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Autore: RLandH    18/12/2017    1 recensioni
Da capitolo II:
[...]“E quindi hai pensato che abbandonarmi era meglio?” domandò irascibile lei, “Tesoro, nasciamo, viviamo e moriamo soli. Non è mia abitudine aiutare i mortali, mai, neanche i miei figli. Neanche quelli divini, se per questo” aveva detto con un tono infastidito, continuando a limarsi le unghia.[...]
Da capitolo IX:
[...]Era il figlio al prodigo, aveva bisogno di quel padre a cui aveva voltato le spalle, per uno stupidissimo corvo che non avrebbe potuto fare nulla contro un gigantesco uomo alto venti piedi. Le sentì brucianti le lacrime sulle guance.[...]
July vorrebbe aspettare la fine in pace, Carter si sente perso come mai è stato, Heather è in cerca di qualcosa e Bernie di quella sbagliata.
Se si è cosa si mangia: Arvery è una bella persona; Alabaster, lui è quello furbo. Marlon è un anima innocente e Grace è un mostro dal cuore d’oro.
E quando gli Dei decidono di invocare l'aiuto di quegli stessi figli dannati a cui non hanno mai rivolto lo sguardo, non c'è da stupirsi se il mondo intero va rotoli ...
Buona lettura,
Genere: Angst, Avventura, Malinconico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash | Personaggi: Altro personaggio, Dei Minori, Le Cacciatrici, Mostri, Nuovo personaggio
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: Violenza
Capitoli:
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Eccomi! Si sta volta non ci ho messo un secolo, non faccio promesse però, anche se una parte del prossimo (o più avanti devo decidere) capitolo è stato scritto. Il pezzo più sostanziale non ancora. Oltre questo devo premettervi che da questo momento la storia diventerà un po’ più cupa – non alla stessa maniera per tutti i personaggi.
Il titolo che ho scelto si riferisce ad un film di Leonardo DiCaprio e sospetto sarà chiaro a tutti alla fine del capitolo eheh.
Il disegno che trovate è fatto un po’ male, perché, ohibò, con gli acquerelli faccio schifo e non ho avuto tempo di mettere le ombre o fare l’indecente shatush/ricrescita di July.
Comunque sia (spoiler-non-spoiler) dopo 19 capitoli: finalmente cominciamo a capire il punto. Si, SONO PROLISSA.
Buona Lettura!
RLandH

The Road so far(Quello che è successo fin’ora): July Goldenapple, dopo aver conosciuto per la prima volta sua madre – ed aver scoperto per tanto di essere figlia della Dea Eris – viene “arruolata” (di forza) da quest’ultima per una missione, sebbene la dea non si scomodi a rivelare a sua figlia cosa in realtà voglia, July viene aiutata dall’autista di sua madre che a tutti gli effetti la indirizza dal Ragazzo dal Sonno Più Profondo. Eris dona a July una lima, che si scoprirà un’arma, ed una bottiglia dal contenuto non meglio identificato. A questo punto la semidea viene scaricata da sua madre in prossimità di Alabaster C. Torrigton, eccelso figlio di Ecate e ex-membro dell’esercito di Crono – come July costretto in esilio – e dal suo lare personale il Dottor Claymore Horward.
July inizialmente rifiuta di spiegare ad Alabaster cosa stia succedendo davvero. Quest’ultimo non solo riesce a contattare un’altra mezzosangue in esilio, Bernie figlia di Nyx, cerca anche di scoprire il segreto dietro la bottiglia lasciata da Eris; July, nello stesso tempo, invece comincia ad avere sogni inquietanti tra cui un Satiro che con il potere del flauto massacra delle ninfe ed inseguito chiacchiera con una donna, i due discutono su chi dovrebbero uccidere tra La Regina della Pestilenza e l’Orfeo in Divenire. Per cacciare gli orribili pensieri – e raggiunta e spronata ancora da sua madre -  July si ritira in una corsa per meditare. Qui fa prima l’incontro con il Pittore, uno strano individuo, probabilmente dio, poi con Fama, una dea figlia di Gea ed al servizio di quest’ultima, che indossa il viso di Mary, defunta amica di July. La semidea scopre con orrore di essere finita sulla lista nera della Dea Primordiale della Terra. Dopo uno scontro con questa dea, vinto con l’intervento di Alabaster. I Due mezzosangue fanno a pezzi la dea e con la magia del figlio di Ecate spargono i suoi resti per il mondo. Scoprono che il Pittore ha lasciato loro un dipinto ed un messaggio dove veniva richiesto l’oro di trovare Chi Si Duole di Non Esser Morto e di farlo nell’Giorgiam Acquarium.
Durante il raggiungimento di tale posto, July stremata dalla battaglia con Fama, ha un altro sogno qui riesce a connettersi con i ragazzi della Cabina di Hypson del Campo Mezzosangue, dove conosce Clovis, il capo-cabina, e ritrova Maya disertrice dell’esercito di Crono. Maya si offre di aiutare July con i suoi incubi e qui le due hanno modo di vedere il Satiro (già apparso in un sogno) parlare con un uomo che si confessa vicino alla puttana di Atena (Nb – Aiace, che si riferiva a Jeha). A seguito July è costretta a svegliarsi dal sonno per mano di Alabaster. Prima di raggiungere l’acquario la figlia di Eris fa una pausa in un bar, dove conosce una donna di nome Orual, che le racconta delle sue disavventure tragiche con suo marito. Ricongiuntasi con i suoi compagni Alabaster modifica l’immagine di July per renderle uguale alla sua sorellastra Lou Ellen. Mentre i tre fanno la fila per comprare il biglietto per l’acquario hanno modo di vedere Percy Jackson in compagnia di un satiro ed un altro mezzosangue. July tentata di proseguire la sua vendetta, viene placata da Alabaster che la riporta sulla “retta via”. Hanno tutti una missione e Gea li vuole tutti morti.
I tre fanno la conoscenza della guida dell’Acquario: Tommy, marito di Electra e fratello di Ceto e Forco. Tommy tenta di scoraggiare i tre più volte nel corso della visita ma alla fine loro lo convincono a vedere la parte del Tour non “adatta ai mortali”, dove sono prigioniere le più disparate creature marine. Tommy, interrogato da Horward e Alabaster, confessa di avere idea di chi sia Chi Si Duole di Non Esser Morto, portando i tre alla vasca della Dea dei Fiumi, Giuturna. Disperata dopo la morte dei suoi fratelli. Qui July, avendo compreso che Tommy ha scoperto il loro inganno – oltre che questo stesso abbia ammesso di essere parte della sua famiglia – nonostante egli stesso non creda nella causa di Gea, in quanto il mondo non può tornare indietro. Attacca il dio e fugge con Alabaster nei piani superiori, nel tentativo di raggiungere la dea Giuturna, sotto effetto di droghe. I due mezzosangue sono però costretti ad affrontare il redivivo Erittone, che July aveva incontrato in termini più accomodanti in precedenza, ed mastino di Orione, Sirio. I due sono stati incaricati da Gea, di uccidere July. Nello scontro July ed Alabaster riescono ad avere la meglio, ma rimangono prigionieri nella vasca assieme alla dea Giuturna. In loro aiuto arriva Tommy, che si rivela essere il dio Taumante, che come il mare scuote e meraviglia. Egli si ritiene molto colpito dal comportamento dei due e decide di aiutarli, guarendo le loro ferite e gli confida di fuggire con Giuturna, ora che Percy Jackson ed i suoi amici hanno dato loro un fortuito diversivo. Qui July, in riferimento al discorso che Taumante aveva fatto, gli confida che concorda con lui, il mondo deve andare avanti ( ed un giorno gli dei cadranno in favore dei mezzosangue). Alabester, July ed Horward fuggono perciò con la dea Giuturna, in stato comatoso.

