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Autore: Ksyl    20/12/2017    1 recensioni
Lily Castle ha tre anni ed è Natale, the most wonderful time of the year
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Quasi tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nel futuro
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Castle
"Sei pronta?", domandò Castle ad alta voce, aggirandosi per il loft per captare da qualche rumore rivelatore dove si fosse cacciata sua moglie. Non capiva perché, proprio quel giorno, quello della recita di Lily, che cadeva due giorni prima di Natale per rendere un periodo già impegnativo ancora più complesso, Beckett dovesse essere in ritardo. Proprio lei che era sempre impeccabilmente puntuale. Non era solo in ritardo, ma era decisamente introvabile.

"Sto per vomitare", mormorò una Beckett affranta e sospettosamente di poche parole, quando la scovò. Strisciò fuori dal bagno per dirigersi verso il letto, dove si lasciò cadere pesantemente. Non doveva trattarsi di una battuta metaforica, perché a onor del vero gli sembrò molto pallida e provata. E indossava ancora la vestaglia, ora spiegazzata, che le aveva visto infilare qualche ora prima, piena di brio, quando aveva volteggiato leggera e festosa per casa. D'accordo, questa era una sua licenza poetica. Si affrettò ad andare in suo soccorso.

"Hai l'influenza? Preferisci stare a casa?". Era una proposta che sembrava inverosimile perfino alle sue stesse orecchie – non andare allo spettacolo di Lily? Non era possibile - ma data la stagione e le temperature sottozero che avevano flagellato la città, era plausibile che fosse stata contagiata da qualche virus, ignaro del suo status di super eroe che non si ammalava mai.
"Non ho nessuna influenza. Sono solo...". Si scostò malamente dal suo tentativo di verificare con metodi rudimentali se avesse la febbre. Avendo una certa esperienza nel combattere il suo umore cupo, Castle si sedette accanto a lei e prese a massaggiarle la schiena con movimenti lenti e regolari. "È quella maledetta recita!", bofonchiò Kate a denti stretti, dandosi per vinta.
Niente avrebbe potuto stupirlo di più. Ammetteva di aver avuto lui stesso la nausea al solo pensiero di quella – sua moglie aveva perfettamente ragione – maledetta recita. Perché dovevano inventare un supplizio del genere per dei poveri genitori che, semplicemente, avevano il cuore troppo tenero per affrontare una prova al limite della sopportabilità emotiva?
Lo aveva sempre sostenuto e aveva ricevuto in cambio risatine e canzonature e "Castle, stai esagerando". Lui esagerava? Lui aveva anni di esperienza sulle spalle e ricordava perfettamente come un evento del genere dovesse essere affrontato con tutta la determinazione possibile e una pianificazione militare più che accurata.
Si morse la lingua con sforzo supremo per non rinfacciarle un più che opportuno: "Te lo avevo detto che avremmo dovuto farla studiare a casa con maestri privati".

Ma gli fece tenerezza, quindi fu magnanimo. Era un sentimento che si era generato in lui con sempre maggiore frequenza, fin da quando l'aveva vista confrontarsi con le prime sfide della maternità, assumendo quel piglio sicuro che era la sua caratteristica primaria, insieme a una meticolosa preparazione e fiducia nelle proprie capacità, tutte qualità che si erano poi arenate quando si era trovata ad affrontare inerme le emozioni travolgenti dei primi progressi di Lily.

Ricordava ancora la felicità estatica con cui aveva accolto il primo sorriso di Lily. Non le smorfie casuali dei primi giorni da neonata, bensì il primo sorriso di pura beatitudine intenzionalmente rivolto a sua madre. Era stato tanto fortunato da poter essere spettatore di quella pietra miliare, che aveva registrato nella sua mente a imperituro ricordo, trattenendo il fiato. Kate era rimasta ipnotizzata per lungo tempo, sorridendole a sua volta, prima di voltarsi verso di lui che era pronto a condividere con lei quello stupefacente miracolo, per trovarsi invece di fronte a una Beckett comicamente a pezzi che aveva affermato con certezza che non aveva idea che sarebbe stato così – senza specificare quel così generico e inusuale, per una persona più che attenta ai dettagli, anche semantici – e che era certa che non sarebbe mai sopravvissuta a emozioni tanto forti, perché non l'aveva avvisata? Come poteva, lui, averlo già fatto un'altra volta, da solo per giunta, ed essere ancora vivo?

