Videogiochi > Ratchet & Clank
Segui la storia  |       
Autore: Iryael    11/12/2017    1 recensioni
Aprile 5396-PF, Veldin, Kizyl Plateau
A Lilith, dopo una penitenza finita male (ma che poteva finire malissimo) non resta che cercare qualcosa a cui aggrapparsi per arrancare senza esplodere.
A Sikşaka, dopo una serata cominciata apatica e finita dolorante, non resta che salvare il salvabile lottando contro il senso di responsabilità.
Nessuno dei due crede che si arriverà a un terzo incontro. Ignorano che, negli anni a venire, di quelli ne perderanno anche il conto.
È tempo di spacchettare i keikogi.
============
[Galassie Unite | Scorci | 6 anni prima di Rakta]
[Personaggi: Nuovo Personaggio (Lilith Hardeyns, Sikşaka Talavara)]
Genere: Azione, Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Nuovo personaggio
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
- Questa storia fa parte della serie 'Ratchet & Clank - Avventure nelle Galassie Unite'
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
[ 05 ]
Non facile, non impossibile
 
Il giorno dopo
23 Aprile 5396-PF, martedì, ore 7:15
Kyzil Plateau, bassifondi ovest, casa Talavara
 
La vita è così: nulla è facile, ma niente è impossibile.
Ai tempi in cui Sikşaka frequentava la scuola di arti marziali quella frase era una massima del suo maestro. Gazda gliel’aveva ripetuta tante di quelle volte che si era marchiata a fuoco nei suoi pensieri. O, forse, gli era rimasta perché in qualche modo, quando le pronunciava, quelle parole diventavano assolute, profonde, vere.
O forse volevo solo crederci – pensò in tono mesto, girando meccanicamente il cucchiaino nel caffè.
Era andato a letto provando una sensazione terribile e, per quello, aveva dormito male. Per qualche ragione gli occhi rabbiosi di Lilith l’avevano fatto sentire in colpa. E quella colpa, quello sguardo, quel brivido provato al nome Shinagan lo avevano perseguitato anche nel sonno. Perché lui si definiva coerente, ma per esserlo davvero avrebbe dovuto rischiare la sua vita pacifica. Di nuovo. L’idea gli stringeva lo stomaco e il senso di responsabilità gli faceva provare disgusto per se stesso.
Ancora una volta si era messo fra due fuochi.
 
Uscì dalla cucina col caffè fra le mani, cercando sollievo per lo stallo che si era creato fra il pensiero logico e quello emotivo. Entrò nell’enorme sala che Lilith, qualche giorno prima, aveva trovato buia. L’odore misto di acciaio e parquet gli invase le narici, portando con sé un’eco di pace.
In quella sala aveva trovato amici, forgiato compagni, preso decisioni, sfogato dolori e frustrazioni. Quella sala aveva visto ogni sfaccettatura di lui, giorno dopo giorno dall’infanzia ai quarant’anni. L’attraversò a passo leggero, scivolando fra i deboli fasci di luce che le tende socchiuse lasciavano entrare. Lo sguardo vagò sulla grande parete di fronte, piena di lame affisse in bella mostra, poi virò sull’angolo, dove una serie di mensole giacevano vuote. Un tempo avevano sorretto premi e fotografie, ma ora c’era solo la targa che lui stesso aveva chinato due anni prima. Il retro era impolverato ma il fronte, quando la rialzò, era ancora lucido.
 