 
 
                                                       




 
Il Crepuscolo degli Idoli


Leonardo DiCaprio l’aveva fatta sembrare di gran lunga più complicata


 
(July IV)

“Sei sicura di questo piano?” aveva domandato Alabaster, alzando un sopracciglio.
“Ero sicura che i pantaloni a cinta alta sarebbero tornati di moda, perché non questo?” aveva risposto con una certa retorica July battendo una mano sul cinturino corallo dei suoi pantaloni stretti dal brillante color pesca. Nel bene e nel male July riconosceva di non essere mai stata una persona a cui piaceva passare inosservata.
“Credo sia una pessima idea, signorina” aveva sentito il bisogno di dire il Dr. Horward, “E sono morto, si fidi” aveva replicato.
July aveva riso, dopo essere passata attraverso il labirinto, non credeva avrebbe mai potuto fare qualcosa di più stupido, ma era ancora giovane – non di certo per gli standard di un mezzosangue – quindi riteneva di poter fare nuova stupidaggini.
Onestamente non sapeva perché ma nel momento in cui aveva avuto bisogno di un piano per risolvere l’inconveniente che era successo a seguito dalla fuga dell’Acquario, le era tornato in mente la conversazione con la giovane donna del bar: Orual.
Sospettare, poi, che probabilmente la persona in questione fosse una dea, sembrava una cosa decisamente ovvio. Ne aveva parlato con Horward ed Alabaster. Se il secondo si era limitato a guardarla, prima di scuotere il capo, al contrario il lare si aveva confermato che il nome in questione era senza alcun dubbio molto particolare. E che echeggiava nella sua memoria.
Quello che invece echeggiava nella memoria di July era il monito di Orual: Ma certi drink ti svoltano la giornata. Le aveva detto la donna, mentre ondeggiava il suo nocciolino con la panna – che ordinazione ambigua. July ci aveva rimuginato su un sacco di volte, ogni volta che pensava ad un piano quella frase continuava a ritornarle nella mente. La dea, se lo era, doveva essersi assolutamente insidiata nella sua mente.
“Possiamo provarci” aveva concesso alla fine Alabaster, “Alla fine non sappiamo neanche se tu abbia ragione” aveva ammesso quello. Ma July sapeva di aver ragione, dal momento in cui Orual aveva insidiato nella sua mente quel pensiero le era stato tutto più chiaro. L’unico drink che aveva da farsi era quello che sua madre le aveva regalato, la bottiglia che non erano mai riusciti ad aprire. L’aveva ripresa in mano, improvvisamente, aveva capito.
Sua madre, come per tutte le cose, le aveva dato doni insidiosi, qualcosa che non avrebbe potuto usare fino a che non avesse capito come usare, così era stato per la lima – anche se lì doveva dirsi prevedibile – così doveva essere per la bottiglia. Forse senza Orual però non sarebbe riuscita a comprendere nulla. Questa cosa la spaventò un poco.
Dire che July con le divinità non si fosse mai presa era una menzogna, nessuna di loro, sua madre compresa, si era mai curata di lei per gran parte della sua vita. Poi Kronos un giorno l’aveva indicata ai suoi minions. No, non voleva pensare a Mary così, dopo lo scempio che Fama aveva fatto della sua immagine.
Ed era finito tutto con una taglia sulla testa da fottuta madre Gea, Eris signora del dolore che la riconosceva come sua figlia e, ben, due divinità che l’aiutavano senza chiedere un prezzo. Ed ogni cosa a quel mondo ne aveva uno.
“Se qualcosa dovesse andare storto, voi potreste riportarmi indietro?” aveva domandato comunque July, tenendo nella sua mano la bottiglietta con l’etichetta con le ceramiche greche. Alabaster aveva allungato una mano verso di lei, aveva un pennarello verde petrolio, che July giurava di non aver mai veduto prima. “So che sembra assurdo detto da una che viveva per strada, ma a questa maglia ci tengo” aveva soffiato la ragazza, gonfiando le guance, era una delle ultime cose che aveva ancora della sua vecchia casa, della sua vecchia vita. Le aveva prese prima della sua seconda fuga.
Alabaster aveva disegnato sulla sua pancia una sorta di P molto spigolosa, “Questo è la runa di Thurs, la spina, la protezione” aveva spiegato quello calmo.
July lo sapeva che Alabaster non poteva essere uno da accontentarsi di aver studiato solo le stregonerie greco-romano, anche contro la fama lo aveva visto riflettere di luce verdastra scaturita proprio dai disegni di rune su di se.
“Lo prendo come un: Ovviamente no, Juls, perché sono incapace” aveva soffiato lei, con una mezza risata, mentre osservava con un certo disgusto la camera del motel dove avevano trovato rifugio. La fortuna di aver beccato Percy Jackson ed i suoi compagni era che nessuno aveva badato a loro, anche se avevano portato via un’attrazione dal parco.
La suddetta, la dea fluviale, Giuturna era in quel momento stesa su un comodo letto a due piazze. Sarebbe sembrata addormentata perfettamente, se i suoi occhi non fossero stati semi aperti, assenti rivolti al soffitto. Lo scandire della sua vita era dato solamente dal suo respiro. Sembrava però beata. Anche senza tutte le droghe, o allucinogeni, che le erano state somministrate all’acquario, non sembrava dare cenni di volersi svegliare. Secondo Horward era ancora tutto in circolo, secondo Alabaster era lei la prima a non volersi svegliare.
July pensava che entrambi dovessero avere ragione.
Svitò il tappo dalla bottiglietta, non trovando in questo caso nessuna resistenza da quest’ultima, differentemente da tutti i tentativi precedenti. Ne aveva saggiato l’odore, era un aroma forte, da stordirla quasi senza rendersene conto.
Aveva preso un bel respiro e si era portato il collo alla bocca, aveva assaporato d’un fiato il liquido. Era viscoso, forte e bruciante. Sapeva per un retrogusto d’aceto e miele speziato. Si era staccato dalla bottiglia e l’aveva passata insieme al tappo ad Alabaster.
“Va tutto bene?” aveva domandato il ragazzo.
La figlia di Eris avrebbe voluto rispondere che si andava tutto bene, ma aveva sentito il suo corpo farsi fastidioso e l’attimo dopo aveva la bocca spalancata alla ricerca d’aria, mentre lo stesso Alabaster la teneva per le braccia per evitare, urlandole qualcosa. Ma tutto sembrava farsi ogni momento più distante.
Ed improvvisamente lei si era ritrovata cacciata fuori, in qualche maniera. Alabastar non stava più urlando a lei, non la stava più tenendo. Lei era in piedi, con le vertigini e non comprendeva a pieno dove si trovasse, aveva guardato il suo corpo e lo aveva trovato di un opalescente riflesso di viola. Come un lare. Era nella stessa camera d’albergo in cui si trovava prima.
