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Autore: l y r a _    15/12/2017    2 recensioni
Il secondo anno di liceo di Tooru Oikawa è un gran macello. Lo dice Hajime Iwaizumi, il suo migliore amico da una vita, e precisa che lo sarebbe stato un po’ meno se non avessero incontrato Sakurai e subìto tutte le sue complicazioni patologiche.
Il primo anno di liceo di Megumi Sakurai è un fallimento annunciato e lei è arrogante, ambiziosa e ha scrupoli quanti gli spiccioli nel suo portafogli: nessuno. Lo dice tutta Sendai ed è tutta la verità.
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[Oikawa/OC | UshiShira | Accenni OC/Ushijima | Perpetrato reato di canon/OC ]
Genere: Generale, Romantico, Sportivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai | Personaggi: Altri, Kenjiro Shirabu, Nuovo personaggio, Tooru Oikawa, Wakatoshi Ushijima
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Capitolo 7
 

Assenze

L’Accademia Shiratorizawa non era poi tanto differente da Tagajo. In un ambiente in cui tutti conoscevano tutti, in cui il tempo scorreva sempre uguale, scandito dal ciclico alternarsi di verifiche e vacanze comandate, la più piccola novità creava enorme scompiglio e le voci circolavano con grande vivacità. Erano passati tre giorni da quando la signora Sakurai aveva rifatto le valigie di sua figlia e se le era portate via, da quando Hattori si era assentato la prima volta, ma solo ora la notizia aveva iniziato a serpeggiare con insistenza per i corridoi del liceo.
Alcuni pettegolezzi erano farciti dei particolari più romanzeschi e fantasiosi, altri riferivano una versione dei fatti decisamente più macabra e di cattivo gusto di quanto non fosse già. La capitana del club di basket femminile – ansiosa forse di accaparrarsi una stanza migliore per la propria squadra – aveva messo in giro la diceria che il consiglio d’istituto avesse deciso di sciogliere il club di pallavolo per sedare lo stupore nato attorno allo scandalo. La madre di Arisu le aveva telefonato subito dopo il servizio del notiziario mattutino, allarmata e probabilmente allo stesso tempo felice di avere una nuova ragione per scoraggiare le velleità sportive della propria figlia, da lei giudicate troppo mascoline e inadatte ad una Hiromi.
«No, mamma» aveva ripetuto circa un migliaio di volte «Non sono io la ragazza di cui parlano, a me non è successo proprio un bel niente. La ragazza in questione io la conosco e si è ritirata dal club qualche mese fa.»
«Potrei procurarmi il nullaosta per il Liceo Femminile Niiyama.» suggerì la voce di sua madre dall’altro capo del telefono «Se proprio ci tieni come dici, t’inseriresti in una squadra migliore, con allenatori validi che non siano criminali sotto copertura…»
«Non voglio andare al Niiyama! Quante volte devo dirtelo? E poi è ovvio che adesso ingaggeranno un nuovo allenatore!»
Al momento a supplire Hattori era il professore di educazione fisica delle sezioni uno e due. Non era particolarmente severo, né aveva idee precise su cosa dovesse fare con loro. Il risultato era che passavano a chiacchierare molto più tempo di quanto non facessero ad allenarsi.
«O è Sakurai, o è Ikeda.» ricapitolò Hoshino contando le ipotesi sulle dita della mano.
«Ma se i giornali dicono che la studentessa è al momento tornata a casa…» osservò Chigusa con aria pensosa, ricontrollando l’articolo dal proprio telefonino «Ed Ikeda abita qui a Sendai…»
«Oh piantatela!» tagliò corto Arisu, sfilando alla più grande il cellulare di mano. Chiuse il browser web e gettò nuovamente il telefono in grembo alla proprietaria «È Sakurai, d’accordo? È solo questione di tempo prima che tutti intuiscano il collegamento, quindi ora tenete la bocca chiusa e cercate di non accelerare i pettegolezzi. Fate come Kurihara, che è stata zitta tutta la giornata nonostante sapesse già chi fosse la vittima.»
Le compagne di squadra si voltarono in direzione della palleggiatrice, da qualche giorno ormai vice-capitana, che se ne stava muta e accucciata nell’angolino più isolato. Trasalì nel sentir nominare il suo nome.
«Scommetto che tuo nonno te lo ha detto, no?» la sollecitò stizzita.
Kurihara si rabbuiò e strinse le spalle, una visione piuttosto inusuale per le compagne.
«Sì, me lo ha detto, che è Sakurai.» ammise con un filo di voce «E mi dispiace.»
«Ti dispiace di cosa? Di quello che le è successo o di quello che le hai detto l’ultima volta?» la rimbeccò Arisu stizzita. Kaori le sfiorò una spalla con le dita, per ricordarle di calmarsi, peccato che lei non ne avesse abbastanza voglia. Aveva invece bisogno di prendersela con qualcuno, di mettersi ad urlare, foss’altro perché Hattori era troppo lontano per potergli sbraitare contro. Kurihara era solo un capro espiatorio per alleviare temporaneamente la sua rabbia. Yoshida, che pure era la nuova capitana, le osservava in silenzio con le labbra serrate, senza intervenire.
«Per entrambe, mi dispiace per entrambe le cose.» mormorò la bionda «Non pensavo veramente quello che dicevo, volevo solo indispettirla. Non sapevo che potesse essere così vicino alla realtà.»
«Ma ora tornerà, no?» domandò fiduciosa Kaori «Cambierà allenatore e tutto… e siamo rimaste in poche da quando le senpai si sono ritirate.»
«Io non penso affatto che tornerà.» dichiarò affranta Hiromi «Non penso che metterà mai più piede in questa scuola, né tantomeno in questa palestra.»
«Io credo che invece dovrebbe ricominciare» intervenne Okamoto, richiudendo il quaderno su cui appuntava le loro formazioni «Come dicono tutti quando cadi dal cavallo: prima rimonti, meglio è.»
«Ma Sakurai non è caduta da un cavallo, Mami-chan.» rispose placida Yoshida, scostandosi la frangia del caschetto dalla fronte abbronzata «Direi che il cavallo le è passato sopra.»
«Sì, ma di chi è la colpa?» considerò Chigusa pensosa «Del coach? Di Sakurai? Di entrambi?»
«Sakurai è stata troppo ingenua.» commentò Kurihara con rara serietà «E troppo ambiziosa, ma Hattori ha approfittato di lei e non avrebbe mai dovuto farlo. È solo una primina e lui è un uomo con famiglia. Non riesco a smettere di pensarci, come ha fatto a tenersi tutto dentro?»
«La verità è che vorrei tanto sapere come sta adesso» considerò Arisu a denti stretti «Ma si è ostinata così tanto a prendere le distanze da me che non ho nemmeno avuto il tempo di scambiare con lei il numero di telefono. Proprio adesso che avevamo iniziato a chiacchierare di più…»
Kaori le batté una pacca sulla testa con la sua consueta dolcezza. Era una ragazza a modo, forse la più normale fra le compagne del primo anno. Sempre tranquilla e con un sorriso luminoso sul viso, trasmetteva ottimismo e serenità anche solo posando gli occhi azzurri sul proprio interlocutore. Quell’inusuale colore chiaro delle iridi, le aveva raccontato una volta, lo aveva ereditato da sua madre e da suo nonno prima di lei, ma era riuscita a valorizzarlo al meglio tingendosi i capelli tagliati a caschetto di un brillante biondo platino. Era forse la più bassa dopo il libero e – per giunta – era anche fin troppo in carne, e perciò le era toccato in sorte di giocare ben poco nel suo ruolo di schiacciatrice laterale, eppure quando lo faceva non era male come chiunque avrebbe potuto pensare. In particolare, era molto affidabile in difesa, e ciò aveva suscitato la simpatia di Arisu.
