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Autore: Applepagly    10/12/2017    2 recensioni
Fiocchi più grandi iniziavano ora a volare sopra di loro, ed il dolore era più persistente nella testa e nel cuore di lei; ma poteva sopportarlo, adesso. Poteva sconfiggerlo, forse, e trarne vantaggio per diventare più forte.
«E qual è, la più grande magia?» domandò ancora, intrecciando le dita con quelle di lui, guardando verso l’alto. Riabbassò lo sguardo, aspettando una risposta che, forse, in realtà, una piccola parte di sé conosceva già.
Genere: Fluff, Introspettivo, Song-fic | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Flora, Helia
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'Merry-go-round'
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Sì, beh, a parte l’ora tarda e a parte che purtroppo non è venerdì come nella canzone, non credo ci sia molto altro da dire…
Mi andava di scrivere di Flora ed Helia (dato che nelle mie storie non sono esattamente capace di scrivere cose carine come questi due meriterebbero) e, più in generale, di Flora. Quindi… eccoci qui!
Mi era piaciuta da morire la spiegazione che l’insegnante di Inglese ci aveva dato per “merry-go-round”… la felicità che gira e va!
Grazie in anticipo a chi leggerà!
7th
 
P.S.: Che poi, in realtà, a me la neve piace da matti…

 
Merry-go-round
 
I don’t care if Monday’s black
Tuesday, Wednesday heart attack
Thursday never looking back
It’s Friday I’m in love
 
«Più a destra!»
«Così?»
«No, più in alto!»

(leggiadri come ballerine che muovevano passi silenziosi, piccoli pitali di fiore dai colori ridenti danzavano nell’aria, volteggiando su se stessi in uno spettacolo di verde che si rifletteva negli occhi di lei e che in essi quasi si confondeva.
Inspirò profondamente, serenamente, chiudendo piano gli occhi ed ascoltando il sussurro delle chiome fresche degli alberi. Un sottile sorriso increspò le sue labbra rosate, e l’immagine di ciò che aveva appena visto iniziò a imprimersi nella sua memoria, vivida in tutta la sua bellezza)

«Qui, dici?»
«Uhm… ancora un po’ a destra. Solo un pizzichino»

(aprì gli occhi e, quasi con sorpresa, gli alberi erano ancora lì e la loro freschezza non era svanita come, forse, si era aspettata che facesse. Il caldo tepore della serenità non era sfumato, non aveva lasciato spazio al gelido ricordo della paura e della sofferenza; e allora rise, ed il cielo contraccambiò)

«Può andar bene, così?»
«Non lo so. Flora, tu che dici?»
 
Dressed up to the eyes
It’s a wonderful surprise
To see your shoes and your spirits rise
 
 
Inarcò le sopracciglia all’inverosimile e, se fosse stato possibile, forse, queste sarebbero saltate via dal suo viso come piccoli grilli allegri. «Ehm… eh?»
«Il quadro, Flora!» protestò Miele, contrariata. «Come ti sembra?»
«Beh, è… è molto bello» balbettò, ancora confusa.
La sorella le restituì un’occhiata che avrebbe scoraggiato chiunque dal dire una sola parola. Per un istante, Flora fu attraversata da un brivido di freddo e fu abbastanza sicura che non si fosse trattato di quei piccoli fiocchi di neve che cadevano di fuori.
«Non stavi prestando attenzione!» esclamò la minore, indicando la tela che ora faceva bella mostra di sé sulla parete del salotto.
«Pensi che possa andare bene lì?» chiese Helia, pacato.
La ragazza schiuse le labbra, osservando attentamente quel capolavoro. Ebbe quasi l’impressione di venire risucchiata dai tratti rapidi e sottili che davano vita al bellissimo paesaggio raffigurato.
«Mi sembra un po’ storto, in realtà» ammise, facendo per pronunciare un incantesimo.
«Non farlo con la magia, o viene peggio» la redarguì Miele, che si mise in piedi sul divanetto e che prese il quadro tra le mani. «Ci ho già provato»
«Perché hai voluto metterlo proprio qui?» domandò il ragazzo, dopo un po’.
La bambina si fermò un istante, per riflettere. Finì di trafficare con la tela, allontanandosi un po’ per verificare che fosse nella posizione giusta; annuì a se stessa, per poi voltarsi verso Helia.
Sorrise, stringendosi nelle spalle. Prima che lui potesse esprimere tutta la propria perplessità, Miele era già sparita al piano superiore, rapida come un refolo di vento.
«Enigmatica» asserì, con lo sguardo rimasto fisso nel punto in cui la ragazzina era scomparsa. Si voltò verso la sorella e, trovandola nello stesso stato di trance da cui si era svegliata poco prima, rise. «Credo sia di famiglia»
Si fermò ad un respiro da lei, posando le mani sulle spalle morbide della fata. Flora socchiuse gli occhi e si lasciò abbracciare da quell’avvolgente profumo di sottobosco che lo accompagnava sempre.
«Cosa guardi?» le chiese, cercando di andare oltre lo sguardo di lei.
«La neve» rispose, senza voltarsi. «Quando balla è proprio come i petali di fiore in primavera; ci hai mai fatto caso?»
Sentì Helia sospirare e sorridere e, per qualche motivo, il suo sospiro le era sembrato piroettare allo stesso ritmo dei cristalli che, immacolati, non riuscivano comunque ad illuminare la sera e il pomeriggio e la mattina.
 