“Funziona! Al! La vedo” aveva tuonato Horward, Il fantasma della nebbia indicava proprio lei, Alabaster aveva seguito il dito del suo compagno ma sembrava non riuscire a vedere. Riguardo a July lei riusciva a vederlo, ma sembrava che tutta la realtà fosse distorta, riusciva anche a scorgere se stessa, stesa sul letto, con i capelli scomposti e gli occhi rovesciati. “Sono in estasi divina” aveva biascicato solamente, anche la sua voce era diversa, sembrava quella delle registrazioni e si era resa conto che non veniva dal suo spettro, ma dal suo corpo.
“Avevi ragione era vino del Cantaro di Dioniso” aveva esclamato Alabaster sconvolto, “Avevo visto le baccanti strafatte di zabaione*, ma questo …” aveva esclamato il figlio di Ecate. “Non ti ricordi che una volta un figlio di Lys ne aveva parlato?” aveva domandato July, cercando di attirare l’attenzione dell’amico, ma quella volta non era riuscita a far arrivare la sua voce al suo corpo.
L’estasi permetteva letteralmente allo spirito di separarsi dal corpo.
“Non capisco perché non ho potuto farlo io” aveva detto il dottore, riusciva a sentire la voce di Horward bene, come se lui fosse tangibile e reale, diversa rispetto come la percepiva prima.
Era tutto così strano, una sensazione completamente diversa rispetto a quando Al aveva modellato il suo aspetto per assomigliare alla sorellina. Aveva sentito il suo corpo farsi diverso e non aderire perfettamente a lei, invece in quel momento non percepiva nulla, non riusciva a dare alcuna consistenza in se. Era come se fosse fatta di nulla, riusciva a malapena a tenere insieme la sua mente. “No! July! No!” aveva strillato Horward, tenendola per un braccio, il loro tocco era stato strano, non era come se riuscisse davvero a toccarla, ma era come se avesse improvvisamente reso reale quel suo strano corpo d’aria viola.
“Devi rimanere concentrata” aveva berciato l’uomo, “Se lasci che la tua mente vaghi: non potrai ritornare indietro” aveva detto immediatamente lui, con sicurezza aberrante. Horward era uno spettro nebbiforme, probabilmente se la cavava meglio di lei nel non essere reale. “Grazie” aveva sussurrato July, mentre lo osservava, erano creature strane. “Che sta succedendo?” aveva chiesto Alabaster preoccupato, la sua voce era distorta e lontana, però continuava a sorreggere il suo corpo reale.
“Mi hai chiesto perché non potevi essere tu?” era riuscito a dire alla fine, non era sicura che la sua voce fosse effettivamente uscito.
Perché sua madre l’aveva avvicinata e le aveva dato il vino, perché il pittore aveva lasciato a lei le informazione per raggiunge Giuturna – e quell’orrido quadro – e Orual aveva dato a lei quel consiglio.
“Perché è la mia missione” aveva detto, alcune di queste parole erano uscite dalla bocca della July in carne ed ossa.
“Missione? Che cosa?” aveva chiesto Alabaster, l’aveva mezzo urlato per la stanza. Era la missione che un dio le aveva assegnato e non poteva sottrarsi.
L’attimo dopo si era avvicinato al letto dove dormiva Giuturna, fluttuava come i fiocchi di neve cadenti, solo che non tendeva alla terra, ma al cielo, era come se  non riuscisse a rimanere aggrappata a qualcosa. “Non devi perderti nei tuoi pensieri, signorina, o non ti ritroverai” aveva sussurrato il dottore. Si chiedeva come, per Ade, riuscisse ad essere così reale lui, forse era perché la sua esistenza era legata ad una carta, forse era perché era morto.
Aveva allungato le mani verso Giuturna, non era riuscita a toccarla, c’era passata in mezzo alle sue carni, aveva sollevato il braccio fino a portare le dita al volto, si era concentrata, aveva focalizzato tutta la sua attenzione sulla punta delle sue dita, aveva sfiorata la guancia. L’aveva sentita. “Non …” aveva provato a dire, ma Horward stava dicendo qualcosa ad Alabaster.
L’attimo dopo il figlio di Ecate era lì al suo fianco, aveva forzato di poco la bocca di Giuturna, per versarle il vino di Dionisio, non molto, due sole puntine. “Cosa è inverso all’estasi?” le aveva domandato retortico.
“L’euforia!” avevano biascicato in sincrono le due July. Quando un Dio ti possedeva ed entrava in te.
Il viso della dea rifulgeva di una luce violacea, il suo spettro era ancora lì, nel suo corpo, assieme alla sua mente prigioniera nel suo mondo onirico.
E July aveva spostato le dita sulla fronte di Giuturna … ed era caduta giù, nell’oblio.
Quando aveva aperto i suoi occhi la sua carne era di nuovo rosea e sembrava incredibilmente più reale, per quanto si rendeva conto qualcosa stonasse, a cominciare dal vestito di veli lungo di un candore imbarazzante e la corona di fiori variopinti che portava sulla testa. Sentiva l’erba sotto i suoi piedi nudi ma non riusciva a percepirne l’odore o la freschezza.
Tutto intorno a lei sembrava incredibilmente patinato e luminoso, un paradiso bucolico di luce accecante, con interminabili colline verdi, alberi e mare d’argento. Non comprendeva perché ma aveva sempre dato al Campo Mezzosangue quella forma.
“Che fai! Devi correre!” aveva strillato una ragazza andando verso di lei, aveva riccioli indisciplinate ed una lunga veste del colore delle ciliegie. “Come?” aveva domandato perplessa alla ragazzina, “Fa parte del gioco” aveva soffiato, “Dobbiamo scappare” aveva squittito con voce allegra quella, prendendola per un braccio e portandola a correre lungo la collinetta.
“Chi sei?” aveva chiesto July perplessa seguendo la corsa con la ragazzina, era più piccola e sottile di lui, “Mi chiamo Lavinia!” aveva esclamato con una certa allegrezza, mentre si riparavano dietro un grosso faggio.
“Lavinia, dove siamo?” aveva chiesto preoccupata, “Ovviamente siamo in Esperia ad Alba Longa” aveva esclamato tutta ridente con allegrezza. July non aveva assolutamente idea di cosa quella ragazzina stesse parlando, ne di chi fosse o dove si trovasse. “Lavinia, ho bisogno di trovare la divina Giuturna! Dov’è?” aveva domandato cercando di acquisire lucidità, “Nascosta ovviamente, anche lei. Se no che gioco sarebbe” aveva  riso la ragazza, prima di alzarsi e mettersi a correre per le praterie, un giovane uomo l’aveva afferrata per la vita, lei aveva riso dichiarando la resa, si erano scambiati abbracci e baci, mentre lui l’aveva fatta volteggiare un po’. Ridevano.
Era un gioco d’amore.
“Che schifo” aveva ripiegato.
“Divina Giuturna! Divina Giuturna! Ho bisogno di parlarle!” aveva cominciato a strillare per i campi, ma aveva ottenuto risposta solo quando era giunta nei pressi di un fiume dalle acque di un azzurro così intenso da sembrare che avesse rubato il colore al cielo. “Sono qui, ragazzina” aveva risposto seccata una voce, “Così rovini il mio gioco, bambina” aveva replicato ancora. July aveva seguito la voce continuando a camminare.