Era stato impossibile allora, come lo era adesso, non sentirsi mosso da un sentimento di dolcezza paralizzante per la straordinarietà umoristica della situazione. Beckett che affrontava malintenzionati a colpi di tacchi e sarcasmo, abbattuta dal sorriso di una neonata, che aveva messo in mostra, rivelandola, la sua vulnerabilità.
Le aveva naturalmente esposto un lungo trattato filosofico, forte della sua esperienza e passione per la condivisione del sapere, ridotto, in sostanza, a un "preparati perché sarà sempre peggio". L'aveva espresso meglio, arricchendolo di particolari più arzigogolati, ma il senso nudo e crudo era proprio quello. Le aveva riportato la nota metafora del cuore di un genitore che si espande all'infinito per inglobare un amore totalizzante in continua espansione, ma non era sicuro di averla convinta. Forse non era il caso di tirarla fuori di nuovo.

"Lo so", convenne dandole corda, concentrandosi sulla conversazione e continuando il massaggio.
"Come farò a vederla da sola e smarrita sul palco, con quel costume da gambero, a cantare canzoni natalizie? E se dovesse aver bisogno di qualcosa? Di andare in bagno?".
Fu difficile questa volta trattenersi dal farle notare che erano le stesse cose di cui lui si era preoccupato, senza ricevere nessun conforto verbale.
"Credo che le insegnanti abbiano una chiara idea di come gestire ogni emergenza e che abbiano pianificato tutto". Non riusciva a pensare a niente di più divertente di tutti quei bambini che interrompevano la recita per andare a fare pipì in massa, perché nessuno si era ricordato di pensarci. Ridacchiò con discrezione. Non voleva innervosirla.
"E se si sentisse sola, o impaurita e volesse venire da me? È la prima volta che sale su un palco a cantare", continuò Beckett sfogando i suoi peggiori presentimenti. Dove era finita la donna fredda di fronte ai criminali? Era possibile amarla tanto e sapere che l'indomani quell'amore sarebbe perfino aumentato?
"È nipote di un'attrice di teatro, se ha preso anche solo un quarto dei suoi geni, dubito abbia l'ansia da palcoscenico", scherzò.
"Castle, sto parlando sul serio". Ed era questa la cosa clamorosa, nonché meravigliosa, di tutta la faccenda. Kate Beckett in preda al panico al pensiero di non poter correre in soccorso della figlia, nella sua prima prova nel mondo reale.

La fece sdraiare sul letto di schiena, posizionandosi su un gomito per poterla guardare negli occhi. "Se dovessi avvertire il minimo sospetto che Lily abbia bisogno di noi, scavalcherò tutti e andrò da lei", garantì imprimendo nelle sue parole tutta la sua convinzione. Non sarebbe potuta andare in nessun altro modo.
"Per portarla via?".
"No, mi siederò lì con lei e gli altri finché lo spettacolo non sarà finito. Verrà per sempre ricordata come la bambina che cantava canzoncine natalizie dando la mano al padre".
Kate rise forte e la vide finalmente riprendere colore. "È una prospettiva terribile, Castle. Da grande morirebbe di vergogna".
"Lo so. E noi lo racconteremo a tutti i suoi fidanzati". Non era un'ipotesi così negativa. Li avrebbe fatti fuggire tutti.
"È anche un'idea molto dolce, però", continuò sorridendogli. "Terrai la mano a me, se lei non dovesse averne bisogno e senza dirlo a nessuno?".
"Sempre".
Intrecciò le dita tra le sue e appoggiò le labbra sul palmo freddo. Era un peccato dover abbandonare il loro rifugio per una volta silenzioso e a loro completa disposizione, ma Lily li stava aspettando e lui avrebbe sempre onorato tale impegno. Magari però potevano aspettare ancora cinque minuti...

