Videogiochi > Ensemble Stars
Segui la storia  |       
Autore: Rota    06/12/2017    1 recensioni
Una luce rossa, improvvisa, lo fa quasi sobbalzare sul proprio sedile: deve aver superato un posto di blocco, un appostamento di pattuglia della onnipresente e dilagante polizia. Non si è accorto di essersi appisolato stancamente, dopo quell’ennesima e lunghissima giornata di sfiancante lavoro, e il male leggero alla guancia indolenzita gli suggerisce di aver passato troppi minuti di totale abbandono contro il finestrino della propria vettura.
Dev’essere stato un momento in cui ha abbassato la guardia, e tutto il peso delle sue occhiaie si è fatto sentire tra palpebre e mal di testa.
Sbadiglia e torna ad appoggiare la spalla infreddolita contro lo schienale morbido della vettura, recuperando la giacca e cercando un poco di calore per le ossa tremanti. Guarda in avanti, verso il traffico del rientro serale.
Neanche ad aver automatizzato completamente tutti i mezzi di trasporto, da quelli pubblici a quelli esclusivamente privati, ha liberato l’umanità dalla piaga dell’ingorgo: è un po’ l’ironia amara che tinge di colore l’umorismo di chi si ritiene sagace.
Lui, di certo no.

[Keito!Centric - KuroShu]
Genere: Introspettivo, Malinconico, Science-fiction | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Keito Hasumi, Kuro Kiryu, Mika Kagehira, Shu Itsuki
Note: AU, OOC | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

4. La bambola rotta - Sentimento tutto umano


Il problema di non poter disporre di macchine in grado di lavorare il metallo, di ultima tecnologia, si risolve soltanto con il provvedere a questa opera con la manualità: Kuro è forte, Mika preciso abbastanza, e assieme riescono ad assemblare una tecnica più che accettabile. Si sono ritrovati non solo per volontà di spirito, ma anche profondità di competenza.
Capita che nel dover dare forma a una grezza lastra di metallo, Kuro stia in solitudine, in compagnia esclusiva del propri strumenti di lavoro - per questo è stata allestita la sua camere da letto personale, oltre che provvedere al suo bisogno umano di riposo e anche al bisogno di ulteriore riparo del Maestro.
Teca aperta, diversi cavi sono attaccati alla nuca di quel pezzo di robot, collegati a un display molto rudimentale appoggiato poco distante da lui che fa scorrere codici e sigle che corrispondono, in ultima analisi, sia ai pensieri di lei sia a tutte le funzioni in cui si sta impegnando. Vivere, per prima cosa, ma anche l’imitazione del respiro e il movimento più o meno repentino degli occhi.
E l’uomo dai capelli rossi ha una capacità di concentrazione davvero notevolissima, che mette in comunicazione soltanto lui e l’azione che compie, con lui e lo sforzo che compie. Se non fosse per questo particolare, probabilmente sarebbe già impazzito da diverso tempo: Mademoiselle è ben contenta di mostrarsi disponibile al dialogo con lui, per quanto abbia sempre ribadito quanto Kuro la odi.
-Ryuu-kun, desideri che io dica qualcosa per te a Shu-kun?
Si è chinata in avanti, dietro il vuoto e quei pochi metri di niente che li separano. Guarda, forse, le mani di lui che stringono un largo tubo e lavorano per modificarne l’ampiezza sulla parte terminale, cercando di ridurla considerevolmente, forse invece il display che potrebbe rivelare le sue intenzioni, potrebbe comunicargli qualcosa che lei non può controllare.
Lui però non dà il minimo segno di averla sentita, come neppure tutte le volte che con insistenza lo evoca utilizzando un nome che non dovrebbe osare pronunciare.
Ma lei insiste, gentile e pacata.
-Shu-kun desidera tanto parlare con te, ma è timido e stanco, molto stanco, fa fatica a scandire le parole. Sono sicura che se tu gli parlassi per primo, lui ne sarebbe contento.
