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Autore: __roje    11/12/2017    1 recensioni
-- QUESTA STORIA CONTIENE SCENE DI SESSO ESPLICITE! --
Aki Nomura è solo un ragazzo di 16 anni che ha sempre sognato di poter condurre una vita scolastica del tutto normale, fatta di amicizia e nuovi amori. Tuttavia la realtà in cui si trova non è affatto così; a causa di diversi eventi il suo carattere è diventato molto più rude e introverso e i primi due anni di scuola non sono stati esattamente ciò che credeva ed una delle ragione è la continua presenza nella sua vita di quello che una volta era il suo migliore amico: Hayato Maeda. Un ragazzo di straordinaria bellezza che viene definito da tutti "Principe" per i suoi tratti e i suoi modi, ma la realtà è ben altra infatti Aki scoprirà presto i nuovi gusti sessuali della persona che credeva di conoscere bene e da quel momento tutta una serie di strani eventi cominceranno a susseguirsi nella vita di questo giovane ragazzo.
IKIGAI: è l'equivalente giapponese di espressioni italiane quali "qualcosa per cui vivere" o "una ragione per esistere" o "il motivo per cui ti svegli ogni mattina".
Genere: Commedia, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai, Yaoi, Slash
Note: Lemon, Lime | Avvertimenti: Non-con, Tematiche delicate, Triangolo | Contesto: Contesto generale/vago, Scolastico
Capitoli:
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SPECIALE PARTE 1: I finally found you

Hayato Maeda, 7 anni.

La mamma diceva che dovevo smetterla di stare da solo, e che dovevo provare a socializzare ma nel momento stesso in cui mi guardavo intorno non vedevo altro che bambini stupidi, con hobby altrettanto idioti da provocare in me noia.
Sempre la mamma mi costringeva ad uscire di casa dopo la scuola per socializzare e quindi mi vedevo costretto a trascorrere ore da solo nel parchetto vicino casa, al fine di farle credere che mi mettessi a giocare con altri bambini quando poi non era vero.
Volevo convincermi ad non essere io il problema ma il resto del mondo che si perdeva nelle banalità. Non mi piaceva giocare con la palla, o ai videogiochi. Preferivo di gran lunga sfogliare libri e leggere le mie fiabe preferite, specialmente quelle che mi portava papà di ritorno dai suoi viaggi. Il problema non ero io, mi dicevo.
“C’è di nuovo quel bambino strano” sentii una voce dirlo e un paio di occhi mi erano puntati addosso.
“La mamma dice che è un incrocio. Come i cani.”
Irritante. Erano solo ignoranti, come i loro genitori e non sapevano nemmeno quanto fosse stupido asserire che qualcuno è un incrocio. Tuttavia anche se volevo negarlo a me stesso, lo ero. La mamma non si rendeva conto che il problema non era semplicemente per il mio carattere ma anche perché ero diverso fuori.
“Ha gli occhi blu. Fa impressione!” commentò un altro.
“Oi!” esclamai non sopportando più quei commenti e feci sussultare quel branco di marmocchi “Vi sento.”
“Accidenti ci ha sentiti!” bisbigliarono tra di loro e corsero via spaventati.
Mettevo così paura? La verità era che mi sentivo tremendamente solo e per quanto ci provassi a far finta che le storie del mio libro fossero reali, o provassi ad immaginarmi altrove, restavo comunque bloccato li, dove nessuno mi trovava simpatico o aveva voglia di parlarmi. Solo perché ero diverso. Perché ero un incrocio.
Chiusi gli occhi assaporando quel venticello fresco, era fine primavera in quel periodo, e cercai di scacciare l’amare sensazione di prima per tornare a fregarmene di tutto e tutti. Fu allora che qualcosa sfiorò la mia gamba, mentre me ne stavo ancora seduto sul prato non lontano dal campetto da calcio di sterrato. Aprii gli occhi e notai che un pallone era rotolato fino a me e pensai che fossero tornati quei mocciosi insopportabili. Che saccatura pensai. Si avvicinò invece un bambino che non avevo mai visto, era sudaticcio e sporco di terreno. Aveva i capelli neri, schiacciati e arruffati sulla fronte e gli occhi di un verde-giallognolo.
Nel vedermi mi fissò prima per un po’ poi sorrise mostrandomi che gli mancano almeno due dentini “Scusami non volevo colpirti” disse semplicemente e si riprese la palla allontanandosi.
Quella fu la prima volta che vidi Aki. Un bambino che non aveva nulla di speciale, anzi era come tutti gli altri. Nulla che potesse suscitare il mio interesse.


