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Autore: cocochokocookie    10/12/2017    2 recensioni
« E abbassa la voce, imbecille! » soffiò minacciosamente il corvino, avvicinandosi ulteriormente ed aumentando la pressione contro le labbra di Lance, il quale alzò entrambe le mani in segno di resa, lo sguardo implorante del cubano fin troppo esplicito.
« MPHF!! » lamentò nuovamente, il Paladino Rosso gli era ancora proteso sopra, il braccio destro appoggiato allo schienale del divano per aiutare a mantenere l’equilibrio così vicino a lui, mentre lo studiava in silenzio, indeciso se fidarsi o meno di lasciare ancora la possibilità di aprir bocca a quel petulante e logorroico essere umano.
Genere: Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Garrison Hunk, Gunderson Pidge/Holt Katie, Kogane Keith, McClain Lance
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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TOOTHBRUSH Personaggi:  Takashi Shirogane | Katie ‘Pidge’ Holt | Lance McClain | Keith Kogane | Hunk Garrison
Ship: Lance/Keith
Categoria: Voltron Legendary Defender
Contesto: Metà prima stagione.
Range di parole: 9100.



TOOTHBRUSH


Le luci soffuse del ciclo orario notturno del castello gli diedero l’augurio di ben svegliato, facendosi man mano più nitide e meno sfocate nel buio della sala comune dove si era ritrovati quella sera per discutere di tattica e seguire poi il flusso della conversazione in un insieme di discorsi sconnessi e frammentati.
Lance chiuse nuovamente gli occhi blu, sbadigliando rumorosamente e stringendosi le spalle in un accennato tentativo di sgranchirsi la schiena, malamente abbandonata lungo la seduta del divano, le gambe allungate in maniera scomposta tra lo schienale ed il pavimento lucido che rifletteva le luci turchesi del soffitto.
Doveva essersi assopito a metà tra il battibecco di Coran e Hunk sul concetto di ‘agrodolce’ ed un’animata discussione tra Shiro e Pidge riguardo le regole di quelli che parevano giochi in scatola alieni vecchi di diecimila anni.
Aveva ovviamente sottolineato ad entrambi che tanto valeva deciderne di nuove, dato che le istruzioni erano andate perdute e Allura non riusciva a ricordarne nemmeno una, nonostante gli sforzi della sua memoria e dell’ausilio dei topini altenai, cinetici e circensi.
Quei roditori gli mettevano i brividi e contemporaneamente lo affascinavano enormemente, ma il non scorgerne le piccole figure nella penombra lo rassicurò, temeva sempre di pestarne uno –soprattutto la sicura ritorsione che la cosa avrebbe portato.
Allungò braccia e gambe verso il soffitto, emettendo pigri suoni di soddisfazione nell’udire le ossa scricchiolare appena.
Quando lasciò ricadere le braccia in maniera scomposta la mano destra sfiorò distrattamente qualcosa di soffice, la curiosità costrinse il Paladino Blu a girarsi placidamente sul fianco destro, sbirciando con occhi appesantiti contro cosa avesse abbandonato le lunghe dita affusolate.
Il sottile suono del respiro di Keith gli svegliò le orecchie non appena le pupille misero faticamente a fuoco la figura nera nella penombra. A differenza della testa di Shiro, il cui ciuffo bianco rifletteva le fredde luci alteane, o dei dettagli lucidi della giacca di Hunk, il Paladino Rosso non aveva praticamente nulla di identificabile nell’oscurità della stanza.
Ad eccezione della pelle, si ritrovò a pensare in distratta lucidità, osservando il viso nascosto sotto i ciuffi corvini del compagno di squadra, il naso quasi appoggiato al divano, il corpo sdraiato al pavimento in una posizione fetale vagamente accennata.
Lui passava ore a prendersi cura della sua pelle, abbronzata dal sole cubano e scaldata dal sale delle onde dell’Oceano, ma Keith non sembrava aver alcun bisogno di passare del tempo a preoccuparsi del suo viso, oppure lo faceva di nascosto, alle ipotetiche quattro del mattino, chiuso a chiave nel bagno della sua cabina e con delle trappole anti-invasore.
Sogghignò appena all’idea, riusciva ad immaginarsi la scena, anche se probabilmente l’esagerazione teatrale della reazione era cosa che apparteneva più a lui stesso. Keith avrebbe lanciato qualcosa di affilato, fatto centro e mantenuto il suo oscuro segreto per molto tempo ancora.
Ormai sdraiato di pancia sulla morbida seduta del divano, appoggiò il viso sulla mano destra, il piegato appena, il volto sporto verso il pilota del Leone Rosso e la mano sinistra protesa nel tentativo di scostare i ciuffi di capelli scuri che ricadevano sul viso quasi diafano del diciottenne.
Tentò di fermarli dietro l’orecchio destro del compagno, ma questi tornarono alla disposizione precedente, facendolo sbuffare appena prima che riprovasse a spostarli nuovamente in una posizione meno spettinata.
Anche i suoi capelli volevano litigare con lui, pensò distrattamente, sistemandoli con un movimento più deciso, ritraendo la mano a velocità disumana quando Keith si lamentò nel sonno, vedendosi già indice e medio staccati a morsi.
Si aqquattò sul divano, premendo il corpo contro la superficie sulla quale era sdraiato, pronto a fingere una morte apparente in qualsiasi istante. Molto più efficace del sonno, si disse.
Tutti quelli che si fingono morti la scampano sempre, nei film almeno.
Dopo un paio di tick di tesissimo silenzio, tornò a protrarsi verso il Paladino Rosso, osservano poi con più attenzione l’ambiente: Pidge stava usando il bicipite sinistro di Shiro come un cuscino, la bocca socchiusa e gli occhiali abbandonati a pochi centimetri, probabilmente se li era levati in dormiveglia, sdraiata sul pavimento.
Allura e Coran non erano nella sala, notò.
Avevano detto loro che avevano bisogno di molte meno ore di riposo, per cui le loro giornate erano molto più lunghe e le notti più corte, ma non avevano avuto nulla da ridire all’idea di impostare la regolazione delle luci della nave in base ai bioritmi umani dei Paladini.
« Dopotutto- » aveva sottolineato la Principessa, « Siete la maggioranza, e noi abbiamo dormito fin troppo negli ultimi anni. »
Suppose che fossero tornati sul ponte di comando, dove alcune volte li avevano trovati a conversare in quello che probabilmente era alteano antico. Decise che stessero ripercorrendo ricordi del loro pianeta natale e smise di pensare ai due alieni, interrotto da un rumoroso suono emesso da Hunk, seduto con la testa riversa sul petto, le spalle curve e le gambe abbandonate in maniera talmente scomposta da sembrare quasi dolorosa.
Si trattenne dal tirargli un calcio per farlo riavere da quell’insieme di grugniti, ma l’amico inclinò la testa verso destra e questo sembrò bastare a calmarne il fastidioso russare.
Quando tornò a girarsi verso Keith, sentì premere con forza contro le sue labbra, ed uno squittio di sorpresa gli morì in gola nell’incrociare gli occhi viola scuro della mancata vittima dell’idea di riempigli la testa di adorabili treccine.
« Vuoi svegliare tutta la squadra? Sono giorni che non dormono! » bofonchiò l’altro in un sibilo, gli occhi socchiusi e l’espressione impigrita dall’interruzione del ciclo del sonno.
Lance rimase in silenzio mentre sul suo viso andava dipingendosi la delusione dello scherzo andato in fumo, assieme a tutte le altre possibilità di disegnare qualsiasi cosa gli passasse per la mente sulla faccia dell’altro.
Keith, appoggiato sul gomito sinistro e proteso ancora verso lui, non accennava a diminuire la pressione della mano destra contro le sue labbra, troppo concentrato a mettere a fuoco la stanza, soffermandosi qualche istante di più sulla figura di Shiro, circondato da carte e dadi colorati, abbandonando l’espressione irritata dalla sveglia imprevista ad una più dolce.