(come i petali di fiore avrebbero fatto se fosse stata primavera o estate… d’accordo, di notte o di sera sarebbe stato impossibile vederli; ma contava il pensiero, no? Sarebbe bastato sapere che c’erano e allora tutte le giornate sarebbero state radiose)
 
Guardò gli alberi del giardino; e vide che tacevano, che avevano freddo, e non sapevano difendersi da quegli spettri di gelo. E si sentì come loro.
«Non mi piace l’inverno» disse, ad un certo punto.
«No?»
«Erano anni che non nevicava, su Linphea» disse, con un filo di voce. «Non mi piace l’inverno, Helia»
Perché proprio in quel momento? Perché proprio quell’anno?
«A me non dispiace, invece. Ad essere onesto, per quel poco che ricordo e che mi raccontano, da piccolo mi piaceva giocare con la neve» fece Helia. «È un peccato che io debba partire proprio la volta buona che cade qualche fiocco»
Flora sgranò gli occhi, irrigidendosi. Si voltò di colpo, e la sua espressione sperduta turbò il ragazzo in un modo che non si sarebbe mai nemmeno aspettato; e pensò che non avrebbe mai più voluto vedere quella ruga di sgomento che aveva deformato il bel viso sereno di lei.
«Me n’ero dimenticata» disse con un filo di voce, abbassando lo sguardo.
«Ma sarà per poco, ricordi? E poi, tu vai a stare da Stella, giusto?» continuò, tentando di mantenere il solito tono disteso.
«Giusto» ma come aveva potuto dimenticarsene?
Helia era stato così entusiasta quando, qualche giorno prima, gliene aveva parlato; ed anche lei stessa lo era stata ed aveva voluto che lui le raccontasse tutto giorno per giorno, ogni cosa di qualsiasi posto lui avesse visto.
Perché, adesso, la sola idea le metteva lo stomaco in subbuglio?
Si voltò nuovamente verso l’ampia finestra che si stagliava alle loro spalle e, con delusione, appurò che la neve non aveva cessato di precipitare e di ricordarle quanto desolante fosse quello spettacolo.
All’improvviso, in lontananza, tra frammenti di notte e di bianco, le parve di scorgere un bagliore di festa. Si allontanò dalle braccia di lui, scivolando in giardino.
Si strinse nelle spalle, rabbrividendo appena quando affondò i piedi nudi in quello strato di neve ormai cementificatosi a terra.
 
(e lui la seguì, scosso; come se avesse temuto che lei potesse davvero volare via oltre le fronde degli alberi morti, e scomparire. Ma era lui, ad andare via; giusto?)
 