I giorni si susseguivano uguali durante quella estate e finita la scuola il tempo che passavo nel parchetto vicino casa aumentò, così come anche la mia noia ma c’era qualcosa di nuovo e inaspettato. C’era qualcuno che potevo addirittura definire più strano di me ed era quel bambino col pallone, sempre sporco di terriccio, che cercava ad ogni costo di giocare con gli altri senza mai trovare il coraggio di chiederlo direttamente e per questo motivo se ne stava in disparte a giocare da solo, improvvisava un canestro immaginario e tirava calci a vuoto gettando ogni tanto un occhiata verso l’altro gruppetto di bambini.
E’ stupido o cosa? Perché non chiede semplicemente ‘posso giocare con voi?’
Quella storia andava avanti già da un mese e gli altri bambini continuarono ad ignorarlo, ma non ci riuscivano quando si trattava di me, non riuscivano proprio a smetterla di fare commenti inopportuni e mi vedevo sempre costretto a rispondere a tono: “Oi avete qualche problema?”
I bambini spaventati correvano sempre via impauriti per la mia faccia. Tutti eccetto uno, che ormai sapeva bene quale fosse la routine e aveva memorizzato chi fossi rivolgendomi ogni tanto delle occhiate.
Non so se siano peggio quegli stupidi e i loro commenti o quel bambino con le sue occhiate.
Passarono altri giorni e si ripeteva sempre la stessa storia, ma un giorno quel bambino si presentò senza il suo pallone e sembrò quasi voler parlare con gli altri bambini, era sul punto di farlo ma come mi aspettai non lo fece e indietreggiò cominciando a disegnare cose a caso sul terreno con un bastoncino.
E’ un vero sfigato... pensai in quel momento, era peggio degli altri.
Quel giorno stesso cominciò a piovere e ciò significava che la mia agonia sarebbe finita prima, era il pretesto giusto per tornare a casa mi dicevo sempre e dentro di me speravo sempre che piovesse per tutto il mese. Tuttavia quella volta cominciò a piovere molto forte e dovetti rimane li dov’ero e aspettare che smettesse, quindi la mia salvezza si era trasformata comunque in una condanna.
Me ne resi conto solo dopo un po’ di non essere solo sotto quell’albero, ero troppo occupato ad osservare il cielo per rendermi conto che il bambino sfigato si era anche lui riparato li sotto. Mi meravigliò che fosse rimasto anche lui e pensai che forse abitava troppo lontano per correre a casa.
“Accidenti non ci voleva proprio questa pioggia, uffi” sbuffò seccato mentre guardava le gocce scendere dal cielo. Perché improvvisamente mi stava parlando? Non rivolgeva a nessuno la parola.
Decisi di ignorarlo come facevo con tutti e tornai al mio libro nell’attesa che smettesse di piovere, ma non trovai pace visto che il mio vicino cominciò ad avvicinarsi per guardare di cosa si trattava.
“Oi” pronunciai e lui sussultò allontanandosi “che problemi hai?”
“Scusami! Non volevo darti fastidio ma ero curioso.”
Inarcai un sopracciglio “Curioso?”
“Sì! Te ne stai sempre a leggere invece di stare con gli altri e ho pensato che deve essere molto interessante quel libro perché quando lo leggi sei felice e non hai più il broncio.”
Sorpreso? Lo ero. Rilassai la fronte e la mascella, abbassi un po’ la guardia nel sentirgli dire una cosa del genere. Era forse la prima persona che aveva notato una cosa del genere, e che avesse effettivamente visto il mio smisurato amore verso la lettura, un amore che non nascondevo ma non amavo mostrare al mondo.
“Sai a me piacciono molto i manga! Quali leggi?” sorrise mostrandomi la sua dentatura piena di buchi.
“Non leggo quegli stupidi fumetti.”
Parve deluso della mia risposta. Era quello che volevo, io odiavo le persone come lui e pensavo che fosse uno sfigato, una nullità che non era neppure capace di chiedere a dei bambini se poteva giocare con loro.
Si rannicchiò, porto le ginocchia contro il petto e se le strinse “Mi dispiace di averti offeso” disse.
“Offeso?”
“Si, beh, sembra che quello che dico offenda le persone” ridacchiò mascherando un po’ di amarezza, “anche i miei compagni di classe mi trovavano petulante e appiccicoso, non volevo offenderti quindi ti chiedo scusa.”
Voleva forse farmi capire che era uno sfigato anche a scuola? Assurdo. Non ci voleva tanto a mettere a posto una persona, o a farsi rispettare e io lo sapevo bene. Venivo chiamato incrocio, alieno e in tanti altri modi ma mi ero stancato di quei nomignoli e avevo iniziato a ribellarmi. Forse avrei dovuto dirgli di fare lo stesso? Ma questo avrebbe significato iniziare una conversazione, e dargli corda. Non volevo questo perché non volevo averci nulla a che fare con un bambino così.
“Leggo alcuni capitoli nei magazine.”
Che mi prendeva?