«Sei ancora angosciata per averle chiesto di venire alla partita?» le domandò, come se le avesse letto nel pensiero «Sai che non significa niente, vero?»
«Grazie, Kaori-chan, ma non riesco a togliermelo dalla testa. Quel giorno all’inizio dell’anno in cui era stata da Hattori per discutere del proprio ruolo in campo, deve essere stato proprio quello il giorno in cui è iniziato tutto. Quando è tornata in camera mi ha domandato se il coach mi avesse chiesto qualcosa in cambio del mio ruolo da titolare. Io ho pensato che volesse offendermi, mi sono infuriata e l’ho lasciata sola. Adesso tutto ha un nuovo significato.»
«Fidati, la conosco da molto prima di te… Sakurai ha la testa dura» commentò inaspettata Kurihara come se volesse confortarla in qualche modo «Non ti avrebbe messa a parte di tutto neanche se tu avessi intuito il senso corretto di quella domanda.»
Si rimise in piedi e scrutò rapidamente fuori dalla finestrella della palestra, quella che si affacciava sul campetto all’aperto al momento occupato dai ragazzi, prima di rivolgersi nuovamente ad Arisu. «Se vuoi sapere qualcosa di Sakurai, dovresti parlare con Ushijima.»
«Non sarà mica lui il ragazzo che è intervenuto per aiutarla?» osservò Chigusa preoccupata.
«Non è lui, perché è tutto intero. Al telegiornale hanno detto che ha riportato delle ferite. E comunque credo di aver capito che sia uno studente di un’altra scuola che la conosceva.»
Arisu una mezza idea ce l’aveva: la compagna di stanza non era mai stata un asso della socializzazione già nel proprio ambiente scolastico, figurarsi quanto avrebbe potuto fare amicizia fuori da lì. Al momento le veniva in mente un solo nome, ma preferì mantenere il segreto. Non aveva voglia di coinvolgere qualcuno che non era al momento presente, né di aggiungere involontariamente altri particolari romantici alla vicenda di Megumi.
~
Se fra asilo e liceo Hajime aveva appreso una lezione importante, questa era che non poteva esistere un amico più sregolato e incosciente di Tooru Oikawa. Guardarlo zoppicare lungo il viale d’ingresso della palestra della loro vecchia scuola media suscitava in lui un’irritazione che sospettava di poter sedare solo prendendolo a pugni. Il problema era, a quel punto della loro storia, che Oikawa di pugni ultimamente ne aveva presi anche troppi e che – nonostante l’incazzatura – ad Hajime sarebbe spiaciuto se ne avesse incassato altri e si fosse ridotto ancora peggio di come stava adesso.
Il problema non era neanche più il taglio sul labbro inferiore, che si era rimarginato e che a poco a poco stava svanendo, né il gomito sbucciato che sarebbe guarito rapidamente, e nemmeno il livido scuro proprio sotto il diaframma, che gli aveva mostrato a casa sua il giorno dopo il misfatto e che solo livido era rimasto, dato che gli esami effettuati in ospedale avevano escluso qualsiasi complicazione interna. Il problema era quel benedetto ginocchio che da mesi lui stesso gli consigliava invano di controllare e che non era affatto stato inficiato dalla zuffa in cui si era lasciato coinvolgere, ma dalla mole doppia di allenamenti a cui da qualche tempo si sottoponeva.
Che senso aveva continuare a frequentare la divisione amatoriale del Galaxy se la ragione per cui aveva iniziato a farlo non partecipava agli allenamenti da ormai due settimane? Hajime l’aveva fatto notare a Tooru svariate volte, ma in ogni occasione l’amico non gli aveva prestato ascolto e gli aveva ricordato che dell’allenamento extra non poteva certo fargli male. La sua ossessione per lo sport aveva trovato in quella per Sakurai la sposa perfetta così che tutta la sua vita ora ruotasse intorno all’imminente selezione preliminare dell’Harukou e dalla spasmodica attesa che Sakurai si facesse viva. Augurava il meglio al suo amico, ma a suo parere Sakurai non era ciò che Tooru meritava ed aveva preso a mal sopportarla a causa dei rischi che lei lo aveva costretto a correre, facendo leva sui suoi sentimenti. Il punto era che invece l’altro ne era totalmente perso e continuava a nutrire la speranza che lei potesse ricambiarlo. Il ginocchio destro fuori gioco era la conseguenza più palpabile di quell’ostinazione: avrebbe dovuto limitarne l’uso, anziché moltiplicarne gli sforzi, e la mattina precedente era stato costretto ad interrompere l’allenamento con loro per il forte dolore che glielo aveva immobilizzato.
E dunque quel giorno zoppicava con una faccia funerea dietro di lui, in ritardo per la partita che il club della loro vecchia scuola media avrebbe disputato contro una testa di serie tutt’altro che semplice da gestire. Era stato Tooru stesso ad insistere perché andassero a studiare una partita di Kageyama, nell’eventualità di ritrovarselo come avversario l’anno successivo, quando si sarebbe iscritto al liceo.
«Iwa-chan, si può sapere perché corri così tanto?» sbottò alla fine.
«Perché siamo in ritardo, e se non avessi affaticato tanto quel ginocchio come ti avevo detto, saresti stato perfettamente in grado di reggere questo ritmo.»
«Andiamo, sei ancora arrabbiato per il ginocchio? Passerà senza che io faccia niente di preciso, non c’è nulla da temere. Forse è una specie di dolore stagionale.»
«Soffri di meteoropatia[1]? Quanti anni hai, cinquanta?»
«Ascolta, so bene che sareste spacciati ai preliminari senza di me, ma chi meglio di me stesso conosce il mio fisico? Tutto è sotto il mio totale controllo.»
«Stracceremmo tutti anche senza di te, torna coi piedi per terra, Oikulo.» lo rimbeccò offeso «E non è tutto sotto “il tuo totale controllo”, sei fuori di testa da qualche mese!»
«Questo è quello che vedi tu!»
«Takahiro ed Issei vedono la stessa cosa, dovresti farti delle domande.»
«Stai elencando solo quelli che sanno di Gumi-chan!» evidenziò Oikawa imbronciato.
«Mi pare ovvio che l’astinenza ti faccia male, perciò perché non lasci perdere questo vicolo cieco e non riprendi ad uscire con qualcuna delle tue ammiratrici starnazzanti? Svuoteresti la mente e qualcos’altro di più concreto e non prenderesti più le decisioni ricorrendo agli ormoni.»
«Non sono affatto in astinenza!» protestò imbarazzato «E… svuoto abbastanza la mente.»
«Che schifo.»
La discussione stava lambendo argomenti di cui ci teneva a non conoscere i minimi dettagli, perciò ripeté per l’ennesima volta in tre mesi:
«Va’ da un medico. Ne hai uno in famiglia, no?»
«Mio fratello è un dentista, i ginocchi non sono la sua specialità, sai?»