« Mphf! » mugugnò appena Lance, afferrando il polso del maggiore con la mano sinistra, spostandone il braccio ormai rilassato e riservando al ragazzo uno sguardo offeso.
« Se tu non mi avessi assalito nel cuore della notte— » sussurrò con tono accusatorio, le parole appena udibili anche dal mezzo coreano, che lo osservava nuovamente con aria di rimprovero « —non avrei detto proprio nulla, ninja. » concluse in un soffio, lasciando andare la leggera presa sul polso di Keith, tornando a stendersi sul divano.
« Ad ogni modo come hai fatto ad addormentarti ai piedi del divano, il pavimento sarà gelato. » fece poi notare il latinoamericano, piegando le ginocchia e facendo dondolare i piedi sopra le proprie cosce, il mento appoggiato alla seduta del divano e gli occhi socchiusi, rivolti al Paladino Rosso, l’espressione quasi annoiata.
« Mi ci hai spinto tu. » soffiò Keith, indicandolo con la mano destra con fare accusatorio, assottigliando lo sguardo ed aggrottando le sopracciglia.
« Oh. Tutto a posto allora. » concluse Lance, sogghignando di quella sciocca vittoria inutile, se non per infastidire l’altro, guardando poi con sufficienza l’indice a lui rivolto.
« Non sai che indicare è maleducazione, buzzurro? » sussurrò, alternando lo sguardo dalla mano dell’ufficio dell’accusa al candido viso del corvino.
« Buttarmi giù dal divano per avere più spazio per le tue gambe ridicolmente lunghe invece è considerato buona etichetta? » replicò piccato il più basso, ritraendo l’indice e alzandosi in piedi, facendo ben attenzione a non colpire nessuno né a fare rumori molesti.
« Non ti facevo così delicat- ridicolmente lunghe a chi, Pianoterra?! » bofonchiò Lance, tentando di girarsi e dare la schiena a Keith mentre questi si alzava, in una manovra elusiva chiaramente portartrice di un ‘no’ grande quanto il Castello al concetto di ‘alzarsi’, prima di squittire teatralmente al pesantissimo insulto rivolto alle sue gambe, ritrovandosi nuovamente la mano del paladino rosso premuta sulla bocca, gli occhi viola scuro a pochi centimetri dai suoi, lo sguardo assassino.  
« E abbassa la voce, imbecille! » soffiò minacciosamente il corvino, avvicinandosi ulteriormente ed aumentando la pressione contro le labbra di Lance, il quale alzò entrambe le mani in segno di resa, lo sguardo implorante del cubano fin troppo esplicito.
« MPHF!! » lamentò nuovamente, il Paladino Rosso gli era ancora proteso sopra, il braccio destro appoggiato allo schienale del divano per aiutare a mantenere l’equilibrio così vicino a lui, mentre lo studiava in silenzio, indeciso se fidarsi o meno di lasciare ancora la possibilità di aprir bocca a quel petulante e logorroico essere umano.
Evidentemente impiegò troppo tempo a deliberare con sé stesso, vista la rapidità con cui Lance aprì la bocca sotto le sue dita e premette la lingua calda ed umida contro quanto lo stava obbligando al silenzio.
Aveva un buon sapore, pensò in maniera completamente istintiva, lo sguardo di sfida verso il compagno di squadra, sentì la mano dell’altro allontanarsi dalla sua bocca.
Il Paladino Blu sogghignò, allungando immediatamente la mano sinistra e premendola contro la bocca del corvino per soffocare l’esclamazione di sorpresa che aveva preventivato, ma venne nuovamente zittito dal palmo dell’altro quando questi gli morse mignolo e anulare in risposta.
Si guardarono in silenzio, seduti faccia a faccia sul divano, la stessa espressione irritata e innervosita, anche se il viso del cubano aveva sfumature di dolore dovute alla presa dei denti del maggiorenne sulle sue dita.
« Kif— mi ftai fafendo mae! » lamentò contro il palmo dell’altro pilota, le parole assemblate in una litania sofferente, sofferenza che ben poco aiutò, dato che il suo aguzzino strinse ulteriormente la mascella sulle dita abbronzate, prima di allentarne la presa più di quanto non facesse prima, abbassando cautamente il palmo della sua mano dalle labbra del cubano.
« Lance, che schifo! » borbottò quindi, ripulendosi la mano contro la spalla del compagno, l’espressione disgustata e la bocca libera dell’ostaggio, che uomo magnanimo.
« Che schifo? Mi stavi per amputare le dita! » esagerò in un sussurro l’ormai libera vittima, infilandosi in bocca le dita ferite in un riflesso incondizionato, con fare infantile, lo sguardo basso e sofferente.
Keith rimase in silenzio qualche frazione di secondo di troppo rispetto alla normalità, notò il latino, al che alzò lo sguardo, ritrovando lo sguardo pallido dell’altro appena più scuro attorno alle gote, per quanto potesse intravedere nella penombra.
In compenso il bianco del ghigno divertito riusciva a distinguerlo molto meglio grazie ai toni azzurrini delle luci soffici.
« Non c’era bisogno di tutta questa scenata per un bacio. » soffiò il più grande con tono divertito, afferrando delicatamente il polso del diciassettenne ed avvicinandosi in maniera allusiva, mentre gli unici due neuroni attivi a quel lasso di tempo dal risveglio elaboravano la situazione all’interno dell’impolverata scatola cranica di Lance, mandandogli a fuoco il viso.
Fortunatamente, a differenza di Keith, la sua carnagione ambrata giocava a suo favore nel mascherare il rossore nella penombra.
« Non voglio un bacio, voglio un chirurgo che mi salvi la mano! » maneggiò di rispondere, ringraziando la maglia a maniche lunghe di coprire la pelle d’oca che risaliva a fior di pelle dal nodo allo stomaco che pareva ancorarlo al divano.
« Coran sarà sicuramente affascinato da questo nuovo morbo umano. » sussurrò il Paladino Rosso, sogghignando e soffermando per poche frazioni di secondo lo sguardo sulle labbra dell’altro, ritraendosi quasi si fosse ustionato, lasciando andare il polso del più piccolo e scattando improvvisamente in piedi una seconda volta, lo sguardo nuovamente a vagare per la stanza.
Lance, più confuso dal fatto che il solitario del gruppo si fosse espresso in rima piuttosto che dalla situazione allusiva, ne fissò la schiena, seguendo poi lo sguardo e notando come Shiro si fosse girato verso Pidge, dando loro la schiena e avvolgendo la ragazzina con il braccio meccanico.
Keith si passò la mano sinistra, non infetta della contaminazione di Lance, tra i capelli, puntando poi lo sguardo alla porta d’uscita automatica e distogliendolo poi, percependo quello del Paladino Blu trapanargli la colonna vertebrale, incontrando un enorme punto di domanda negli occhi scuri di Lance.
« Buonanotte, Lance. Vedi di non svegliare nessun altro. » borbottò quindi, infilandosi le mani nelle tasche dei pantaloni e dirigendosi in religioso silenzio fuori dalla sala, fiducioso della delicatezza del suono delle porte automatiche.
Sedotto ed abbandonato, Lance non ebbe nemmeno la destrezza di rispondere all’accusa del fuggiasco, limitandosi a fissare insistentemente la porta automatica ormai chiusa mentre si ripuliva la mano della saliva di entrambi, borbottando sommessamente frasi sconnesse di altre frasi senza senso e discorsi sconclusionati, distendendosi poi sul divano, rigirandosi per riprendere sonno cullato dal pesante respiro del Paladino Giallo.
Sbadigliò nuovamente prima di socchiudere placidamente gli occhi, combattendo contro nodi, farfalle e l’improvviso trottare della sua cassa toracica.