«Flora?»
Seguì lo sguardo di lei e, in un attimo, capì. Capì tutto quanto.
Sorrise, scuotendo la testa; e l’abbracciò lì in mezzo, restituendole il calore di cui aveva bisogno. «Ci sono le giostre»
Flora annuì; e poi sbatté un paio di volte gli occhi, per scrollarsi dalle ciglia scure quei fastidiosi pezzi d’inverno che le impedivano di vedere più di quella flebile luce.
«A te piacciono?» gli chiese.
La prese per mano. Aveva mentito.
Non era enigmatica; era misteriosamente semplice.
«In un modo o nell’altro, a tutti piace farci almeno un giro»
 
***
 
Throwing out your frown
And just smiling at the sound
And as sleek as a shriek
Spinning round and round
 
Come dopo una lunga apnea, respirò a pieni polmoni in uno scatto che quasi la fece ruzzolare giù dal letto.
Spaventata, spese qualche minuto ad osservare la corposa oscurità che la circondava e che, quasi, aveva ingoiato la figura minuta di Miele che riposava poco più in là. Ed aveva il cuore che batteva all’impazzata, in quel momento più che mai.
 
(forse, forse c’era stata un’altra volta in cui l’aveva sentito battere dello stesso panico ed era stato tempo prima… né poco, né troppo; abbastanza perché quell’incubo riaffiorasse quella stessa notte e la tenesse sveglia)
 
Rivoli di sudore correvano lungo le tempie come piccole perle che, si accorse, scivolavano insieme a qualche lacrima che doveva esserle scappata dagli occhi nel sonno. Afferrò uno dei cuscini e lo strinse forte in un abbraccio che richiedeva conforto.
Ricordava che era molto piccola, quando le era successo di fare un sogno così spaventoso ed angosciante – avrà avuto tre, quattro anni; perché non era stato come qualsiasi incubo che una bimba poteva sperimentare, che qualsiasi ragazza poteva fare, di tanto in tanto.
Non aveva visto mostri concreti quella volta, come non li aveva visti ora; erano stati fantasmi muti e, nel loro silenzi, espressione di un orrore che non avrebbe nemmeno saputo spiegare, forse. Helia diceva che capitava anche a lui; ma nei suoi c’era sempre una figura che lui conosceva, e non era la stessa cosa.
E così anche Bloom.
Perché lei ne soffriva in quel modo terribile?
Scostò le coperte, facendo un po’ di luce con un incantesimo, aspettandosi – in un modo che ritenne un po’ infantile – che qualche presenza l’afferrasse per le caviglie e la trascinasse di sotto, con sé, a rivivere quegli stessi dolori del sogno. Afferrò il maglione che aveva lasciato ad i piedi del letto e, mentre strisciava in bagno in punta di piedi, lo infilò; e le sembrò che avesse lo stesso profumo di Helia.
Si sciacquò il viso più volte, trovandolo piegato in una smorfia di paura che non le piaceva per nulla; ed era colpa della neve, e lei lo sapeva, lo sapeva bene. L’ultima volta che aveva fatto quell’incubo era stata anche l’ultima volta che l’inverno si era annunciato con la neve.
Con la coda dell’occhio, sbirciò quella fessura di giardino che si intravvedeva dalle tende e, senza che Flora nemmeno se ne sorprendesse più di tanto, scoprì che quei fastidiosi fiocchi non accennavano a voler smettere di precipitare. Forse avrebbero sommerso tutta la città.
Ed Helia sarebbe partito.
Sì; lei sarebbe stata da Stella per una settimana, ma… cos’avrebbe fatto, fino ad allora? Miele avrebbe preteso di giocare fuori, il che era improponibile, per lei; le piante avrebbero avuto freddo, sarebbero morte con tutta probabilità.
Non voleva che Helia partisse.
C’era stato un periodo, agli inizi – quando la mente di lui era ancora troppo annebbiata perché potesse riprendersi del tutto – in cui era stata lei, a guidarlo. Ora era il contrario, ora era lei a non riuscire a vedere e capire e restare serena senza.
Ed aveva bisogno della sua fermezza e del suo tono saldo per non pensare a tutte quelle voci sofferenti che sentiva nel suo sonno; e non erano solo ricordi di quello che era successo tempo prima: era qualcosa che provava ogni inverno e, soprattutto, quando il gelo vinceva su tutto.
Lo stesso malessere che l’aveva braccata ad ogni incantesimo di Icy, ad ogni stilettata che quegli occhi freddi avevano rivolto ad alberi e piante e fiori con disprezzo ed odio; era il dolore che provava la natura tutte le volte e da cui, tutte le volte, cercava di guarire piano piano, a poco a poco, per risorgere nella primavera.
Se ci fosse stato Helia, forse… se ne avesse potuto parlare con Helia, forse… se lui avesse saputo, forse, forse avrebbe potuto aiutarla. Oppure sarebbe stato davvero meglio se lui non ne avesse mai saputo nulla, perché Flora si vergognava così profondamente di ciò che provava in quei casi, che esternarlo avrebbe reso noto a tutti quanto fosse debole.
Debole, sì; debole, perché la sofferenza di quei ciuffi d’erba era la sua e non era in grado di sopportarlo; perché, in realtà, si sentiva così strana, perché non era normale percepire tutte quelle voci e quei lamenti. Non era normale avvertire le ferite della natura sulla propria pelle; nemmeno per una fata, forse.
Ma questa volta, questa volta non aveva nessuna intenzione di essere debole.
Questa volta avrebbe affrontato i suoi mali con coraggio, con la forza che si supponeva lei dimostrasse. Questa volta avrebbe affrontato la neve ed avrebbe imparato a far splendere e vivere il verde anche nel buio.
 
