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Autore: Echocide    06/12/2017    2 recensioni
Tikki è condannata a un'esistenza immortale e susseguita di morti: è una sirena e il suo unico scopo è dare in pasto delle vite umane al Mare, suo Genitore e Sposo. Ma dopo l'ennesima morte, nel piccolo villaggio in cui si ferma, incontra qualcuno...
Plagg odia il mare che gli ha portato via la sua famiglia e odia anche la nuova arrivata, che odora di salsedine, ma allo stesso tempo non può stargli lontano...
Genere: Mistero, Romantico, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Plagg, Tikki
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Titolo: La sirena
Personaggi: Tikki, Plagg, Altri
Genere: mistero, sovrannaturale, romantico
Rating: G
Avvertimenti: Alternative Universe, longfic, Original Characters
Wordcount: 1.961 (Fidipù)
Note: E si riparte anche con La sirena, un'altra storia che è veramente da parecchio che non vedeva un aggiornamento: che posso dire? Con questo capitolo ho dovuto alzare un poco il rating perché...beh, sapevo già che se avessi tagliato di netto la scena in molte mi avrebbero rincorso con i bastoni, quindi ho preferito fare un piccolo switch di rating (da Giallo ad Arancione, in pratica) e non togliere assolutamente niente. Detto ciò...che dire, ormai ci stiamo avvicinando alla fine e solo una manciata di capitoli manca prima della conclusione.
Detto questo, vi ricordo la pagina facebook per rimanere sempre aggiornati e ricevere piccole anteprime dei capitoli o dei miei scleri e il gruppo Two Miraculous Writers, aperto e gestito con kiaretta_scrittrice92.
Come sempre ci tengo a ringraziarvi tutti quanti per il supporto che mi date: grazie a tutti voi che mi leggete, commentate e inserite questa storia (e le altre) nelle vostre liste.
Grazie tantissimo!

 

L’acqua si chiuse sopra di lei, fagocitandola all’interno della sua oscurità senza fine: i polmoni le dolevano e lei aprì la bocca ma, invece che aria, ingurgitò solo acqua; il vestito, diventato pesante e impregnato d’acqua, la trascinava con forza verso il fondo, rendendo vano ogni suo tentativo di provare a risalire, di provare a salvarsi.
Sarebbe morta lì.
La sua vita si sarebbe consumata lì: gettata come una vittima sacrificale in quelle acque che le toglievano la vita, esattamente come stavano facendo con il suo villaggio.
Lei non era altro che un’offerta, un tentativo di placare quel dio che sembrava non trovare fine alla sua furia.
Vuoi salvarti?
La voce fu chiara nella sua mente, quasi come se qualcuno le stesse parlando proprio davanti a lei e non si trovasse immersa nell’acqua: socchiuse gli occhi, lasciandosi andare e sentendo il corpo smettere di lottare, di cercare di rimanere in vita.
Si lasciò cullare dalla corrente, stanca di continuare a lottare contro qualcosa più forte di lei.
Sì, le sarebbe piaciuto vivere ma, a quanto pareva, il suo destino era la morte.

 