Giuturna era sulle rive del fiume, la veste celeste terminava nel fiume. No, la veste era il fiume.
Era splendida diversamente dalla pallida imitazione che aveva potuto vedere nel suo corpo reale. Il viso era pieno di un’oliva luminosa, i capelli erano lucenti e ruggenti. “Siamo tipo … sai  Inception?” aveva chiesto sarcastica July.
La dea aveva sollevato un sopracciglio scuro, “Prego?” aveva domandato, “Tipo siamo dentro un sogno” aveva cercato di essere più chiara la figlia di Eris, pensando che probabilmente che una dea non era informata sulle ultime uscite cinematografiche.
Giuturna l’aveva fissata con una certa insistenza, aveva occhi scuri come noccioli di pesca,  “Si, bambina, questo luogo è la mia mente” aveva sussurrato la donna, alzandosi dalla posizione in cui era seduta, l’acqua dell’abito era crollata giù come una cascata, lasciando sotto un veste opaca da monte frange e drappi. “E tu non ne fai parte bambina” aveva aggiunto la dea, camminando verso di lei, era scalza ed il suo passo non faceva rumore.
“Lo so, di norma, non è mia abitudine infilarmi nei sogni altrui volontariamente” aveva confidato, riflettendo quando era finita nel pieno della stazione onirica della casa di Hypnos insieme a Clovis, Maya e i loro fratelli.
La dea la guardava con un cipiglio di scetticissimo in viso. Era alta quanto July, ma aveva un corpo più tonico e pesante, comunque sia erano solo una semidea che si fronteggiava con una signora.
Sperava che nel profondo della sua mente Giuturna ricordasse quando anche lei non era che una figlia di dea minore in balia di forze più grandi.
“Io ti conosco” aveva mormorato alla fine la dea, “Non conosco il tuo nome, ma il tuo volto si.  Assieme al tuo amico mi avete rapito” aveva notato quella, “Io direi più salvata” aveva sento il bisogno di sottolineare July prima di essere zittita da un’occhiata piuttosto eloquente della dea.
“Di certo non era una villeggiatura quella in cui mi trovavo, ma senza gli allucinogeni questo cominciare a scomparire” aveva sussurrato Giuturna con gli occhi stanchi, “Posso già cominciare a vederlo. Infondo quando sei immortale impari presto che con l’eccezione di se stessi, nulla è permanente” aveva aggiunto la dea. La sua mene vaneggiava per lidi per lontani da quelli a cui la mezzosague poteva anche solo pensare di avvicinarsi.
“Non vorrei mancare di rispetto” aveva esordito July, congiungendo le punte del pollice e dell’indice. “Dici?” aveva domandato retorica la dea, decisamente non colpita dai suoi buoni propositi, “Non mi sarei mai così immischiata se non fossi stata costretta” aveva ripreso con una disarmante sicurezza July. Per un momento davanti i suoi occhi erano balenati i freddi e crudeli occhi di sua madre. “Sono stata indirizzata qui da una divinità … Io lo chiamo il Pittore!” aveva ripreso con una certa urgenza, onestamente non era neanche sicura di sapere per quale motivo glielo stesse dicendo.
Il viso di Giuturna si era svegliato dalla sua boria, “Pittore?” aveva domandato perplessa, “Quale è il tuo nome?” aveva chiesto con un repentino cambio di atteggiamento, “July Goldenapple” aveva risposto con un tono schietto.
“Ah” aveva risposto la dea, inclinando il capo, una pioggia intensa di riccioli brumosi si era mossa, “Ricordo il tuo nome” aveva aggiunto. In quell’istante anche il volto di July si era fatto pallido come cera d’avorio. Prima che riuscisse anche solo a porre una domanda, la dea aveva ripreso: “Quando Enea, il pietoso, così dicevano. Venne nella terra del marito di mia zia Amata, proprio qui se vogliamo essere precisi. In cerca di un luogo dove edificare la sua nuova città. Cercai il suo nome tra le pergamene del fato, che orribile cordoglio fu leggere della sua morte e non poterlo avvertire” aveva sussurrato la dea, portando le mani al petto. July aveva ricordato il racconto di Taumante, Giuturna era rimasta dea ed immortale dopo la morte dei suoi fratelli, la femmina di vecchiaia dopo una lunga e cheta vita, il maschio di furore da guerra. A lei non era rimasto altro che il dolore.
“Durante la mia lunga vita presi il brutto vizio di continuare a spiare il destino dei mortali, di tanto in tanto alcuni nomi, con particolari sentieri, mi restavano impressi” aveva detto con un tono di supponenza.
“È bello essere ignorata per così tanto tempo e scoprire invece che dei, mai sentiti, ti spiavano da secoli prima che venissi al mondo” July non avrebbe voluto dirlo ad alta voce, ma invece lo aveva fatto.
La dea aveva deciso di ignorare apertamente la sua uscita, per sua fortuna, “Ho visto il tuo futuro. Fidati July Goldenapple, tu vuoi fallire questa missione qualunque essa sia” aveva detto solenne la dea, osservandola, “O sarai un passo più vicina a quello che il Pittore ti ha mostrato, perché non sarebbe stato così gentile da offrirti aiuto senza prendersi qualcosa” aveva aggiunto melliflua. July aveva ricordato il dipinto che aveva trovato dopo lo scontro con Fama, con un certo orrore. “Ci sono destini peggiori” aveva soffiato alla fine July, con un groppo alla gola e la bile lungo lo stomaco, non ci credeva in pieno neanche lei.
Giuturna aveva riso, “Torna nel tuo mondo, lasciami cullare nella mia illusione finché  è ancora possibile, bambina” aveva soffiato la dea.
“Il Pittore si è rivolto a lei come Chi si lamenta di non esser morto, ed anche Taumante” aveva spiegato July, non volendo mollare l’osso, “Vorresti poter morire un giorno, vero? Ricongiungerti con i tuoi famigliari?” aveva chiesto lei. “No. Io non appartengo al loro mondo, io non potrei mai ricongiungermi con loro” aveva risposto spenta Giuturna, “Mi accontenterei di scomparire, ma ahimè disgraziata, Virgilio mi ha reso immortale. Ci sarà sempre qualcuno che si ricorderà la storia nefasta di Giuturna, sorella di Turno” c’era disperazione e dolore nella sua voce, forse però anche irritazione.
“Il mio amico Alabaster sa rendere la morte un concetto permanente per i mostri, così che li tiene lontani” aveva spiegato precisa July. Aveva accennato a quella capacità prima che raggiungessero l’acquario, ma poi era stato molto più chiaro dopo essere fuggiti da lì.  July aveva chiesto come mai non avesse provato lo stesso incanto anche sulla dea Fama ed Al aveva alzato le spalle, non era sicuro potesse funzionare su una dea e … forse ne era anche spaventato. Dal suo potere. Luke Castellan aveva ragione quando diceva che nessuno era come Alabaster.
“Cosa stai suggerendo?” aveva domandato Giuturna, improvvisamente interessata, “Forse potrebbe provarci con una dea” aveva risposto July, con sicurezza. La donna aveva inclinato il capo, con un sorriso un po’ tirato, “Vai avanti. Potrei essere interessata” aveva mormorato.