«Allora va’ da qualche amico o collega di tuo fratello la cui specialità siano i ginocchi del saltatore!»
«Non è il ginocchio del saltatore[2]
«Lo sarà quando ti si romperà il tendine, allora?»
«Non si romperà nessun tendine, ti preoccupi per niente.»
Hajime decise di non rispondere. Se Oikawa non aveva intenzione di ascoltarlo, allora era giusto che si prendesse la responsabilità della propria cocciutaggine, e forse che Yahaba si esercitasse un po’ di più con la squadra A. Ciò che allarmava lo schiacciatore era che, ogni volta che l’amico ne combinava una, ci finiva sempre di mezzo lui stesso, o per rimediare a qualcuna delle trovate di cui si era poi pentito, o per intervenire in tempo prima che compisse l’irreparabile. Il caso più eclatante era accaduto due anni prima con Kageyama, che ora guardavano bacchettare qualcuno dei ragazzini del primo anno in seconda linea.
Ad esempio, a proposito di Kageyama, non sapeva se sperare che s’iscrivesse al loro liceo o ad un altro: non riusciva a decidere quale delle due opzioni avrebbe turbato meno l’ego di Oikawa. Averlo fra di loro l’avrebbe messo perennemente di cattivo umore, in un'altra squadra – d’altro canto – avrebbe dato il via ad un’inesorabile altalena di motivazione e depressione. Lo scenario più apocalittico ed altrettanto verosimile, era che venisse ammesso all’Accademia Shiratorizawa con qualche convenzione sportiva, ed a quel punto tutti i suoi compagni avrebbero vissuto ogni allenamento ed ogni torneo con addosso un insopportabile fardello di tensione e angoscia.
«Ho deciso che d’ora in poi ci andrò una sola volta a settimana.» mormorò Tooru di punto in bianco.
Hajime non riusciva ad afferrare a quale riguardo si collocasse quell’affermazione improvvisa, perciò si limitò a scoccargli uno sguardo poco convinto. L’amico distolse per un po’ gli occhi dall’eccellente mezza di mano servita da Kageyama alla sua banda.
«Al Galaxy, ci vado una volta a settimana. Il lunedì, magari.» spiegò con serietà.
Era già un buon compromesso, per esserci arrivato da solo, tuttavia per le condizioni in cui verteva non era abbastanza: Oikawa aveva bisogno di molto più riposo, forse sarebbe stato perfino necessario anche che saltasse qualche allenamento del club.
«Il lunedì dovrebbe servirti per riposare, lo avevamo deciso col coach, no?»
«Meglio due ore il lunedì che quattro il mercoledì o il venerdì.»
«Come hai già fatto finora.» gli fece notare sarcastico.
«Non puoi non accettare questo compromesso, sto rinunciando a due giorni su tre.»
Hajime sbuffò, poi tornò a concentrarsi su una nuova palla tesa di Kageyama. «D’accordo, ma andrai da un medico. Devi controllare quel ginocchio prima che sia troppo tardi.»
«Vedi che sei gentile quando vuoi, Iwa-chan?» lo canzonò soddisfatto «Se fossi così premuroso con le ragazze anziché con me, avresti molto più successo.»
«Non ti prendo a calci nel culo solo perché qualcuno mi ha anticipato.» borbottò irritato. Lo infastidiva che di tanto in tanto Tooru tirasse fuori la desolazione della sua vita sentimentale, perché era troppo semplice per lui, che era così fortunato da poter contare nel proprio novero di ammiratrici decine e decine di ragazze alla volta, accusarlo di non saperci fare. Non si trattava di voler avere una ragazza solo per potersene vantare durante gli intervalli fra le lezioni o nelle docce dello spogliatoio maschile, come spesso e volentieri faceva lui. Hajime non voleva una relazione artificiosa ed occasionale, ma attendeva di incontrare la persona giusta, quella che gli facesse perdere un battito ogni volta in cui le rivolgeva la parola. Che poi avesse la preoccupante sensazione di aver già conosciuto tale fanciulla, ma di non avere la benché minima speranza di raggiungerla, era tutt’un altro paio di maniche.
Come se gli avesse letto nel pensiero, il suo migliore amico tornò alla ribalta.
«Dunque, la ragazza di cui mi accennavi qualche tempo fa…»
«Non ne voglio parlare!» tentò di chiudere.
«Dimmi almeno se io la conosco!» protestò indispettito.
Alla fine dei conti, non poteva essere un’informazione così discriminante, Oikawa conosceva un sacco di ragazze. «Sì, la conosci.» ammise «Ma non ti dirò nient’altro su di lei, quindi non chiedermelo!»
«E chi è? Maiko della sezione due? Una volta hai detto che la trovi carina. Oppure Kazuki della sezione cinque? Se fosse lei mi congratulerei per il buon gusto, perché ho avuto modo di… be’, posso assicurarti che non è niente male.»
Non gliene fregava nulla di Kazuki della sezione due, ma si sentì ugualmente disturbato.
«Non volevo sapere cosa ci hai fatto!» protestò.
«Be’, io non te l’ho detto!» si difese l’amico.
«Ma se si è capito tutto?» borbottò indignato «La facevo più seria, comunque.»
«La prova che…» s’interruppe qualche istante quando l’ultimo punto chiuse il primo set a favore della Kitagawa Daichi «… la prova che anche le più serie non sanno resistermi.» scherzò tutto fiero.
Indispettito dall’autocelebrazione dell’amico, Hajime annunciò risoluto:
«Ricorderò ad Issei e Takahiro di girare il dito nella piaga, la prossima volta che attaccherai con le tue lagne. Mi premurerò io stesso di dare il mio contributo.»
«In che senso?»
«Sai, Oikulo, mi chiedo se Ushiwaka sia andato a trovare la tua Gumi-chan
La provocazione ebbe effetto immediato.
«Non voglio sentire parlare di Ushiwaka adesso, m’innervosisce già guardare Tobio che fa lo spavaldo in campo e spara una super a sinistra senza che nessuno possa colpirla.» mugolò Oikawa infastidito.
«Secondo me si sono già visti. Lei gli avrà raccontato tutto in lacrime e si sarà gettata fra le sue braccia per cercare conforto. Ushiwaka l’avrà coccolata come solo lui sa fare. Forse sarà intenerito e questa sarà stata l’occasione adatta per mettersi finalmente insieme, che dici? Per me sono una bella coppia.»
«Dico che sei uno stronzo, Iwa-chan. E che voglio provare quella super, proviamola domani.»
~
Dopo averci scambiato solo un paio di parole davanti ad una granita piuttosto insipida, Arisu si era già fatta qualche idea del perché Ushijima andasse d’accordo con Sakurai. Il vantaggio di fondo era che non sarebbero potuti essere più diversi di così: se Sakurai non era affatto in grado di stare a sentire qualcuno senza sbottare dopo appena cinque minuti, il nuovo capitano del club di pallavolo maschile era evidentemente più abituato ad ascoltare che a parlare, tant’è che per proseguire la conversazione era importante che fosse Arisu ad esortarlo con delle domande. Per fortuna lei non era affatto una ragazza con i peli sulla lingua, anzi, era dotata di un’ammirevole faccia di bronzo, e quindi non si era intimorita, neanche quando lo aveva fermato dopo l’allenamento e si era resa conto di arrivargli a stento al petto.
«Non la vedo da molto prima di te.» confessò Ushijima senza cambiare espressione «Non parlavamo da qualche tempo perché si era allontanata da me.»