Ormai in dormiveglia, avrebbe giurato di aver intravisto due occhi a mandorla fissarlo nella penombra, ma probabilmente, si disse, si trattava già di sfumature del mondo dei sogni.



Nonostante si fosse allontanato ormai da parecchio tempo dalla stanza comune, gli occhi scuri del Paladino ancora non si erano completamente adattati alla luminosità quasi abbagliante della sala di allenamento con le luci alla massima capacità.
Probabilmente la cosa era dovuta al continuo gesto di coprirsi il viso e serrare con forza le palpebre al pensiero di quanto accaduto poco prima, lasciando ricadere al fianco la mano armata della Bayard sfoderata.
« Terminare sequenza di allenamento. » bofonchiò mentre il Gladiatore bianco calava l’arma a corto raggio verso la sua testa.
Era ormai la quarta volta che chiudeva la sessione, disperso nell’imbarazzo adolescenziale e nella vergogna che tingeva prepotentemente di vermiglio le sue gote pallide.
Non appena era uscito dalla novella stanza del pisolino si era diretto a grandi falcate verso la sala d’allenamento, inspirando profondamente nel tentativo di regolare nuovamente il battito cardiaco e il flusso sanguigno che dava segnali di follia.
Cosa diavolo gli era saltato in mente, e soprattutto da dove l’aveva tirata fuori quella frase da… Lance? Aveva assistito a troppi squallidi tentativi di rimorchio di quest’ultimo, decise, da esserne ormai affetto? Poi cosa sarebbe successo, avrebbe fatto delle avances a Red? Proposto ad Allura qualche ridicola uscita sull’ennesima galassia che avrebbero costeggiato? Tentato di abbordare qualche perfetta sconosciuta ad ogni pianeta del prossimo sistema solare?
Abbassò la mano sinistra dal suo viso, lasciando rantolare un lamento su per la gola, seguito da un sospiro scocciato.
Se davvero Shiro li aveva visti, lo avrebbe preso in giro fino alla fine dell’Universo, il che era un lasso tempo considerevolmente insostenibile per la pazienza e l’imbarazzo di Keith.
« Oh, giovanotto! Pensavamo foste tutti impegnati nel vostro… ciclo di riposo. » la voce di Coran, anticipata dal delicato sibilo della porta automatica, lo risvegliò come una bomba d’acqua gelata sulla schiena di prima mattina, facendolo quasi saltare sul posto, colto impreparato.
« Hu— Hunk russa.  » rispose il Paladino, convinto sia che l’Alteano conoscesse il significato del verbo, sia che la risposta fosse esaustiva alla sottintesa domanda riguardo cosa ci facesse Keith in piedi in mezzo alla sala d’allenamento, apparentemente tutt’intento a fissarsi il palmo della mano sinistra, in quella che gli altri esseri umani gli avevano spiegato essere la fascia oraria più importante per il completo funzionamento dei loro nervi.
« Il Paladino Giallo sta male? » chiese con espressione e tono confusi l’alieno, nonostante le cabine di cura avessero elaborato gli organi interni e gli apparati umani, lui ancora non conosceva certi termini… tecnici.
« No, Coran, Hunk sta benissimo. Dorme solo in maniera molto rumorosa. » spiegò Keith, notando di avere le spalle tese dall’entrata in sala dell’alteano, rilassandole e abbandonando anche la mano sinistra lungo il fianco, mentre l’arma tornava alla sua forma generica con un fischio sommesso.
« Non dovreste essere tutti a dormire? Io e la Principessa abbiamo pensato fosse opportuno anticipare il ciclo luminoso notturno dopo che vi siete assopiti tutti- il Paladino Blu si lamentava della luce anche in pieno sonno. » chiese, ripercorrendo il ricordo di poche ore prima, la voce impastata di Lance che, accompagnata da movimenti involontari delle braccia, borbottava a qualcuno non meglio identificato di chiudere delle serrande (?).
Keith si portò la mano sinistra al collo, alzando lo sguardo su Coran, gli occhi lucidi di sonno e l’espressività del volto ridotta al range che andava da “stanchezza” a “coma vigile”.
« Hai ragione, dovrei cercare di dormire finché ci è concesso. » rimuginò, senza davvero mettere a fuoco l’espressione soddisfatta del suo interlocutore, sicuro di aver consigliato quel ragazzino da bravo zi- consigliere.
Salutò con un cenno il più anziano, incamminandosi con passo poco convinto verso l’area adibita a ‘dormitorio’, faticando appena a riadattarsi alle luci nuovamente abbassate lungo i corridoi del Castello dei Leoni, le mani in tasca e la Bayard appesa alla cintura che rimbalzava contro il suo fianco ad ogni passo.



Il tragitto dalla Sala d’Allenamento all’ala degli appartamenti dei Paladini era quello che probabilmente conosceva meglio, dato che lo percorreva ogni giorno, erano i due ambienti dove si aveva più probabilità di incrociarlo, almeno quanto facilmente si poteva trovare Hunk tra il ponte di comando con Pidge e le cucine o ancora l’officina che condivideva con la Paladina del Leone Verde.
Paladina la cui testa al momento riposava contro il petto del Team Leader che Keith mise a fuoco vicino alle camere, il pensiero corse immediatamente alle minacce rivolte al pilota del Leone Blu se questi avesse svegliato qualcuno dei loro compagni, Shiro in primis.
« Ehi. » salutò l’asiatico, sorridendogli come suo solito, l’espressione paterna e lo sguardo rassicurante, mentre si voltava nella sua direzione: aveva riconosciuto il passo ed il suono della Bayard fin dal primo rumore che aveva percepito. Tra le sue braccia, Katie respirava piano, gli occhi cerchiati di stanchezza ed i piedi che penzolavano appena, oltre il braccio meccanico del giapponese.
« Sembra che qualcuno sia riuscito a rimanere a letto. » constatò Keith, sorridendo all’amico e lanciando uno sguardo intenerito alla Paladina, osservandola dormire placidamente.
« Sono più le notti che passa davanti ai monitor olografici che nel suo letto, credo fosse una questione di tempo prima che crollasse, come tutti noi. » commentò Shiro, guardandola a sua volta.
Pidge era la più piccola del gruppo, eppure era già stata privata del fratello maggiore e del padre, si era opposta ed imposta a chiunque si fosse messo tra lei e la possibilità di ritrovarli, aveva già capito e modificato la tecnologia del suo Leone, una tecnologia anni luce più avanzata di quella terrestre, ed era, a tutti gli effetti, uno dei punti cardine di tutta la strategia del team.
Shiro passava ormai gran parte del suo discutendo con lei di spionaggio informatico, con Hunk riguardo a possibili avanzamenti delle attrezzature, con Keith ed Allura di tecniche di combattimento e politica, vederlo così rilassato da accennare ad addormentarsi poche ore prima aveva scaldato il cuore al Paladino Rosso, almeno tanto quanto lo scaldava adesso vederlo così affettuoso con la quindicenne.
« Dovresti riposare anche tu, Shiro. Non possiamo permetterci che il nostro Capo abbia più sonno che determinazione. » lo riprese Keith, appoggiando la mano destra sulla spalla sinistra del compagno, stringendola appena in segno di affetto.
Dio solo sapeva quanto profondamente gli fosse mancato durante l’anno di latitanza.
« Non montarti la testa, ragazzino » rispose sottovoce il più anziano, trattenendo una risata al ricevere ragguagli su come dovesse regolare il suo riposo dall’unico compagno che dormiva forse meno di lui.
« Ad ogni modo, tranquillo— » continuò, sogghignando appena in direzione del più piccolo, stringendo appena la presa su Katie ed incamminandosi verso la porta automatica più vicina a loro, diretto nella caotica stanza della quindicenne per deporla nel suo letto « —è stato Hunk a svegliarci, non Lance. » concluse, prima che la porta si chiuse dietro di lui, lasciando Keith arrossire indecentemente in solitudine.
