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Autore: Sameko    21/12/2017    1 recensioni
Una Genocide rimasta incompleta.
Una Pacifist che si prospetta essere quella definitiva, quella che assicurerà il lieto fine a lungo sperato.
Ma gli ingranaggi erano già stati messi in moto da tempo. Fili che dal passato tendono verso il presente aspettano di intrecciarsi con un futuro ancora incerto. Ed è ora che iniziano le sfide più difficili, in cui anche una mano amica in più può fare la differenza.
L’importante è non perdere mai la propria determinazione.
Genere: Angst, Introspettivo, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Chara, Frisk, Sans, Un po' tutti
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: Tematiche delicate, Violenza
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Capitolo 25: Perché sono ciò che sono - Parte Uno





Il suo primo ricordo, vivido abbastanza da poter essere rievocato, risaliva ai tempi in cui lui era ancora un bimbo. Non aveva idea di quanti anni potesse avere, ma doveva essere ancora molto piccolo, perché il mondo che quella memoria gli stava descrivendo era enorme e spazioso, gli oggetti sembravano tutti molto più grandi di quanto li ricordava… solo un bambino di pochi anni avrebbe potuto avere una percezione tanto distorta dell’ambiente in cui si stava muovendo, in cui stava correndo, per sfuggire ad un misterioso inseguitore. Il bimbo si era nascosto dietro al divano del soggiorno – il soggiorno dell’appartamento nella capitale, la sua vecchia casa –, e si era raggomitolato su sé stesso, cercando di sfruttare al meglio lo spazio offertogli dal suo nascondiglio.
Una voce sfumata dal tempo era percepibile come un eco di sottofondo nel ricordo, così tanto invecchiata e sgranata dagli anni che non fu possibile né a lui, né a Frisk distinguere le parole che essa stava pronunciando... ma Sans riusciva a percepire nello spettro delle emozioni della ragazzina il barlume del riconoscimento, la sensazione di aver già udito quella voce da qualche parte, la sensazione di avere la risposta proprio sulla punta della lingua
Lo scheletro scelse di restare in silenzio, di non fornirle la soluzione che lei stava cercando; la piccola avrebbe fatto il collegamento da sola presto o tardi, rendendo un suo prematuro intervento completamente innecessario. Il pensiero di questa inevitabilità lo rese malinconico, come se… se desiderasse non vedere mai la scintilla della realizzazione accendersi nell’animo di lei – ma sapeva che non gli sarebbe stato possibile impedirlo, lo aveva saputo sin da quando le aveva preso la mano e dato inizio al loro legame.
La voce si fece più vicina e la tensione divampò come un fuoco nella giovane anima del bambino che un tempo era stato.
Due mani afferrarono quel piccolino per la vita e lo sollevarono in aria, una breve e profonda risata si elevò alle spalle della sua versione in miniatura. Il piccolo Sans si mise immediatamente a scalciare, tentando di sfuggire per un’ultima volta alla cattura, ma la sua continua resistenza non portò ovviamente ad alcun risultato, perché lui era ancora minuscolo in questo ricordo e le mani che lo stavano reggendo erano grandi, forti, decisamente troppo forti per potercisi ribellare contro.
« Preso! » Esultò con ridente soddisfazione la voce, il cui echeggiare era ora decisamente più attenuato rispetto ai secondi precedenti. E il piccolo Sans mise su un broncio infastidito, mentre l’ultima delle sue ribellioni veniva dolcemente sedata dalle mani che stavano avvolgendo con facilità il suo corpicino.
« Non è giusto che vinci sempre tu, papà! » Procedette a protestare a gran voce lo scheletrino, suscitando in tal modo il divertimento di Frisk, che stava guardando intenerita a questa scena, che avrebbe tanto voluto vedere quel broncio infantile se solo una visuale esterna avesse potuto consentirglielo, che era certa sarebbe stato adorabile sul suo faccino tondo da bimbo…
Sans non aveva il cuore di interromperla, nonostante la sua corrente amarezza, la sua malinconia… non aveva il coraggio di rovinare il suo entusiasmo proprio ora, quando ancora erano all’inizio e tutto era intriso di positività, gioia priva delle ombre che avrebbero contaminato i suoi anni futuri… non ne aveva il coraggio, e si tenne per sé quelle sue emozioni, lasciando il ricordo libero di fluire come era necessario che dovesse.