«Posso chiederti perché lo ha fatto, secondo te?» lo esortò, grattando del ghiaccio dal fondo del bicchiere di plastica.
«Non voleva coinvolgermi.» replicò con flemma «Sul cellulare di Megumi c’era una foto di noi due, Hattori ce l’aveva scattata di nascosto e gliel’aveva inviata. L’aveva avvisata che se mi avesse frequentato ancora, lui avrebbe preso di mira me. Forse tu non hai ancora avuto la possibilità di conoscerla bene, ma Megumi sa essere premurosa con le persone a cui tiene.»
A questo punto, chi era Megumi Sakurai? La compagna di squadra permalosa e saccente, la coinquilina nervosa e taciturna, o la ragazza gentile che le aveva rivolto un sorriso solidale per rincuorarla dopo l’aspra squalifica al torneo primaverile? Arisu non sapeva più che risposta darsi.
«Ed adesso?» gli domandò incerta «Ora che tu lo sai, che motivo avete ancora per non riconciliarvi? Perché si rifiuta ancora di vederti? Hai detto che siete amici da sempre!»
Per un istante, l’autocontrollo di Ushijima vacillò e la maschera distaccata che aveva fino a quel momento indossato cedette il posto all’avvilimento.
«Hiromi-san, lo sanno tutti che io e Megumi non vediamo il nostro rapporto allo stesso modo. Per lei sono ben più di un semplice amico, come non ha mancato di farmi presente diciannove volte. È ovvio che io fossi l’ultima persona al mondo che lei voleva fosse messa al corrente di ciò cha aveva fatto.»
«Quindi Sakurai ha una cotta per te?»
«Penso che sia riduttivo definire una cotta un sentimento che, nonostante i miei rifiuti, va avanti da almeno quattro anni.»
Ushijima si riferiva alla questione come se fosse un’informazione di pubblico dominio, eppure Arisu non aveva mai sospettato che alla compagna di stanza fosse mai piaciuto qualcuno, né aveva sentito voci di corridoio al riguardo. Com’era Sakurai con la persona di cui era innamorata? A pensarci sentì un fastidioso formicolio allo stomaco: non l’aveva conosciuta affatto come avrebbe voluto.
«Ti confesso, Hiromi-san» continuò a sorpresa Ushijima «Che in questi giorni ho riflettuto molto su me e Megumi. Qualche volta sono arrivato a credere che se io non l’avessi respinta, lei non sarebbe mai andata a ficcarsi in questa storia. Alle volte il pensiero è quasi ossessivo.»
Il formicolio s’intensificò, per qualche motivo. Cercò di ignorarlo prima si rispondere.
«Hai ragione, io non l’ho conosciuta come invece hai fatto tu, ma sono una ragazza anch’io e sono sicura che se tu avessi finto di provare dei sentimenti per accontentarla, è possibile che lei ne avrebbe sofferto ancora di più. Perciò non stare a rimuginare su questo, Sakurai si sarebbe comunque piegata ad Hattori in ogni caso.»
Ushijima bisbigliò fra i denti qualcosa che ad Arisu parve molto simile a “Quel bastardo”.
«Pensi che tornerà a scuola?» gli chiese, ansiosa di ricevere una risposta positiva.
«I suoi genitori sono riusciti a trascinare Hattori in tribunale e la testimonianza di Megumi è necessaria per ricostruire i fatti. Sua madre mi ha detto che vede una psicologa più di una volta a settimana. A parte questo, non esce di casa né s’impegna in qualcosa per distrarsi. L’unica che riesce nell’intento è la sua sorella, che cerca di starle vicina tutto il giorno. Se le cose rimangono così, dubito che voglia tornare a scuola.»
«Senza contare che i pettegolezzi qui girano…» commentò demoralizzata. «Quando le vacanze estive saranno finite e torneranno anche gli studenti non coinvolti nelle attività dei club sportivi, le voci si moltiplicheranno a dismisura. Durante la gita del primo anno non si parlerà che di questo.»
Ushijima strinse forte la propria mano sinistra attorno al bicchiere ormai vuoto. La plastica, per quanto rigida, si accartocciò su sé stessa. Era semplice anche per Arisu intuire che si sentisse totalmente impotente in quella situazione, sentimento che anche lei condivideva appieno. Se avesse potuto mettere un bel cerotto sulla bocca di tutti e gettare via per sempre la chiave della cella di Hattori, forse si sarebbe sentita utile.
«C’era un’altra persona con loro, sabato.» aggiunse il più grande «Lo sai, no?»
«Sì, lo hanno scritto tutti i giornali. Ushijima-kun, può essere che io sappia chi sia.» si affrettò a rispondere «Si tratta solo di una mia supposizione, ma ho pensato che potesse essere Oikawa del liceo Aoba Johsai. So che lo conosci, c’eri anche tu quella volta che Megumi l’ha aggredito nel corridoio.»
Ushijima aggrottò le sopracciglia con sospetto.
«Questo lo sapevo già, ma vorrei capire tu come ci sei arrivata.»
Arisu si chiese se fosse il caso di condividere un’informazione tanto personale su Oikawa. Intrecciò le dita sul tavolo davanti a sé e decise che non avrebbe in alcun modo nuociuto all’interessato, che plausibilmente non avrebbe nemmeno più mai visto.
«Ad Oikawa piace Sakurai.» annunciò con semplicità. «Lo so per certo perché me lo ha riferito personalmente, la stava cercando.»
Si aspettava che l’altro fosse sbigottito dall’unicità della sua rivelazione, ma Ushijima rimase inespressivo, si limitò a scuotere il capo.
«Sapevi già anche questo?» domandò delusa.
«Avevo considerato la possibilità, tu la stai confermando.» spiegò pacatamente «Ma questo non basta a giustificare la sua presenza nella galleria, ti butteresti mai nella mischia per una che hai visto una sola volta e non ti rivolge nemmeno la parola? O hai lo spirito dell’eroe o sei completamente fuori di testa.»
«Ma loro si sono rivisti dopo quell’incidente. Da quel che ho capito dalle sporadiche dichiarazioni di Sakurai, s’incontravano regolarmente anche se non so bene in quale occasione.»
Questa volta riuscì a sorprendere Ushijima. Arisu abbozzò un sorriso malizioso.
«Sei geloso, Ushijima-kun? Avevi detto che non t’interessava in quel senso.»
«No, sono solo dispiaciuto che Megumi mi abbia taciuto così tante cose.» chiarì.
Se pure il disappunto che Ushijima provava era giustificato dal legame storico che lo univa a Sakurai, anche Arisu ne provava – come compagna di squadra e di stanza – una buona dose. Non riusciva a capire se la conversazione appena conclusasi avesse aggiunto o meno qualcosa a quello che sapeva sulla sua coinquilina e tutto quel parlare di lei, di Ushijima e di Oikawa aveva intensificato il formicolio allo stomaco. Se la colpa fosse da imputare alla granita disgustosa, non avrebbe saputo dirlo. Di certo, si era assicurata di avere Ushijima fra gli alleati e iniziava a non sentirsi l’unica genuinamente desiderosa di risposte.
Rientrata, gettò lo zainetto sul letto vacante e si sfilò il cellulare dalla tasca in tempo per leggere un messaggio di Kaori.
«Arisu-chan, ho una notizia bomba!»
Per Kaori qualsiasi cosa era una “notizia bomba”, anche lo sconto del 10% sugli articoli di cancelleria dell’anno precedente o il nuovo taglio di capelli della professoressa di storia. Perciò la incalzò perché fosse più chiara.
«Non perderesti meno tempo se mi dicessi da subito di cosa parli?»