Nonostante ci fossero stati momenti in cui July aveva pensato di non farcela, aveva pensato di desiderare di non avercela fatta, non riusciva davvero ad a comprendere quello: il desiderio di morire. Aveva amato Jake, aveva amato Mary, aveva voluto bene a Lip, aveva provato empatia con Ines ed aveva ammirato tanto, nonostante tutto forse lo faceva ancora, Luke Castellan. Ed aveva perso tutti loro. Eppure non era capace di provare quello che Giuturna provava.
Forse perché diciotto anni erano polvere in confronto a tutta la vita che aveva vissuto la dea davanti a lei.
“Però devi aiutarmi” aveva esclamato con decisione July, osservando come ancora una volta gli occhi della dea si erano dipinti di una sfumatura infelice. “Mi stai proponendo un accordo al posto del tuo amico e non sei neanche sicura che funzionerà, ma pretendi il mio aiuto. Sei così sfacciata” aveva tuonata imperiosa Giuturna. I suoi occhi erano lampeggiati di azzurro, come uragani di acque torbide.
“E voi siete tutti palloni gonfiati che pretendete, pretendete e pretendete. Siete vecchi, superati, nulla più che polvere, attaccati ad un mondo che vi ha rigettato tanti secoli fa” sputò fuori con arroganza July. “Avete bisogno di noi per ogni cosa, per ogni singola cosa.  Guarda mia madre, la preziosa e potente Eris che è dovuta ricorrere alla sua figlia ingrata” aveva aggiunto con rabbia. “E tu dovresti comprenderci. Sei stata una di noi, i tuoi preziosi fratelli sono stati noi. E sono morti perché voi e tutti quelli come te erano divertiti da questo. Achille, Enea, Odisseo, Fedra. Tutte le loro tragedie sono iniziate e finite per colpa vostra” aveva buttato fuori, “Per non parlare di Marsia, Arcane … Puniti per essere stati arroganti, così si dice no? No, puniti per aver dimostrato di essere migliori” aveva terminato.
E Mary che voleva solo un posto dove stare. Jake che non sapeva neanche dove dover guardare per il suo passato. E Lip che era un mortale, figlio di mortali, maledetto solo dai suoi occhi che vedevano oltre.
July li odiava, gli dei, e si chiese come avesse potuto per così tanto tempo dimenticarlo. Pensare di averlo superato.
“E i miei amici! I miei amici sono morti! E forse avevano compiuto degli errori. Ma non meritavano il loro destino!” le ultime cose le aveva detto con lacrime a ruggirgli negli occhi.
Pensare che essere lasciata in pace potesse essere meglio.
Pensò poi che fosse solo colpa di quel dannato quadro. Di quella dannata missione. Di quel dannato sogno.
Ricordò però Taumante … gli aveva aiutati senza chiedere nulla in cambio. Forse …
Poi aveva realizzato quel che aveva detto ed aveva temuto come poche cose al mondo di finire uccisa dalla signora dei fiumi.
Gli occhi di Giuturna erano tornati scuri come il caffè, aveva un’espressione sul viso di sgomento e poi di vergogna, così come le sue gote si erano tinte di un rosso innocente. “Devo chiederti scusa” sussurrò con disagio la dea, “Perché ho dimenticato, dopo tutto questo tempo” aveva ammesso quella. “Noi dei proviamo sensazioni ed emozioni, come voi umani, su questo non posso mentire, ma il modo in cui provate i sentimenti voi è diverso. È più intenso. Si dice che la rabbia degli dei sia eterna; questa cosa è vera, possiamo convivere con un sentimento come la rabbia, il rancore, forse anche l’amore in maniera cronica. Ma questo impeto, questo impeto. Un momento solo, di un’intensità brutale che nessun dio può comprendere.” aveva ammesso la dea. “Questa rabbia, questo tormento, so di averlo provato in passato. Lo so, me ne ricordo. Forse perché allora pensavo di avere una vita, una umana, con degli anni contati e sapevo di dover vivere tutto intensamente” aveva detto Giuturna, avvicinandosi a lei, aveva accarezzato il viso di July in maniera dolce, forse anche materna.
“Non sei animata da una furia cieca che potrebbe polverizzarmi seduta istante?” aveva chiesto la figlia di Eris perplessa.
“Si. Ovviamente sono arrabbiata, come potrebbe esserlo chiunque altro quando qualcuno gli scivola nella testa, pretende cosa e gli urla addosso” aveva risposto Giuturna con onestà disarmante, mentre abbandonava finalmente la sua guancia. Non c’era alcuna traccia di furore nei suoi occhi, “Però tu hai ragione” aveva constato la dea. July era rimasta sorpresa. “Non su tutto chiaramente, ma su qualcosa si” aveva soffiato la dea con un tono con un certo biasimo, prima di metterle una mano attorno alle spalle per accompagnarla prima di spingerla da qualche parte.


Nel mezzo di un prato erboso si era materializzato quello che aveva tutta l’aria di essere un tavolino tondo con un piede centrale, non molto adatto all’ambiente bucolico dell’Esperia dei sogni di Giuturna. Il cielo era passato da un azzurro così limpido da sembrare dipinto, cominciava a tingersi di un plumbeo. “Giove è turbato” aveva sussurrato Giuturna prima di chiudere gli occhi, “Lo dicevo sempre ogni volta che vedevo il cielo farsi terso” aveva sussurrato, prendendo posto al tavolino, erano comparse anche delle sedie e July si era seduta sull’altra.
“Ci passavo un sacco di tempo a fantasticare come dovesse essere Giove. Poi lo ho incontrato … e gli Dei avranno, tanti, troppi, difetti … ma qualche pregio lo abbiamo” aveva scherzato Giuturna, facendole l’occhiolino.
Bene, quello decisamente July non se lo aspettava, di ritrovarsi a fare chiacchiere con una dea. “Io lo ho amato Giove, con l’ardore di mille soli. E lo ho amato anche dopo, lo ho amato per secoli, forse una parte di me sente ancora il cuore battere con fragore quando pensa a lui” aveva ammesso.
Per un momento July si era concessa il lusso di ricordare Jake, che protraeva la sua mano verso di lei, nel tentativo di sfiorarle il volto, mentre le dita dell’altra erano intrecciate a quelle di July, sul petto. Ti amo le aveva detto. Ma July non era riuscita a rispondere, nonostante lo sapesse, nel suo petto, nel suo ventre, nella sua mente, che lo ricambiava. Ma non era riuscita a dirla.
Jake era morto senza sapere la sua risposta.
Giuturna dopo tutti quei secoli …
“Allora dimmi, July figlia di Eris, cosa vuoi da me?” aveva domandando di punto in bianco la dea, con gli occhi rivolti al cielo, si stava sgretolando. Era tutta un’illusione quella di Giuturna, qualcosa a metà tra un ricordo dolce ed un futuro che non si era mai realizzato. Chi sa come sarebbe stato il mondo immaginifico di July.