Sembra il gioco crudele di un sadico, ed è così che Kuro ha pensato fosse all’inizio, quando per la prima volta Mademoiselle ha parlato con lui.
Lei non ha niente di Shu. Non il suo carattere, non la sua stizza, non la sua voce, non la sua passione, non la sua grazia. Eppure, parla utilizzando il suo corpo e i suoi circuiti, niente che non appartenesse a Shu è stato inserito all’interno di quell’organismo bionico e lei ne è il risultato.
Certi codici ricorrenti, sono quelli che lui ha sempre posseduto.
Mademoiselle e Shu sono la stessa cosa, pur così diversi. Kuro non riesce ancora a spiegarsene il motivo, ma reputa più importante finire il proprio lavoro, anche se questo significa insistere anche nel proprio dolore. Troppo ha da perdere, di nuovo.
Il tono di lei si inclina alla tristezza, per qualche strano motivo.
-Ryuu-kun, sei ancora arrabbiato con me?
Lui non si ferma, e quindi neppure lei.
-Sei ancora arrabbiato… con lui, per quello che ha fatto? O perché si è disattivato?
Solo a quelle parole Kuro blocca la propria mano, stringendo forte il manico di quel martelletto rudimentale. Qualcosa oltre la concentrazione tenace fa vibrare il suo sguardo, ma Mademoiselle non può vederlo da quella posizione: lui è chino sul pavimento, le dà le spalle senza rimorso.
Questa incomprensione, così atroce, la rende tanto simile a Shu da fargli male.
-Ryuu-kun, te ne prego. Parlami. Come facevi una volta con Shu-kun.
Lui riprende il proprio lavoro, trattenendo a stento un sospiro affranto.

 

Benché Mika contenga parti biologiche, esse vengono mantenute vitali e attive dal meccanismo bionico che rilascia, particolarmente per quella componente dell’organismo proprio, ormoni e nutrienti sintetici perfetti allo scopo. Questa è stata la rivoluzione di Itsuki.
Quindi, se in questo momento bolle l’acqua e scarta la confezione della salsa da mettere poi nei noodles, di certo non lo fa per se stesso, ma per la persona che silenziosa rimane seduta al tavolo di quella cucina e gli fissa insistentemente le spalle.
Alla conta dei pasti che lui e Kiryuu hanno assunto, sotto quel tetto, è passata quasi una settimana, ma dal giorno in cui l’uomo dai capelli rossi ha colpito con un pugno la parete di metallo ne sono passati quattro - e Hasumi non ha più parlato con i propri ospiti se non per qualche sillaba di negazione o assenso, rimanendo in una strana e assorta quiete.
Per questo motivo quando lui prese a parlare, Mika sobbalza sui propri piedi e si gira di scatto.
-Da quant’è che va avanti questa storia?
Mika sgrana gli occhi e sbatte le palpebre ripetutamente, facendo ben intendere di non aver compreso l’oggetto in questione della sua domanda improvvisa.
Keito comincia l’istintivo gesto di sistemarsi gli occhiali sul naso, ma ancora prima di sollevare il polso dal petto, lì dove le braccia sono incrociate, si ricorda di non indossarne nessun paio.
Incrina la voce di irritazione.
-Di te e Kiryuu.
Mika a quel punto comprende, ma si chiude in un’espressione sospettosa, circospetta, che fa sbuffare l’altro di stizza.
-Non ho intenzione di denunciare nessuno e niente.
-Perché?
-Non credo che le mie motivazioni o intenzioni debbano essere di tua competenza.
Gli riserva un’occhiata davvero bieca, come d’altronde l’ospite fa nei suoi confronti.
Si volta però verso l’acqua ormai in ebolizione, e mentre spezza i noodles e li butta nell’acqua, risponde al proprio interlocutore.
-Quasi un anno, circa. Più o meno.
-Un anno?