La risposta giunse dopo nemmeno venti secondi dall’invio. Si chiese se la compagna di squadra non si fosse fusa con il proprio telefono.
«Ma è più divertente, così! Indovina!»

Arisu roteò gli occhi al cielo. Come faceva ad indovinare qualcosa senza nemmeno il minimo cenno? Buttò lì un’idea che potesse essere plausibile.
«Ikeda ha risposto ad una tua chiamata.»

Entro tre secondi l’altra rispose:
«Come no? Ed io dopo ho attraversato l’arcobaleno a cavallo di un unicorno rosa.»

Mentre Arisu meditava già di andare a bussare dietro la porta della sua stanza, Nonaka inviò l’ennesimo messaggio, questa volta leggermente più pregno di informazioni significative.
«Mentre finivo di rimettere in ordine la palestra, ho visto una certa persona parlare col professor Hayase. Ho chiesto alla senpai Yoshida perché quella persona fosse lì e lei mi ha spifferato che forse si occuperà di allenarci!»

Come al solito, raccontava tutto e niente insieme.
«D’accordo, abbiamo un nuovo allenatore ed è indubbiamente fantastico. Ma forse capirei meglio perché sei così eccitata se mi dicessi di chi si tratta.»

Non che esortare Nonaka ad essere chiara servisse a qualcosa.
«E no, almeno questo devi indovinarlo tu.»

«E cosa vuoi che ne sappia? Può essere che sia un tipo giovane e figo?»

«Sei proprio fuori strada, devi impegnarti di più.»