Il piccolo Sans venne posato con amorevole cura sul divano, prima di ricevere una carezza sulla testa dalla figura senza nome che aveva appena chiamato ‘papà’, un gesto atto a riappacificare i due dopo la sconfitta che il bimbo aveva appena subìto.
Solo allora, quando la figura si era abbassata al livello degli occhi dello scheletrino, fu in grado di mostrare a Frisk le fattezze di uno scheletro adulto, un individuo di cui la sua piccola notò con facilità l’evidente somiglianza con lui e Papyrus. Sans sarebbe stato stupito del contrario, ma non poté impedire alla sua anima di stringersi un poco davanti all’estrema, disarmante velocità con cui la ragazzina fu in grado di vedere tutte le varie corrispondenze e di elencarle come per gioco: le orbite erano due larghi ovali nel cui nero spiccavano pupille bianche e luminose – lui –, il volto era allungato e gli zigomi erano sporgenti – Papyrus –, il sorriso si inclinava da un lato piuttosto che dall’altro – di nuovo lui –, la sua altezza era davvero non indifferente – di nuovo Papyrus… e Frisk era felice di adocchiare ciascuno di questi tratti fisici, e Frisk era felice di vedere l’espressione affezionata che suo… c-che lui, quello scheletro, quello scheletro che il piccolo Sans aveva chiamato ‘papà’, stava riservando al suo figlioletto…
Era da parecchio tempo che non usava, né pensava a quella parola, ed era stato quasi sul punto di rompere quello che era divenuto un tabù per la sua mente e per la sua bocca.
Fu in quel frangente che Frisk si rese conto del suo turbamento e la preoccupazione della piccola non tardò di conseguenza a raggiungerlo. Sans, tuttavia, non indugiò nella sensazione e nella volontà della ragazzina di offrirgli un aiuto – non voleva essere fonte di distrazione per la giovane, era importante che lei guardasse quel bambino e quel genitore mentre stavano giocando, era necessario che lei riservasse tutta la sua concentrazione a quella scena.
« Crescerai presto, Sans. Crescerai prima di quanto credi. » Disse lo scheletro adulto, picchiettandogli affettuosamente il nasino e riuscendo nell’intento di spezzare il broncio del piccolino. « E, quando sarà ora, sono sicurissimo che batterai facilmente il tuo papà. »
Il bimbo alzò lo sguardo, allargando gli occhioni in cerca di un’ulteriore conferma da parte del genitore.
« Davvero? »
Il suo papà annuì.
« Davvero. » Confermò, sorridendo allo scheletrino, sorridendo con convinzione e sincerità… e Sans sapeva che parole simili non sarebbero mai corrisposte a realtà, perché non era mai stato in grado di batterlo in combattimento neanche una volta. Sempre a terra era finito e sempre a terra continuava a finire. « Via quel muso lungo ora, o sarò costretto a farlo sparire io stesso! »
Istantaneamente, gli occhi dello scheletrino si erano sgranati in allarme vedendo le mani del suo papà sollevarsi minacciosamente, il sorriso di quest’ultimo aveva assunto una sfumatura a dir poco diabolica.
« Nooo, papà! Il solletico NO! »
Il bimbo venne atterrato facilmente mentre tentava di darsela a gambe, e suo padre prese a strofinare febbrilmente le falangi lungo tutto il suo corpicino inerme; occorsero solo pochi secondi per farlo finire a contorcersi dal ridere sul divano sotto quell’assalto incessante.