Aveva sentito, aveva sentito ed aveva visto la patetica scenetta dell’ora prima, e avrebbe giurato di poter sentire una bassa e soffocata risata dalla stanza di Pidge seguire il sonoro schiaffo che Keith si tirò sul viso con fare sconsolato.
« Fantastico. » brontolò, tornando ad incamminarsi verso l’utima stanza, quella che gli era rimasta quando si erano ‘spartiti’ gli spazi personali lungo quell’ala, quella di Hunk era poco distante da quella di Pidge, mentre la porta di Shiro l’aveva già superata, era la più vicina all’entrata del corridoio, era stato il Paladino Nero ad insistere, stranamente, per avere quella.
Nessuno si era fatto grandi domande, ma aveva il vago ricordo di una descrizione delle prigioni Galra nella quale era spesso rinchiuso nelle ultime celle, le più lontane dalle purpuree fonti di luce.
L’eco dei suoi passi risuonò per un ulteriore paio di centinaia di metri, prima di fermarsi davanti ad un’anomalia: davanti all’ampia vetrata poco oltre la sua stanza, una piccola e scomposta figura avvolta nelle sottili e calde coperte alteane stava seduta, apparentemente intenta a scrutare le stelle lontane anni luce che puntellavano il cielo oscuro della volta spaziale.
A quanto pare Lance non era tornato a dormire per molto tempo, dedusse, osservandolo con la coda dell’occhio, prima di entrare nella propria stanza senza rivolgergli parola, anche se questi gli aveva rivolto un cenno di saluto una volta resosi conto della sua presenza.



Il Paladino Blu si era rigirato sul divano per circa un quarto d’ora abbondante al secondo rumoroso exploit dell’amico, era riuscito ad assopirsi nuovamente per non più di una mezz’ora scarsa da quando Keith se ne era andato, lasciandolo a disagio e solo con sé stesso.
« Hunk, ¡madre de dios! » aveva infine bofonchiato, trattenendosi dal tirare il calcio che il Paladino Giallo aveva già rischiato in precedenza, principalmente nel notare la figura di Shiro alzarsi lentamente, probabilmente avendo cura di non svegliare Katie nel muoversi.
« Lascialo stare, Lance— » mormorò il Paladino Nero, riprendendolo sottovoce e facendo sì che il più giovane abbassasse la gamba già protesa verso un incosciente Hunk che aveva ripreso a russare sommessamente « —mi sembrava che Keith fosse stato chiaro sul lasciar dormire gli altri. » concluse, tendendo il collo verso destra fino a quando un secco suono non lo avvertì che l’indolenzimento stava per placarsi.
Sul divano, cubano scattò seduto a quelle parole, quasi tentando di darsi un tono agli occhi del suo eroe nonostante la penosa scenetta di poco prima con il Paladino Rosso.
« Non ho bisogno che quell’imbecille mi dica cosa fare o meno » puntualizzò, arrossendo fino alla punta delle orecchie allo sguardo di sufficienza del giapponese, prima che questi si voltasse verso il Paladino Giallo, il cui respiro risuonava costante nell’ampia sala, ignaro dei disagi che aveva creato a quasi tutta la squadra.
« Non mi interessa chi te lo abbia detto, Lance, lascia dormire Hunk. Sono settimane che ciondola tra l’officina ed il ponte di comando per affinare l’attrezzatura dei Leoni, e domattina preferirei avere nuovamente una colazione para-terrestre. Coran ci sta sguazzando nella sua assenza dalle cucine, ed il mio stomaco comincia a risentirne. » liquidò Shiro, lanciandogli uno sguardo minaccioso, gli occhi scuri appesantiti dal sonno e le occhiaie più scavate del solito.
Probabilmente non era solo a causa della cucina nuovamente in mano a Coran che il capo della squadra si faceva irritabile, ma la mancanza di sonno li stava affliggendo tutti, non c’era quindi da stupirsi che Coran ed Allura si fossero affrettati a lasciarli riposare senza battere ciglio, nel vederli ciondolare le teste quella sera.
« C-Certo » balbettò Lance, vergognandosi del dover essere ripreso come un bambino viziato dal più anziano, convenendo mentalmente con lui sul fatto che un Hunk riposato apportava benessere alimentare a tutta la squadra e un piatto di pseudo-pancake valeva molto di più della soddisfazione di svegliarlo e farlo sentire in colpa per aver interrotto il suo sonno.
« Sarà meglio farla dormire in un posto meno scomodo. » commentò poi il Paladino Nero, rivolto a Pidge mentre si alzava lentamente, svegliandola delicatamente prima di prenderla in braccio.
« Ssh, tranquilla, adesso andiamo a dormire. » la rassicurò appena allo sguardo stropicciato e confuso della ragazza, mettendole nuovamente gli occhiali grandi e rotondi sul naso.
Il Paladino Blu lo osservò, mentre un fastidioso ed irritante sentimento di gelosia si muoveva viscido  nel suo stomaco: lo sguardo e le parole che Shiro rivolgeva a chiunque altro all’interno della squadra erano comprensivi, caldi, rassicuranti… Lui era invece riuscito a guadagnarsi un rapporto di richiami e sguardi insofferenti durante quei lunghi mesi. Sapeva che il Paladino Nero gli voleva bene, nel suo ruolo paterno nei confronti del figlio più irritante della famiglia, un affetto simile a quello di un cane pestifero che squarta i cuscini nottetempo.
Il pensiero gli incurvò le spalle, facendogli sfuggire un sospiro sconsolato. Se alla Garrison la sua invidia era concentrata solamente dall’avere idealmente la schiena di Keith sempre un passo avanti a lui, tanto da essere riuscito a riconoscerla nottetempo dopo più di un anno di assenza, ora era ben spartita ed acuita dalla presenza di Shiro stesso.
Il suo complesso di inferiorità si era di gran lunga ridotto dal punto di vista delle esecuzioni sul campo: era il supporto principale di tutta la squadra in mezzo alla ressa, aveva salvato la pelle ad ognuno almeno una manciata di volte, quantità che si alzava vertiginosamente quando si parlava del Paladino Rosso e della sua noncuranza nel lanciarsi a capofitto tra le linee nemiche indipendentemente dalla situazione.
« Lance— » venne richiamato, alzando immediatamente la testa nella direzione della voce di Shiro, scoprendolo poco lontano dalla porta automatica aperta, non aveva nemmeno sentito lo scorrere dell’apertura, immerso nei suoi pensieri.
Osservò la luce azzurrina poco più luminosa sottolineare i tratti del viso stanco del soldato, incontrandone gli occhi scuri ed arrossendo appena nel trovarlo a sorridergli dolcemente.
« —dovresti andare a dormire anche tu, non credo il russare di Hunk sia così poderoso da arrivare alla tua stanza. Ed ho bisogno che il nostro Cecchino sia lucido nel coprirmi dietro il mirino. » concluse, ampliando il sorriso fraterno ed uscendo dalla porta nel sentire Katie lamentarsi sommessamente di tutto quel parlare e quel poco raggiungere il suo caldo letto immerso nella chincaglieria spaziale che teneva nella camera da letto.
Lance avvampò più di quanto pensasse fosse possibile, restando in silenzio per qualche istante prima di scattare in piedi, le braccia al cielo in segno di vittoria, girandosi velocemente verso Hunk per crogiolarsi dei complimenti del Team Leader nei suoi confronti, sbuffando sconsolato nel rendersi conto che quelle parole le avevano udite solamente lui e Shiro, con il quale chiaramente non poteva pavoneggiarsi a suo piacimento, né era uno dei suoi fan numero uno.
Deluso dalla realizzazione, strinse idealmente a sé quel momento, sorridendo poi. Non sapeva come facesse Shiro a sapere quasi sempre cosa dire ad ognuno di loro per farli star meglio, ma le sue parole e, soprattutto, la scena di familiare quotidianità tra di loro, così distante dal campo di battaglia e così vicina ai ricordi di casa sua e della sua rumorosa e grande famiglia.