PALESTRA TALAVARA
Arti marziali
Arte delle lame
 
Il senso di inadeguatezza gli piovve addosso come un maglio, frantumando i suoi pensieri. Non ebbe bisogno di specchi per dirsi che era un vigliacco. Durante la conversazione avuta in quella stessa casa, non appena si era reso conto che la ragazzina gli avrebbe chiesto aiuto, l’aveva congelata dicendole di andare altrove. E il giorno prima, in quell’aula derelitta, davanti alla sua frustrazione aveva taciuto.
Era scappato. Era scappato e aveva cercato di far finire a qualcun altro ciò che lui aveva cominciato. Eppure la soluzione sarebbe stata semplice fin dal principio. Gli sarebbe bastato dire: “Sono un maestro; ti posso insegnare io”.
Abbassò lo sguardo.
Sarebbe stato semplice, sì, ma imprudente. Coerente ma sconsigliabile, a meno di desiderare una squadra di killer in casa.
La vita è così: nulla è facile.
* * * * * *
Cosa poteva fare?
Quella domanda lo perseguitò per tutta la mattina. Fece capolino in mezzo alle discussioni, fra le chiacchiere e persino mentr’era al bagno. Cosa poteva fare?
Tutto ciò che sapeva era che non poteva riaprire la palestra.
Ci aveva già provato. In un primo momento era pure andata bene. Certo: ogni tanto comparivano facce note (razziatori con cui lui, in precedenza, aveva lavorato). Alcuni si fermavano ad assistere alle lezioni; altri apparivano come ombre nell’oscurità, furtivi, convinti di non essere notati. Ma andava bene: era parte del Patto d’Uscita, quelle comparsate erano previste. Finché, una sera, cinque di quei vecchi amici erano entrati in palestra per ucciderlo.
Sikşaka non si era risparmiato. Aveva risposto, si era difeso. Aveva sfruttato ogni ambiente e ogni lama alla quale era arrivato vicino. Ma la partita si era chiusa nel momento in cui aveva impugnato Rakta.
A fine serata, con le mani sporche di sangue, s’era messo al tavolino per trattare con l’unico superstite. Si trattava di Dragan Koss, capobanda dei Razziatori di Kyzil Plateau e (nei tempi andati) suo diretto superiore.
Alla fine era parso chiaro che qualcuno avesse macchinato ai danni del maestro di spada, manipolando le informazioni affinché sembrasse che lui avesse violato il Patto. L’incidente, però, aveva portato a galla il pericolo che pendeva sugli allievi della palestra. Ragionandoci aveva capito di aver ottenuto quel risultato solo perché era l’unico presente. Sarebbe bastato uno solo dei suoi allievi, anche il più esperto, perché il risultato fosse drammaticamente diverso.
Così, due anni prima, la palestra aveva chiuso i battenti per l’ultima volta. E adesso, a due anni di distanza, non gli rimaneva che la certezza di non poter riaprire. Non finché la questione coi Razziatori fosse rimasta aperta. In caso contrario avrebbe trascinato qualcuno nella sua melma.
Dunque la domanda batteva impietosa: cosa poteva fare?
Coerenza uguale imprudenza. Prudenza uguale malessere.
Cosa poteva fare?
* * * * * *
«Maestro!»
La vocina garrula della bambina lo riscosse di colpo. Sikşaka tornò al presente: erano le undici, era a scuola, era a lezione con i bambini della quarta B. E la palestra era il solito campo di battaglia, da quando aveva insegnato loro a giocare a palla prigioniera.
Il maestro si ritrovò a poca distanza dal sorriso birbo di Daliah, che sembrava in attesa di qualcosa.
«È successo qualcosa?» le chiese.
«I maschi ci hanno buttato fuori subito. Dicono che non siamo buone a giocare alla guerra.»
In effetti le prigioni erano riempite solo dalle bambine della classe. Sikşaka sospirò: e dire che nel giro di qualche anno per i guerrieri le incapaci sarebbero diventate la cosa più attraente mai concepita...
«Possiamo bucare una regola?» domandò Daliah, innocente.
Il maestro alzò un sopracciglio.
«Lo sai che non si toccano le regole» ammonì.
«Sì ma non è proprio proprio scorretto... la cambiamo con una nuova. L’abbiamo inventata io e Colette e Alina» disse, indicando a braccio steso le sue amichette. «Così possiamo giocare anche noi femmine, dato che i maschi ci hanno cacciato apposta.»
Sikşaka si fece vedere pensieroso per un attimo, dopodiché allungò un sorriso gentile. «Una regola nuova, eh? Non prometto nulla, ma sentiamola.»
La bambina non se lo fece dire due volte: si avvicinò e, riparata la bocca dietro una mano, sussurrò la nuova regola all’orecchio del suo maestro.
* * * * * *
“Praticamente noi prendiamo un’altra palla e la chiamiamo Palla Magica, no? E questa palla la possono usare solo i prigionieri e se colpiscono uno degli avversari loro vanno in prigione e noi usciamo. E giochiamo anche noi!”
“Ma così come lo vedete chi vince e chi perde?”
“Quando diciamo basta contiamo quanti prigionieri ci sono per ogni squadra e chi ne ha di meno vince!”
 
