Ludwig fu
avvolto dall’aria gelida carica di fiocchi di neve
appena aprì la porta dell’edificio. Sulla neve
erano rimaste le impronte che il
fratello aveva lasciato correndo fuori senza alcun apparente motivo.
Ludwig si strofinò il braccio dove Gilbert lo aveva urtato
violentemente e
fatto quasi perdere l’equilibrio; non si era scusato
né si era fermato ad
aiutarlo, aveva semplicemente continuato a correre come un pazzo. Il
ragazzo
biondo non sapeva davvero cosa pensare, ma una cosa era certa, non
aveva mai
visto suo fratello in quello stato di agitazione.
Questo lo preoccupava.
Alzò
il bavero del cappotto con le mani guantate mentre seguiva le
orme del fratello tra i fiocchi di neve che cadevano incessantemente.
In realtà
Gilbert non si era allontanato molto e Ludwig lo trovò
appoggiato contro un
muro dietro un edificio vuoto.
Era davvero in pessime condizioni.
L’albino
aveva smosso tutta la neve intorno a sé come se fosse
caduto nel punto in cui Ludwig lo aveva trovato e si poggiava al muro
con le
mani mentre vomitava.
Ludwig distolse lo sguardo disgustato per non vedere la cena che
avevano
assaporato qualche ora prima rigettata tra la neve e si
schiarì la voce per
farsi notare dal fratello.
“Hai…
hai mangiato qualcosa che ti ha fatto male?” Chiese
prudentemente.
Gilbert
ebbe un altro conato di vomito, poi tossì pesantemente e
cercò di raddrizzarsi pulendosi la bocca con una manica. Il
gesto disgustò
ancor di più il ragazzo che sentì il suo stomaco
rivoltarsi.
“No,
no… non è stato il cibo… non
è stato lui…”
Lo
sguardo del ragazzo dai capelli argentei era sgranato e lucido.
Ludwig riusciva a distinguere soltanto gli occhi e i capelli del volto
del
fratello in quanto si confondeva alla neve tant’era pallido.
Gilbert sosteneva che non era stato il cibo, ma allora cosa aveva
potuto ridurre
così un uomo dal carattere forte, arrogante ed esuberante
come il suo?
Ludwig
rimuginò sulla questione mentre guardava dubbioso il
fratello cercare di ricomporsi e fare qualche passo. Gilbert
però non si era
ancora del tutto ripreso dallo shock e barcollò pesantemente
sulle proprie
gambe finendo in ginocchio nella neve. Subito il fratello gli fu vicino
ad
assisterlo.
L’amministratore del campo tremava come una foglia al freddo
invernale e le sue
labbra cominciavano a perdere colore. Ludwig cercò di
rimetterlo in piedi ed
aiutarlo a camminare fino alla sua stanza.
“Cos’è
successo Gilbert? Non ti ho mai visto così prima
d’ora!”
Disse cercando di camuffare il tono preoccupato della sua voce senza
riuscirci
bene. Era vero che non lo sopportava, ma era pur sempre suo fratello
maggiore, era
stato cresciuto da lui e gli era stato accanto nel bene e nel male.
Ludwig non
poteva dire di provare soltanto sentimenti negativi nei suoi confronti.
“Una
catastrofe…” Rispose con voce alterata
l’albino.
I piedi
sprofondavano nella neve ormai alta quasi trenta
centimetri come coltelli nel burro. Ludwig era rimasto senza parole nel
sentire
la risposta del fratello e sentì la sua preoccupazione
aumentare. Rimase in
silenzio per tutto il tragitto finché non arrivarono alla
porta dell’edificio
delle guardie. Una volta entrati il suo sguardo si posò
sulla libreria nel
corridoio dove Gilbert lo aveva mandato quasi a gambe
all’aria e gli venne
un’intuizione.
Le lettere.
Deglutì nervosamente iniziando a temere la notizia che aveva
ridotto suo
fratello così.
Lentamente
la tensione nel corpo di Gilbert lasciò il posto alla
debolezza e al languore. Cercò di camminare da solo e non
appoggiarsi a suo
fratello ma le sue gambe non rispondevano bene ai suoi comandi.
Quando Ludwig stava per imboccare le scale che portavano alle camere
private
delle varie guardie Gilbert lo fermò e gli indicò
invece la porta del suo
studio.
Ludwig capì al volo che la questione era così
urgente da dover essere discussa
immediatamente.
Una volta
dentro l’ufficio Ludwig rimase interdetto dal disordine.
In realtà non era una stanza disordinata ma semplicemente
non sembrava
l’ufficio del perfetto Gilbert che aveva la mania di ordinare
e pulire ogni
singolo centimetro quadrato. La sedia della scrivania giaceva
dimenticata su un
fianco sul pavimento mentre la stufa a legna che riscaldava la stanza
era ormai
quasi spenta. Sulla scrivania diverse lettere erano accatastate in un
angolo
mentre un foglio spiegazzato e la sua busta da lettere occupavano il
centro del
mobile.
Alla vista della lettera sulla scrivania Gilbert aggrottò le
sopracciglia, ma
non disse nulla.
Velocemente
il ragazzo si staccò dal fratello e andò alla
scrivania dove prese il foglio abusato.
Anche se la tensione era svanita lasciando il posto alla debolezza
fisica la
mente di Gilbert era un caos totale. Non riusciva a pensare a qualcosa
di
coerente, non riusciva a trovare una soluzione o almeno a far chiarezza
sulla
vicenda per cercare di organizzare un piano alternativo.
