragazza. Una ragazza! Una delle tante, uno
dei tanti pesci nel mare. Non mi ero mai fatto
scrupoli né film mentali come quella volta. Ma in
fondo, anche se me stesso cercava di ignorarlo o rifiutarlo, sapevo che Astrid non era una ragazza, ma la ragazza. Non era
una qualsiasi, e non era uguale a nessuna ragazza che avevo mai incontrato
prima d'allora; forse era comprensibile – in minima parte – che ne fossi
rimasto così folgorato, ammaliato, o.. o qualsiasi altro sinonimo.
Mentre la mia mente navigava, Lucas era già andato
via. Fissai il foglio bianco, la mente svuotata, nessuna ispirazione.
Ma cosa dovevo fare?
Era un vero e proprio tormento.
Astrid Halls era il mio tormento.
***
Non vidi più Astrid in giro per una settimana. Pensai
con orrore che qualcuno l'avesse presa a portata via, o qualcosa simile.
O, peggio ancora, che mi stesse evitando.
Possibile? Non era da Astrid.
O forse stava solo male e
non voleva contagiarmi. Sì, era sicuramente così.
No, Astrid si era resa conto del grosso sbaglio che
aveva fatto baciandomi e ora mi stava evitando di proposito.
Questa situazione mi fece diventare irritabile, o almeno più del solito.
Rispondevo malissimo a Lucas anche se lui non faceva
niente, e smisi praticamente di mangiare. Per non parlare del disegno: non
sapevo più cosa disegnare, dato che avevo praticamente
fatto tutto; la ricerca del ritratto perfetto si allontanava inesorabilmente.
Trovavo pace soltanto ascoltando i miei adorati Led
Zeppelin, e divorando i Dylan Dog di Lucas.
..Per una ragazza!
Esattamente una settimana dopo quel famigerato sabato sera, dopo pranzo vidi Astrid che sfrecciava nel corridoio, probabilmente diretta
dai mocciosi. Lei non mi vide, e decisi che questa volta non mi sarebbe
scappata via. Mi voltai verso Lucas, che era con me; stavamo andando al solito
cortile a fumarci la solita sigaretta dopo aver
mangiato. O meglio, dopo che lui aveva mangiato.
Mi fermai di colpo in mezzo al corridoio, e Lucas fece lo stesso, voltandosi a
guardarmi.
“Ehi, Reeve, che ti prende?”
Lo fissai.
“Ehm, io, ecco..” il mio cervello sfrecciò a velocità supersonica, “..devo
andare in bagno.”
La mia capacità per le scuse era davvero scarsa.
“Oh, okay. Ti aspetto qui?” disse
lui.
Scossi la testa. “No no, vai
pure avanti: ti raggiungo.”
Lucas spallucciò e senza
voltarsi indietro uscì verso il cortile, attraversando un portone con delle
grosse zanzariere.
Io, rimasto solo, girai sui
tacchi e sparii oltre una porta a sinistra, proprio dove Astrid
era sparita cinque minuti prima. Attraversai vari corridoi e porte e alla fine
arrivai proprio di fronte la stanza ampia e circolare, dove Astrid
stava con i bambini. Mi avvicinai di qualche passo facendo per entrare, ma
all'improvviso vidi proprio lei uscire dalla porta.
Rimasi impalato, ma automaticamente alzai una mano in
segno di saluto. Era così bello rivederla dopo tutto quel tempo.
Per tutta risposta, Astrid rientrò
frettolosamente nella sala, come se avesse visto Satana in persona.
Spiazzato, rimasi sempre lì impalato a fissare quella maledettissima porta, non
capendo, e più deluso che mai.
Adesso ne avevo la conferma:
per qualche motivo oscuro, Astrid mi stava evitando.
Decisi che era troppo. Mi stavo già umiliando parecchio, poiché io non seguivo
le ragazze in quel modo – semmai accadeva il contrario – e adesso dovevo
pure dovuto sopportare tutto quello? Essere rifiutato e simili?
Assolutamente no!
Poco dopo mi accorsi di stringere i pugni, quasi
tremando. Maledizione..
Come una furia feci dietro-front. Percorsi la strada e
ritroso e infine uscii all'aperto, in cortile: mi avvicinai a Lucas che
stava già fumando la sua sigaretta, seduto sul muretto.
“Allora,” esordii, poggiando una mano sulla spalla di Lucas, “stasera ho
proprio voglia di uscire. Dove andiamo?”
Lucas balzò appena in aria e dopo di ciò mi guardò sorridendo.
“Allora non ti sei infrocito!”
esclamò.
Io risi e mi sedetti sul muretto accanto a lui.
“Proprio no.”
Lui annuì mentre inspirava ed espirava dalla sua
sigaretta. “Possiamo andare al solito locale. Se
uniamo i nostri soldi, una birra ci viene.”
Annuii di rimando, mentre anche io prendevo una sigaretta dal pacchetto in
tasca e l'accendevo. “Volentieri.” dissi soltanto.
Lucas sembrava più allegro a quella notizia, e in effetti lo ero anch'io.
Anche se era un pensiero
piuttosto infantile, volevo prendermi una piccola rivincita.
Così imparava quella stupida ad evitarmi.
Va al diavolo, Astrid!
grazie per le recensioni e i preferiti (: appena avrò un po' più di tempo risponderò a tutti! grazie! baci.