« Pa’, baAH AH AH stAH AH! Non ce la ah ah faccio piah ah ah! » Strillò e rise allo stesso tempo il piccolo, cercando di schermarsi il corpo con le manine, difesa che fu del tutto inefficace di fronte ai movimenti esperti del suo assalitore. Fu solamente per miracolosa clemenza del suo papà che quella dolce tortura ebbe fine, e il bimbo venne stretto in un delicato abbraccio appena ebbe recuperato fiato, il gesto non meno amorevole rispetto alle attenzioni che gli erano già state dedicate.
« Ti voglio un mondo di bene, figlio mio. Ricordatelo sempre. »
Il piccolo Sans allungò le proprie manine per abbracciare il collo del suo papà e tuffare il visino in una delle sue larghe spalle, godendo del nido d’amore che quelle braccia potevano offrirgli… braccia che, fino ad allora, non lo avevano mai toccato con l’intento di fargli del male.
« Sì, papà. »
 
I contorni di quell’immagine sfumarono, il calore che da quel ricordo aveva provato invano a filtrare nella sua anima svanì anch’esso. Avrebbe dovuto essere una memoria felice, piena di serenità, ma ciò che lui stava ora provando era solamente triste, rancorosa freddezza – e si rifiutò categoricamente di riconoscere quel lieve tirare dentro di lui come rimpianto.
Frisk era adesso libera di raggiungerlo e di sfiorarlo, per cercare un contatto, una risposta che potesse spiegarle il netto contrasto fra le sue emozioni attuali e la felicità di quella memoria…
Sans… stai bene?
Sans sospirò internamente, mettendo un poco da parte il suo rancore per rassicurarla.
Sì, piccola… sto bene, non preoccuparti… ora riprendiamo… ”
Ci sarebbe stato di peggio più avanti, cose da cui avrebbe dovuto proteggere Frisk al meglio delle sue capacità, e non poteva lasciarsi traviare da un ricordo così innocente eppure inverosimilmente… affliggente. Non poté fare a meno di pensare che, se solo quel bimbo avesse potuto avere una vaga idea di quello che sarebbe stato il futuro rapporto con suo padre, non si sarebbe lasciato avvicinare così facilmente, né si sarebbe sentito a suo agio nel ricevere quei gesti d’affetto e quei suoi abbracci… e non poté fare a meno di chiedersi se c’era davvero stato qualcosa di sincero e reale a legarli in questo distante periodo della sua vita...
 
Nel ricordo successivo, contorni e colori erano più vividi e nitidi del suo predecessore. Doveva essere trascorso qualche annetto dal primo, perché Sans si sentiva cresciuto, non eccessivamente certo, ma non era più un bimbetto che non arrivava nemmeno alle ginocchia del suo unico genitore.
« Sans, guarda qui. » Disse il suo papà, in ginocchio sulla moquette di quello stesso salotto. Fra le sue braccia, vi era un piccolo fagottino di un vivace color arancione. « Sai chi è questo piccolino? »
Sans si sporse ad osservare il bebè ospitato fra le braccia dello scheletro più grande, un’arcata sopraccigliare alzata in palese perplessità. Era uno scheletrino minuscolo, persino più piccolo di lui, il visino era delicato e morbido nei suoi tratti estremamente infantili, le ossicine tanto tenere che sospettava persino un debole colpo avrebbe potuto creparle.
« No…? » Rispose il bambino, dopo averci pensato un po’ su. « Da dove viene? Dove l’hai preso? »
Il suo papà ridacchiò di cuore.
« Beh, è il tuo fratellino, Sans. » Gli spiegò, con un sorriso intenerito. « Non mi dicevi, fino a qualche tempo fa, di volere tanto un fratellino? »
Il viso di Sans, una volta assimilata quella risposta, si accese di profondo e meravigliato stupore.
« È davvero il mio fratellino? » Domandò entusiasta, passando gli occhi dal volto del suo papà a quello dolcissimo del bebè appena arrivato nella loro famiglia di soli due membri. « Come si chiama? »
« Io avevo pensato a Papyrus… » Gli rispose suo padre, al che Sans non poté contenere la perplessità che affiorò sul suo visino.
« Perché Papyrus? »
La bocca del suo genitore si distese in un caldo sorriso davanti alla curiosità che aveva mostrato.