Beckett
"Che cosa ci fate tutti qui?", domandò Beckett stupefatta quando si trovò davanti, all'ingresso della scuola, un corposo comitato composto da amici e parenti, giunti appositamente, a quanto pareva, per sostenere Lily nella sua prima esperienza da quasi adulta. Aveva contato sulla presenza di suo padre, Martha e Alexis. Non si era aspettata mezzo distretto.
"Siamo venuti per la recita", rispose Lanie visibilmente seccata per la mancanza di acutezza dell'amica. "Dove siete stati voi, piuttosto? Vi aspettiamo da una vita", la redarguì, senza nessuna indulgenza.
Lei e Castle si scambiarono uno sguardo imbarazzato, prima di distogliere gli occhi e rendersi così immediatamente colpevoli.
"C'era molto traffico", farfugliarono quasi all'unisono.
"In ogni caso, non potete stare qui tutti", riprese Beckett, rammaricata. "I posti sono limitati e solo per i parenti più stretti. Sono le regole della scuola. Hanno un numero fisso per bambino". Altrimenti avrebbero dovuto affittare la sala del consiglio comunale per contenerli.
"Ho comprato i biglietti per tutti", spiegò Castle, che aveva la faccia di uno che aveva finalmente potuto confessare quello che bolliva in pentola.
"Ma i posti, e di conseguenza i biglietti, sono contati. Per colpa tua gli altri bambini avranno meno persone tra il pubblico", obiettò perplessa.
"Beckett, pensi che sia una persona così orribile? Non ho rubato lo spazio di nessuno! Ho solo convinto... qualcuno ad aggiungere qualche posto in più", concluse cercando di essere il più evasivo possibile.
"Le maestre di Lily?", sibilò lei proseguendo con il tono da interrogatorio che le veniva sempre benissimo, quasi fosse una seconda natura.
"La direttrice", ammise lui con una punta di imbarazzo, sotto cui si celava malamente l'orgoglio per le sue doti persuasive.
"Lo sapevo che ha un debole per te", sospirò esasperata, decisa a chiudere la questione per non intrattenere il pubblico di amici molto interessati ai loro battibecchi domestici. Scrollò la testa, gli rifilò un'occhiataccia e preferì andare ad abbracciare e ringraziare i presenti per la loro partecipazione.
"Sappiamo quanto sia difficile la prima recita di un figlio", affermò Ryan, quando andò da lui e Jenny. "Siamo venuti a offrirti una spalla su cui piangere".
Rise. Doveva essere una battuta. Lei non avrebbe sicuramente pianto. "Non c'è nessun bisogno di piangere. Sono solo canzoncine natalizie", minimizzò. I battiti del suo cuore lanciati al galoppo non dovevano esserne al corrente.
"Esposito lo ha già fatto in auto", intervenne Lanie, affilata come sempre.
"Sì, anche Castle ha già avuto qualche momento difficile che mi ha tenuto nascosto", replicò divertita, tra le proteste dei due uomini.

Era felice che si fossero fatti in quattro per essere lì a condividere con loro un momento speciale, anche se non vitale. Proprio per quello il gesto assumeva un significato ancora più apprezzabile, di cui era molto riconoscente. Si avvicinò a suo padre, rimasto un po' in disparte e commosso, che venne così a completare la triade maschile già emotivamente a pezzi mentre il palco era ancora deserto. L'arrivo di Lily nelle loro vite era stato importante e necessario anche per lui. Si lasciò andare tra le sue braccia per racimolare un po' di forza, ripromettendosi di non crollare, almeno lei, almeno fino alla fine della recita. Chissà perché quell'anno il Natale la faceva sentire tanto suscettibile, grata e viva allo stesso tempo. La stranezza di Castle doveva averla contagiata. O forse aveva più che mai bisogno di essere circondata dall'affetto delle persone che amava.