L’unica cosa che riusciva a pensare era che volevano
ammazzare Matthew.
“Questa
è una lettera arrivata direttamente dal governo
tedesco”
Disse con voce tremante. Ludwig si avvicinò alla scrivania
concentrandosi sul
fratello e sulla lettera.
Gilbert
si prese qualche istante per cercare di riordinare le
idee. Ludwig doveva assolutamente sapere di quell’ordine, in
realtà tutti
dovevano saperlo per poter organizzare in modo rapido la ritirata nel
territorio sicuro. Ludwig inoltre sarebbe stato d’accordo con
lui sul non
abbandonare i prigionieri e fare in modo di salvarli in qualunque modo
anche se
questo avrebbe significato disobbedire a un ordine diretto dei loro
superiori.
Ma come avrebbe spiegato a suo fratello questo improvviso interesse per
persone
che pochi mesi prima reputava oggetti di scarso valore con cui poter
giocare
liberamente?
Gilbert non si sentiva ancora pronto ad ammettere il suo interesse nei
confronti di Matthew a qualcuno, soprattutto se quel qualcuno era suo
fratello,
una persona rigida che quasi non provava sentimenti.
Lo sguardo di ghiaccio del fratello
gli stava perforando il corpo mettendogli ansia e facendolo sentire
sotto
pressione. Infine iniziò a parlare senza riflettere.
“Il
governo ci informa che i russi stanno penetrando nel
territorio tedesco e che dobbiamo abbandonare il campo di
concentramento
immediatamente”
“Cosa?
I russi? Non è possibile, loro… No, non posso
crederci…””
Esclamò Ludwig perdendo la sua tipica compostezza.
Quella era una notizia sconvolgente. Nessuno si sarebbe aspettato un
contrattacco dei russi nel cuore del territorio tedesco. Questo
significava che
avevano i minuti contati, che dovevano lasciare immediatamente quei
luoghi
perché se fossero stati trovati dall’Armata Rossa
sarebbero stati con ogni
probabilità fucilati a vista.
Ma questo significava anche altri moltissimi problemi collaterali.
Ludwig sentì una scossa di puro terrore percorrergli tutta
la colonna
vertebrale.
“E
i prigionieri? Cosa ne facciamo dei prigionieri?”
Gilbert
si aspettava quella domanda ma non aveva una risposta da
dare. Non sapeva davvero cosa fare, era una situazione molto delicata,
molto
ostica e così improvvisa...
Inoltre in quel momento non poteva certo definirsi lucido.
“Loro
non possono rimanere qui, loro… loro verranno sicuramente
uccisi. I russi non hanno pietà di nessuno”
Gilbert
notò con stupore che suo fratello si stava agitando.
L’uomo dall’aspetto puramente ariano che aveva
sempre controllato in modo
impeccabile le sue emozioni si stava sgretolando velocemente davanti i
suoi
occhi lasciando il posto all’incertezza e alla paura.
Gilbert non sapeva spiegarselo. Forse Ludwig aveva paura
dell’arrivo
dell’Armata Rossa e di tutto quello che ne sarebbe
conseguito, forse non voleva
rischiare di essere ucciso o di diventare prigioniero dei russi.
Quest’idea
però era del tutto sbagliata perché Ludwig non
aveva mai mostrato di temere il
fronte o qualsiasi scontro con il nemico, di qualunque genere.
Allora cos’era che stava spaventando così tanto
suo fratello?
L’albino
guardò il fratello negli occhi. Il suo sguardo era
sgranato e terrorizzato, con un alone di ansia e apprensione che
offuscava quel
bel azzurro ghiaccio. A Gilbert ricordò il suo sguardo
quando lo intravide nel
riflesso del legno della sua scrivania nel momento in cui aveva appena
letto la
lettera.
Un’intuizione lo colpì come un fulmine e quasi lo
lasciò senza fiato.
L’italiano.
Non poteva crederci. Era semplicemente ridicolo. Tutta quella faccenda
era
ridicola.
“Dobbiamo
fare qualcosa Gilbert, non possiamo abbandonarli qui. Li
condanneremo a morte certa! Loro devono essere aiutati, non ce la
faranno da
soli, non hanno cibo a sufficienza, non sanno nemmeno dove andare e
sono fisicamente
deboli. Lo so che sono soltanto dei prigionieri, però io non
posso abbandonarlo…!”
Ludwig
interruppe di colpo la sua filippica sconvolto. Rimase a
bocca aperta a fissare suo fratello con uno sguardo colpevole.
Gilbert rimase in silenzio per un istante a squadrare il volto del
fratello.
Non aveva mai visto Ludwig appassionarsi così tanto per
qualcosa, in realtà non
aveva mai visto il fratello esprimere alcun tipo di sentimento che non
fosse
rabbia o fastidio. Eppure quel lapsus aveva confermato le sue ipotesi e
smascherato i suoi veri sentimenti.
L’albino sentì un forte sentimento di simpatia
diffondersi nel petto. Ludwig
era il suo fratellino e il compito di ogni fratello maggiore era quello
di
proteggere il proprio fratellino e renderlo felice. Inoltre sembrava
che
entrambi tenessero a determinate persone che volevano assolutamente
proteggere.
Piegando
il foglio su sé stesso Gilbert riacquistò in
parte la sua
tipica sicurezza sfrontata e guardò il fratello dritto negli
occhi con uno
sguardo serio.