Il bambino mi fissò sollevando la testa dalle ginocchia e sembrò illuminarsi “Davvero?! E cosa leggi? A me piace moltissimo XXX trovo che il suo protagonista sia davvero fighissimo!” sorrise.
“Ti piace quello più idiota del gruppo.. assurdo.” Si spense di colpo nuovamente, sembrò quasi come se lo avessi rimproverato e la cosa mi fece quasi sorridere ma lo nascosi. Era un bambino sempliciotto che si lasciava facilmente condizionare dalle parole del prossimo e questo lo avevo capito.
Non so cosa mi prese. Di solito odiavo parlare così tanto con qualcuno che era il mio opposto, e quel che poi scoprii chiamarsi Aki non era un granché nemmeno nelle conversazioni, eppure anche quando smise di piovere restai li ancora un po’ a rispondere come potevo alle sue innumerevoli domande.
Dovevo essere impazzito sul serio.


Trascorsero quanti? Forse due mesi e la scuola ricominciò presto e le giornate calde furono portate presto via da un autunno molto più freddo del solito. Me ne rendevo sempre conto dall’albero in giardino che aveva iniziato a perdere le sue foglie prematuramente.
Sarebbe stato un autunno come al solito, normalissimo ma sentivo che da un po’ di tempo nella mia vita era iniziata una tempesta che non potevo controllare o evitare.
Quella mattina uscii presto di casa per andare a scuola, salutai la mamma per correre via ed evitare la solita tortura ma quando chiusi la porta alle mie spalle fu inevitabile come ogni mattina.
“Oh Hayato buongiorno!” e mi ritrovai Aki a pochi metri dalla porta che mi aspettava per andare a scuola insieme come ormai ogni giorno da un po’ di tempo.
Nel trovarmelo tutti i giorni davanti non era certo un buon giorno, ma più cercavo di trattarlo male e di cacciarlo più lui restava. Era stupido sul serio.
“’giorno” risposi già seccato di primo mattino con un filo di voce.
Quella storia sarebbe andata avanti per sempre?
Era chiaro che mi ero condannato con le mie mani e solo dopo avevo scoperto un po’ di cose riguardo quel bambino strano. Prima di tutto si era trasferito da poco in città con la sua famiglia, ecco perché se ne stava sempre da solo. Ma aveva anche problemi a relazionarsi con gli altri ad eccezione di me. Sembravo essere l’unico che non lo rendeva nervoso e quando iniziava a parlare lo faceva a raffica senza darmi tregua.
Secondo: da quel poco che avevo ascoltato dei suoi lunghi monologhi anche lui viveva da solo con la madre visto che il padre era rimasto per lavoro ad Osaka e li raggiungeva ogni tanto quando le ferie lo permettevano. Un po’ la mia situazione, e lo sentii quasi un po’ vicino, ma immediatamente mi diedi una svegliata, mi obbligai a smetterla di fare così e non me lo sarei più scrollato di dosso visto che era diventato non solo un mio compagno di classe ma viveva anche accanto a me.
Una persecuzione!
“Hayato che ne dici se oggi pomeriggio andiamo a giocare nel parchetto?” propose.
Che saccatura pensai. “Devo studiare oggi.”
“Eeeeh ancora? Ma sei il più bravo della classe a cosa ti serve studiare così tanto” si lamentò con una voce resa più acuta e snervante del solito. Faceva sempre così.
“Dovresti farlo anche tu visto che sei quello più indietro invece.”
Si sentì colpito e affondato, fece crollare il capo in avanti. Bastava così poco per cambiargli l’umore, era un libro aperto. Non era nemmeno così divertente capire ogni sua emozione, non c’era stimolo, era così banale da farmi rabbia. E le giornate trascorrevano così, con il mio umore sempre messo alla prova dai suoi continui tentativi di incollarsi addosso proponendomi di fare tutte cose che odiavo. Non lo capiva proprio che le mie erano tutte scuse per allontanarlo.
Non so come dopo la scuola riuscii a filarmela verso casa da solo, feci in modo di non farmi trovare e finalmente ebbi due secondi di pace. Una volta rientrato mi gettai sul letto, mi sentivo stanco come se avessi corso una lunga maratona ed era incredibile che fosse solo uno stupido bambino a mettere così a dura prova la mia mente. Devo liberarmene in qualche modo.
“Hayato sei a casa?” entrò in camera la mamma e notò che me ne stavo gettato sul letto come un sacco di patate, non lo trovò di suo gradimento “Se non hai da studiare esci di qui e va a giocare con gli altri bambini, lo sai che odio vederti qui da solo.”
“Devo studiare.”
La mamma ebbe un tic di rabbia “Non mentire. Sono tua madre e so che ti anticipi tutti i compiti in un solo giorno quindi ora... ESCI DA QUI!”