Afferrando la sua felpa, appallottolata in fondo al divano, lanciò l’ultimo sguardo ad Hunk, avvicinandosi e posandogli un bacio appena accennato tra i capelli, trattenendo una rumorosa sghignazzata nel sentirlo bofonchiare nel sonno per quel contatto appena accennato.
Tanto era fisico tra abbracci, baci e gesti continui di affetto durante la veglia, tanto era distaccato durante il sonno. Sembrava essere sempre infastidito mentre riposava, probabilmente sfogava il nervosismo durante la fase rem per essere così solare 24/7 durante il resto del tempo.
« Vedi di non svegliarti da solo, ragazzone. Abbiamo grandi aspettative per la colazione di domani. » concluse Lance, uscendo dalla stanza, appoggiandosi la felpa verde sulla spalla destra, le mani in tasca ed il solito andamento ciondolante, le spalle incurvate dal sonno.
Ritrovò Shiro e Pidge dopo non molto, mentre il primo scambiava due parole sottovoce con Coran, poco lontano dall’entrata della Sala di Allenamento, stranamente illuminata a giudicare dalla luce che filtrava dalle sottili fessure tra le lastre di pesante metallo automatizzato.
Probabilmente Allura stava ripassando le tecniche di combattimento alteane, era una cosa che faceva via via sempre più spesso, si era sorpreso a notare. Tutti sapevano quando soffrisse lo stare in seconda linea in una guerra così personale per lei, la sua gente ed i suoi ricordi, ormai avevano perso il conto delle volte che il Paladino Nero e l’alteano le avevano proibito di seguire Voltron ed i Paladini in pieno campo di battaglia.
« Non sono più una bambina, Coran! Posso combattere! », quelle parole le aveva ripetute fino all’esasperazione, ma i due erano irremovibili, anche se la maggior parte delle volte la Principessa riusciva ad apparire tra le fila dei soldati in prima linea ed a cambiare le sorti del suo fronte della battaglia.
Prima di subirsi un paio di strigliate da quasi tutta la squadra, nonostante il titolo nobiliare ed il grado di comando più alto. I Paladini avevano i Leoni, armi ad hoc ed era previsto che combattessero in ogni situazione, lei avrebbe dovuto preoccuparsi delle difese della nave e dell’accoglienza di eventuali fuggiaschi, ruolo che finiva per gravare sulle spalle di Coran, che teoricamente doveva supportare il ruolo di Pidge di coordinamento delle informazioni e supervisione dei movimenti dei Paladini.
Fortunatamente Katie era diventata fin troppo autonoma anche su quel lato, quindi le lamentele per l’atteggiamento della Principessa trovavano ormai il tempo che lasciavano.
Lance fece un cenno di saluto, interrotto da uno sbadiglio silenzioso ed inaspettato, al quale Shiro trattenne un sorriso divertito e rispose con un cenno della testa, entrambe le braccia impegnate a sorreggere la Paladina Verde, imitato da Coran nel saluto rilassato.
Lasciandoli alle sue spalle, il Paladino Blu aumentò la velocità del passo, fino a quando le porte scorrevoli della sua stanza non si aprirono nel consueto sibilo, anche se i suoi occhi blu osservavano l’ampia vetrata che ricopriva la parete sul fondo del corridoio, nostalgici.
Entrò nella stanza il tempo di abbandonare la giacca sul letto e spogliarlo delle coperte aliene, sottili eppure costantemente calde e rassicuranti, trascinandosele per il tragitto fino all’ampio finestrone e raggomilandovisi con la schiena appoggiata al muro opposto all’ultima porta delle stanze del corridoio, perdendosi pigramente ad osservare i miliardi di stelle che lo stavano adocchiando oltre la lucida superficie trasparente.
Quando i passi di Keith interruppero il suo pigro vagare con lo sguardo tra i puntini luminosi, inventandosi per ognuno di loro un tipo di civiltà differente ed una splendida principessa in pericolo sempre diversa, ma sempre in attesa delle sue braccia per essere tratta in salvo, non ebbe grandi reazioni, se non una confusione iniziale, dato che dava per scontato il Paladino Rosso fosse già assopito da tempo e Shiro non avrebbe avuto motivo di camminare fino a quel punto del corridoio, che solitamente evitava e nessuno faceva domande a riguardo.
« Ehi- » salutò pigramente, ricevendo solamente uno sguardo scocciato ed il suono della chiusura delle porte automatiche della stanza di Keith in risposta, borbottando poi dell’ipocrisia di averlo chiamato maleducato per averlo buttato giù dal divano ore prima, quando lui nemmeno si degnava di rispondere educatamente ad un saluto di cortesia.
La bassa lamentela venne interrotta da un’improvvisa pressione contro la sua spalla destra, alla quale Lance irrigidì inconsciamente tutto il corpo, preso in contropiede e confuso, si voltò rapidamente, per trovarsi a mettere a fatica a fuoco un’informe massa di capelli corvini, sotto ai quali le lunghe ciglia scure di Keith spiccavano sulla pelle chiara, gli occhi chiusi e la sua coperta rossa sulle spalle.
« Ho capito, ho capito, ora sta zitto, lagna. » borbottò il più grande, gli occhi ancora chiusi e le gote appena tinte di vermiglio, seduto accanto a lui e appoggiato di peso contro il suo fianco.
Dopo qualche istante di silenzio, la sfacciataggine di Lance non ne seppe comunque di starsene buona, mentre distoglieva lo sguardo e rilassava le spalle, il naso rivolto all’insù con atteggiamento di teatrale superiorità.
« Non hai comunque risposto al saluto, barbaro. » puntualizzò, distendendo appena le ginocchia piegate e appoggiando il suo capo contro quello di Keith, strusciando appena la gota contro i capelli soffici del compagno di squadra.
« Chiudi quella fogna o ti mordo di nuovo. » minacciò in un mormorio che via via perdeva credibilità mentre si affievoliva, il Paladino si stava crogiolando nel tepore del pilota del Leone Blu che filtrava tra le due coperte, e diede a quello la colpa dell’improvvisa e rinnovata calura che gli risaliva dalle spalle alla punta delle orecchie, forzandosi a mantenere gli occhi chiusi, orgoglioso.
Non sapeva dove fosse nata l’idea di Hunk, Pidge e Lance che Keith non apprezzasse il contatto fisico, con Shiro gli abbracci erano ricorrenti e lui stesso accennava a pacche nei confronti dei compagni di squadra, semplicemente non era così superbo da decidere di testa sua come il resto di quella nuova famiglia sgangherata preferiva essere abbracciata, o addirittura se la cosa li irritasse o meno.
Probabilmente era semplicemente un pensiero reciproco, concluse senza farsi altri castelli in aria, concentrandosi sul placido ritmo del respiro del Paladino Blu, mentre una debole belle d’oca gli risaliva lungo la colonna vertebrale al familiare profumo maschile dell’altro.
« Ti denuncerei all’accalappiacani. » commentò divertito il più giovane, immaginando Coran o Shiro armati di retino e sguardo truce.
« Chiameresti la mamma? Che codardo. » bofonchiò in risposta Keith, arricciando il naso, infastidito dal procedere della discussione, quando lui voleva solamente dormire e godersi la compagnia del compagno di squadra nell’unico modo in cui questa non fosse enormemente irritante, ovvero in silenzio.
« Stai minacciando di azzannarmi la faccia, si tratterebbe di legittima difesa legale. » rispose il cubano, apparentemente tutt’altro che interessato a mettere a tacere la sua inutile parlantina, nonostante gli occhi blu fossero ormai socchiusi ed osservassero distrattamente il cielo esterno solamente con la zona periferica.