Arisu diede un’occhiata all’orologio, mancavano poco più di tre quarti d’ora al pranzo. Valutò di piazzarsi alle costole di Nonaka e di insistere finché non avesse sciolto il silenzio. E dire che, per come si sentiva, non credeva nemmeno che le interessasse sapere chi avrebbe sostituito Hattori definitivamente, ma l’entusiasmo di Nonaka non lasciava scampo a nessuno.
~
«Manca un mese – uno solo! – ai preliminari dell’Harukou e tu cosa fai?»
«Mi dispiace, professore…»
«Non me ne frega niente che ti dispiaccia o meno, anzi! Come minimo deve dispiacerti, ci mancherebbe che fosse il contrario!»
«Non pensavo che potesse essere così grave…»
«Passi la rissa in cui ti sei immischiato tre settimane fa, passi quando hai attaccato briga con una ragazza nel corridoio del City Gymnasium, passino anche tutte le volte che hai fatto di testa tua e ti è andata bene! Ma questi ragazzi hanno scelto te, Tooru Oikawa, come loro capitano e tu da quando hai assunto il ruolo avevi il preciso dovere di sostenerli e di pensare al loro bene!»
«Ma io li ho sostenuti, mi sono impegnato il doppio…»
«No, tu ti sei logorato un’articolazione fino allo stadio irreversibile perché te ne sei sbattuto di quello che io ed Irihata ti abbiamo sempre detto e non hai rispettato i ritmi di riposo! E non contento di questo, non ti sei neanche preso la briga di farti visitare da un medico!»
«Credevo sarebbe passato…»
«Credevi male! Ora io cosa racconto ai tuoi compagni? Anzi, cosa gli racconti tu
«Coach, io giocherò ad ottobre!»
«Ad ottobre, se sarai fortunato, camminerai senza zoppicare! Se ne riparla dopo dicembre! E ti faccio presente che se gli altri dovessero intanto classificarsi per l’Harukou, tu non giocherai nemmeno le fasi nazionali di gennaio!»
«Ma non è giusto!»
«Sai cosa non è giusto? Dare una pacca sulla spalla di Yahaba dopo che ha faticato al posto tuo e poi dirgli di accomodarsi pure in panchina, che dei frutti dei suoi sforzi ne approfitti tu!»
«Ma io mi tirerei indietro volentieri…» commentò invece docilmente Yahaba. Hajime gli scoccò uno sguardo di biasimo e gli fece cenno di far silenzio premendosi l’indice sulle labbra. Rischiavano già tanto a starsene accalcati ad origliare con l’orecchio appiccicato alla porta dell’ufficio, se qualcuno si fosse messo anche a commentare, sarebbero stati prontamente scoperti e cacciati.
Ormai andava avanti da mezz’ora: il giorno prima Oikawa non era più stato in grado di sostenere gli allenamenti per il dolore al ginocchio, nel pomeriggio aveva finalmente visto un medico, e quella mattina si era presentato a scuola con una stampella ed un certificato medico per giustificare l’imminente ricovero. Hajime non l’aveva mai visto tanto devastato e pentito, ma al coach Mizoguchi non era giustamente bastato il suo rammarico. Checché ne dicesse lui, senza l’attuale capitano avrebbero superato sì o no i quarti di finale, fine della storia, delle fasi nazionali si sarebbe potuto discutere solamente l’anno successivo. Sperava almeno che l’amico avesse la decenza di imparare dai propri errori in futuro.
«E non provare a fare la faccia da cane bastonato, forse puoi intenerire qualcun altro con queste cose, ma con me non attacca!» continuava intanto Mizoguchi.
Issei picchiettò sulla spalla di Hajime con insistenza. «Via da qui!» sussurrò nel suo orecchio «Sta arrivando Irihata!»
Si dispersero alla men peggio, fingendo inesistente disinvoltura nel salutare il professore appena arrivato. Il viso pallido di Yahaba tradiva qualche preoccupazione, ma il fatto che Takahiro se lo fosse portato via sottobraccio nel magazzino servì a non renderlo troppo palese.
«Ma per quanto tempo dovrà stare in clinica?» bisbigliò Watari quando la porta dell’ufficio si fu richiusa ed il silenzio fu tornato nell’androne d’ingresso.
«Quindici giorni, un mese… chi lo sa?» replicò con amarezza Hajime «Dipende da quanto l’ha fatta grossa, ed io so che l’ha fatta molto grossa. Fra l’altro, le dimissioni significano solo che la fase intensiva della terapia si è conclusa e che può tornare a casa, ma la riabilitazione continua. Ci vorranno mesi prima che abbia il permesso di ricominciare ad allenarsi.»
«Ma come ha fatto a non accorgersene?»
«Fidati, se n’era accorto eccome! Me n’ero accorto persino io! Peccato che ci tenesse tanto a fare lo sborone! Pensavo che il nuovo ruolo gli avesse messo del sale in zucca, ma mi sbagliavo!»
«Ragazzi» si affrettò a precisare Issei prima che fosse troppo tardi «Iwaizumi non sta dicendo che senza Oikawa non abbiamo speranze, siamo sicuri che Yahaba farà un magnifico lavoro.»
Yahaba non condivideva lo stesso ottimismo, ma si limitò ad annuire con incertezza.
«È solo che è… improvviso.» ammise Yuda[3] prima che potesse farlo lui.
Hajime non aveva mai inquadrato Yuda nel corso dell’anno precedente, di lui avrebbe potuto dire solamente che era un ragazzo volenteroso e quieto, a parte qualche esplosione di melodrammaticità quando il suo servizio finiva sulla rete.
«Non piangere, Kaneo.» lo stuzzicò Sawauchi dandogli un colpetto col gomito.
«Non ho alcuna intenzione di piangere!»
«Ma se hai gli occhi lucidi?» osservò Takahiro divertito.
«Mi è entrato qualcosa nell’occhio, questa palestra è piena di polvere!»
«Guarda che ieri ho pulito io» fece presente Shido «E non ti permetto di svilire la faticaccia che ho fatto. Non mi è sfuggito neanche un singolo granello di polvere.»
Se non altro Yuda aveva il merito di alleviare per qualche minuto la tensione. Hajime approfittò per richiamare gli altri all’ordine ed esortarli ad iniziare il riscaldamento, obbligo che solitamente perteneva ad Oikawa ma che per qualche tempo sarebbe spettato a lui.
Quando Oikawa uscì zoppicando dall’ufficio, trascinandosi goffamente sulla stampella e accompagnato dai due allenatori, non ci fu tuttavia verso di trattenerli. Lui per primo non resistette alla tentazione di avvicinarglisi, ed il gruppo gli si raccolse ansiosamente intorno.
«Oikawa si prende una pausa per curare il suo ginocchio.» ufficializzò Mizoguchi con durezza «Quindi non giocherà con voi i preliminari di ottobre.»
«Ma tornerà dopo, no?» propose speranzoso Yuda.
«Tornerà quando il suo ginocchio sarà perfettamente guarito.» puntualizzò Irihata con un sorriso indulgente «Perciò quanto più riposerà, tanto prima riuscirà a tornare.»
Oikawa evitava accuratamente di incrociare lo sguardo dell’amico, conscio che vi avrebbe trovato solo biasimo e disapprovazione. Ad Hajime però vederlo in quello stato non faceva affatto bene, o nello specifico, gli faceva prudere intensamente i palmi delle mani con quella faccia da schiaffi, ma in fin dei conti non riusciva a pensare “Te lo sei meritato, subiscine le conseguenze”.
«Mi dispiace tanto ragazzi... so che contavate su di me e che vi avevo promesso che quest’anno saremmo arrivati insieme alle fasi nazionali, ma sono stato ugualmente troppo incosciente. È colpa mia.»
«Arriveremo alle fasi nazionali anche per te, capitano!»
«Grazie, Watacchi.» rispose non molto convinto.
«Ci mancherai, Oikulo.» lo rassicurò Takahiro «Ma verremo a trovarti in clinica e ti porteremo un sacco di schifezze da mangiare durante la degenza. Issei, tu che nei dici?»
«Non fatelo ingrassare!» li ammonì Irihata «Quando tornerà dovrà essere in forma!»
«E schifezze siano!» sentenziò Issei «Hajime, ci dai il permesso di ingrassarlo come un vitello?»
«Per me potete anche mangiarlo come un vitello, non devo darvi proprio nessun permesso.»
«Iwa-chan, sei sempre più crudele!» piagnucolò l’interessato.
«E tu sei sempre più demente!» lo rimbrottò stizzito.
«Quindi tu non verrai a trovarmi?» gli domandò con lo stesso tono supplice con cui, quando erano bambini, gli chiedeva di portarlo con sé durante sue battute di caccia all’insetto, che in genere si concludevano quando l’altro strillava spaventato perfino dalle farfalle, costringendolo alla ritirata. Eppure la volta successiva gli avrebbe chiesto ancora di poterlo seguire, nonostante ne avesse paura a morte. E lui tutte le volte, glielo permetteva.
«Certo che verrò a trovarti.» si arrese «Se stai troppo tempo senza di me, combini casini.»
«Iwa-chan, quello che dici è molto romantico.»
«Ti rompo l’altro ginocchio.»
«Questo non lo è.»
«Perdonami, pensavo che, viste le tue recenti disavventure, ti piacessero queste cose.» osservò maligno.
