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Autore: halsey1696parrish    20/12/2017    1 recensioni
[La Quinta Onda]
Sono arrivati senza preavviso portandosi via ogni cosa.
La nostra vita, la nostra famiglia, le nostre città, la nostra umanità.
Chi rimane combatte per ciò che ha perso, per sconfiggere gli intrusi.
Gli Alti hanno preso anche i nostri volti, ora sono come noi.
Ma loro non avranno mai l'umanità che ci hanno portato via.
Genere: Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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La Terza Onda aveva portato morte e distruzione. Avevo visto la gente che conoscevo morire davanti ai miei occhi, e io non potevo fare niente. 
Mi sentivo così sola in quel mondo così grande. 
Dopo la morte di mio padre, rimanemmo solo io, mio fratello e mia madre nella nostra casa. 
Casa, se ancora poteva essere definita tale. 
L'unica cosa che mi rimaneva della mia vecchia vita era un quaderno, che avevo sempre con me. Era una specie di resoconto delle giornate. 
Lì tenevo le mie foto più care, quelle poche che ero riuscita a recuperare. Ad esempio avevo una foto scattata con Cameron pochi mesi prima, oppure una foto di famiglia del Natale scorso. E portavo sempre con me l'annuario delle scuola, una delle ultime cose che avevo creato a scuola con il gruppo del giornalino.
A volte, rivedere quelle foto causava in me una strana sensazione, come un gran vortice nello stomaco, pronto a risucchiarmi. 
Ora sapevo benissimo cos'era quella sensazione: la paura di rimanere sola, la paura di aver perso tutto e che quel tutto non tornerà mai fra le tue mani, il terrore di vivere una vita in modo diverso, dire addio al mondo che si conosceva e alle persone più care, non accettare di perdersi nell'immenso di tutto ciò che stava accadendo. 
Delle persone riuscivano a lasciarsi andare, ma io no. Sentivo che dovevo restare, che avevo uno scopo. O forse ero solo io che volevo dare un'ultima speranza alla vita, dargli un'opportunità migliore rispetto alla via del "lasciarsi andare". 
C'erano cose che semplicemente ancora non accettavo, come il fatto di esser stati cacciati dal nostro mondo e annientati subito dopo su questo stesso suolo, la nostra casa. Non riuscivo ad accettare il fatto che tutto stava cambiando intorno a me e non riuscivo a trovare il mio posto. 
Ah! Sfiderei chiunque a sentirsi a proprio agio su questa terra maledetta e calpestata da stranieri. 
Restava il fatto che in quella giornata di fine settembre qualcosa si riacesse in me, come un fuoco.

Spesso andavo in centro per comprare qualcosa da buttar giù nello stomaco, per me e mio fratello, a volte anche per nostra madre, ma anche lei come tanti altri si stava lasciando andare. 
Mi recavo nel piccolo mercato allestito proprio in piazza, costituito da bancarelle improvvisate e baratti fatti con oggetti vitali. Una mela per del sapone oppure delle coperte per un po' di fagioli in scatola. Si, erano scambi molto squilibrati ma dopo l'invasione non c'era più un essere umano a dettare le regole, ed era già tanto se eravamo riusciti a mantenere quel poco di civiltà.

Il tragitto da casa mia al centro durava all'incirca venti minuti in bici e in quel piccolo tratto riuscivo a captare come il mondo stesse cambiando e tutto stesse mutando in peggio. Quartieri desolati e quasi totalmente distrutti dalle prime due Onde, zone completamente deserte e terrificanti. Mentre in città, beh, i palazzi diroccati non mancavano e di certo i vari terremoti non avevano giovato molto alla sicurezza di quei posti. 
Nel mio piccolo quartiere erano rimaste due famiglie in croce compresa la mia. 
Ormai eravamo come estranei, se si necessitava si parlava con il vicino altrimenti rimanevano tutti in silenzio. Un silenzio che faceva esplodere la testa e il cuore. Ci avevano ridotto a ciò gli invasori. Ed io ne avevo già abbastanza.

Era appena autunno, ma il caldo afoso, quasi estivo persisteva. Arrivata al mercato, misi nel cestino poche cose, le più necessarie: latte, un pacco di pasta e qualche frutta ancora in buono stato. L'acqua per fortuna potevamo recuperarla dal lago vicino casa. 
Ogni volta che mi recavo in città, non potevo evitare di non pensare a tutti quei volti segnati dalla stanchezza e dall'esasperazione dei sopravvissuti. 

Risalendo in bici, notai il cielo farsi sempre più scuro, così decisi di pedalare più veloce che potevo. Ormai neanche un semplice temporale era sicuro. Superai la zona industriale, la più spaventosa di tutte, che in pochi mesi aveva subito il degrado più totale. Il cielo stava assumendo una brutta tonalità rossastra il che era poco rassicurante. Arrivata nella veranda di casa feci in tempo a chiudermi in casa prima di veder quella pioggia che colpiva tutta la natura intorno. 
Una pioggia acida stava facendo marcire quel poco di bello e verde che caratterizzava ancora il nostro pianeta.

Rimasi a fissare fuori ancora molto finché qualcuno non mi toccò la spalla. 
-Non è la prima pioggia acida.- la voce di Theo mi arrivò quasi distante. Sentivo l'aria intorno a me più pesante e viscida, non mi permetteva quasi di respirare. 
Guardai negli occhi mio fratello, i miei stessi occhi, e gli feci un cenno. C'eravamo molto avvicinati in questi mesi ed era una delle poche cose a farmi stare bene. Aveva la fronte imperlata da goccioline di sudore e la sua solita camicia di jeans con le maniche ripiegate fino ai gomiti.
-Sta notte è successo anche. Dicono sia a causa di qualche centrale nucleare, si spiegherebbe anche il cielo rosso.- mio fratello continuava a parlare, mentre giocherellava con la sua collana. 
Era l'unica cosa che riaveva del suo passato, il regalo della sua ragazza. Era morta nell'incidente aereo, rimasta uccisa nel campo. 
-Sono rientrata in tempo allora.- dissi voltandomi e osservando la casa buia. Era circondata da una strana luce rossa, che mi ricordava sempre più il sangue degli innocenti versato senza motivo. 
Udimmo un rumore sordo, la porta sul retro che veniva sbattuta e poi dei passi. 
-Mamma?- dissi incerta. 
La paura iniziò a crescere dentro di me, a poco a poco e sentivo il cuore pulsare, la gola secca e il sudore che scendeva fino a bagnarmi il colletto della maglia. Strinsi instintivamente la mano di mio fratello maggiore, che mi affiancò senza problemi.
La figura di mia madre, esausta spuntò in soggiorno, proprio di fronte a noi. I suoi capelli neri corvini erano attaccati alla fronte ed era più pallida del solito. Respirava a fatica, come se avesse corso per tanto tempo o avesse compiuto uno sforzo disumano.

-Ragazzi aiutatemi, l'ho salvato in tempo. Si trovava nella strada, proprio sotto la pioggia.- disse annaspando leggermente. Aveva riportato delle escoriazioni sul viso, ma niente a confronto del corpo inerme che aveva tra le braccia.
Un ragazzo, coperto di ustioni causati dalla pioggia. I capelli rossi erano fracidi ed emanavano un odore disgustoso, come il resto dei suoi vestiti, quasi ridotti a brandelli. Avvicinandomi sussultai quando capii che quel ragazzo non era altro che Nate. 
Nate coperto di sangue e ustioni, rossi come i suoi capelli, rossi come il cielo infiammato del mondo. 

   
 
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