Il mondo intero mi era contro, mia madre compresa. Tutto l’universo voleva che io me ne stessi fuori casa a fare lo stupido con una palla invece che preferire un me sempre sui libri ma per fortuna ero riuscivo a portarmene uno dietro di nascosto.
Il pensiero di dover andare in quel parchetto dove c’era Aki mi fece venire un nodo lo stomaco, e improvvisamente l’idea di scappare di casa e farmi una nuova vita con una madre normale fu più allentante.
Camminai molto lentamente sperando che passasse più tempo nel tragitto tra me e il parchetto, ma trascorsero appena cinque minuti. Era inevitabile dovevo soffrire li.
Una volta arrivato notai una scena nuova e ne rimasi sorpreso, c’era Aki che stava finalmente parlando con altri bambini, alcuni dei quali era persino nostri compagni di scuola. Mi avvicinai abbastanza per ascoltarne la conversazione e capire come avesse trovato il coraggio.
“Tu non sei quello che se ne sta sempre insieme all’incrocio?”
Sentire quella parola mi paralizzò. Ero io l’incrocio, e mi ferì sentirmi chiamare ancora così. Non avevano ancora imparato la lezione, erano degli ignoranti.
“Incrocio?” sentii Aki confuso per quella parola.
Un altro bambino gli si avvicinò “Sì, quel bambino che sta nella nostra classe e che fa paura. E’ così strano, ha gli occhi troppo chiari e i capelli bianchi. Sembra un alieno.”
Succedeva sempre. Non importava che io mi sforzassi di uscire di casa o meno, o che ci provassi a parlare con gli altri bambini, per loro ero diverso, un alieno. Tutto ciò mi faceva rabbia, tanto che non volli più ascoltare altro, e feci per tornarmene a casa.
“Ah intendete Hayato!” finalmente parve arrivarci. Sei proprio un stupido dopotutto. “Ma Hayato non è un alieno” lo sentii dire “è solo un gran brontolone ma una volta che ci parli è simpatico e poi...” mi fermai a sentire che altra stupidaggine stesse per aggiungere “e poi trovo che i suoi occhi siano davvero belli.”
Mi voltai dopo averlo sentito. Cosa?
Penso ancora che sia uno stupido, vero? Non aveva detto nulla di che dopotutto.
“Dovreste smetterla di chiamare le persone con nomignoli è da veri maleducati!” li rimproverò. E gli altri bambini furono sbigottiti, quella piccola furia cominciò a fargli una lavata di capo costringendoli ad andarsene.
E’ uno stupido, continuavo a ripetermi.
“Accidenti sono rimasto di nuovo da solo!” gridò dopo essersi accorto di aver fatto scappare tutti e lasciò cadere la sua palla a terra come in segno di resa.
Fu allora che mi feci avanti raccogliendola e attirando finalmente la sua attenzione, e Aki restò sorpreso di trovarmi li “Questa palla è sgonfia” osservai per dire qualcosa. Mi sentivo un po’ in imbarazzo, dovevo ammettere o meno di aver ascoltato tutto o no? Preferii non dire nulla. Infatti neppure lui mi disse niente e lasciammo entrambi perdere quella faccenda.
Aki mi sorrise “Hai finito i compiti presto! Meno male.”
Mi aveva sul serio creduto quella mattina “S-sì” non riuscii a guardarlo in faccia.
Cominciai a pensare che forse più che stupido era solo molto ingenuo, tanto da credere troppo nelle persone.
“... io trovo che i suoi occhi siano davvero belli.”
Quelle parole erano state così banali eppure risuonavano ancora nella mie mente. Forse perché era la prima volta che qualcuno di diverso dalla mia famiglia non mi diceva che ero strano.
“Allora possiamo giocare un po’ con la palla.. ah a te non piace è vero” si rabbuiò.
Guardai la sua espressione che aveva improvvisamente perso i suoi colori mostrandomi un viso triste e non mi piacque, visto che dovevo essere solo io quello dei due che non sorrideva mai.
“Giochiamo.”
Aki fu colpito dalla mia improvvisa proposta, e che volessi giocare. Immediatamente come un il sole che torna dopo la tempesta mi sorrise contento per quella semplice parola.
In quel momento pensai che era molto più piacevole quando sorrideva in quel modo.

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Note autrice: Vorrei chiarire una cosa, qui Hayato ha solamente sette anni ed è davvero troppo assurdo pensare che si sia innamorato di Aki a quell'età. Semplicemente, in ciò che ho scritto, volevo lasciar intendere come alcuni incontri siano SPECIALI fin da subito. Siamo attratti da persone che non penseremmo mai di conoscere, magari l'altro è troppo diverso da noi e poi BOOM ci si ritrova a parlare, a stare insieme, a creare un rapporto. Nel caso di Hayato il suo amore non era ancora tale, ma da queste prime righe è stato piantato il seme di qualcosa di più grande.
  
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