Non appena si furono accomodati, e non fu facile soffocare l'istintiva vergogna che provò quando si rese conto che occupavano un'intera fila, quasi davanti – per fortuna Castle aveva avuto la decenza di non farsi riservare i posti d'onore -, vennero discretamente raggiunti da una delle maestre di Lily, sempre molto cortese e sorridente come erano abituati a vederla, ma visibilmente a disagio.
"Kate, Rick... ", esordì con reticenza.
Castle fu il primo a reagire, quasi abbattendosi su di lei per avvicinarsi alla giovane donna. "È successo qualcosa? Lily si è fatta male?". Gli mise una mano sulla gamba per trattenerlo e mitigare la sua ansia immotivata.
"Castle, lasciala parlare", suggerì.
"No, niente del genere", li rassicurò. "Crediamo che Lily abbia bisogno di voi. Potreste seguirmi? Magari uno soltanto. Non è qualcosa che di solito facciamo, ma viste le circostanze...".
Niente avrebbe avuto il potere di far balzare in piedi Castle con altrettanto impeto. La sua bambina in pericolo. Riusciva a leggergli benissimo il fumetto sulla testa. Lo seguì. Per nulla al mondo sarebbe rimasta seduta in platea attendendo notizie del dramma dietro le quinte.
"Lo sapevo che sarebbe successo qualcosa. Nessuno mi ha dato retta", bofonchiò suo marito a denti stretti, per non farsi sentire dalla ragazza che li precedeva, guidandoli.

"Sarà solo nervosa...", obiettò, assumendosi il ruolo sgradito della voce della ragione.
"Se fosse così non ci avrebbero chiamato", bisbigliò lui quasi correndo, riuscendo finalmente a farla preoccupare del tutto. Qualcuno avrebbe dovuto avere pietà di loro e tenere delle lezioni su come essere genitori più calmi e posati, una buona volta.

Lily non era solo nervosa. Era una furia della natura che esprimeva il suo dissenso contro un mondo ingiusto e crudele a chiunque le capitasse a tiro. Per quanto fosse una bambina dal carattere molto forte, non aveva mai dato in escandescenze in quel modo e questo la spaventò. Doveva essere successo qualcosa di imprevisto e tremendo. La si sentiva anche da fuori ed era sicura che i muri stessero vibrando. Quelle povere ragazze dovevano avere lesioni del timpano e necessitare di una settimana di disintossicazione, per riprendersi dal caos nel quale si stavano destreggiando con molte più risorse e fermezza di quanta ne avrebbe avuta lei nelle medesime condizioni.
Fu la prima a raggiungere Lily, il visetto paonazzo su cui scorrevano lacrime inconsolabili, in preda ai singhiozzi per le sofferenze dell'intero pianeta.
Nonostante gli inviti del padre, si rifiutò di parlare, scegliendo di arrotolarsi tra le sue braccia, come a voler ritornare a un tempo meno ostile in cui sua madre faceva da barriera tra lei e il mondo esterno. Era spettinata e il vestito pendeva floscio, un quadretto molto diverso rispetto a quando l'aveva salutata quel mattino, euforica e baldanzosa.

Non voleva essere un gambero. La verità venne fuori piuttosto in fretta, dandole un istintivo sollievo che dovette subito reprimere, per non urtare i sentimenti della suscettibile bambina aggrappata a lei. Voleva essere un drago.
"Non ha tutti i torti", convenne Castle ponderando la questione come se fosse della massima importanza, quando gli si rivolse chiedendogli aiuto con un'occhiata imperiosa.
"I draghi sono creature affascinanti, chi non li preferirebbe a un gambero? E Lily è indubbiamente forte e indomita come un drago. Non certo come un crostaceo", continuò meditabondo, offeso nella sua dignità quanto la figlia.
"Castle, non stai aiutando", lo ammonì severa indicandogli con la testa il problema primario che necessitava di una soluzione immediata. Non era il caso di peggiorare una situazione già grave. "È stata lei a scegliere il gambero, perché voleva avere gli stessi capelli rossi di Alexis. Tu hai detto che era un'ottima idea. La scuola vuole promuovere l'inclusione di tutti gli esseri viventi, crostacei compresi. E noi siamo d'accordo", snocciolò a memoria. Era sempre attenta alle riunioni e aveva approvato lo spirito della recita natalizia, quando era stato esposto. Certo che però i draghi...

"Hai ragione", convenne lui, stranamente senza proteste. Si accovacciò accanto a loro, mentre improbabili animali di varie forme e dimensioni sfilavano per la sala, qualcuno più entusiasta e altri, che dovevano provare gli stessi dubbi esistenziali di sua figlia, con broncio e lacrime. Sarebbe stata una giornata campale.
"Lily". Castle cercò il suo sguardo, prima di iniziare quella che, Beckett sperava, si sarebbe rivelata un'incisiva spiegazione che avrebbe rimesso tutto al posto giusto. La bambina si zittì, magicamente. Il potere persuasivo di Castle non mancava di meravigliarla.