“Come?” domando colta di sorpresa, “Come posso aiutarti?” aveva domandato la dea. “Sono stato indirizzata da te dal Pittore, ma prima stavo cercando qualcosa per conto di mia madre, onestamente lei non si è neanche degnata di dirmi cosa, ma il suo autista, presumo vada bene se lo chiamo così … guidava lui la limousine” aveva cominciato a spiegare lei. “Era un uomo pelato con la maschera rossa?” l’aveva presto interrotta Giuturna. July aveva confermato, la dea aveva ridacchiato, “Era il dio Momo, signore del biasimo. Fratello di tua madre. Un tipetto molto particolare” aveva spiegato Giuturna.
La semidea aveva annuito, non voleva sembrare sgradevole, ma in realtà non le importava praticamente, “Bene, Momo mi ha detto di cercare il ragazzo con il sonno più profondo” aveva riferito.
Giuturna aveva sollevato le sopracciglia prima di aprire le labbra in un sorriso piuttosto aperto, “Direi che ha senso” aveva esclamato la dea, battendo il palmo sul tavolo e facendolo tremare.
July aveva sollevato un sopracciglio, “Stai parlando di quel pezzo d’uomo di Endimione dell’Elide” aveva spiegato chiaramente Giuturna, “Come me accade spesso …” aveva ripreso la dea, “Ogni tanto capito che qualche mortale attiri l’attenzione di una divinità. È successo con me, con tuo padre … insomma; sorvoliamo. Endimione attirò lo sguardo in realtà di più di un dio, Hypnos e la titana Selene. Ebbe una relazione incredibilmente focosa e proficua con quest’ultima, credo di aver smesso di contare i figli intorno ad una cinquantina, che Priamo di Troia deve solo vergognarsi. Comunque nasceva un grande problema: Endimione era mortale” aveva cominciato ad illustrare la dea, “Immagino che l’immortalità non sia esattamente qualcosa che può essere data con uno schiocco di dita” aveva mormorato July. Aveva pensato al racconto di Taumante, Ercole, Dionisio e Psiche si erano dovuti guadagnare quel premio con il sudore ed il sangue, perfino Percy Jackson aveva dovuto sconfiggere un titano per ricevere l’offerta, ma no Giuturna aveva dovuto semplicemente essere bella.
“Ehm, si …” aveva detto con un certo imbarazzo la dea, “L’immortale non poteva essere concessa ad Endimione, onestamente non so perché, non ero neanche nata, ma Selene ci provò in tutti modi. In un certo senso si arrivò ad un compromesso, grazie anche all’aiuto di Hypnos. Endimione è immortale ed ancora oggi vive, ma non può svegliarsi” aveva spiegato la dea, “Una sorta di questo perenne” aveva spiegato, “Chiamiamolo Sonno più profondo o morte apparente, non so, bene, ma è una stasi infinita. Anche Psiche ne cadde vittima, una volta, in effetti è l’unica che si è mai svegliata, non ricordo se è stato per l’amore di quel sadico di suo marito o per l’intervento di Giove amato” aveva spiegato svelta la donna.
Momo aveva consigliato di trovare Endimione, ma sua madre le aveva dato il Vino di Dionisio per potersi estraniare dal suo corpo. Chiaramente non era voluto per parlare con Giuturna ma con il simpatico bell’addormentato, perché voleva quello: il sonno più profondo.
“Che aspetto ha?” aveva chiesto, “Il sonno più profondo. Che aspetto ha?” aveva ripetuto la domanda, “Ah non lo so; io e Psiche non siamo esattamente amiche” aveva spiegato Giuturna, “Nel senso, lo so che non è una semplice maledizione, è una cosa fisica vero” aveva cercato di essere più precisa possibile July. “Si credo di si” aveva risposto Giuturna.
“Allora mia madre questo vuole” aveva constato tra se e se.
“Che la dea della discordia voglia un’arma capace di mandare in coma qualcuno senza probabilmente di risveglio, non mi sorprende” aveva soffiato la dea dei fiumi.
July si prese tempo per un grosso respiro, prima di incrociare le braccia sotto il seno, “Quindi come lo trovo questo Endimione?” aveva domandato alla fine.
Giuturna le aveva sorriso, “Non essere impaziente. Tu ed il tuo amico dovrete uccidermi dopo questo, quindi a tutti gli effetti sei appena diventata il mio testamento” aveva soffiato la dea, facendo schioccare le dita, erano apparsi sul tavolo una serie di cibi e delle bevande.
La semidea aveva allungato una mano e si era versato una bella coppa piena di vino dall’odore speziato, si prospettava una lunga chiacchierata, inoltre non poteva sbronzarsi in un sogno no?
“Io e Giove ci amammo tanto. Davvero tanto” aveva spiegato Giuturna, “Mi amò anche dopo” aveva continuato, “Ma ahimè, lui era, è, qualcuno che perde interesse facilmente. Chiedi ad Era. Ed io non ero in grado di starci dietro. Dopo la morte di Turno e di mia sorella, mi sono sentita spenta. Ma quando l’ultima goccia del loro sangue è scomparso da questo mondo io semplicemente sono voluta scomparire. Ma non ci sono riuscita, come ti dicevo, sia dannato Virgilio” aveva chiarificato tutto la dea, versandosi anche lei un po’ di vino.
July lo aveva sorseggiato mentre ascoltava il discorso, in realtà più colpita di quanto non volesse ammettere, “Si può dire che il mio desiderio di sparire, sia stato interpretato dal fato con il desiderio di perdermi” disse enigmatica Giuturna. La semidea l’aveva guardata con un certo interesse, mentre svuotava l’ultimo goccio dalla coppa, il vino era piuttosto buono, aveva un aroma dolciastro che non sapeva cosa fosse. “Così sono finita dove finiscono tutte le cose perse. Sulla Luna, in un certo senso” aveva esclamato Giuturna, con voce divertita.
“Intendi quella … Luna?” aveva chiesto perplessa July indicando il cielo, “Diciamo che la luna è un posto più che figurato. Una volta era proprio l’astro, sai la storia di Astolfo che dovette andare sulla Luna per ritrovare il senno di Orlando … Ma tu non hai idea di cosa io stia dicendo” Giuturna aveva fatto una pausa, per mangiare un dolcetto. July non aveva ancora avuto il coraggio di provarne uno, ma si doveva dire rapita dai racconti della dea, così come confusa.
“Quando mi persi, mi ritrovai lì, tra le centinaia e centinaia di cose perse e mai reclamate nei secoli, e non parlo solo di chincaglierie, ma anche amori perduti, senni e quelli come me. Quelli che non potevano sparire ma lo desideravano” aveva spiegato con calma Giuturna.
A July venne da ridere e si chiese come non era riuscita lei a finire sulla luna, che tanto si era sentita persa. Era solo finita in strade lugubri e mondi di ovatta, che sembravano luccicare nella notte e di polvere stantia il mattino.
Aveva vissuto per le strada di Los Angeles, pulendo e sopravvivendo di stenti. Dormendo dove era possibile, non sempre sotto un tetto, non sempre in tranquillità. Sentendo mancare l’aria al ricordo della Principessa Andromaca. Il rollio della nave come un cullare primordiale. A volte era di suo padre che sentiva la mancanza e di quella casa di cui si era sempre sentita estranea.
“Mi sono fatta un sacco di simpatici amici lì, come Galatea, ed è lì che dimora nel suo sonno perpetuo Endimione. Perduto, dopo che Selene è scomparsa, sopperita, assorbita da Artemide, non lo so. Che fortunata, devo dire. Così Endimione è lì” aveva soffiato la dea.