“Loro
verranno con noi. L’ordine è di sgomberare il
campo di tutti
i documenti compromettenti e di tutti i prigionieri prima che arrivino
i russi.
Non so che fine faranno i prigionieri una volta arrivati in Germania,
ma
comunque non verranno abbandonati qui”
Ecco, era
fatta.
Insubordinazione e alto tradimento.
Era nei guai fino al collo.
Ma vedere il volto di suo fratello rilassarsi dal sollievo valeva tutto
questo.
Secondo
la più grande menzogna che avesse mai detto nella sua vita
i prigionieri avrebbero lasciato il campo con loro. Questo significava
organizzare una grande deportazione di massa dal campo prussiano, dove
si
trovavano, ai territori tedeschi cercando di risparmiare tempo, di
trovare le
vettovaglie per la maggior parte di loro e di sperare che i fisici
debilitati
di quelle povere anime reggessero lo sforzo di quell’esodo.
Sembrava impossibile ma dovevano farlo, solo così si
sarebbero potuti salvare
tutti.
Ludwig,
ormai ritornato il ragazzo stoico di sempre, annuì con uno
sguardo serio.
“Come ci organizzeremo? Stando alla lettera non sappiamo dove
sono i russi ed è
possibile che abbiamo poco tempo ormai”
Gilbert
annuì a sua volta pensieroso.
“Domani raduneremo tutte le guardie del campo e prepareremo
le squadre d’azione
per organizzare la partenza sia di guardie che di prigionieri. Dobbiamo
assolutamente recuperare più cibo possibile e dobbiamo
eliminare tutte le prove
della permanenza dei prigionieri qui”
Piegò
ulteriormente la lettera, poi si girò a sistemare la sedia e
le lettere che erano state ignorate fino a quel momento.
“La
lettera mi ha colto davvero di sorpresa, sto ancora cercando
di elaborare il suo contenuto”
In effetti era vero, ancora non si capacitava che una cosa simile
stesse
accadendo proprio in quel momento e proprio a lui.
Ludwig non rispose e per alcuni istanti l’unico rumore nella
stanza era il
vento carico di neve che ululava fuori dalla finestra chiusa.
Gilbert era assorto nel riordinare le carte già ordinate
della sua scrivania.
Non sapeva più cosa dire al fratello per non cadere in
trappola e smascherare
la sua bugia e stava sperando con tutto il suo cuore che lo lasciasse
solo.
Infine Ludwig sospirò e si passò la mano tra i
capelli biondi.
“Dicono
che la notte porti consiglio. Credo che il riposo ci
aiuterà a trovare delle soluzioni a questo problema.
Buonanotte Gilbert” E
senza aggiungere altro o aspettare la risposta del fratello
lasciò la stanza
chiudendosi alle spalle la porta.
Appena
rimasto solo Gilbert agguantò con forza il pezzo di carta
piegato e alzandosi si avvicinò alla stufa quasi spenta.
Doveva assolutamente
disfarsi di quella lettera, non poteva rischiare di essere scoperto
dalle altre
guardie, lo avrebbero additato come traditore e ucciso sul momento.
Prendendo
un attizzatoio dal gancio, aprì lo sportello della stufa e
attizzando i carboni
ormai quasi morti buttò la lettera tra di loro.
Osservò
il fuoco mangiare la carta fino a quando non ne rimase che
cenere. Gilbert non sapeva spiegarsi il perché ma sentiva
che il fuoco non
aveva bruciato soltanto quel maledetto pezzo di carta ma anche una
parte di sé
stesso.
Imputò quella sciocca sensazione alla stanchezza.
La
mattina dopo Ludwig si trovava affianco a suo fratello davanti
la schiera di guardie ordinata in file perfette. Lui e Gilbert erano
saliti su
un piccolo palchetto che si trovava nello spiazzale principale del
campo dove
di solito venivano comunicate le notizie più importanti,
come in quel giorno.
Ludwig si sentì tutti gli occhi puntati addosso
finché il fratello non cominciò
a parlare a gran voce al pubblico.
“Signori,
stamattina vi ho convocato qui prima dei lavori
quotidiani per una comunicazione urgente e di vitale
importanza” Fece una pausa
d’effetto lasciando che il suo sguardo vagasse su tutti i
soldati che in
silenzio ascoltavano le sue parole “Con l’ultimo
approvvigionamento è arrivata
una comunicazione firmata dal portavoce del Fuhrer”
Si
alzò un leggero mormorio. I soldati cominciarono a
scambiarsi
parole a bassa voce guardandosi gli uni con gli altri con apprensione.
Le
comunicazioni che arrivavano direttamente dal portavoce del Fuhrer non
erano
mai un buon segno e spesso non portavano buone notizie.
Ludwig guardò Gilbert che con un gesto azzittì il
mormorio. Era sempre stato
una persona carismatica, che riusciva ad essere al centro
dell’attenzione con
grande abilità e non voleva perdersi la
possibilità di poterlo osservare da
vicino. Non lo avrebbe mai ammesso, ma ammirava alcuni aspetti di suo
fratello.
“La
lettera comunica l’avvistamento dell’armata russa
in
territorio polacco” Si levò un forte brusio che
Gilbert tentò di calmare con un
altro gesto “Silenzio! L’armata russa sta marciando
verso di noi. Non possiamo
più rimanere qui, dobbiamo sgomberare il campo
immediatamente!”