« Perché ha proprio l’aria di un tipetto che pretenderà molte attenzioni. » Replicò, dando un buffetto sulla testa del figlioletto in fasce quando quest’ultimo – Papyrus – lo aveva accarezzato sulla gota ossuta con la manina. « Ma, se non ti piace, possiamo sempre sceglierne un altro assieme. »
« Mi piace tanto, invece! » Non esitò a ribattere Sans. Tutto il contrario, lui aveva adorato quel nome dalla prima all’ultima sillaba pronunciata da suo padre, perché a sua volta aveva trovato quel suono incredibilmente adatto a quel fagottino arancione.
E Sans si sentiva meglio al solo rievocare questo ricordo, viverlo quasi come se fosse ancora bambino, con le emozioni di allora intatte e spontanee ed innocenti – e fu sollevato che, percependo tutto questo, anche la preoccupazione di Frisk si smorzò un poco. Non gli piaceva vederla o sentirla in pensiero per lui, lo sguardo della sua piccola assumeva sempre un alone triste quando accadeva…
« Dovrai prenderti cura di lui al massimo delle tue capacità, lo sai? Un fratellino non è mica uno di quei cucciolotti della Guardia Reale. » Si raccomandò, con tono di ironia, il suo papà. « Avrà bisogno sia di me che di te mentre crescerà. »
Il piccolo Sans assentì con la testa, perché sapeva che un fratellino andava curato, fatto giocare ed aiutato, era stato perfettamente consapevole delle responsabilità che si sarebbe dovuto prendere se solo fosse stato accontentato.
« Lo so, papà. Giuro che lo farò sentire sempre a casa. Sarò il miglior fratello maggiore della storia. » Gli assicurò prontamente, stringendo i pugnetti con sincera decisione. « È una promessa. »
Il suo genitore lo guardò con un sorriso a fior di labbra, evidentemente divertito dall’entusiasmo che aveva sin da subito manifestato una volta appresa la notizia.
Il loro parlottare venne interrotto dal lieve piagnucolio che Papyrus emise, come se avesse voluto comunicare loro che il chiacchiericcio che sentiva non gli era molto gradito. Il bebè strizzò gli occhietti con una leggera smorfia, prima di riaprirli e puntarli ora in quelli di suo fratello, per la prima volta di tante che sarebbero seguite negli anni a venire: erano occhi curiosi e vispi, che avevano scaldato la sua anima da fanciullo come mai era successo prima di allora nella sua ancora breve vita.
Papyrus allungò la manina a toccare il viso del maggiore, con uno spiccato barlume di interesse negli occhi. Sans non si scostò, anzi, assecondò con un sorriso raggiante quel tocco goffo ed incerto. Non trascorsero che pochi secondi quando Papyrus, decidendo forse che quel buffo piccolo scheletro gli andava a genio, si mise a ridere allegro, le guance sfumate da un adorabile color rosato.
Sans sbatté le palpebre meravigliato, prima di unirsi a quella risata, troppo felice di aver ricevuto un dono così grande e prezioso… un dono che avrebbe protetto anche a costo di sacrificare sé stesso.
« Una promessa è per sempre, giovanotto. » Disse il suo papà, carezzando orgoglioso sulla testa entrambi i suoi figli. « Sono certo che saprai mantenerla. »
Inutile dirlo, era stato determinato a mantenerla sin dal momento in cui la aveva espressa con la sua voce che conteneva a stento una traccia della tonalità più bassa che avrebbe acquistato da ragazzo… sin dal momento in cui aveva amato la risata del suo fratellino come aveva amato solamente suo padre fino ad allora.
 
I ricordi successivi erano intrisi di altrettanti e pacifici momenti familiari, di divertimento, di tanto affetto e calore che avevano accompagnato la prima fase di crescita sua e di Papyrus, un periodo che era stato da parte una benedizione per entrambi, ma una maledizione in seguito, perché… perché era sempre stato il metro di paragone tra il prima ed il dopo, il continuo rimando che c’era stato qualcosa di migliore una volta… e che, per chissà quale motivo, ad un certo punto aveva cessato di esistere.