«Questa è proprio cattiva!»
~
L’entusiasmo di Kaori si era esaurito una settimana dopo l’inizio del nuovo regime. Correre ininterrottamente per venti minuti prima dell’inizio dell’allenamento vero e proprio le aveva quasi fatto rimpiangere i metodi ben più permissivi di Hattori, e tutte quelle proteste sul fatto che non avessero abbastanza giocatrici per coprire le riserve di tutti i ruoli le sembravano immotivate, oltre a metterle addosso un certo senso di inutilità. Arisu queste cose le sapeva perché, al termine delle due ore di tortura, l’amica si era accasciata accanto a lei, sull’orlo delle lacrime.
«Non ne uscirò viva, lo so.» si lamentò esausta.
«Kaori-chan, non è il caso di farne una tragedia, si tratta solo di abituarsi.»
«Sono molto pentita di essere stata così felice della sua nomina!»
«Io invece penso che faccia bene il suo lavoro di coach. Per ora non ci conosce molto bene, quindi è naturale che sia molto esigente, ma col tempo migliorerà tutto.»
La situazione di per sé era già abbastanza anomala: l’ottimismo di Kaori era generalmente impossibile da scalfire, eppure era infine giunto qualcuno in grado di farlo. Arisu stessa nutriva i suoi dubbi sulla nuova recluta del preside Kurihara, che appariva decisamente troppo concentrata sull’idea di mettere su una formazione all’altezza di quelle che l’avevano preceduta anni e anni prima, nell’epoca d’oro del club femminile dell’Accademia. Se non altro, però, Arisu era riuscita ad ottenere dei complimenti, perciò riusciva a sentirsi vagamente adeguata al nuovo progetto.
«Horie non riuscirà mai a fare quello che pretende, non è portata per l’attacco.» commentò soprappensiero Kaori. «Nessuna di noi, a parte le senpai Yoshida e Hoshino, è veramente portata per l’attacco. Di come voglia farla questa squadra, io proprio non ne ho idea. E la storia del controllo delle presenze? Ha chiamato all’appello anche quelle che si sono ritirate, mi mette i brividi…»
«Quando ha realizzato che erano le senpai del terzo anno che sono andate via, le ha cancellate dalla lista. Okamoto mi ha fatto dare un’occhiata al registro, quindi l’ho visto di persona.»
«Non poteva osare tanto da andare a chiamare qualcuno che si è ritirato, in effetti.» considerò Kaori.
«Sai, Kaori-chan, quando parlava di rafforzare l’attacco a destra… a me non è sembrato che si riferisse a Horie. È una persona sufficientemente preparata da capire che lei non ha i requisiti necessari per quel genere di schemi.»
Kaori annuì concorde. «Non era una mia impressione allora.» rispose con un sorriso stanco.
«Non ha cancellato Ikeda e Sakurai dall’elenco.»
La bionda staccò le spalle dalla parete a cui si era appoggiata e si sporse in avanti per guardarla meglio, dubbiosa riguardo le sue parole ma, allo stesso tempo, appena eccitata.
«Cosa spera di ottenere? Mikoto non risponde neanche al telefono! Certo, se riuscisse a trascinarla qui sarebbe stupendo! A te non manca?»
«Chi, Ikeda?» ribatté con disappunto «C’è mai stata?»
«Non potevi non notarla, Arisu-chan: è alta più di un metro e ottanta e stava proprio lì, sotto la rete.» scherzò l’altra accennando al campo con la mano paffuta. «Non che parlasse mai con nessuno.»
«Francamente, in confronto ad Ikeda, Sakurai era eloquente ed amichevole, un angelo del paradiso.»
«Sono due cose diverse… Sakurai è un po’ aggressiva e arrogante, Mikoto è…»
«Snob e terrificante.» completò Arisu prontamente.
«Snob sì, terrificante no. Non è spaventosa come dite tutti.»
«Come fai a dire una cosa del genere? Una volta l’ho urtata nello spogliatoio e mi ha fatto un’occhiataccia tale da raccapricciarmi. Dopo soli due minuti sono inciampata in una panca e mi sono fatta male. Un cerotto in più o uno in meno non fa molta differenza, ma è stata lei.»
«Siete esagerate con questa storia delle iettature!» obiettò Kaori «La maggior parte delle volte sono solo coincidenze.» precisò con scetticismo.
«Sarà come dici, ma in ogni caso tu vedi troppo il buono nelle persone: ad esempio Sakurai non era un po’ aggressiva e arrogante, era decisamente aggressiva ed arrogante.»
«E nonostante tutto ti manca, sei sicura che sia io quella che vede troppo il buono nelle persone?»
«Ogni tanto mostrava qualche raro sprazzo di umanità, e non l’ho conosciuta abbastanza bene da poter esprimere un giudizio.» spiegò Arisu sollevando le spalle.
«Perché ne parli al passato? Grazie al cielo non è mica morta…»
«Perché sono sicura che non tornerà, neanche se professore referente e coach andassero personalmente a casa sua a cercare di convincerla. E se ipoteticamente tornasse, immagino che sia ormai profondamente diversa da come era prima.»
«In senso positivo o negativo?»
«Chi può saperlo? Forse entrambi.»
Non aveva senso interrogarsi, in ogni caso. La scuola sarebbe ricominciata il lunedì successivo, e di Sakurai ancora nessuna traccia. L’aria cominciava a diventare più fresca e sopportabile, il sole aveva perduto una parte della propria intensità, gli studenti del primo anno strepitavano già in previsione dell’imminente gita in montagna, bisticciavano per messaggi su chi sarebbe dovuto stare in gruppo con chi. Ad Arisu non interessava con chi fosse finita in gruppo: se non fosse stata obbligata a scegliere esclusivamente fra le compagne della propria classe, avrebbe di sicuro fatto carte false per rimanere con Kaori, che ancora sperava che anche Ikeda partecipasse. Si riteneva fortunata ad aver stretto amicizia con lei, che era l’unica coetanea che le fosse rimasta nel club nonché una delle poche che non si lasciasse intimidire dai capelli rosa e dal piercing sul naso. Era solo facciata, in ogni caso: sotto il trucco e la faccia truce, era rimasta la stessa ragazzina con i capelli raccolti in una coda che pareva quella di uno scoiattolo e che troppo spesso era disposta a farsi in quattro per i propri amici, finendo spesso per accollarsi responsabilità che non la riguardavano.
E pensare che all’inizio si era convinta di essere veramente cresciuta.
~
Il sabato mattina era il giorno di visite consistenti: a quelle quotidiane della propria famiglia e di Iwaizumi, si aggiungevano Hanamaki e Matsukawa, e – di tanto in tanto – del resto dei ragazzi della squadra o di qualche compagno di classe particolarmente premuroso disposto a prestargli gli appunti delle lezioni ormai cominciate da una settimana. Di certo non poteva dirsi che Tooru fosse di buon umore: non aveva affatto mandato giù la sospensione temporanea dalle attività del club, né riusciva a perdonarsi di essersi ridotto a quel modo con le proprie mani, o con le proprie gambe, così come lo aveva corretto il medico il primo giorno di trattamento.
Iwaizumi non aveva più detto una sola parola al riguardo, preoccupato com’era, ma Tooru continuava a ripetersi che avrebbe dovuto ascoltarlo dall’inizio. Se era finito in una situazione tanto estrema, doveva rimproverare solo sé stesso e l’ostinazione con cui si era fissato su Sakurai, scomparsa d’improvviso dopo l’aggressione di Hattori, senza nemmeno ringraziarlo a dovere per averle salvato la vita. Era ovvio che, nonostante per lei si fosse preso un pugno nello stomaco ed avesse ultimamente affaticato al limite il proprio ginocchio, la ragazza non avesse alcuna voglia di ricambiare le sue gentilezze.
Sgranocchiava quindi mestamente le patatine che Hanamaki aveva lasciato in camera sua poco prima di andar via con gli altri. Quello di portargli schifezze il sabato mattina e trangugiarle tutti insieme era diventato ormai un rituale importante, alla faccia della linea che avrebbe dovuto mantenere, ma era così depresso che solamente il cibo spazzatura era in grado di sollevargli il morale. Gli venne in mente che avrebbe dovuto chiedere ai ragazzi di portare dei marshmallow disgustosamente dolci il giorno successivo e così, con le mani unte, raggiunse il cellulare sul comodino.
Vagamente seccato, fece per ignorare un messaggio di cui doveva essergli sfuggito il trillo e ne lesse accigliato la notifica nella barra superiore. Aggrottò la fronte: si trattava di un numero che non aveva registrato in memoria. Sarebbe potuta essere una ragazza a cui qualcuno aveva dato il suo numero, che cercava di attaccar bottone contando di sfruttare la sua attuale condizione di infortunato.  
Incuriosito, procedette ad aprirlo.
«Ciao! Ho saputo del tuo ginocchio, come stai?»
 