-Siamo venuti qui ancora l’anno scorso. Ryuu-kun-san ha festeggiato con noi la Festa delle Ultime Stelle.
Per qualche secondo, pare che Mika sorrida a un ricordo per lui caro e prezioso - il ristabilirsi, forse, di qualcosa di molto simile al concetto di famiglia, di relazione umana e non: quei giorni sono stati preziosissimi per lui e il Maestro, non potrà mai dimenticare il debito nei confronti di Kuro Kiryuu.
Ridacchia, appena.
-Con me e Mademoiselle.
Neppure i continui sbuffi dell’uomo riescono a scalfire quella felicità così bionica, così fanciullesca e genuina.
-Quello è Shu Itsuki, non questa fantomatica Mademoiselle.
-Mademoiselle è sempre stata la bambola preferita del Maestro. Non l’ha mai lasciato, mai! Non è strano che anche adesso sia con lui!
Anche Keito ricorda, con un poco di sforzo.
Mademoiselle, o quella che Itsuki chiamava in tale maniera, è stata una di quei piccoli robot senza Intelletto, molto utili a lavori manuali o no che non richiedevano un grande sforzo mentale. Appariva a metà strada tra un’agenda e un’infermiera di professione, più o meno come Itsuki pareva a metà tra un chirurgo e un ingegnere.
Ma anche a ricordare cosa fosse, la vera questione è un’altra. Più di una.
Mademoiselle, originariamente, non era mai stata registrata in quanto posseditrice di Intelletto, e questo apre il caso a diversi risvolti. E assumendo questo come verità, lei e Itsuki sarebbero due entità diverse, incompatibili nella stessa scheda di memoria.
Keito continua a non capire.
-Tu affermi quindi che quella cosa non è Itsuki?
Mika scola i nuddles e li pone in una ciotola, condendoli veloce con la salsa.
-L’ha detto anche a te, no?
Finalmente si volta ancora, verso l’ospite - sorride forse perché ha terminato di cucinare ed è contento per questo, ed è ancora ebbro dei ricordi positivi che lo legano a quel posto.
L’ospite però ignora il pranzo offertogli, per qualche secondo di troppo.
-E a te non pare strano che parli col corpo e con l’Intelletto di Itsuki?
Ancora una volta, l’essere bionico mostra stupore, incomprensione. Ha proprio un’espressione distante, di chi pare non usi neanche le stesse parole di chi gli si trova davanti.
-Perché dovrebbe?
Hasumi sospira piano, comprendendo finalmente che quel dialogo non lo porterà a nessuna conclusione per lui accettabile. Così, dedica tutta la propria attenzione al pasto e conclude in quel preciso momento il discorso sconclusionato.

 

Kuro è nuovamente uscito all’esterno assieme a Kagehira, alla ricerca di fili sottili di metallo che possano fare che congiunzione tra arti diversi, come veri e propri tendini. Anche di qualcosa di sferico e piccoli chiodi, diversi altri oggetti particolari che con qualche fortuna riusciranno a trovare nei nuovi carichi arrivati da poco, nell’ultimo trasporto rifiuti dalla città di quella mattina.
Hanno lasciato per lui dell’acqua, bollita in precedenza per non lasciarvi entro niente che possa nuocere alla sua salute, e una serie di confezioni di noodles e altri cibi tipici precotti, perché possa soddisfare eventuali necessità di fame e sete.
Keito ha pensato all’eventualità di rimanere, solo, semplicemente seduto al tavolo della cucina a contemplare il vuoto per quelle ore di nulla, aspettando il ritorno dei due ospiti sotto quel tetto. Lo ha pensato ma non troppo a lungo, perché alla stessa ammissione dell’esistenza di un problema, di un’incrinatura o di qualcosa che lo trattiene in quella stanza artificialmente, trova insopportabile e intollerabile la sua esistenza.
Non permette a niente di turbarlo a quel modo, senza che neppure gli siano date delle risposte precise.