Tikki aprì gli occhi di scatto, tirandosi a sedere nel letto e guardando la stanza immersa nella luce fioca del primo mattino, rimanendo immobile e incapace di capire cosa era appena successo: le sirene non dormivano e tantomeno sognavano e quindi che cosa aveva appena avuto?
Un movimento alla sua sinistra la fece sobbalzare appena e si voltò, sorridendo alla vista del giovane uomo ancora immerso nel sonno; tirò su le gambe, poggiando la guancia contro le ginocchia e continuò a fissare Plagg immerso nel sonno: erano passati tre mesi da quando, accettando l’invito di lui, era entrata in quella casa e gli si era concessa.
Tre mesi dove, un passo per volta, si era trasferita nel piccolo bungalow al limitare della proprietà degli Agreste e la sua vita aveva iniziato un percorso ben preciso e tranquillo: lo guardava svegliarsi e sorriderle, passare un po’ di tempo con lei e poi ricordarsi del mondo esterno e andare a svolgere le proprie attività.
Plagg come tuttofare del villaggio, lei come commessa nel negozio dei Dupain-Cheng.
Una vita…
Umana, ben lontana da quella da sirena a cui era abituata.
Non era più sola, immersa nella fredda acqua del Padre, ma assieme a persone che le volevano bene e la facevano sentire accettata e amata.
Ma quello che era appena successo aveva un qualcosa di preoccupante: non sognava da quando era umana e tutto ciò che ricordava di quell’attività era immerso nella nebbia del tempo; inoltre, non sentiva più l’impellente bisogno di andare dal Padre, di immergersi nelle sue acque.
Erano trascorsi tre mesi da quando aveva cantato per Lui, da quando si era stabilita sulla terraferma, eppure non sentiva l’impellente bisogno di andarsene, anche se sapeva benissimo che, presto o tardi, sarebbe stata chiamata: ogni giorno che passava si avvicinava quello in cui avrebbe dovuto dire addio a tutto.
Addio a quel posto.
Addio ai Dupain-Cheng.
Addio a Plagg.
Era l’inevitabile fine a cui si avvicinava e sapeva quanto ciò l’avrebbe distrutta, solo il pensare di andarsene le straziava il cuore e le provocava fitte all’altezza del petto, non osava immaginare come sarebbe stata il giorno in cui ciò sarebbe successo nella realtà.
Non sarebbe mai potuta tornare, non sapeva dove il Padre l’avrebbe mandata.
La sua vita sarebbe tornata a essere quella di una creatura del mare e tutti, in quel paesino, avrebbero presto dimenticato la straniera dai capelli cremisi che era stata fra loro per un po’.
Inspirò, stendendosi nuovamente nel letto e voltandosi verso Plagg, ancora profondamente addormentato, mentre la sua mente viaggiava: anche lui si sarebbe dimenticato di lei, relegandola in un angolo della mente e riportandola a galla di tanto in tanto, magari parlando con Marinette.
Stirò le labbra in un sorriso, allungando appena la mano e fermando le dita a pochi millimetri dalla pelle del viso di lui: avrebbe continuato la sua vita, avrebbe incontrato qualcun'altra da amare e sarebbe invecchiato con lei al suo fianco, giungendo alla fine di quel viaggio che gli umani chiamavano vita. Lei sarebbe rimasta immobile, invece, ferma nel tempo e relegata al suo mare.
Non c’era futuro per loro e lo sapeva bene.
Come conosceva bene il momento che adesso stava vivendo: non era la prima volta e non sarebbe stata neanche l’ultima in cui si lasciava andare a simili pensieri, a simili congetture e rendendosi conto che non stava facendo altro che profetizzare ciò che sarebbe avvenuto.
Sfiorò appena la punta del naso di Plagg con l’indice, sorridendo e osservandolo mentre storceva la bocca e scuoteva appena il capo, aprendo poi lentamente le palpebre e sbattendole un paio di volte, prima di voltarsi verso di lei e guardala appena confuso e con il sonno ancora nello sguardo: «Te l’hanno mai detto che sei troppo mattiniera, Rossa?» le domandò, girandosi su un fianco e passandole un braccio attorno alla vita, facendo aderire così i loro corpi nudi; una gamba le imprigionò i piedi e Plagg piegò l’altro braccio sotto la testa, lasciando andare un sospiro e richiudendo le palpebre: «Cosa c’è che non va?» le domandò con la voce ancora impastata e biascicando appena.
Tikki scosse il capo, circondandogli a sua volta la vita e carezzandogli la parte di schiena che poteva raggiungere, seguendo con la punta del dito la colonna vertebrale e sentendolo rabbrividire fra le sue braccia: «Signorina, se continui così…» si fermò, sibilando appena e, rotolandole sopra, la imprigionò fra lui e il materasso: «Sai cosa succede quando mi svegli così, vero?» le domandò, osservandola negli occhi e studiandola appena: Tikki annuì mentre piegava le labbra in un sorriso, inspirando appena quando sentì le mani di Plagg carezzarle i fianchi in quel modo lento e circolare che le anticipava cosa sarebbe successo di lì a poco.
Plagg riusciva a capire sempre cosa lei volesse e come darle piacere: seguendo il ritmo del suo respiro sapeva quando toccarla e quando no, dall’irrigidimento dei suoi muscoli riusciva a comprendere quando era prossima all’orgasmo o se poteva spingersi ancora un po’ e continuare in quella tortura piacevole.
Lo assecondò, passandogli le braccia attorno al collo e stringendogli appena le gambe attorno al bacino, sentendolo già pronto per lei, stringendo le labbra quando sentì le labbra che le carezzavano la gola e scendevano lungo il collo, mentre una mano di Plagg le si posava fra le gambe, avvertendo quella scarica di attesa salirle lungo la schiena e che anticipava il tutto: «Sei la mia rovina, Rossa.»
Lo strinse con forza quando i loro corpi si unirono, afferrando le ciocche scure e adeguandosi al ritmo che Plagg impose al loro amplesso finché entrambi non vennero: un suono gutturale lui, in completo silenzio lei.


