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Autore: Echocide    15/12/2017    3 recensioni
Dai lombi fatali di questi due nemici
toglie vita una coppia d'amanti avventurati,
nati sotto maligna stella,
le cui pietose vicende seppelliscono,
mediante la lor morte...

Agreste e Dupain sono due famiglie nobili di Paris, una città ricca di mistero e magia.
Una notte, il patriarca degli Agreste condanna i Dupain alla morte e dalla strage della famiglia, una bambina si salva: il suo nome è Marinette.
Genere: Drammatico, Fantasy, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Adrien Agreste/Chat Noir, Altri, Marinette Dupain-Cheng/Ladybug
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Titolo: Inori
Personaggi: Adrien Agreste, Marinette Dupain-Cheng, Altri
Genere: fantasy, romantico, drammatico
Rating: PG
Avvertimenti: longfic, AU
Wordcount: 2.536 (Fidipù)
Note: Nuovo aggiornamento di Inori e posso dire che questo capitolo è veramente sfigato: prima è stato vittima di un aggiornamento del pc, che mi ha fatto perdere gran parte del lavoro, poi essendo un capitolo di collegamento con il prossimo...beh, io ho problemi con i capitoli che collegano e anche questo non ne è esente. Ad ogni modo, finalmente!, eccolo qua! E la storia si sta muovendo per dirigersi verso le battute finali: Adrien e Marinette sono ormai decisi a sposarsi, Sabine ha iniziato il suo piano, Nathaniel...beh, ha anche lui i suoi problemi.
Detto questo, come sempre, passo alle informazioni di rito: vi rimando la pagina facebook per ricevere piccole anteprime e restare sempre aggiornati e al gruppo facebook Two Miraculous Writers, gestito con la bravissima e talentuosa kiaretta_scrittrice92.
Per concludere, voglio dire grazie a tutti voi che leggete, commentate e inserite le mie storie nelle vostre liste!

 

Marinette sbadigliò, portandosi una mano al volto e strusciandosi gli occhi, cercando così di scacciare i postumi del sonno: «Perché ci siamo dovuti svegliare all'alba?» domandò, scuotendo la testa e abbassando le dita, iniziando a trafficare con il laccio del mantello e regalando uno sguardo di rabbia al giovane al suo fianco: aveva dormito poco o nulla, la mentre troppo impegnata a rielaborare la proposta di matrimonio di Adrien – l'ennesima proposta, in verità – e il fatto che lei aveva acconsentito a sposarlo.
Diventare la moglie del figlio del nemico.
Una scelta che avrebbe avuto ripercussioni su tutto ciò che sarebbe successo nelle loro vite, lo sapeva fin troppo bene: tutto sarebbe cambiato.
In meglio o peggio non poteva determinarlo.
«Voglio farti conoscere una persona» Adrien le si avvicinò, portandole le mani alla gola e aiutandola con i lacci del mantello, sfiorando con i polpastrelli la linea della mascella e sorridendo al rossore che era subito apparso sulle guance della giovane: «E’ importante per me. Per gran parte della mia vita è stata l’unica che mi ha accettato per ciò che ero: non Adrien, il principe. Adrien, la pedina da usare, ma semplicemente Adrien, suo nipote.»
«Suo nipote?»
«Stiamo andando a incontrare mia nonna» le bisbigliò, chinandosi in avanti e sfiorandole le labbra con le proprie, poggiando poi la fronte contro quella di Marinette e ascoltando i passi alle sue spalle: socchiuse gli occhi, baciando per la seconda volta la giovane e poi si voltò verso i due individui che stavano entrando nella stalla dell’abitazione di Fu, accompagnati dal rumore degli zoccoli di Plagg sul terreno, fin troppo impaziente di muoversi e uscire dal box.
Alya camminava con passo di marcia e il mento alto, lo sguardo completamente rivolto verso di loro: «Spero che la mia sveglia abbia una motivazione valida» decretò, incrociando le braccia e fermandosi davanti ad Adrien, indicando con un cenno del capo Nino, fermatosi accanto a lei.
Adrien fece vagare lo sguardo sull’amico, reprimendo il sorriso che stava nascendo di fronte alla differenza di comportamento che c’era fra i due: Nino si era bloccato pochi passi indietro rispetto ad Alya, la testa china e le mani strette al cappello di stoffa che stringeva spasmodico.
Un atteggiamento ben diverso da quello di Alya, quasi pronta a dar battaglia a chiunque: «Spero che ci sia un buon motivo per questa levataccia» dichiarò, storcendo le labbra e voltandosi verso Nino: «Tu, sella Trixx e Wayzz.»
«E quali sono Trixx e Wayzz?»
«Trixx è quel cavallo dal manto bruno e Wayzz quello lì, grigio» sbottò Alya, prendendo Nino per un braccio e portandolo verso due box: «Possibile che devo spiegarti tutto?»