Se avesse dovuto scegliere un momento, un avvenimento in particolare che aveva segnato l’inizio di tutto, Sans ben sapeva purtroppo dove doveva andare e portare anche Frisk con sé.
Doveva aver avuto otto anni, forse si avviava già verso i nove, quando aveva richiamato per la prima volta il suo occhio magico – o, almeno, quella era la prima volta che la sua memoria potesse ricordare.
Stava dormendo quando aveva percepito qualcosa di estremamente insolito, disagioso, uno spostamento innaturale della sua magia che lo aveva allarmato e fatto svegliare di soprassalto.
Non aveva compreso cosa fosse successo allora, l’orbita sinistra gli pizzicava leggermente ma fastidiosamente, la magia all’interno si era condensata in una forma strana, quasi ingombrante se confrontata alla leggerezza dell’energia magica che componeva solitamente le sue pupille.
Si era alzato di getto, barcollando un poco verso il bagno a causa del movimento repentino, e aveva tastato agitato in giro per trovare la maniglia – non riusciva a vedere bene, i contorni delle cose erano terribilmente sfocati.
Una volta davanti allo specchio appeso sopra al lavandino, poté finalmente vedere quella strana concentrazione di magia nel riflesso spossato del suo viso: era un occhio di magia spessa, intensa, di una strana sfumatura azzurra e sfavillante. Era… strano, bizzarro per essere più precisi, non aveva mai visto la magia di nessun mostro prima di allora assumere una simile forma… ma non gli sembrava pericoloso, non ad una prima occhiata almeno.
Si rese conto esaminando più attentamente il suo riflesso di una fievole pupilla bianca nella sua orbita destra, il familiare punto di luce che avrebbe dovuto brillare anche in quella sinistra, ora invece occupata da quel grosso occhio tondeggiante.
Sans provò a spegnere quella debole luce, convogliandone la magia che la componeva nell’orbita opposta. La sua vista migliorò notevolmente quando ebbe finito, l’occhio si era caricato di nuova brillantezza, di un riflesso di giallo tendente al dorato. E il bambino rimase a bocca aperta a quel punto mentre fissava nello specchio il mischiarsi e il leggero turbinare di quei colori tanto vivaci, ogni traccia di sonnolenza sparita.
« Woah… » Sussurrò, un angolo del suo sorriso si spostò spontaneamente verso l’alto. Quella… era davvero una figata
Un’ondata di incuriosito entusiasmo lo inondò dopo quel pensiero. Non vi era più timore da parte sua verso quella novità e nacque così in lui il desiderio irrefrenabile di rendere partecipe qualcuno della sua scoperta. Dimentico dell’orario da folli in cui si era dovuto svegliare, dimentico del fatto che suo fratello e suo padre stavano tutt’ora dormendo, si precipitò in camera del suo genitore e lo chiamò quasi strillando – azione inverosimile da parte sua, visto che era sempre stato un bambino generalmente poco rumoroso.
« Papà, papà! Non crederai mai a cosa mi è successo, guarda, il mio occhio sta brillando, gua- »
« Shhh! » La testa di suo padre emerse con un cipiglio assonnato dalle coperte che stavano avvolgendo lui e il piccolo Papyrus, le sue orbite erano due spicchi in cui facevano a malapena capolino le luci delle pupille. « Sans, fai piano, Papyrus sta dormendo! »
Quel sussurro di rimprovero lo fece subito ammutolire e mettere su un sorriso profondamente scusevole – oltre che un poco imbarazzato.
« Scusa, papà. » Sussurrò a sua volta, avvicinandosi quietamente al lato del letto matrimoniale dove dormiva il suo genitore, quasi in punta di piedi per rimediare al fracasso che aveva fatto in precedenza. « Non l’ho fatto apposta. »
L’altro scheletro si portò un dito davanti alla bocca e Sans impiegò solo l'istante successivo a comprendere il motivo di quel gesto: Papyrus si stava svegliando, il suo viso infantile era contorto in una leggera smorfia, i suoi occhietti pericolosamente strizzati dal fastidio.