Guarda al di fuori della porta lasciata aperta quando lo scrosciare della pioggia acida ancora viene interrotto dal rombo di un tuono profondo. Si strinse d’istinto le mani al petto, in un ricordo che gli solletica la sensibilità della pelle - le sue mani sono quasi completamente guarite, ormai, grazie alle attente e amorevoli cure di Kiryuu.
Sente lo sporco sul proprio corpo, tra i capelli unti.
Non ha potuto lavarsi in maniera decente, e la latrina di quel cubicolo ricorda certi locali loschi e luridi che soltanto marinai disperati riuscirebbero a frequentare.
Avrebbe diversi motivi, e ne ha avuti, per concedersi all’isteria mentale e fisica. Troppo poco tempo per razionalizzare e nessuna preparazione: per quanto sia pure cosciente di essersi cercato da solo tutto quello che gli è capitato, inseguendo Kuro invece che interrogarlo adeguatamente in un posto sicuro dove la tecnologia funzionava e poteva essergli d’aiuto, imputa al collega dai capelli rossi buona parte della colpa.
Per aver cospirato contro di lui, contro la Yumenosaki Company, contro la città intera.
Ma cammina dritto, sicuro e padrone di sé, entrando di nuovo nella stanza della teca e andando incontro, volontariamente, a Mademoiselle.
Che con un altro inchino, lo saluta in maniera cordiale.
-Hasumi-san!
La porta scorrevole si chiude alle sue spalle, e c’è di nuovo silenzio attorno a lui.
Si avvicina piano a lei, a quella creatura strana. Guarda il cappello abbassando gli occhi per un solo istante, poi si ferma così vicino alla teca da vedere tutti gli ingranaggi di quel petto lasciato aperto, esposto alla vista.
Cerca di non essere troppo duro, nel tono della voce.
-Non comprendo chi tu sia.
Mademoiselle ripete quello che sembra essere un ritornello preimpostato, assomigliando così dolorosamente a una macchina che lui ne è irritato forse in maniera eccessiva.
-Piacere di conoscerti, Hasumi-san. Io sono Mademoiselle, e parlo a nome di Shu-kun.
-Questo l’ho capito!
Sospira, lei lo guarda come se non comprendesse davvero il motivo della sua ira - o è solo un’impressione che lei possa esprimere così bene le proprie emozioni, dopo tutti quei giorni di prigionia a stretto contatto con esseri bionici.
Socchiude gli occhi e si massaggia la parte più alta del naso, tra pollice e indice.
-Io pensavo che l’Intelletto di Itsuki fosse stato distrutto assieme al corpo, ma evidentemente Kiryuu è riuscito a recuperarlo e a metterlo in te.
Poi la indica, mimando una certa rassegnazione, una certa tristezza e delusione che, immagina, siano state di Kuro.
-E ha ottenuto questo.
Mademoiselle non risponde subito a quell’accusa implicita, pare considerare con estrema precisione le parole da pronunciare. I suoi ingranaggi facciali, attorno all’Intelletto interno, vorticano piuttosto frenetici producendo un rumore ticchettato di orologio che conta cinque secondi in uno.
Lei non sbatte le palpebre, rimane in una posa quasi mostruosa e indifferente, che per la prima volta da quando si trova in quel posto mette davvero molto a disagio Keito.
Ma quando ormai pensa, convintamente, di averla mandata in corto circuito, e che quanto da lui affermato sia stato troppo complesso per lei - le insinuazioni stuzzicavano la coscienza bionica ma mai venivano registrate come qualcosa a cui rispondere particolarmente, perché molti di loro erano sempre stati incapaci di formulare malizia, altrui e propria - ecco che lei sbatte di nuovo le palpebre e gli risponde, pacata.
-La tecnologia robotica ha fatto passi da gigante grazie alle enormi capacità di Rei Sakuma. D’altronde, l’Intelletto bionico è un’invenzione sua, e ha rivoluzionato questo mondo e tutta la vita dei robot.