«Paris è al limite» dichiarò Sabine, osservando il piccolo gruppo di uomini riuniti davanti a lei, si fermò attendendo che le parole che aveva appena pronunciato venissero assimilate e, non appena vide i lineamenti indurirsi, si trattenne dal piegare le labbra in un sorriso soddisfatto: «Gabriel Agreste ci ha portato via il nostro sovrano, ha ucciso mio marito e avrebbe fatto lo stesso con me e mia figlia. Ha distrutto la famiglia portante di Paris e per cosa? Per lasciare che la città morisse davanti ai suoi occhi» si bloccò nuovamente, stringendo le mani l’una con l’altra e alzando il mento: «A Gabriel Agreste interessa se i nostri figli muoiono di fame? Fa qualcosa per quegli uomini della sua guardia che violentano le nostre figlie e usano i nostri beni a proprio piacimento? Quante volte abbiamo visto persone uccise perché avevano semplicemente rivolto una parola di troppo a un soldato? Quante volte abbiamo dovuto girare la testa, mentre una giovane veniva stuprata? Troppe. Troppe volte.»
Sabine si fermò, mentre il dissenso iniziava a serpeggiare fra le persone che la stavano ascoltando: non erano tanti, pochi ma fedeli e stanchi della linea di azione di Fu, troppo tranquilla.
Paris aveva bisogno di una rivolta.
Paris aveva bisogno di un nuovo capo.
Fu non lo capiva e sua figlia non era pronta per prendersi quel ruolo.
Toccava a lei, solo a lei.
Socchiuse gli occhi, chinando la testa e stringendo entrambe le mani a pugno, sentendo le unghie conficcarsi nel palmo delle mani: che cosa avrebbe pensato Tom della donna che era diventata? Della rabbia che l’alimentava ogni giorno e le aveva permesso di sopravvivere fino a quel momento?
Non l’avrebbe riconosciuta, lo sapeva.
Era cambiata dalla fanciulla che aveva conosciuto, dalla giovane donna a cui aveva detto di andare con la loro bambina fra le braccia: la rabbia, l’odio e il dolore l’avevano trasformata ma non gliene importava.
Non esisteva più nulla se non la sua vendetta.
La sua intera vita era ormai consacrata a ciò.
Non esisteva null’altro.

 

Clotilde osservò la giovane che si muoveva nel piccolo giardino interno del convento, studiandone i movimenti e sorridendo appena quando la vide fermarsi davanti a un roseto: «Volete sposarvi, quindi» mormorò, voltandosi verso il nipote, poggiato a uno dei pilastri del colonnato che circondava il cortile: lo guardò, rendendosi conto che le parole non erano giunte fino alla sua mente e che era totalmente impegnato nella visione della propria promessa: «Adrien?»
«Cosa?»
Clotilde sorrise, portandosi le mani al grembo e intrecciando le dita: «Volete sposarvi?» domandò nuovamente e scandendo bene le due parole, notando lo sguardo del giovane sgranarsi appena e un lieve rossore colorargli le guance: «Oh. Ho finalmente trovato qualcosa che ti mette in imbarazzo?» domandò la donna, sciogliendo le mani e battendole fra loro: «Sei venuto qui, trascinando quella poveretta e quasi urlando all’intero convento il tuo imminente matrimonio, e adesso che ti chiedo conferma, cosa fai? Arrossisci?»
«Nonna.»
«Devo essere sincera: questo matrimonio mi piace, molto più di quello con la figlia di Bourgeois.»
«Quindi possiamo contare su di te?»
«Contare su di me per cosa?» Clotilde si portò una mano al cuore, inclinando il capo e piegando le labbra in un sorriso tranquillo: «Non ho assolutamente idea di cosa potrei fare per te, mio caro nipote.»
«Intercedere per noi presso il prete che celebra messa qui al convento?» domandò Adrien, incrociando le braccia al petto: «Vogliamo sposarci il prima possibile.»
«Volete o vuoi?»
«Io…» Adrien si fermò, passandosi la lingua sulle labbra e spostando lo sguardo su Marinette che, distante da loro, osservava con interesse il giardino a cui Clotilde dava amore e cure: «Io voglio darle la protezione del mio nome, per quanto questa poi valga e poi...» nuovamente si bloccò, incapace di andare avanti, e chinò il capo, nascondendo la vista del proprio sguardo.
«Hai in mente di tornare al castello?»
«Mio padre deve rendersi conto di cosa sta succedendo a Paris, deve abdicare in favore di Marinette» scosse il capo, stringendo le labbra e riportando lo sguardo sulla donna: «Ho visto quello che sta succedendo a Paris, nonna. Il popolo non sopporterà ancora per molto l’indifferenza del suo regnante.»
«Tuo padre è immerso nel suo mondo, lo sai bene.»
«E’ tempo che ne esca.»
Clotilde rimase in silenzio, voltandosi verso il giardino e socchiudendo gli occhi: «Puoi andare a vedere dove sono spariti Nino e quella poveretta?» domandò Clotilde, sorridendo appena al nipote e indicando con un cenno del capo Marinette: «Io andrò a parlare con la tua promessa. Non la spaventerò, promesso.»
«Che cosa hai in mente, nonna?»
«Assolutamente niente: così come tu non mi dici il piano che hai in mente, io farò lo stesso con il mio.»
«Quando dici così…»
«Vai, Adrien.»