[1] La meteoropatia è un disturbo che si verifica con il cambiamento del tempo atmosferico. Quella a cui Iwaizumi si riferisce è la meteoropatia secondaria, in particolare quella reumatica. E no, non è come sostiene lui: possono soffrirne anche persone molto giovani.
[2] Il “ginocchio del saltatore” è il nome con cui è comunemente nota la tendinite/tendinosi rotulea, ovvero un’infiammazione dei tendini del ginocchio tipica degli atleti che effettuano frequentemente dei salti.
[3] Kaneo Yuda è uno dei ragazzi dello stesso anno di Oikawa. Appare nel capitolo extra del manga incluso nel volume 17. Gli altri due sono Heisuke Shido e Motomu Sawauchi. Non ho avuto l’occasione di presentarveli in azione nei capitoli precedenti, ma c’erano ogni volta che si faceva riferimento al club in generale. Nella mia testa sono una sorta di “gruppetto a parte” perciò non hanno (o almeno non per ora) tutta questa confidenza con i ragazzi dello stesso anno.

NOTE FINALI

Mi prendo una pausa da questo periodo compulsivo per aggiornare con questo capitolo, questi intervalli lunghissimi sono dovuti alla tesi, che al momento è la mia priorità insieme all'ultimo esame. Se siete ancora qui, quindi, grazie per avermi attesa!
L'idea era scrivere un capitolo in cui Megumi non apparisse nemmeno una volta di persona, e credo di avercela fatta anche se ho la sensazione che sia un capitolo un po' frettoloso. Come al solito, se ci sono refusi ed orrori vari fatemelo sapere in modo che possa occultare subito ogni traccia.
Ora, ad un certo punto di questo capitolo si parla di chi si occuperà dell'allenamento delle ragazze e sono stata particolarmente attenta a non lasciare nessun indizio sul sesso maschile o femminile di questa persona, perché sarebbe divertente sapere di chi pensate che si tratti. Ovviamente devo dirvi che 1) è un personaggio originale e 2) nei capitoli precedenti è già comparso il suo nome. Quindi se avete qualche idea di chi sia, scrivetemelo dove volete (recensioni, messaggi, facebook, segnali di fumo, ecc...), se tutto va bene avrete a disposizione ancora un altro capitolo prima che il mistero sia svelato.
Grazie ancora a tutti quelli che seguono ancora il mio piccolo disastro, a chi lo aggiunge alle liste, recensice o semplicemente legge. Siete i migliori ;)
E anche per questa volta, è tutto. Siate buoni <3
Alla prossima (si spera presto e a cuor leggero) ;)

   
 
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