« Sarebbe quindi immensamente saggio starsene zitti. » tentò di liquidare il maggiorenne, alzando appena il tono della voce al semplice mormorio, sapeva di aver fatto un errore madornale  a tornare fuori armato di coperta e buone intenzioni, Lance non si smentiva mai né mai si sarebbe smentito, avrebbe fatto qualsiasi cosa per irritarlo, infastidirlo o frustrarlo.
« Probabilmente non hai tutti i torti, sai? Ovvierebbe sicuramente qualsiasi implicazione positiva o, in questo caso, certamente negativa chiudessi la bocca; ma vorrebbe dire perdere un’occasione per conoscerci meglio e legare maggiormente, sai, per il bene della squadra— » iniziò il più alto, la voce alla stessa altezza della risposta scocciata del Paladino Rosso, il tono che tradiva volontariamente l’intento scanzonatorio, mentre strusciava ancora la guancia abbronzata contro i soffici capelli neri del compagno, soffocando una risata nel sentirlo ringhiare sommessamente « —e soprattutto mi macchierei dell’onta di privarti del suono della mia melodica voce, delle informazioni del mio magnifico cervello e delle brillanti battute che mi rendono l’anima della festa e l’idolo delle ragazze. » continuò, mentre il ringhio di Keith aumentava d’intensità, fino a zittirsi e constringere Lance ad alzare la testa dal suo capo, gli occhi viola socchiusi e freddi, le labbra serrate e l’espressione irritata che solitamente gli riservava.
Il Paladino Blu non riuscì a trattenere un sorriso di soddisfazione, inspirando teatralmente, pronto a ricominciare il monologo senza capo né coda, un insieme di parole quasi senza senso, fine unicamente ad alimentare il fastidio del corvino, ormai vicino alla morte per stanchezza.
« Smettila. » sibilò imperante e minaccioso, facendo scattare appena la mascella, rinnovando l’avvertimento precedente, lo sguardo fisso e serio sulle iridi blu dell’altro Paladino, che nascose sotto la coperta celeste il dito indice che aveva alzato inconsciamente per gesticolare in accompagnamento alle sue frasi sconclusionate.
« A cuccia~ » lo prese nuovamente in giro, prima di soffocare un’esclamazione di sorpresa nel trovarsi premuto alla finestra al suo fianco sinistro, il labbro inferiore pizzicato per poche frazioni di secondi da una stretta delicata, appena percettibile, dei denti della vittima preferita dei suoi scherzi infantili.
« KEI— » esclamò ad alta voce, più per sorpresa che per altro, il viso in fiamme ed il cuore improvvisamente palpitante nella cassa toracica. Tutto d’un tratto le morbide coperte aliene sembravano fin troppo riscaldate, mentre sentiva le labbra andare a fuoco contro quelle del Paladino Rosso, il respiro mozzato ed il freddo della superficie trasparente contro il collo nudo.  
Keith lo stava baciando, gli occhi socchiusi ed il corpo muscoloso, ancora avvolto dalla coperta rossa, premuto contro il suo.
Un bacio casto, silenzioso, quasi infantile se non avesse mandato l’intero sistema nervoso del Paladino Blu in cortocircuito: sentiva brividi lungo la schiena rigida, le mani accaldate, la testa leggera e lo stomaco sottosopra. Con un elenco di sintomi del genere, Coran avrebbe dichiarato l’ora del decesso e chiuso la questione a priori.
Nella frazione di un secondo, Lance rilassò i muscoli della schiena e della mascella, socchiudendo appena le labbra e spingendosi a sua volta contro la bocca dell’altro, per ritrovarsi con le braccia leggermente protese verso di lui, le spalle lievemente incurvate a colmare la poca differenza di altezza con il più anziano ed un vuoto improvviso che stridette rumoroso quanto le unghie sulla lavagna nella sua testa, facendogli sbarrare gli occhi scuri ed avvampare ulteriormente il viso quando si trovò davanti l’espressione indefinita di Keith, le braccia visibilmente incrociate sotto la coperta rossa.
Si era scostato e lui era rimasto in quell’imbarazzante posa in una bolla di improvvisa e dilaniante vergogna.
« Ora va meglio. » concluse il corvino, tornando ad appoggiarsi al muro e socchiudendo gli occhi, la voce appena incrinata dall’imbarazzo e le gote visibilmente rosse sulla carnagione candida.
Dal canto suo Lance rimase in silenzio per svariati istanti, la coppia di neuroni ormai sul piede delle dimissioni e il sistema circolatorio più in sciopero che altro.
« K-Keith » richiamò, la voce appena più alta di un sussurro, al che l’altro aprì l’occhio destro, osservandolo di sottecchi, l’espressione visibilmente scocciata.
« Che c’è » bofonchiò in un sospiro, stava anche scomodo appoggiato al muro, almeno poteva fare lo sconvolto facendogli da cuscino, se proprio, pensò fra sé e sé, cercando di soffocare brutalmente la tachicardia che ancora gli rimbombava nel petto. Fai l’indifferente, Keith.
Vai così.
Una lastra di ghiaccio.
« Mi hai baciato » puntualizzò il Paladino Blu, spezzando il silenzio quasi irreale tra i due, improvvisamente consapevoli di star galleggiando all’interno del cosmo, avvolti dall’unico suono dell’universo che filtrava dalle imponenti pareti di metallo alteano.
« Ti ho morso » lo rimbeccò Keith, chiudendo l’occhio e mettendo la parola ‘fine’ a quella inutile discussione, incassando il capo tra le spalle, avvolto nella coperta vermiglia.
« Dopo » insistette Lance, alzando appena il tono della voce incrinata, il corvino pensò a quanto quel tono irritante gli ricordava il pigolio dei cani quando per errore si pestava loro la coda.
« Hai urlato, ti ho zittito » concluse nuovamente, il tono impassibile, socchiudendo entrambi gli occhi e fissandolo con espressione annoiata, sbuffando e tornando a tentare di dormire contro il muro per ovviare ulteriori approfondimenti, ispirando profondamente cercando per l’ennesima volta di placare l’ansia e l’emozione. Sotto la coperta, sentiva le dita chiare tremare appena, lo stomaco tutt’intento a dare luogo ad una dimostrazione pratica di stretiching estremo.
« Ah. » esclamò infine il cubano, come se la risposte fosse il motivo più scontato ed ovvio del mondo per baciare chicchessia e spalmarlo contro la superficie più vicina per poi scansarsi e far finta di nulla.
Abbassò lentamente le braccia, fino a quel momento ancora protese nella direzione del più grande, l’espressione confusa e concentrata, lo sguardo catturato da qualcosa in un punto indefinito davanti a lui, all’altezza degli occhi chiusi del compagno di squadra.
Il silenzio si prolungò ulteriormente, Keith iniziava ad agitarsi sempre di più man mano che i secondi ed i minuti passavano: Lance non era tornato ad accoccolarsi al suo fianco, né a fissare il cielo; non aveva risposto alle sue ridicole motivazioni, né aveva sghignazzato del suo tentativo di occultare l’ovvio, tra il palese rossore sul suo viso e l’evidente difficoltà che stava avendo nel tenere gli occhi chiusi ed il corpo immobile, con gran parte degli organi interni in completa anarchia comunista, a cominciare dal cervello, che aveva evidentemente deliberato di andarsene a quel paese in grande stile e quanto prima.
Soprattutto, Lance non era sbottato. Non lo aveva preso in giro, sbeffeggiato, rifiutato, deriso o abbandonato in mezzo al corridoio, anche se ne avrebbe avuto motivazioni più che sufficienti per limitarsi a salutarlo ed infilarsi finalmente nel suo letto e lasciarlo in pace, lui e la sua irritante presenza nella sua testa, nel suo stomaco, nella sua ira e sul suo viso.