Alya sbuffò, palesando così la sua rimostranza mentre fissava l’enorme corridoio in pietra dove Nino l’aveva condotta: non capiva perché il giovane, non appena messo piede nel convento, era voluto correre in quella zona del complesso, quasi come se avesse il diavolo che lo inseguiva, trascinandola con lui: «Dove mi stai portando?» domandò, fermandosi incrociando le braccia al seno, storcendo poi le labbra e guardando la schiena che s’irrigidiva appena; lentamente il giovane nobile si voltò, portandosi una mano alla testa e togliendosi il berretto: «Sinceramente non amo queste visite in corridoi bui e freddi» continuò Alya, allargando le braccia come a mostrare l’ambiente che li circondavano.
«Avevo paura di incontrare la madre superiora.»
«Cosa?»
Nino strinse le labbra, chinando la testa e lasciando andare un sospiro, scuotendo poi il capo: «L’ultima volta che sono venuto qui» si fermò, passandosi la lingua sulla bocca e facendo scivolare lo sguardo da un muro all’altro, quasi come se questi potessero improvvisamente trasformarsi in qualcosa: «Ho inavvertitamente visto la madre superiora, senza niente.»
«Cosa? Tu…tu…mostro maniaco…»
«Mi ero perso per il convento! Stavo cercando Adrien e…»
«Ti eri perso?»
«Sì» Nino si fermò, scuotendo con vigore il capo e inspirando profondamente: «Non mi ero reso conto che ero finito nella parte del convento adibito agli alloggi e poi ho visto quel che ho visto e…»
«Quante notti non hai dormito?» Alya inclinò la testa, avvicinandosi al ragazzo e piegando le labbra in un sorriso, mentre la voce era carica della risata trattenuta: «Immagino che fosse uno spettacolo…»
«Raccapricciante, orrendo, un qualcosa che avrei voluto togliere dalla mia mente e dai miei occhi. Ho quasi cercato di cavarmeli, sai?»
«Povero, piccolo, innocente Nino…»
«Sento la presa in giro nella tua voce, madamoiselle.»
«Oh. Davvero. E dire che ho fatto di tutto per mascherarla.»
«Com’è che non ti credo?»
«Perché sei un nobile poco fiducioso del prossimo.»
«Cosa centra il fatto che io sia nobile?»
«Centra sempre, Nino. Centra sempre.»


«Dovresti essere là fuori e fare conversazione con i tuoi ospiti»
Nathaniel alzò la testa, osservando la ragazza sulla soglia dei suoi appartamenti: Chloé non faceva un passo, non entrava, rimaneva immobile sulla soglia e faceva vagare lo sguardo su ciò che arredava la sua stanza, appuntandosi di tanto in tanto su un disegno o su un qualche dettaglio.
Chissà come vedeva quella stanza?
L’antro di un artista oppure semplicemente un luogo mefitico dove non sarebbe mai entrata?
«Sono gli ospiti di Gabriel, non miei.»
«Sei il nuovo erede» sbottò Chloé, facendo un passo all’interno della camera e picchiando il ventaglio, che teneva nella mano destra, contro il fianco: «Sono anche tuoi ospiti: Adrien sarebbe stato là fuori a sorridere e fare presenza, non si sarebbe di certo rintanato qua dentro. Sei inutile, se fai così.»
Inutile.
Inadatto.
Nathaniel chinò la testa sul foglio da disegno, ritornando al suo mondo fatto di linee e colori, muovendo velocemente il carboncino e ignorando la presenza di Chloé; attese fino a quando non la sentì sbuffare con fare poco elegante e il rumore dei tacchi delle sue scarpe allontanarsi.
Aspettò un’altra manciata di minuti, prima di posare il blocco e alzarsi, osservando la porta lasciata aperta: no, non avrebbe raggiunto gli ospiti che gozzovigliavano nei giardini e nelle stanze del castello, sapendo benissimo quanto era incapace di riuscire ad avere un contatto con il suo prossimo.
Preferiva rimanere lì, in solitudine, con la compagnia dei suoi disegni.
Alzò la testa, muovendosi per la stanza e raggiungendo la scrivania ove erano impilati, l’uno sopra l’altro, alcuni album da cui strabordavano alcuni disegni: ne carezzò il bordo con l’indice, fermandosi su quello a metà della pila e lo prese, stando ben attento a non far cadere nulla, a non fare rumori che portassero qualcuno lì da lui.
Aprì la cartella di pelle, voltando veloce le pagine con i disegni, fino a quando non trovò quello che cercava: non ricordava perché lo aveva fatto, catturato forse dal momento aveva immortalato il sorriso del cugino in quel foglio di carta.
Lui che era sempre stato l’erede, il principe.
Lui che era la perfezione assoluta.
Lui a cui era sempre stato paragonato, venendo distrutto impietosamente ogni volta.
Nathaniel strinse le labbra, muovendo la mano sulla scrivania e sentendo sotto le dita il freddo del metallo di uno stiletto, stringendo le dita attorno all’elsa e alzando la mano, calandola poi verso il disegno e infilzando il volto di Adrien con la lama sottile e affilata.
Era tutta colpa sua.
Era solo per colpa di Adrien.
Lo ripeté a se stesso, mentre infilzava più e più volte il ritratto, trovando un po’ di pace e sentendo qualcosa sciogliersi: ogni peso, ogni dovere, ogni impegno svanivano uno dopo l’altro mentre pugnalava il disegno; non c’era più quel cappio che gli stringeva la gola, i suoi polsi erano liberi dalle catene.