Keito si ritrova ad ascoltare una risposta dettata da diversi passaggi mentali che lui può solo immaginare. Finalmente è cosciente di avere una vera e propria conversazione con quell’essere, e con una semplicità naturale e immediata si apre a un dialogo.
Duro, stretto, sgradevole, ma pur sempre un dialogo.
-I robot non hanno vita.
-Questo è estremamente scortese da dire.
-No, questa è la verità. Tutta la nostra legge e tutta la nostra morale si basa su questa differenza fondamentale.
Keito ricorda Wataru Hibiki, consulente tecnico dell’allora presidente del loro Parlamento degli Eletti. Da lui era uscita la proposta, respinta con forza e determinazione, di equiparare gli esseri biologici con gli esseri bionici dotati di Intelletto dalla terza generazione in poi. E vibra di terrore, come ogni volta che rimembra quel viso affilato e quegli occhi così intensi, così profondi.
Avrebbe generato solo terrore, in tutta la Nuova Terra.
La coscienza di Mademoiselle, però, pare egualmente alla sua davvero molto presente.
-Per questo, voi trattate i robot ancora come schiavi.
-Trattiamo i robot come devono essere trattati, ovvero oggetti.
-Anche Shu-kun per te era un oggetto?
-Certamente.
Forse sorride, forse cerca un’espressione divertita in parti del proprio corpo ancora mancanti, perché la voce di lei si inclina un poco ed è più ferrosa, più alta.
-Mi chiedo allora come mai insisti a dargli un nome, se per te era solo tale. Il nome non è forse parte fondamentale dell’identità specifica di ogni essere umano? La base su cui tutto si erge, la vera e unica proprietà di ogni uomo?
Contropiede, davvero astuto. Il dialogo si sposta su principi filosofici e morali che sono, di propria definizione, totalmente umani, giocando in un campo che vede in svantaggio unicamente Keito, almeno secondo il pensiero logico dello stesso uomo.
Perché se così non fosse, dovrebbe ammettere di star sbagliando, e dare una morale, e quindi anche un’anima, una sensibilità, a quell’oggetto che si trova davanti.
Mente, costretto in una morsa troppo stretta attorno a sé.
-Non ho idea di quale fosse il suo numero di matricola.
Silenzio, ancora altri ingranaggi che vorticano furiosamente.
La schiena di Mademoiselle si tende tutta, dritta come un palo; braccia dritte lungo la linea dei fianchi, tutto il corpo che partecipa a un’emozione che pare tanto calda, tanto forte.
Una tempesta dentro quel fiato artificiale.
-Bugiardo.
Ha non una voce, non due, non tre. Ha la voce di tutti i robot costruiti con il metallo - di Shu Itsuki, di Kanata Shinkai, di Rei Sakuma, di Natsume Sakasaki, persino di quello che fu Wataru Hibiki prima che per sopravvivere non è stato costretto a impiantarsi un cuore umano, alieno alla sua vera natura.
E Keito non sa a cosa lei si stia riferendo: se hai propri sentimenti, se alla propria memoria, se sia invece un semplice quanto perentorio giudizio morale che non gli dà alcun tipo di scampo, inquadrandolo in un’area fin troppo limitata.
Poi cambia di nuovo tono e torna a essere semplicemente Mademoiselle, piena di commiserazione.
-Provo molta tristezza per te, che non riesci a comprendere il dolore altrui.
L’uomo si ritrova ancora davanti al bivio dell’ammissione, perché nel mostrarsi toccato da quel tono così denso le farebbe vincere quella sottile competizione. Così, come in una battaglia, attacca nell’unico punto in cui sente di aver manovra più o meno precisa, più o meno profonda.
-I robot non hanno sentimenti. Tutto ciò che loro credono di provare, non sono altro che imitazioni di reazioni standard emotive umane. Ammetto che ci riescono molto bene, ma sono tutte cose artificiali.