La partita, dopo l’introduzione della Palla Magica, era diventata molto più vivace. Era migliorata, col suo continuo passare da giocatori a prigionieri e viceversa.
In fondo Daliah e le sue amiche non avevano stravolto il regolamento. Avevano arricchito il gioco in modo originale. Avrebbe dovuto appropriarsi del loro ingegno e trovare analogamente una soluzione al suo problema.
 
L’idea gli venne quando, uscendo da scuola, lo sguardo cadde sul lampione. Un sacco di annunci lo ricoprivano: navette, hovermoto, affitti, sgomberi. E lezioni private. Quelli erano riconoscibili per l’immancabile frangetta coi contatti scritti di traverso.
Sikşaka si sentì fulminare da un’idea.
Eccola, la soluzione. Giusta, ingegnosa, non facile, non impossibile, ideale per sgusciare attraverso le restrizioni che lo legavano al suo stile dimesso. Già mentre la ponderava sentì che poteva funzionare.
Doveva solo controllare che la situazione scolastica della ragazzina fosse bassa come immaginava. Se si fosse sbrigato avrebbe fatto in tempo a trovare la segreteria aperta.
Aveva già in mente una certa signora adatta allo scopo...
* * * * * *
Venti minuti dopo, ore 16:30 circa
Settore sud, scuola media “Jane Lynch”
 
«Oh, è di nuovo lei.»
La segretaria del giorno prima era sempre lì, inossidabile, sempre dietro quel bancone pieno di carte e faldoni.
«Buonasera anche a lei»
«Porta altre scartoffie?»
«Cerco informazioni, a dire il vero.»
La donna gli scoccò un’occhiataccia. Sikşaka si affrettò a proseguire: «Non mi fraintenda, la prego. Devo fare ripetizioni a una certa ragazzina, però non sono riuscito a farmi un’idea del suo andamento... sa com’è, il padre dice una cosa e la figlia un’altra.»
«Non posso farle vedere i registri, se è questo che vuole.»
«No, certo, sono cosciente che altrimenti la metterei nei guai. Ma si tratta di Lilith Hardeyns, e mi è parso di capire che lei la conosca bene.»
La donna dietro il bancone smise di riordinare fogli. Alzò lo sguardo – caustico – e squadrò Sikşaka per un lungo istante. «Sì, conosco bene sia lei che la famiglia. Per cui mi dia retta e lasci perdere. Sarà un toccasana per la sua salute mentale.»
«Oh, ma ne andrebbe della mia credibilità.» replicò, serafico. «Dice quindi che il padre -»
«Il padre è solo un pover’uomo a cui sono toccate una moglie tiranna e una figlia disadattata. C’era anche lei ieri, no? Quello non è che un piccolo saggio della sua condotta indecente.»
«Dunque mi prospetta un lavoro difficile» concluse lui.
«Se vuole addolcirsi la pillola, allora dica pure così. Ma la demente ha tre materie sotto e un carattere asinino. Capirà a sue spese che difficile è un eufemismo.»
«Capisco. La ringrazio.»
Dentro di sé Sikşaka sorrise.
Missione compiuta.

 

   
 
Leggi le 1 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Videogiochi > Ratchet & Clank / Vai alla pagina dell'autore: Iryael