«Non assomigli per nulla a tuo padre» mormorò Clotilde, sorridendo allo sguardo azzurro che si era posato su di lei pieno di curiosità, non appena si era avvicinata: «Sei molto più simile a tua madre, eppure non posso far a meno di vedere Tom in te.»
«Lo conoscevate bene?»
Clotilde annuì alla domanda, posando lo sguardo sul roseto e piegando le labbra in un sorriso: «Questa pianta è stata il suo ultimo regalo» le spiegò, allungando una mano e carezzando una foglia: «Il giorno in cui venne reso ufficiale il fidanzamento tra Adrien e te: Tom mi portò questo piccolo arbusto con un’unica rosa rossa sbocciata, mentre tua madre lo riprendeva dicendo che non era un regalo adeguato» si fermò, socchiudendo gli occhi e tornando indietro nel tempo: «Mio figlio era rimasto in silenzio, commentando il tutto con quel suo solito sorriso tranquillo che lo contraddistingueva all’epoca, mentre Sophie – la madre di Adrien – aveva applaudito e aveva dichiarato che non c’era regalo più bello. Questa pianta è stata l’unica cosa che ho portato con me, dopo che mi sono ritirata qua.»
«Io…»
«C’è un grande peso sulle tue spalle, Marinette.»
«Mia madre vorrebbe che io guidassi i nostri uomini e il popolo, che riportassi al nome dei Dupain il giusto onore e…»
«E che la tua spada si conficcasse nel cuore di Gabriel» Clotilde assentì con la testa, osservando la giovane: «Ma tu non ne sei capace: lo vedo nei tuoi occhi, nei tuoi gesti. Sei come Adrien, un cuore troppo buono e puro per concepire la morte di qualcuno, anche se questo è un tuo nemico.»
«Mia madre…»
«Sabine è come Gabriel: entrambi accecati dalla rabbia e bisognosi di vendetta, senza rendersi conto che questo non porta che ad altro odio e ad altra vendetta. Sono immersi nella loro disperazione e dubito fortemente che ne usciranno» si fermò, allungando le mani e prendendo quelle di Marinette, stringendole appena: «Ma tu e Adrien potete distruggere tutto questo. Il fatto che vi siete incontrati, che vi siete innamorati…signorina, tu ami mio nipote?»
«E’ possibile amare qualcuno in così poco tempo? Io…io non so come comportarmi, ogni volta mi ritrovo con la lingua pesante e le parole che faticano a uscire, mentre lui…lui…io…»
«L’amore può essere lento e crescere giorno per giorno, oppure arrivare improvviso e distruggere ogni certezza…»
«Io…»
Clotilde annuì, allargando le braccia e studiando l’abito della ragazza: «Hai un bel fisico e non sei tanto alta, forse possiamo trovare qualcosa per te fra gli effetti personali delle novizie.»
«Cosa?»
«Non vorrai sposarti con questo brutto abito fatto di cenci?»
«Io…»
«Adrien ti ama, l’ho capito non appena siete arrivati qui al convento e ogni tua parola mi ha confermato che anche tu provi lo stesso sentimento per lui» Clotilde sorrise, chinando la testa e avvicinandola a quella di Marinette: «Il vostro amore, la vostra unione, forse è l’unica cosa che serve a Paris adesso: non una guerra fra due famiglie dettata dall’odio e dalla vendetta, ma l’unione di queste nell’amore.»

 

   
 
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