"Ti ricordi quando siamo andati in vacanza, la scorsa estate, e tu hai raccolto delle margherite e delle viole per la mamma?".
Non poteva assolutamente ricordarlo, ma fece segno di sì con la testa, per fortuna. "Non riuscivi a decidere quali ti piacessero di più e alla fine hai detto che tutti i fiori erano belli. La stessa cosa vale per draghi e gamberi e il resto. Tutti gli animali sono belli e hanno il loro posto nel mondo", spiegò con troppa enfasi e senza nessuna convinzione.

Non stava funzionando affatto, come aveva previsto. Kate avrebbe voluto sputare del fuoco nella sua direzione per la frustrazione, ma si trattenne. Erano sull'orlo di un'altra esplosione. Pontificare sul valore dell'individuo all'interno del cerchio della vita, pianta o animale che fosse, non era stata una brillante idea.
Castle virò in fretta su un altro argomento. Perlomeno era dotato di notevole creatività.
"E hanno i poteri. Sì, tutti e due. Anzi, il gambero è un animale molto più potente del drago. Hai visto queste chele? Possono lanciare missili. I draghi hanno solo il fuoco, e finisce molto in fretta", sbuffò, esprimendo enorme disapprovazione nei confronti dei poveri draghi, con buona pace dell"'inclusione e accettazione di ogni forma di vita, senza distinzioni". Draghi battuti da gamberi, fine della questione.

Lily, che aveva ascoltato rapita, si mise a osservare le sue chele di pezza arancione con notevole interesse. Finalmente un sorriso spuntò sul viso più disteso. Beckett prese un fazzolettino dalla tasca e le asciugò le lacrime, ringraziando mentalmente Castle per l'idea che li aveva salvati dalla tragedia.
"Te la senti di salire sul palco, Lily?", le domandò con grande delicatezza, cercando segni rivelatori del suo vero stato d'animo, per calcolare le probabilità di successo.
"Sì. I gamberi sono belli perché sono cattivi", annunciò con grande serietà e soddisfazione. Non era esattamente lo spirito di solidarietà che si era augurata, ma se lo sarebbero fatti andar bene.

La recita fu un successo. Lily fu il gambero più fiero mai esistito sulla Terra. Cantò senza dimenticare una sola parola, li salutò saltellando e dovette essere ripresa al volo prima che capitombolasse nella sala per andare a raggiungerli. Castle le tenne la mano e le passò un fazzoletto, quando ebbe finiti i suoi. Ma si consolò, la restante parte di pubblicò non se la stava passando molto meglio. Per non parlare dei nonni di Lily, che fingevano di rivolgersi l'uno all'altra per non mostrare apertamente la loro commozione. Lily venne festeggiata dai suoi sostenitori entusiasti e fu sommersa di amore, baci e complimenti. Lei era ormai definitivamente ridotta a pezzi che galleggiavano su un liquido caldo e dorato.

Nel salutarsi, si diedero appuntamento per il cenone della vigilia, che avrebbero trascorso tutti insieme, per fare un altro pieno di minuscoli pezzettini che davano il senso di quello che, in sostanza, era bellezza della vita stessa.
Ma prima sarebbero andati a comprasi un enorme drago. Perché anche ai draghi doveva essere restituita la dignità che Castle aveva loro spietatamente tolto, a favore dei crostacei. In quello fu inflessibile e Castle, ridendo, accompagnò le sue donne a comprare il drago più imponente e magnifico che riuscirono a trovare.

***
Grazie infinite per i commenti del precedente capitolo, a cui purtroppo non ho ancora fatto in tempo a rispondere, ma ci tornerò appena possibile, I promise. In vista delle vacanze, ho accelerato la stesura per riuscire a pubblicare l'ultimo prima di Natale, quindi sarà al massimo venerdì sera. Nel frattempo questo capitolo è uscito lunghissimo e oggi non ho in pratica fatto nient'altro, allo stato attuale sono talmente piena di Caskett Feels che potrei darli via! XD Buona serata! 

   
 
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