Il brusio
divenne in poco tempo un vociare confuso. Le guardie
persero la loro disciplina e iniziarono a esclamare, parlare, urlare
tutte
insieme verso Gilbert e verso gli altri.
Gilbert si aspettava una reazione simile, lui stesso ne aveva avuta una
ancora
più forte. Forse anche tra di loro c’era qualcuno
che si era affezionato a
qualche prigioniero e non voleva accettare questa situazione, ma
Gilbert era
contento di poterlo rassicurare con lei sue prossime parole.
Prese un profondo respiro che attirò l’attenzione
di Ludwig, che nel mentre si
era girato ad osservare la confusione generale delle guardie, e
prendendo
coraggio per quello che avrebbe dovuto dire, continuò il
discorso.
“Silenzio!
Abbiamo poco tempo e non possiamo sprecarlo così!
Abbiamo l’ordine di eliminare ogni prova di produzione
bellica e di presenza
sia nostra sia dei prigionieri. Ogni documento e oggetto
dev’essere distrutto.
Inoltre ci è stato chiesto di trasferire i prigionieri nel
territorio tedesco
in vista di un nuovo smistamento nei campi di concentramento”
Ecco, era
fatta.
Le guardie cercarono di ricomporsi e di ascoltare tutti i dettagli
dell’organizzazione dei giorni rimanenti prima della
partenza. Ludwig aveva
avuto ragione, la notte aveva portato consiglio.
Le guardie furono assegnate a dei gruppi di lavoro composti dai
prigionieri di
ogni dormitorio. Il loro compito era di sorvegliarli e guidarli nei
vari lavori
che gli sarebbero stati affidati. Un gruppo di lavoro avrebbe procurato
le
vettovaglie sia dalle rimanenze in cucina sia dai campi circostanti; un
altro
avrebbe smantellato tutti i dormitori bruciando tutti i loro contenuti;
un
altro ancora si sarebbe occupato delle fabbriche mentre un quarto
avrebbe
cercato di recuperare tutti i mezzi di trasporto disponibili nel campo
cercando
di aggiustare quelli fuori uso (quasi impossibile ma bisognava
provare).
Il medico del campo aveva il compito di rendere i malati in grado di
affrontare
il viaggio sui veicoli e sulle barelle. Nessun prigioniero sarebbe
stato ucciso
o lasciato indietro.
Quella
notizia portò non poca confusione tra le guardie.
In tutto il trambusto che si era creato con quel discorso soltanto
Roderich non
aveva dato alcun segno di stupore o di panico. Si limitò ad
osservare
insistentemente Gilbert in silenzio e con un’espressione
indecifrabile.
Dopo aver
smistato le varie guardie ai loro nuovi gruppi Gilbert
annunciò la fine della riunione e inviò le
guardie a lavoro. Scendendo dal
palco, Ludwig vide dei piccoli fiocchi di neve scendere dal cielo
nuvoloso.
“Ancora
neve? Accidenti quest’anno ha nevicato più del
solito!”
Esclamò l’albino affondando gli stivali nella neve.
Ludwig guardò i tetti degli edifici carichi della soffice
sostanza bianca con
preoccupazione.
“Spero
solo che non diventi un problema per la nostra partenza”
Pensò mentre seguiva il fratello.
Feliks si
svegliò di scatto con il cuore in gola. Non aveva
sentito nessun urlo in tedesco e questo lo preoccupava. Temendo di
essere
rimasto addormentato nonostante la sveglia delle guardie, si
precipitò fuori la
cuccetta per mettersi le scarpe temendo una punizione da Gilbert,
svegliando in
malo modo il suo compagno di cuccetta. Solo dopo essersi messo le
scarpe si
accorse che i prigionieri erano ancora tutti nelle loro cuccette,
alcuni svegli
a guardarsi intorno con uno sguardo confuso come il suo, altri come
Feliciano
che dormivano ancora beatamente.
Feliks si
avvicinò alla cuccetta di Francis che intanto si era
messo a sedere.
“Cosa
succede?”
“Non
saprei dirtelo, oggi i nostri secondini sono in ritardo!”
“Forse
oggi non si lavora?” Chiese Toris raggiungendoli.
“Ma
non dire stupidaggini, Toris! Però non è normale
che non sono
ancora venuti a svegliarci” Rispose Feliks pensieroso.
Mentre
discutevano a bassa voce di quanto fosse strana quella
situazione improvvisamente la porta del dormitorio fu aperta lasciando
entrare
un forte vento carico di fiocchi di neve che fece rabbrividire tutti.
“Fuori
feccia maledetta!”
Feliks e
Francis si scambiarono uno sguardo confuso. Le guardie
erano infine arrivate a chiamarli per il lavoro, ma non erano
né Ludwig né quel
demonio di Gilbert. Era invece una guardia quasi sconosciuta che
avevano visto
sporadicamente in giro o durante le grandi riunioni del campo.
Molto strano.
Velocemente
i prigionieri si sistemarono e uscirono nel freddo
invernale. Molti si stringevano le braccia al corpo per cercare di
scaldarsi
senza molto risultato. Francis rimase indietro come sempre per cercare
di
svegliare Feliciano, che incredibilmente quel giorno si alzò
quasi subito.