***
 
Always take a big bite
It’s such a gorgeus sight

To see you eat in the middle of the night
 
Seguire quella direzione era stato talmente istintivo che, a destinazione raggiunta, si stupì di come le sue gambe l’avessero guidata lì senza che quasi la mente desse loro il comando di farlo.
Probabilmente erano state le luci che aveva visto ore prima, da lontano; oppure, ancor più probabilmente, aveva seguito quel sottile odore di zucchero filato e caramelle alla menta che, nelle sue memorie, annunciavano le giostre in città. Certamente era stato l’allegro motivetto che si diffondeva, anche a quell’ora tarda, per le stradine del quartiere.
In quel preciso periodo dell’anno, caroselli e tendoni assaltavano il parco cittadino e lo rendevano il fulcro della vita pomeridiana e notturna di dozzine di bambini, di quelli che ancora vedevano la semplice magia di quelle tazzine e di quei cavalli e di quelle carrozze che volteggiavano e si rincorrevano come in un carillon.
Quando Flora ebbe attraversato ed oltrepassato quella consistente marmaglia di ragazzini ridenti che saltellavano attorno al carretto dei dolciumi, la maestosa bellezza della sua giostra preferita la colpì come un incantesimo inaspettato avrebbe fatto.
E allora, allora quell’odiosa neve che era a destra, a sinistra, in basso ed in alto… quella neve sembrò svenire ed i colori della giostra vinsero su tutto e restituirono la gioia sul volto della ragazza. Mosse un passo in avanti, ed i profumi della fiera furono presto messi a tacere da quello del maglione che aveva indosso; quello, di sottobosco, quello di Helia, che ora era più vicino.
Si voltò, e lui era dietro di lei e sorrideva; e il cristallo dei suoi occhi proiettava bagliori di incredibile bellezza perché inondato dagli sprazzi di felicità e di risate dei bambini intorno, e Flora pensò di non aver mai visto così tanta pace, prima di allora, come quella che trovò nello sguardo di lui.
«Sapevo che saresti venuta qui» disse, in un sussurro che le sembrò quasi di aver immaginato.
«Mi hai pedinato tutta la notte, per saperlo?» chiese lei, restituendogli il sorriso.
«Sesto senso, mia cara» replicò, semplicemente. «Oppure ho avuto fortuna e ho visto che uscivi di casa mentre io venivo da te»
La fata si ammutolì, ora preoccupata. Lo abbracciò, segretamente contenta che lui avesse avuto di nuovo i soliti incubi e che il suo tempismo fosse stato tanto perfetto da farli incontrare.
Quando Helia vedeva gli spettri nel sonno, andava sempre da lei e nelle sue braccia materne e calde ritrovava la serenità; e così fu ora per lei, in parte.
«Anch’io ho fatto un sogno» ammise lei, dopo un po’.
Lui sciolse l’abbraccio e, quando la guardò in viso e vide la stessa espressione di poche ore prima, s’incupì. «Ti va di parlarne?»
La ragazza scosse piano la testa, sorridendo mestamente; perché restava quella parte ancora immersa nell’inquietudine, ed era qualcosa che, forse, Helia non avrebbe mai potuto risolvere.
Si voltò di nuovo verso la giostra. «Prima vorrei fare un giro»
 