“Non so come mi ritrovai lì e ne come andarmene, non mi importava neanche farlo, ma un giorno venne Astolfo ed andai via con lui, si lo so che questo non è scritto da nessuna parte, ma avevo già l’Eneide non volevo essere ancora più ancorata a questo mondo. Il problema è che non saprei tornare lì” aveva spiegato poi, mentre July si decideva a sgranocchiare del pane dolce con semi di melograno tostato, “Oltre che perdersi” aveva aggiunto July, ricordando bene il discorso della donna, che aveva annuito, “Ma dicevi di questo Astolfo?” aveva domandato alla fine la semidea, gustandosi un po’ di dolciume.
 
Quando July era riuscita ad andare via dal mondo onirico di Giuturna, era stato probabilmente grazie alla luce. Era stata quella a guidarla fuori, proprio nel momento in cui aveva ottenuto, circa, tutte le risposte che le servivano e la dea le aveva fatto giurare che avrebbero provato ad ucciderla … July si era resa conto di non avere idea di come andare via.
Poi aveva visto la luce. Letteralmente.
Una P dalla pancia appuntita che illuminava la via come la stella promessa ed era la runa della protezione che Alabaster le aveva disegnato sulla maglietta. Forse era davvero la sua magia o forse era una specie di promemoria.
Mentre la seguiva il mondo bucolico di Giuturna cominciava a farsi sempre più sbiadito, come in vecchie foto fino a divenire un profondo abisso di nero. Doveva muoversi, doveva assolutamente sbrigarsi. Giuturna le aveva chiesto di mettere fine alla sua vita, mentre poteva ancora godersi il mondo immaginario che i sedativi di Forco e Ceto le avevano permesso di creare.
La runa aveva arrestato il suo fluttuare, July l’aveva toccata e si era trovata letteralmente tirata via. Abbagliata da una luce luminosissima.
Quando aveva riaperto gli occhi era ancora nel motel, la sua pelle era di traslucido viola opalescente ed era inconsistente, il suo corpo mortale era steso proprio accanto alla dea fluviale. “Horward! Torrington!” strillò cercando di guardare i due, ma non erano nella stanza. Sul pavimento c’erano dei simboli particolari, che luccicavano splendidi per terra. Dovevano essere a protezione.
July aveva deciso che avrebbe dovuto pensarci dopo, prima di avvicinarsi di nuovo al suo corpo. Be, non aveva proprio idea di come fare, aveva pigiato più volte le dita sul simbolo della spina, finendo per affondare nel suo stesso corpo. Alla fine si era arresa semplicemente nel voler cadere su se stessa e questo almeno aveva avuto successo.
Si era alzata dalla posizione supina sentendosi incredibilmente affaticata, dolevano tutte le articolazioni e sentiva gli arti formicolare, ma era riuscita a mettersi in piedi. L’orologio sul comodino segnava molte ore dopo rispetto quando aveva preso il vino.
Si era voltata improvvisamente verso Giuturna, il suo viso era ancora sereno e sembrava ancora cullarsi nel suo mondo, July si era sporta verso di lei ed aveva delicatamente preso i polsi della dea e gli aveva sistemati in modo che la mano sinistra fosse posata sul cuore e la destra sull’altra. “Trovo Al e ti prometto che manterrò la mia parte. Non svegliarti” la supplicò con gentilezza.

July era scattata in piedi, infilando una mano nella tasca dei pantaloni a vita alta, la sua lima era sempre lì, l’aveva estratta, “Non so bene come funzioni” aveva testato. Le armi di solito avevano due stadi: arma ed oggetto assolutamente innocuo con cui andare in giro, aveva visto alcune armi avere anche la funzione dell’oggetto innocuo – Carter Gale se si concentrava poteva far funzionare l’accendino-spada davvero come un accendino – ed altre invece erano solo l’arma standard. July aveva capito che quella lima non funzionava proprio così, era stata una lancia, un’ascia ed una mazza da baseball, intuendo sempre quello che serviva alla sua proprietaria. Il pittore aveva detto essere fatta di etere polimorfo. Etere dalle diverse forme, o qualcosa del genere, era abbastanza certa la figlia di Eris. “Mi serve qualcosa per trovare il mio amico” aveva stabilito con voce sicura.
La verità è che non voleva semplicemente pensare che Alabaster l’aveva piantata, non lo avrebbe fatto, non sapeva perché aveva questa certezza. Inoltre, Al aveva lasciato la sua felpa lì, questo non lo aveva notato.
La lima aveva cominciato a mutarsi davanti ai suoi occhi fino a prendere l’aspetto di una catenina d’argento con un prisma sul fondo. “Direi che non è il genere di gioielleria che fa per me” aveva constato, toccandosi con una mano le cianfrusaglie che portava al collo. Il prisma aveva cominciato a roteare, così pure la catenina, mentre continuava ad agitarsi nella direzione dei simboli per terra e della dea. “Oh capito! Sei uno strumento per la rabdomanzia, solo che percepisci la magia al posto dell’acqua” aveva avuto un eureka improvvisa July.
Poi era corsa fuori dalla stanza, dando un’ultima occhiata alla dea, prima di chiudersi la porta alle spalle.
Il prisma aveva continuato ad indicare la direzione della camera anche mentre July si muoveva nel parcheggio, chiaramente una dea doveva essere un giacimento di energia non indifferente. Ma proprio quando era prossima al botteghino dove avevano preso le chiavi della stanza, il gioiello aveva improvvisamente cominciato a tirare in un’altra direzione.
E lei aveva seguito quell’identificazione.
Il primo che aveva riconosciuto era stato il contorno violaceo del dottore, poi aveva riconosciuto il profilo smunto di Alabaster ed erano in compagnia di un altro uomo. “Sembra che la tua amica si sia unita a noi” aveva berciato proprio quest’ultimo, aveva un sorriso sagace ad illuminare il viso, era un giovane intorno ai trent’anni, dalla carnagione di bronzo e gli occhi scuri come acque torbide.  Aveva un naso ingombrante. “Juls” aveva subito detto Alabaster con un sorriso grato che gli era lampeggiato sul viso. Indossava un completo gessato di un colore molto scuro, ma l’intero aspetto da signore per in carriera era rovinato da una collana di caucciù in cui erano incastrati dei bastoncini di legno chiaro. “Signorina, che gioia” aveva cinguettato Horward volandole intorno, lei aveva ricambiato con un sorriso gentile, prima di proiettare gli occhi verso il nuovo venuto.
“Io sono Yacatecuhtli2 , signore dio patrono dei viaggiatori e dei commerci” si era presentato con eleganza quest’ultimo,  “Non siamo delle stesse parti, vero?” aveva domandato retorica July, sollevando un sopracciglio, “Io sono di qui” aveva fatto presente Yacatecuhtli, “La mia gente ha abitato questi lochi ben prima che voi arrivaste. Però si, non siamo delle stesse parti, o almeno non lo eravamo in passato” il tono del dio era stato un tono misurato, ma July poteva sentire la nota collerica sotto. Era certamente un dio amerinde.
“July” l’aveva sommariamente rimproverata Al, “È giunto a portarci un messaggio” aveva aggiunto, ammiccando al dio.