Una volta
fuori la guardia li fece mettere in fila e iniziò a
parlare. Gli fu spiegato che da lì a poco avrebbero dovuto
lasciare il campo
senza alcuna motivazione valida e che i dormitori erano stati assegnati
a nuovi
lavori speciali. Il dormitorio H3T4 era stato assegnato alla raccolta
di tutto
ciò che era commestibile nei campi adiacenti al perimetro
del campo di
concentramento.
A quelle
parole Feliks ebbe un brivido lungo tutta la schiena e
sbiancò visibilmente. Aveva sentito molte storie riguardo i
finti viaggi che i
prigionieri erano costretti a fare. Viaggi che in realtà
erano soltanto
biglietti diretti per le camere a gas.
Quei bastardi volevano farli tutti fuori.
Si
girò cercando con lo sguardo Francis, uno dei pochi che
poteva
sapere una cosa del genere essendo un veterano come lui. Anche il
francese era
sbiancato visibilmente ma cercava di camuffare il suo panico con un
atteggiamento più spontaneo possibile. Feliks
invidiò il suo sangue freddo, lui
se la stava facendo letteralmente sotto.
Dopo aver
finito il suo sermone la guardia, armata di manganello,
li costrinse a marciare verso l’uscita secondaria del
perimetro recintato per
raggiungere i campi ormai sepolti dalla neve e dal ghiaccio.
Feliks sospirò sconsolato. Non gli avevano dato nemmeno una
zappa, un forcone o
un bastone per smuovere la neve e la terra, avrebbero dovuto scavare a
mani
nude per fare un buco nell’acqua.
Cosa poteva mai crescere sotto trenta centimetri di neve?
Ludwig
alitò sulle mani sfregandole velocemente. Quella notte era
veramente gelida e il soldato biondo non vedeva l’ora di
entrare nella sua
stanza dove una stufa scoppiettante lo stava aspettando per
riscaldarlo. Si
rimise in fretta i guanti neri della divisa cercando di non disperdere
tutto il
calore.
Maledetto posto dimenticato da Dio.
Ludwig
camminava a grandi falciate nella coltre di neve altissima.
Nell’organizzazione dei nuovi gruppi di lavoro era stato
assegnato al gruppo
che si occupava del recupero dei veicoli e aveva passato tutto il
giorno a
controllare e a volte anche aiutare i prigionieri di un dormitorio a
smontare e
rimontare vecchie ferraglie a quattro ruote. Ludwig si sentiva ancora
l’odore
nauseabondo addosso di grasso e olio per macchina.
“Spero
davvero che ci sia ancora dell’acqua calda per farsi una
doccia”
Piccoli
fiocchi di neve si posavano sulle spalle e sul cappello
del ragazzo mentre cercava di proteggersi dal fortissimo vento che gli
bruciava
la pelle e gli occhi. Intorno agli edifici era buio pesto e
c’erano pochissime
luci che sporgendo dai muri illuminavano oscillando pericolosamente al
vento
piccole sezioni di strada.
Nell’aria c’era un’atmosfera quasi
lugubre e Ludwig sentì nascere dentro di sé
un’ondata di ansia.
Lasciò
la strada principale del campo per raggiungere gli alloggi
delle guardie, ma appena imboccò il vicolo si
fermò sul posto. Vicino la
recinzione, sotto una lampada che ondeggiava al vento c’era
una figura nera
immobile.
A Ludwig vennero in mente tutti quei racconti paurosi che il suo
stupido
fratello gli raccontava da piccolo quelle sere in cui i genitori non
c’erano
per spaventarlo e costringerlo a notti insonni e a chiedere di dormire
con lui.
Sentì un brivido lungo il corpo e l’adrenalina
aumentare spaventosamente.
Chi era? Cosa stava facendo lì a quell’ora della
sera?
Poi
improvvisamente sentì una voce melodiosa che a tratti
arrivava
alle sue orecchie trasportata dal vento. Quella voce cantava una
melodia molto
lenta che suscitava tristezza e angoscia.
Ludwig percepì soltanto due o tre parole, ma non ebbe dubbi
a riguardo.
Una canzone italiana.
Si
avvicinò lentamente al ragazzo cercando di essere
più discreto
possibile ma la neve scricchiolava rumorosamente sotto i suoi stivali
di pelle.
Quando si avvicinò abbastanza per distinguere i dettagli
della figura Feliciano
smise di cantare, ma non si girò per guardarlo. Se ne stava
immobile a guardare
l’oscurità oltre la recinsione aspettando che il
ragazzo lo raggiungesse.
“Cosa
ci fai qui?” Chiese Ludwig più dolcemente
possibile, ma le
sue parole uscirono così dure che nemmeno il vento
riuscì a smorzare.
Feliciano
non rispose subito. Nuvolette calde volavano via dal suo
volto e Ludwig notò con dispiacere che il suo corpo magro e
provato tremava
come una foglia per il freddo.
“Ve,
s-sto cantando…”
“Ho
sentito, una bella canzone. Però non dovresti essere qui a
quest’ora,
c’è il coprifuoco. E poi fa freddo, potresti
ammalarti seriamente se rimani qui
fuori con solo quei panni addosso” Ludwig arrossì
leggermente “Vieni con me, ti
accompagno al tuo dormitorio”
“Aspetta…
volevo almeno finire la canzone”
Ludwig
rimase interdetto a quelle parole. Feliciano stava seriamente
rischiando di prendere una polmonite o qualcosa di peggio soltanto per
cantare
all’aperto?