(e, se lui avesse saputo prima che effetto le avrebbe fatto e se avesse potuto, le avrebbe regalato un intero giardino di giostre ed avrebbe preteso che lei salisse su ciascuna di esse almeno una volta al giorno)
 
Perché la Flora che vedeva ora, quella che rideva e rideva e rideva come una matta seduta su un cavallo bianco ed immobile che nitriva, era così nuova e bella che Helia avrebbe voluto ritrarla così per sempre, ed immortalare quell’emozione indescrivibile che lei aveva in volto e che lui avvertiva traboccargli dagli occhi quasi fossero state lacrime.
«Vieni anche tu, Helia!» rise forte lei, facendogli cenno di seguirla.
E, come sotto incanto, si mosse e fu rapido a sedersi dietro di lei, sullo stesso baldo ed immacolato destriero. La fata sussultò, forse sorpresa, forse risvegliata dalle dita di lui, che le sfioravano la vita.
La strinse, e Flora si perse ad osservare la neve che ora danzava con loro e che non rendeva più tutto spento e morto, freddo; ma lo animava, svelava molta di quella magia che altrimenti sarebbe rimasta assopita per tutta la notte, per tutte le notti.
La neve danzava, e Flora sentiva il dolore della natura; ma ad un tratto capì e, con una chiarezza disarmante, la verità le si presentò e le sorrise.
 
(e non era che la natura gradisse o comunque non soffrisse del gelo dell’inverno, o che la brina ed i suoi cristalli non le facessero del male)
 
E, come la giostra girava, cullando Flora ed Helia ora verso il resto della festa ed ora verso il lato del parco che restava in ombra, come le luci andavano e venivano a seconda che ci si trovasse in un punto piuttosto che in un altro, così era per lei, per la natura, per la sua vita.
Così era per la natura, che nasceva e cresceva e si mostrava in tutte le sue bellezze ed in tutta la prepotente forza della primavera, che si godeva il Sole per tutta l’estate, per poi prepararsi e trovare il coraggio durante l’autunno. Il coraggio di affrontare il lato peggiore di sé e della sua esistenza, di sopravvivere all’inverno.
E così doveva essere, così dovevano stare le cose perché lei potesse continuare a nascere, ogni anno più grande e magnifica di prima.
Era questo, ciò che la turbava della neve?
«Perché credi che le giostre abbiano questo potere?» chiese ad Helia, iniziavano a rallentare.
«Beh… perché rendono tutti un po’ bambini. Di nuovo» fece, pensieroso. «Perché hanno qualcosa di magico che va oltre gli incantesimi e le formule di fate e streghe, credo. Perché sono un po’ come la natura, e un po’ come la più grande magia»
La giostra si fermò del tutto; ma Flora non provò nemmeno un po’ quell’amarezza che era convinta avrebbe covato alla fine della corsa.
Lui scese dal cavallo, e le porse una mano, per aiutarla a scendere.
Sorrise in quel modo franco che aveva di sorridere.
Fiocchi più grandi iniziavano ora a volare sopra di loro, ed il dolore era più persistente nella testa e nel cuore di lei; ma poteva sopportarlo, adesso. Poteva sconfiggerlo, forse, e trarne vantaggio per diventare più forte.
«E qual è, la più grande magia?» domandò ancora, intrecciando le dita con quelle di lui, guardando verso l’alto. Riabbassò lo sguardo, aspettando una risposta che, forse, in realtà, una piccola parte di sé conosceva già.
Ed Helia la baciò e brillò per lei come lei aveva brillato per lui fino a quel momento.
E lei gli avrebbe raccontato tutto, e qualcosa – il tepore di una pietra che pareva una grossa ciliegia sul petto ed in cui la neve si era riflessa per qualche istante – l’avrebbe inondata per qualche istante e le avrebbe fatto comprendere quella risposta che aveva cercato sulle labbra di Helia.
 
(e la più grande magia era quella che viveva ogni giorno, quella della sua giostra)
 
You can never get enough
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