La (mancanza di) pazienza del Paladino Rosso lo aiutò a raccogliere il poco di coraggio e dignità che gli rimanevano, aprendo nuovamente gli occhi viola e ritrovando il compagno di squadra esattamente nella stessa posizione di prima, lo sguardo ancora concentrato e perso nel vuoto, le braccia abbandonate lungo i fianchi, la schiena contro la parete di simil-vetro e la coperta disposta in maniera scomposta e raffazzonata sulle sue spalle incurvate.
Lo osservò, prima di sottecchi e poi sporgendosi appena nella sua direzione, iniziando seriamente a preoccuparsi di non aver creato dei danni al chiaramente già difettato sistema nervoso del Paladino Blu, considerando le battute che reputava divertenti e quelle che utilizzava per (non) rimorchiare.
« Lance? » richiamò in un sussurro, sussultando al vedere l’altro voltarsi di scatto e metterlo a fuoco, non aveva mai visto i suoi occhi blu farsi così grandi.
« Sto per strillare. » dichiarò con voce piatta, facendo sbiancare il viso dell’altro, già in paranoia da reazione plateale, teatrale e di pubblico rifiuto e scherno.
« L-Lance, aspetta, non intend- » iniziò, rantolando nervosamente, la voce appena più alta del mormorio che aveva proferito il cubano. Sentì mancargli il respiro ed il nodo allo stomaco farsi macigno nel petto.
« Davvero, Keith, non sto scherzando » lo interruppe il diciassettenne, lo sguardo sicuro e minaccioso, la voce appena più ferma « Ora mi metterò ad urlare » avvertì nuovamente, fissandolo insistentemente « E gridare » proseguì, incurvando appena gli angoli della bocca in un sogghigno accennato, mentre la sequenza di scene di isolamento dal gruppo e solitudine proiettata della positiva mente di Keith si fermava bruscamente all’apparizione del solito, sfacciato ed irritante ghigno sul viso di Lance.
« E svegliare tut— »



L’acuto suono delle stoviglie alteane che venivano sovrapposte tra loro tra le mani di Hunk risuonò per tutta la cucina, assieme alla voce del Paladino Giallo che sembrava molto interessato a raccontare sé stesso il sogno della notte passata, qualcosa a che vedere con branchi di lupi all’attacco al chiaro di luna, o similare.
« Hunk? » la voce sorpresa di Pidge, in piedi alle sue spalle, lo colse impreparato, rischiando che rovesciasse a terra gli ampi piatti di materiale sconosciuto e portandolo poi a girarsi con un gran sorriso dipinto sul viso scuro.
« Buongiorno Pidge! » trillò, osservando soddisfatto l’espressione della quindicenne illuminarsi nella complessa associazione di vederlo in cucina a quell’ora a preparare da mangiare al resto della squadra.
« HUNK! » esclamò il cervello del gruppo, alzando le braccia al cielo di gioia.
« Sei la mia persona preferita! » continuò, gli occhi quasi lucidi di commozione: quella mattina era rotolata a forza fuori dal letto con la rassegnazione nel cuore all’ennesimo pasto senza capo né coda né sapore o consistenza gradevoli, trovare il cuoco del team di nuovo a spadellare in cucina le aveva rianimato la speranza nel futuro ormai persa tra le ricette di Coran.
« Lo so, lo so » replicò il Paladino del Leone Giallo, l’espressione di finta modestia dipinta in viso mentre disponeva la colazione nei piatti di ognuno sotto i famelici occhi dorati della ragazza, la cui pazienza sembrava essere completamente svanita assieme ad ogni granello di sonno rimastole.
« Oh, sia ringraziato- Hunk, ti voglio bene. » la voce di Shiro gli strappò una fragorosa risata, aveva parlato con il sollievo il gola e le spalle improvvisamente rilassate rispetto alla postura impettita da soldato che aveva usualmente.
« Dovreste almeno aspettare di aver assaggiato qualcosa prima di celebrarmi a questo modo! » rispose Hunk, porgendo loro i rispettivi piatti e sorridendo all’espressione estatica del giapponese, prendendo poi la propria razione ed incamminandosi in direzione della Sala da Pranzo poco distante.
« Mi hai appena reso la voglia di vivere. » concluse la Paladina Verde, prendendo posto alla lunga tavolata bianca nell’ampia stanza bianca sulla sedia bianca nell’enorme nave bianca.
Il diciassettenne rise nuovamente, accomodandosi poco distante e seguendo con lo sguardo il più anziano del gruppo mentre questi si sedeva di fronte a lui, con movimenti molto meno posati rispetto al solito.
« Da quanto tempo sei in piedi a cucinare? Ieri sembravi distrutto- » commentò Shiro, ricordandosi un minimo di buona educazione anche se questa significava aspettare di gettarsi a capofitto tra la cosa più simile a dei pancake e dei muffin da quando avevano attraversato il primo wormhole mesi prima, a bordo del Leone Blu e guidati da Lance.
Hunk deglutì il boccone che aveva addentato pochi istanti prima, alzando appena le spalle ed inclinando il capo verso sinistra.
« Non molto, spadellare mi rilassa e avevo il sentore che fossimo tutti saturi della brodaglia verde del menù preferito di Coran » rispose quindi, facendo poi cenno al Paladino Nero di cominciare a mangiare. Seduta accanto a Takashi, Pidge aveva già spazzolato metà della sua razione, mugolando estatica. Shiro avrebbe potuto giurare di vederla scodinzolare una coda immaginaria, e non era nemmeno la più schizzinosa del gruppo in fatto di cibo, chissà la scenata che avrebbe fatto Lance quando avrebbe deciso di presentarsi.
A proposito.
« Buongiorno Paladini di Voltron! » stillò a gran voce una baffuta figura all’entrata della sala, l’uniforme blu impeccabile come al solito, almeno quanto la meticolosa acconciatura di capelli e baffi rossi.
« Buongiorno Coran. » la risposta gli giunse solo dal diciassettenne, Pidge troppo impegnata a godersi il pasto e Shiro immerso nel contemplativo silenzio del primo morso di cibo decente da più di un mese.
« Vedo che vi siete già organizzati per rifocillarvi » continuò, avvicinandosi alla lunga tavola ed evitando volutamente il contatto visivo con il fautore delle cibarie. La rivalità culinaria tra i due era rimasta in termini amichevoli per parecchio tempo, frenata dall’idea che i sapori della tradizione erano più rassicuranti per i Paladini rispetto all’avanguardia alimentare alteana, ma quanto Allura aveva iniziato a nascondersi dietro Lance per scambiare il piatto con lui e mangiare le preparazioni di Hunk, Coran ne era rimasto mortalmente ferito nell’orgoglio.
« Dove sono Numero Quattro e Numero Tre? » domandò poi, cambiando argomento per allontanarsi dal doloroso ricordo del tradimento della sua Principessa.
« Keith sarà probabilmente già ad allenarsi, e Lance starà perdendo ancora al videogame che abbiamo in Sala Com- » ipotizzò Numero Due, tra un boccone e l’altro. L’alteano li aveva ‘nominati in ordine di altezza’, parole sue, e questo faceva di Pidge ‘Numero Cinque’ e Shiro ‘Numero Uno’. Non che non avesse poi imparato i loro nomi e soprannomi vari, ma sembrava essersi affezionato a quegli appellativi, e loro non avevano mosso lamentela alcuna, soprattutto quando il polemico Lance poteva vantarsi di essere più alto di Keith.
Katie si schiarì la voce, interrompendo l’ex compagno di scuola e sfoderando un ghigno divertito nella direzione di Shiro.
« A dire il vero- » iniziò, ignorando l’espressione di rimprovero del leader, impegnato a trangugiare quanto aveva in bocca per zittirla verbalmente, troppo posato per tapparle la bocca a mani nude.
« -quando ci siamo svegliati erano impegnati a farsi le fu- » continuò, spostando lo sguardo ad Hunk, il sogghigno sempre più ampio, agitando la stramba forchetta alteana nella mano destra, gesticolando come suo solito.