E pare anche essere riuscito ad affondare bene, dato il silenzio prolungato in cui l’altra si chiude. Sa però di non aver ancora concluso lo scambio, soltanto perché i suoi ingranaggi continuano a vorticare - allo stesso ritmo della pioggia, a quanto sembra.
Sembra fargli un cenno, perché il suo capo si muove piano in un unico gesto.
-Hai mai visto un cervello bionico, Hasumi-san?
-Non me ne intendo di robotica.
-È identico a quello umano.
Keito non comprende e Mademoiselle non gli dà il tempo di formulare un pensiero o una risposta a quella precisa sentenza. Rimane sempre con un tono pacato e tranquillo, ma le sue parole fanno vibrare tutto, ancora una volta.
​-
Se è vero che noi siamo soltanto un’imitazione, certo il nostro creatore doveva essere molto crudele. Più o meno come il vostro, che non ha creato nient’altro che immagini a somiglianza di un ideale tutto suo.
Filosofia e credo, arti più puramente umane; espressioni dimenticate spesso, tra il rumore degli ingranaggi meccanici e i colori così forti e decisi con cui si dipinge la Capitale e tutto ciò che le sta attorno, su quel pianeta coloniale.
Keito non sente parlare di Dio da quanto è stato ragazzino.
Ma qualcosa deve ammettere, davanti a lei, anche a causa di alcuni ricordi affiorati così tanto dolorosamente nel proprio petto.
-Vedo che qualcosa di Itsuki ti è rimasto comunque dentro.
Lei ancora tenta di sorridere e formula un inchino, per confermare in maniera semplice le sue parole: Shu Itsuki era blasfemia vivente di per sé, e in più riusciva nella sgradita attività di non comprendere alcuna Luce Superiore che potesse gestire la vita umana così com’era - lo chiamava senso pratico, scienza e mille altre forme della stessa forza di volontà, ed era per quello che era molto inviso da parecchi poteri forti.
Lei è più gentile di quanto non sia mai stato lui, ma nel vortice di pensieri pare che ci siano davvero, diversi punti di incontro.
-Io conservo tutto, di Shu-kun. Ricordi, emozioni, sentimenti, amore per l’umanità. Anche il terribile dolore che ha provato verso la fine, e che ora gli impedisce di parlare.
Alza il dito indice, come a indicare un punto preciso nella linea temporale - la segue con gli occhi, questa idea, pare star raccontando qualcosa che rimane nella sua immaginazione.
Piena di malinconia e tristezza.
-Oh, lui ha potuto comprendere soltanto alla fine quanto l’essere umano fosse perfetto così com’era, senza sbavature o imperfezioni…
La mano si abbassa e la sua voce sembra sul punto di un pianto impossibile.
-Lo amava così tanto.
Rincorre un ricordo preciso, un’emozione che è esistita davvero: la causa di tutto quello che era successo negli ultimi tre mesi di vita di Shu. Keito non si chiede neppure se l’oggetto di tale finto amore fosse una persona precisa oppure semplicemente il genere umano tutto - perché lui ricorda ben altro, di quei tempi, ovvero di una delle cause scatenanti la Depurazione, o come diceva l’opinione pubblica la Guerra contro le Grandi Macchine.
Non ebbe la minima pietà.
-Ricordi anche quando Itsuki ha ucciso Nazuna Nito?
Tutti i meccanismi di Mademoiselle impazziscono, vorticando troppo velocemente.
Sì, ricorda anche quello. Sì, ricorda tutto il dolore di Shu.
Sì, ricorda quel tragico delitto come se avesse ancora in mano gli attrezzi da chirurgo di biomedicina.
Cadono, dai bulbi oculari bianchi, lacrime nere di petrolio.
-Nito…
E poi tutto si spegne, come appassito.

   
 
Leggi le 1 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Videogiochi > Ensemble Stars / Vai alla pagina dell'autore: Rota