Tikki stirò le braccia verso l’alto, alzando il capo e offrendo il volto al sole invernale che poco o nulla riscaldava: la mattina era diventata via via più freddo, abbandonando le temperature autunnali per quelle più rigide dell’inverno e anche il sole sembrava essersi rassegnato a essere nient’altro che una mera fonte di luce.
Sorrise, fermandosi lungo la strada che portava alla panetteria dei Dupain-Cheng e osservando il mare poco lontano, notando come la grande distesa di acqua si muovesse placida e le onde si infrangevano piano sulla spiaggia, quasi come se il Padre non avesse nessuna voglia di muoversi.
Si appoggiò alla balaustra che delimitava la strada che dominava la spiaggia sottostante e chiuse gli occhi, inspirando e avvertendo appena il richiamo del genitore e sposo: era flebile, quasi impercettibile alle sue orecchie e non aveva più quella forza trascinante che l’aveva sempre attirata come una falena alla luce.
Un’altra cosa che stava cambiando in lei.
Un’altra cosa che la rendeva più umana e meno sirena.
Riaprì le palpebre, abbassando lo sguardo e posandolo sui palmi delle mani, concentrandosi appena sulle linee che li attraversavano: poteva essere la lontananza dal Genitore che la faceva sentire così? Forse il non immergersi per tanto stava dando i suoi sintomi oppure…
Oppure non sapeva neanche lei cosa le stesse succedendo.
Cosa succedeva a una sirena che rimaneva sulla terraferma per tanto tempo?
Perché sognava? Perché non avvertiva più il richiamo del Padre?
Perché stava cambiando così tanto?
Lasciò andare un respiro, chinando maggiormente il capo fino a toccare con la fronte la balaustra di ferro e sentendolo ghiacciato al contatto con la pelle: non c’era nessuno con cui parlare, a cui chiedere consiglio; l’unica opzione a sua disposizione era il Padre ma sapeva benissimo come questi si sarebbe messo in allarme non appena avesse saputo cosa le stava accadendo.
Forse l’avrebbe portata via da lì, forse l’avrebbe tenuta in acqua e le avrebbe impedito di tornare sulla terraferma.
Non voleva saperlo e quindi rimaneva in silenzio, lontana da lui poiché paurosa che i suoi pensieri potessero tradirla, ignara di ciò che le stava accadendo e continuando a vivere come se nulla fosse la vita da umana.
Si tirò su, scuotendo la testa e storcendo la bocca quando una lunga ciocca le rimase sul naso, scacciandola infastidita e voltandosi, riprendendo a camminare e notando solo in quel momento la donna a pochi passi da lei: Marie era immobile, le braccia abbandonate lungo i fianchi e i pugni stretti fino a far diventare bianche le nocche, lo sguardo che la fissava e le labbra strette fino a diventare una linea sottile: «Sei ancora qui, assassina?» le domandò, quasi stesse sputando ogni parola che le rivolgeva: «Perché sei qui? Perché nessuno si accorge di ciò che sei veramente?»
Tikki aprì la bocca, richiudendola e stringendo le labbra, voltandosi poi e, aperta la borsa che teneva alla spalla, cercò il blocco con il quale era solita comunicare: non poteva non negare che lei era l’assassina del padre di Marie, sapeva benissimo che era l’uomo per cui aveva cantato quando era giunta in quell’angolo di mondo, ma ciò che non comprendeva era la certezza della donna nell’accusarla.
Marie non poteva sapere cosa lei era e cosa aveva fatto, eppure era certa che lei avesse ucciso il padre.
Plagg, i Dupain-Cheng e il dottor Fu erano convinti che, nella disperazione, Marie l’aveva additata come assassina perché semplicemente una straniera in quel luogo. Ma poteva essere questo un motivo valido?
«Oh, non userai quella cosa con me» la voce di Marie le provocò un brivido lungo la schiena, la minaccia nel tono della donna le fece alzare la testa e si trovò la donna a pochi passi: incapace di muoversi, la guardò mentre le tirava via il blocco dalle mani e lo gettava nella spiaggia sottostante, afferrandole poi una ciocca di capelli e tirandola con forza, tanto che Tikki sentì il cuoio capelluto dolerle mentre Marie la strattonava: «Tu sei quella che ha ucciso mio padre. Lo so. Sei stata tu e lo proverò ad ogni costo!» dichiarò, continuando a tirare con forza, mentre Tikki stringeva i denti, portandosi le mani alla testa e sopportando in stoico silenzio il dolore.
Non doveva parlare.
Non doveva emettere alcun suono.
Non avrebbe condannato a morte certa quella donna.
Chiuse gli occhi, sentendo l’altra mano di Marie agguantarla una seconda ciocca e rimanendo completamente in balia della donna, gli occhi che le pizzicavano per le lacrime trattenute e le labbra che si aprivano: «Basta!» mormorò con un filo di voce, avvertendo immediatamente l’altra lasciare i suoi capelli e portandosi una mano alla gola, mentre apriva gli occhi e osservava Marie: lo sguardo aveva perso ogni luce completamente spento, il corpo era immobile e le braccia erano di nuovo abbandonate lungo i fianchi, le mani aperte con i palmi rivolti verso le cosce; Tikki si portò le mani alla bocca, osservando con orrore ciò che aveva appena fatto: aveva parlato e così aveva condannato a morte certa Marie: «Cosa ho fatto?»

 

 

   
 
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