Il ragazzo bruno tirò su con il naso, poi finalmente si
girò a guardarlo.
“Sto
dicendo addio a mio fratello” Disse mentre le lacrime gli
rigavano il volto bruciato dal freddo.
Ludwig
rimase a bocca aperta tant’era sconvolto. Gli occhi di
Feliciano
erano rossi e gonfi di lacrime e le sue labbra di un colore bluastro.
Il suo
naso era rosso e colava mentre le sue guance erano graffiate dal vento.
Ludwig
non sapeva cosa fare, Feliciano stava piangendo davanti a lui.
L’italiano
tirò nuovamente su con il naso e si asciugò le
guance
bagnate con il dorso della mano.
“Stamattina… ci hanno detto che dobbiamo fare un
viaggio, non si sa dove… ve,
ma noi sappiamo dove… tutti lo sanno…”
Ludwig
non riusciva a capire di cosa stesse parlando. Quella
mattina Gilbert era stato così chiaro riguardo
all’ordinanza, nessuno sarebbe
stato lasciato indietro oppure ucciso. Ma allora perché
Feliciano stava
piangendo e agendo in modo così strano?
“Ve,
voi… voi volete mandarci nelle camere a gas, vero?
E’ per
questo che ci sono tutti questi preparativi, volete ucciderci”
“C-cosa?”
Riuscì a dire la guardia sgomenta. Cosa diavolo stava
farneticando quell’italiano così tutt’un
tratto?
Ludwig stentava quasi a riconoscerlo. Feliciano era stato sempre una
persona
molto allegra e spensierata, sbadata e anche piagnucolona, si, ma non
aveva mai
mostrato quell’atteggiamento prima d’ora.
“Voglio
dare a mio fratello, ovunque egli sia, il mio ultimo
saluto… perché lo so, in un modo o
nell’altro non uscirò vivo da qui!”
Feliciano mantenne il suo sguardo fisso in quello del biondo nonostante
i suoi
occhi si riempivano nuovamente di lacrime e il suo corpo veniva scosso
dai
singhiozzi.
Ludwig
scosse la testa a quelle parole. Si rifiutò di accettare la
visione di Feliciano sconvolto dal pianto.
Questo era troppo.
Con pochi passi accorciò la distanza che li separavano e
avvolse il fragile
corpo del prigioniero in uno stretto abbraccio. Feliciano
sgranò gli occhi per
la sorpresa mentre il suo volto affondava nella spalla del soldato.
Ludwig lo strinse forte a sé senza dire nulla per alcuni
interminabili istanti in
cui il suo cuore minacciava di uscire dal suo petto, poi
sospirò lentamente e
strinse ancor di più il ragazzo a sé.
“Non
dire stronzate, Feliciano. Non permetterò che ti uccidano,
non permetterò nemmeno che ti tocchino. Farò
tutto il possibile per proteggerti.
Tu rivedrai tuo fratello” E velocemente gli spiegò
dell’ordinanza ricevuta la
sera prima.
Nella sua
mente un crogiolo di voci urlavano contemporaneamente.
Alcune lo accusavano di essere diventato pazzo, di agire senza pensare,
di compiere
la più grande sciocchezza che potesse mai fare, altre invece
urlavano disperate
temendo le conseguenze di quel gesto. Una su tutte però
faceva valere il suo
suono riuscendo a coprire tutte le altre.
Era la voce che urlava il sentimento che provava per Feliciano.
L’italiano
non rispose. Rimase immobile nelle braccia ben allenate
del biondo per alcuni istanti, poi fece per allontanarsi quel tanto che
bastava
per poterlo guardare negli occhi. I suoi occhi erano ancora grandi,
acquosi e
rossi per il pianto, ma i suoi lineamenti si erano ammorbiditi e un
piccolo
sorriso iniziava a nascere sul suo volto. Ludwig rimase incantato da
quello
sguardo così dolce, notando anche come le guance cotte dal
freddo iniziavano a colorirsi
per altri motivi.
Infine l’italiano sorrise:
“Ve…
sei così caldo”
Ludwig si
chinò verso il ragazzo. Le sue labbra incontrarono
quelle fredde e livide del ragazzo e per pochi istanti che sembrarono
un’eternità
i due si scambiarono un casto bacio.
Quando Ludwig si allontanò l’imbarazzo fu
così grande che distolse lo sguardo
arrossendo vistosamente.
“S-scusami,
io non volevo, io…”
“Ve!
Non scusarti, in realtà… mi piaci dalla prima
volta che ti ho
visto alla stazione”
Ludwig
tornò a guardare Feliciano incredulo. L’italiano
aveva un
sorriso genuino sul volto e lo guardava dolcemente. Ludwig era
sconcertato
dalla schiettezza del ragazzo. Aveva sentito parlare della totale
assenza di
pudore e di vergogna degli italiani, ma non credeva che ciò
arrivasse a tanto.
Nonostante ciò non poté fare a meno di sorridere.
“Una
guardia e un prigioniero che si innamorano… non ti sembra
comica come cosa?
“Si,
si lo è” Rispose Ludwig sorridendo amaramente.
“Mi
basta sapere i tuoi sentimenti. Sapevo fin dall’inizio che
era
impossibile come cosa, ma… ve, mi basta sapere che i miei
sentimenti sono
corrisposti!”
Ludwig
appoggiò la fronte su quella di Feliciano.