« Katie! » la richiamò il Paladino Nero, aumentando la curiosità dell’alteano, mentre Hunk sgranava gli occhi, sorridendo incredulo ed ignorando il richiamo del giapponese per l’amica.
« No! » esclamò con fare interessato, inclinandosi verso la ragazza e seguendo con lo sguardo il capo di quest’ultima annuire lentamente e con enfasi.
« OHMMIODDI— » continuò, battendo i palmi scuri delle grandi mani sulla superficie del tavolo, facendo sospirare sconsolatamente il capogruppo, illusosi che ammonire la quindicenne alla vista dei due ragazzi assopiti, ancora accoccolati contro la finestra, sarebbe bastato a farle mantenere un profilo discreto sulla faccenda.
« Hunk! » lo richiamò l’unico adulto seduto alla tavolata, sospirando nuovamente.
« Non ne sappiamo niente, lascia perdere il gossip prima di sentirli lanciarsi dietro roba da stanza a stanza. Hanno appena smesso di colpirsi volontariamente durante gli allenamenti, non ho intenzione di vederli lanciarsi l’un l’altro contro il primo incrociatore Galra che ci passa sotto il naso per orgoglio. »
Il Paladino Giallo si zittì, annuendo appena e tornando a sedersi in maniera più composta, imitato dalla quindicenne ed ignorando lo sguardo confuso ed indagatore di Coran, prima che la voce di Keith esplodesse in una sequela di insulti confusi lungo il corridoio su cui dava la Sala, rimbombando per mezza ala del palazzo.



Il Paladino Rosso socchiuse le palpebre, l’espressione rilassata dal risveglio placido dovuto all’aumento della luminosità delle luci del corridoio, seppur graduale.
Tentò di allungare il collo e le braccia nel classico movimento di routine, trovando entrambe le movenze ostacolate: la prima dal peso del viso di Lance appoggiato ai suoi capelli, la seconda da quello delle braccia del compagno di squadra abbandonate sul suo petto.
Sentì un calore ormai familiare risalire rapidamente verso le gote mentre irrigidiva i muscoli di tutto il corpo, trattenendo inconsciamente il respiro nel tentativo di riavviare il server centrale e velocizzare il processo di contestualizzazione del tutto.
Aveva la schiena appoggiata al petto del Paladino Blu, ne sentiva il respiro lento tra i capelli.
Alzò la mano destra, incontrando il ginocchio del cubano appoggiato al muro chiaro, mentre l’altra gamba vestita di jeans celesti sgualciti era rilassata al suo fianco sinistro.
Era intrappolato. Non c’era modo che si divincolasse dalla placida presa del diciassettenne senza svegliarlo.
Sentì il cuore rimbalzargli in gola con forza al ricordo di poche ore prima, avvampando ulteriormente e lasciandosi sfuggire un rantolio sommesso mentre cercava di nascondersi nelle coperte stropicciate che li coprivano entrambi, accoccolandosi ulteriormente contro il petto del latinoamericano in un riflesso automatico.
Aveva passato mesi a cercare di instaurare un rapporto decente con quel pezzo d’imbecille, per il bene della squadra e l’affiatamento dei Paladini nell’utilizzo di Voltron e sul campo di battaglia.
Ed erano settimane che cercava di capire in che istante, durante quei mesi, il vedere Lance mezzo addormentato la mattina, a colazione, si era fatto più piacevole e meno fastidioso; da quando le loro stupide discussioni senza motivo erano diventate fonte di risate e non di minacce di morte; in che frangente, per la prima volta, aveva pensato che l’altro avesse un bel sorriso, in mezzo a tutti quei sogghigni maliziosi e provocatori.
Non ricordava quasi più la prima volta che si era scoperto osservarlo per un secondo di troppo, mentre questi era intento a fare il cascamorto per l’ennesima volta, con l’ennesima sconosciuta in adorazione dei Leoni meccanici atterrati sul pianeta per offrire aiuto alla sua gente.
Era poco professionale, aveva lamentato a Shiro. Non poteva mettersi a fare lo stupido con ogni forma di vita bendisposta e di bell’aspetto che si presentava sulla loro strada, avrebbe potuto mettere in pericolo una qualsiasi missione con quella parlantina senza freni che sfoderava ad ogni pié sospinto.  
Il Team Leader si era limitato a spettinargli i capelli, mandandolo in bestia, e confermandogli che lui di Lance si fidava, per quanto imbranato potesse sembrare, non avrebbe messi in pericolo la squadra.
Almeno, non per la seconda volta.
Quindi si era dovuto sorbire le avances pietose del cubano per molte altre missioni a seguire, sentendo crescere il fastidio e la frustrazione, fino a quando non venne ripreso proprio dal diciassettenne ad una sua frecciata nei confronti di una verde fanciulla estatica del loro ultimo successo.
« Avanti, Keith, non sarai mica geloso? » aveva scanzonato il più giovane, facendolo sentire prima terribilmente ridicolo, e poi riconfermandosi un perfetto idiota « Hai una fila di Eriviane alle tue spalle che vogliono farsi una foto con te, basta provarci! » aveva quindi concluso, quasi offrendosi da mentore, ricevendo un sonoro invito ad andarsene in posti speciali, prima di essere abbandonato dal pilota del Leone Rosso in mezzo a quella calca di fan.
Ancora infastidito dalla scena, cercò di incrociare le braccia al petto, scontrandole ancora con quelle dell’altro, ritornando bruscamente alla realtà del presente e abbandonando i ricordi di due settimane prima.
« ‘Giorno. » bofonchiò con suo estremo orrore Lance, sfregando il naso appuntito contro la sua nuca, prima di tornare ad appoggiare il mento sulla cima dei soffici capelli corvini del maggiorenne.
« Mh. » rispose agitato il Paladino Rosso, impietrito. Non aveva considerato l’idea che, prima o poi, l’idiota si sarebbe effettivamente svegliato dal mondo dei sogni.
Poche ore prima aveva passato quasi mezz’ora a baciarlo premendolo contro il vetro alle sue spalle, ricordava il sapore delle sue labbra fin troppo vividamente perché riuscisse a riappropriarsi della calma, ed il fatto che ora l’altro si mettesse a stringerlo non aiutava.
Lo sentì appoggiare il viso alla sua spalla destra, voltando il viso verso di lui.
« Ho fame. » commentò quindi con naturalezza, gli occhi blu puntati su un soggetto indefinito oltre l’orizzonte, probabilmente concentrati a sperare in una colazione diversa da quelle preparate da Coran.
Keith accennò appena un sorriso, sospirando e rilassando la schiena, non sembrava essere sconvolto dalla sera prima, né poi così diverso dal solito polemico.
« Dovremmo alzarci. » mormorò, sussultando nel percepire le gambe dell’altro allungarsi sotto le coperte, prima che esercitassero una leggera pressione contro le sue.
Alzò lo sguardo, incontrando i profondi occhi blu del più alto, sorridendo appena ed avvicinandosi alle sue labbra, lo stomaco ancora in subbuglio.
« Ohi, amico, hai un alito tremendo! » esclamò il cubano, ridacchiando senza spostarsi, prima di sbiancare all’espressione che andava dipingendosi sul viso di Keith, improvvisamente conscio di essere schiacciato tra un permaloso soldato abituato al combattimento corpo a corpo che aveva appena messo in tremendo imbarazzo e la parete trasparente alle sue spalle.
« Lurido pezzo di merda » iniziò a ruggire il più grande, divincolandosi dal suo abbraccio e cercando di alzarsi, costringendo Lance a lasciar perdere l’idea di costringerlo finché non si fosse calmato e cominciare a correre quanto prima.
« TORNA QUI, LANCE. TORNA SUBITO QUI. » lo sentì sbraitare, mentre il suono delle sue scarpe da ginnastica rimbombava per il corridoio, seguito da quello degli stivali di Keith.
   
 
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