Bene, ma non benissimo, almeno quello July si guardò di dirlo ad alta voce, dovevano ascoltare quel messaggio e poi dovevano tornare da Giuturna, nella speranza che l’incantesimo con cui Alabaster terrorizzava i mostri funzionasse ancora.
“Sapete, i vostri dei messaggeri non sono proprio al meglio” aveva soffiato Yacatecuhtli. July ricordò se stessa qualche giorno prima armata di una scure fare apprezzi la dea fama, lei l’avevano dispersa per il mondo e non uccisa. La sua momentanea scomparsa sembrava aver gettato le comunicazioni nel caos, ma si rendeva conto la figlia di Eris che non poteva essere solo questo.
“Sono stato invocato da un gruppo disperato di semidei greci e li avrei ignorati se uno di questi non fosse stato figlio del mio rivale Ermes” aveva spiegato il dio.
July aveva avuto un brivido, il suo primo pensiero era stato Luke! Ma Luke era morto, si, però le porte della morte erano state aperte … aveva soppesato poi.
“Per vostra gioia il messaggio è stato già pagato” aveva sentenziato il dio, prima di allungare una mano verso la sua collana e sfilare un bastoncino, l’attimo dopo ne era comparso un altro al suo posto, ma Yacatecuhtli aveva allungato lo stecchino verso il ragazzo, “Per Alabaster Cogito3 Torrigton, Ecateide” aveva specificato il dio. Una mezza risata aveva toccato July a sentire quel bizzarro nome, non credeva di averlo sentito fino a quel momento. “Da Christopher Rodriguez, Ermeside” aveva detto Yacatecuhtli, l’attimo prima di scomparire.
La figlia di Eris si era morsa il labbro. No, non voleva sentire cosa avesse da dire quell’inutile traditore. Se lo ricordava ancora come grigio e spaventato, gli occhi scuri animati dal tormento, la guardava un’ultima volta. Poi lui e Mary erano scomparsi dalla sua vista e lei era rimasta solo con Jake, nel labirinto. Nel dolore.
Quando gli aveva ritrovati Mary era poco più che resti e Chris aveva cambiato bandiera. Infame. Aveva pensato, lo aveva odiato e lo odiava ancora, eppure non poteva che sentirsi rincuorata di sapere che almeno, alcuni di loro … erano ancora vivi.
Alabaster aveva spezzato il bastoncino, “Cos” July non era riuscita a finire la frase che dal bastoncino era venuta una voce.
Al!” era inequivocabilmente una voce femminile. “Lou?” aveva risposto lui, perplesso, Lou Ellen aveva pensato July, la ragazza di cui aveva indossato la pelle all’acquario.
“Lou? Lou sei davvero tu? Davvero?” aveva chiesto ancora Alabaster, gli occhi verdi erano lucidi di pianto e d’emozione. “Al! Si, Al! Sono io, che bello sentirti!” aveva soffiato la vocina sottile, “Lou! Lou! Conosci le regole, tu non puoi …” aveva cominciato il figlio di Ecate, ma era stato interrotto da un lamento della sorella, “Al non capisci!” aveva tuonato. “Cosa succede?” aveva domandato subito Alabaster.
Madre mi è apparsa in sogno, mi ha detto che sei in pericolo” aveva soffiato immediatamente la ragazzina, “Che stai camminando per sentieri in cui non può raggiungerti”.
“Chirone non ci ha dato il permesso di venire” la voce che aveva parlato era maschile, July non la conosceva, “Già abbiamo diversi mezzosangue che hanno lasciato il campo di cui abbiamo perso i contati, mi dispiace” c’era un mezzo-singhiozzo nella sua voce. “Ma noi vi aiuteremo, Al, Juls … Avete bisogno del nostro sostegno. Solo che dovrete fidarvi” la voce era quella di Maya adesso, con il suo tono materno. “Certo” aveva strillato July, afferrando una metà del bastoncino, “I miei sogni. Il satiro …” aveva cominciato.  “È Marsia, non curatevi di lui, adesso cerca i miei fratelli” aveva parlato nuovamente la voce maschile. Era un figlio di Apollo. “Will, giusto?” aveva domandato Alabaster, cogliendo July di sorpresa. Era stato anche lui al campo, ogni tanto la figlia di Eris lo dimenticava. “Madre mi ha detto che c’è qualcosa di oscuro che si staglia sul tuo destino” aveva ripreso Lou Ellen. “Credo che quel qualcosa sia mia madre” July non lo sapeva perché lo avesse detto ad alta voce. Ma vedeva gli occhi verdi di Alabaster guardarla come un cervo guardava i fanali di una macchina sulla strada, anche il Dr. Horward non sembrava guardarla tanto meglio. “Ragazzi, grazie … ma non potete aiutarci” aveva soffiato Alabaster con una voce spenta. Erano esuli e fuggitivi, non potevano appellare alcun asilo, “Siamo raminghi e fuggiaschi nel mondo4” aveva sussurrato July, chiudendo gli occhi, era un passo della bibbia, credeva, non riusciva ad esserne certa. Lou Ellen e gli altri non potevano aiutarli, parte della loro punizione era il non poter ricevere aiuti o avere contatti, o sarebbero stati tutti maledetti anche loro. “Non me ne importa niente Al, sei mio fratello” aveva soffiato Lou Ellen, come una gatta selvatica. “Ed io sono vostra amica, permettetemi di aiutarmi” aveva aggiunto Maya. “Permettetevi di rimediare alle mie mancanze” la voce che aveva parlato era maschile, entrambi la conoscevano. “Chris” July non sapeva dove avesse trovato quel tono morbido nella sua voce, “Chris, il labirinto era troppo per tutti” aveva sussurrato lei. 
 

*1. RR ne il Diario del Semidio, dove appare proprio Alabaster ( e c’è anche il primo incontro do Annabeth con Talia/Luke, oltre che il primo acchito di seme della discordia in Luke) appaiono anche in una storia le Baccanti come un gruppo di ninfe invasate strafatte di Zabaione. Per il Politicaly Correct non possono bere alcolici perché sono minorenni(E poi c’è Magnus LOL).
*2(pronunciato Ya-te-coo-tli). Il Nome vuol dire: signore del naso; ed è un dio Azteco.
*3 Il Secondo nome di Al ci è in realtà sconosciuto, è sempre stato segnato solo come C., invece il nome che ho scelto io è Cogito, è la prima persona presente (indicativo) del verbo pensare in latino. (Quindi si sarebbe: Io penso; dal famosissimo cogito ergo sum, io penso dunque sono).
*4 non è esattamente così il passo, ma è “Sarò ramingo e fuggiasco” ed è una citazione della genesi, che Caino riferisce a se stesso dopo che viene allontanato e punito da Dio per il suo fratricidio. In un certo senso è la stessa colpa di July ed Al, aver tradito i propri “fratelli” ed essere stati poi maledetti dagli dei. (Onestamente non è mai specificato, ma nella mia storia tutti i mezzosangue che hanno fatto parte dell’esercito di Crono e non hanno defettato (vedi Chris e Maya) sono tutti a “spasso” nessuno di loro è mai riuscito a trovare dimora, come se fossero tutti maledetti come Caino. N.B. Non avevo mai notato questa cosa, fino a questo capitolo lol)
   
 
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