“Si,
lo sono… ma non possiamo…”
“Ve,
so anche questo, non sono stupido-“
Improvvisamente
Feliciano starnutì violentemente. Il suo corpo
tremava come una foglia tra le braccia del biondo. Ludwig
scompigliò i suoi
capelli bruni con la sua mano guantata.
“Avanti,
andiamo al tuo dormitorio prima che ti ammali sul serio”
“No
aspetta!” Feliciano tirò la mano di Ludwig quando
questo fece
per allontanarsi “Posso… posso avere altri di quei
baci?”
“Adesso?”
“Anche
domani, o il giorno dopo. Ve, io vorrei poterti stare sempre
vicino, e ora che so quello che provi lo vorrei ancora di
più!”
Ludwig
rimase a pensare per qualche istante, poi sorrise al ragazzo
bruno.
“Vediamoci
domani sera in questo stesso posto. Cerca di non farti vedere
da nessuno. Va bene?”
Feliciano
lo raggiunse e, in punta di piedi, gli diede un piccolo
bacio sulle labbra.
“Si”
Ludwig si
sentiva agitatissimo. Aveva appena baciato e confessato
i suoi sentimenti a un prigioniero e invece di sentirsi sbagliato si
sentiva
incredibilmente bene. Sperava davvero di poter iniziare una relazione
con
Feliciano, anche se clandestina, e segretamente sperava anche di
imparare
presto a baciare e a fare altre cose che aveva letto in alcuni libri
ormai
censurati. Ma soprattutto sperava di poter riscattare la
libertà di Feliciano
una volta che avrebbero raggiunto la Germania.
Ma per ora doveva riportarlo al suo dormitorio.
Quella
notte Toris si svegliò di soprassalto in preda ai sudori
freddi. Cercando di calmare il battito accelerato del suo cuore si
sedette e
iniziò a respirare lentamente cercando di non pensare
all’ennesimo incubo che
aveva appena sognato. La storia delle camere a gas lo aveva turbato
moltissimo,
ma si sentiva più tranquillo dopo aver parlato con
Feliciano. Il ragazzo
sembrava incredibilmente sicuro che i loro secondini non stessero
tramando per
la loro morte.
La luce
della luna penetrava debolmente dalle finestre ostacolata
dalle nuvole sospinte dal forte vento invernale, lasciando
l’interno
dell’edificio quasi al buio totale.
Da fuori arrivava il parlottare di due persone. A Toris sembrarono la
voce dal
forte accento tedesco della guardia di turno e la soave voce francese
di
Francis.
Affianco a sé sentì il corpo di Feliks agitarsi.
“Toris!
Toris, stai bene?” Sussurrò il polacco.
“Si…
scusami se ti ho svegliato… di nuovo”
Feliks si
girò sulla schiena e poco dopo si mise a sedere
lanciando un sorriso al suo compagno di cuccetta.
“Non
preoccuparti, in realtà non riuscivo a dormire nemmeno io.
Sono preoccupato per questa storia della partenza. Le chiacchiere di
Feliciano
non mi hanno convinto!”
Feliks
iniziò a parlare senza sosta delle sue sensazioni e dei
suoi pensieri riguardo la notizia che avevano ricevuto quella mattinata
e
riguardo la fatica che aveva provato nel lavorare nei campi innevati,
lamentandosi per le mani rovinate dal freddo e per il poco cibo che
avevano
trovato. Toris ascoltò pazientemente la sua filippica
abbozzando un tenero
sorriso, poi quando Feliks finalmente finì sorrise
dolcemente.
“Grazie
Feliks”
“Di
niente! Ma per che cosa?”
“Grazie
a te ho dimenticato l’incubo che mi ha svegliato. Sono
contento che siamo compagni di cuccetta!”
Feliks
rimase senza parole. Abbozzò un sorriso al suo compagno,
poi lo abbracciò.
“Sai,
ho sempre voluto avere un fratello, invece sono figlio
unico. Quando penso a un ipotetico fratello però lo immagino
sempre uguale a
te!”
Toris
ricambiò l’abbraccio con forza mentre gli occhi
gli si
riempivano di lacrime.
“Grazie
Feliks, grazie di starmi vicino. Senza di te probabilmente
sarei già morto!”
“E’
probabile. Non preoccuparti Toris, noi sopravvivremo”
Toris
stava per rispondere che si, sarebbero sopravvissuti e che
quando sarebbero tornati a casa avrebbe invitato Feliks a cena da lui
quando un
forte rumore rimbombò in tutto il dormitorio seguito dal
buio più totale.
L’ultima cosa che Toris percepì fu le urla
terrorizzate dei prigionieri nelle
altre cuccette.
Gilbert
si alzò di scatto nel letto svegliato da un rumore
assordante e dalle urla varie che ne seguirono. Quella mattina aveva
deciso di
formare dei gruppi di sentinelle che sarebbero stati di guardia sulle
torri del
perimetro del campo e lui aveva finito da poche ore il suo turno. Era
completamente stremato e assonnato, ma nonostante ciò le
urla continuarono
confermandogli che non si era trattato della sua immaginazione. Uscendo
lentamente da sotto le sue amatissime coperte e dal letto si
avvicinò strusciando
i piedi a terra alla finestra per vedere cosa diavolo stava succedendo
nel
cuore della notte nel suo campo di concentramento.
Appena vide l’enorme colonna di fumo che si alzava da dietro
i tetti dei
dormitori il suo cuore perse un battito e la sua mente si
svegliò immediatamente
perdendo tutto il suo torpore.
Velocemente
si mise addosso dei vestiti pesanti e corse fuori
dalla sua stanza e dal dormitorio delle guardie. Mentre correva vide
che altre
guardie e prigionieri si stavano accalcando nella stessa direzione.
Facendosi
largo tra tutta quella gente finalmente Gilbert riuscì ad
arrivare al punto di
origine del fumo.
Si pentì amaramente di averlo fatto.
Il
dormitorio H3T4 non esisteva più.
Al suo
posto vi era un cumulo di macerie e di neve. Gilbert si
sentiva come se la sua mente fosse stata divisa dal suo corpo in quanto
aveva
perso completamente la facoltà di muoversi.
Era
umanamente impossibile.
Dopo aver patito così tanto per colpa della lettera, dopo
aver mentito
spudoratamente sia a suo fratello sia a tutte le guardie del campo,
questo.
Era morto, era sicuramente morto. Tutti quelli che stavano in quel
capannone
erano sicuramente morti.
Mentre
era afflitto da quella bruciante verità il cerchio di
curiosi si divise per far passare Ludwig. Appena vide il disastro il
tedesco
biondo lanciò un urlo disperato e corse verso le macerie
iniziando a scavare a
mani nude tra la neve e a spostare travi e mattoni vari.
Gilbert sentì un blocco formarsi nella gola nel vedere
quant’era disperato suo
fratello.
Poco dopo fu affiancato da Francis che, buttando il secchio dei bisogni
lontano
e urlando nella sua lingua madre, si mise anche lui a smuovere la neve
e le
macerie.
Fu
tentato anche lui di affiancarli nello scavo quando Roderich lo
fermò afferrandolo per un braccio.
“Gilbert
dobbiamo iniziare la procedura d’emergenza”
Non era
una richiesta ma un ordine. In una situazione normale
Gilbert avrebbe subito sgridato la maleducazione di quello snob
austriaco e
punito con qualche lavoro extra, ma quella non era una situazione
normale. Un
dormitorio era letteralmente scomparso, crollato su sé
stesso per qualche
oscuro motivo, forse il suo amato canadese morto schiacciato dalle
macerie
insieme a tutti gli altri prigionieri, tra cui quell’idiota
italiano tanto caro
a suo fratellino.
“Si…
la… la procedura…” Balbettò
guardandolo in modo confuso.
Sentiva
il cuore martellargli nelle orecchie. Due eventi orribili
in così poco tempo, Gilbert sentiva che stava per morire di
crepacuore.
No, in quel momento lui non aveva la mente lucida per poter prendere
decisioni
tant’era sconvolto e inebetito dal dolore, ma sembrava che
Roderich la avesse.
Senza
aspettare alcun consenso si girò verso le guardie che si
erano mischiate tra i prigionieri nella folla di curiosi e
iniziò a urlare.
“Adottare
la procedura d’emergenza, grado A, muovetevi!!! Primo
gruppo radunate i prigionieri e fate rimuovere tutte le macerie. Gruppo
2
occupatevi dei sopravvissuti, ordinate in file i cadaveri nello
spiazzale.
Gruppo 3 sulle torri di guardia! Potrebbe essere stato un attacco dei
russi!”
A quelle
parole Gilbert si scosse profondamente.
I russi!
Se i russi erano già arrivati significava che non avevano
via di scampo.
Scuotendo la testa incredulo, Gilbert fece per correre verso le macerie
ma la
presa di Roderich si strinse ancor di più fermandolo.
“Gilbert,
conviene che vai sulle torri di guardia. Se veramente
sono arrivati i russi dovremo prendere decisioni velocemente. Devi
sapere in
tempo reale cosa sta succedendo per decidere come muoverci”
Gilbert
rimase scioccato dalla fredda lucidità della mente di
Roderich nonostante la catastrofe che si era appena consumata, e forse
nonostante la catastrofe che stava per arrivare. Guardò
velocemente il cumulo
di macerie ormai circondato dai prigionieri che spostavano pietre e
travi per
cercare dei sopravvissuti, o dei corpi. Vide delle guardie avvicinarsi
a Ludwig
e portarlo via con la forza.
Si girò nuovamente verso Roderich e si liberò
dalla sua presa.
“Hai
ragione” Si limitò a dire, poi si avviò
correndo verso la
torre di guardia situata a est del campo.
Lo
sguardo di Roderich lo accompagnò finché non si
rifugiò dietro
un muro. Una volta nascostosi rallentò la sua andatura e
cercò di riprendere
fiato e di recuperare la sua lucidità mentale, per quanto
era possibile.
“Dio ti supplico, fa che non sia morto” Pensò mentre i suoi occhi diventavano lucidi.
Note dell'autore:
Ed ecco
il nuovo capitolo.
Purtroppo non ho potuto pubblicare prima perché ho avuto e
ho ancora molti impegni, anche e soprattutto universitari, che mi
stanno dannando l'anima.
Ma non preoccupatevi perché la storia è tutta
decisa, dev'essere soltanto resa su carta x'D
Sono consapevole che questo capitolo non è il massimo ma non
potevo fare di meglio a causa del poco tempo frazionato anche piuttosto
male (notare quando a che ora sono costretta a pubblicare xD), ma
nonostante ciò spero che vi piaccia comunque :)
Sono successe molte cose in questo capitolo e gli altri non saranno da
meno!!
Detto questo, a presto e Buone Feste :D