Suo padre non perse tempo ad avvolgere maggiormente il suo fratellino con un braccio, accostandolo contro il suo fianco mentre gli accarezzava dolcemente la testa per farlo riaddormentare prima che si svegliasse del tutto.
Papyrus, dopo qualche secondo di rassicuranti carezze, si raggomitolò come un gattino accanto a loro padre, allungando un braccino fino a posarlo sul petto dello scheletro più grande, alla ricerca di un contatto con lui prima di scivolare nuovamente sereno nel sonno.
Suo padre si concesse un sospiro di palese sollievo, strofinandosi stancamente una mano contro il volto nel frattempo che lanciava una breve occhiata alla sveglia posta sul comodino. Sans seguì la direzione di quegli occhi e fu anche lui in grado di leggere l’ora segnata in numeri cubitali e luminescenti: 5:11 am.
Il grugnito esausto del suo papà fu praticamente inevitabile, così come il divertimento che la sua piccola provò nei confronti di tutta quella situazione.
 
Fatico a credere che tu sia passato dalle cinque del mattino all’una del pomeriggio.
Suo malgrado, Sans venne contagiato dalla genuina allegria della ragazzina e si astenne anche in questo caso dal correggerla, chiarire che questa occasione era stato solo un evento isolato ed irripetuto… Frisk stava soltanto cercando di rendergli meno pesante quello che per lui era un duro sforzo emotivo, non voleva che lei fraintendesse e pensasse che le sue accortezze gli erano sgradite.
Eh… non posso dire di non essere sorpreso anch’io dallo sbalzo… ” Replicò, prima che una voce proveniente da quel ricordo li interrompesse.
 
« Sans… sono le cinque del mattino, torna a dormire… »
« Ma… ma il mio occhio, papà… » Gli ricordò Sans, indicandosi eccitato l’oggetto in questione. « Sta brillando, visto? »
Suo padre abbassò la mano dal proprio volto stanco, soffermandosi con lo sguardo sul suo occhio magico, l’alone a tratti azzurro e a tratti dorato che emanava gettava una lieve luce colorata sui lineamenti del suo genitore.
« Lo vedo… ed è stupendo, Sans. » Rispose, l’accenno di un sorriso fece inclinare la bocca dentellata dello scheletro più grande verso l’alto… era un sorriso stanco e pieno di ombre, che il suo sé bambino non era stato in grado di notare – ed erano ombre di cui tutt’ora Sans non riuscì a coglierne la natura esatta. « Lo hai acceso da solo? »
« Sì! Stavo dormendo e quando mi sono svegliato era già così! All’inizio non riuscivo nemmeno a vedere, ho fatto fatica persino a trovare il bagno! » Raccontò con trasporto il bambino, mantenendo comunque un tono di voce contenuto per non disturbare il sonno non ancora profondo del piccolo Papyrus. Il suo entusiasmo subì una battuta d’arresto quando si rese conto di un piccolissimo dettaglio: non aveva idea di come farlo dissipare. « Però… ora come lo spengo? »
Un angolo della bocca di suo padre si sollevò ulteriormente in un movimento divertito, le ombre nel suo sguardo momentaneamente nascoste.
« Devi solo chiudere gli occhi in questo modo. » Lo istruì quest’ultimo, procedendo a chiudere i propri per dargli una immediata dimostrazione. « Inspira profondamente… e poi espira» Un respiro fece alzare ed abbassare gradualmente la cassa toracica del suo genitore. « … lascia la magia libera di disperdersi. »
Sans assentì dopo aver ascoltato attentamente la spiegazione del suo papà. Seguì passo passo quel semplice processo e, quando permise alla magia che si era condensata nella sua orbita di fluire, l’occhio si dissolse e le normali luci bianche che erano le sue pupille tornarono a brillare al loro legittimo posto.
« Bravo, figlio mio. Ce l’hai fatta. » Quel complimento fece caricare di orgoglio infantile il sorriso che rivolse allo scheletro adulto, sorriso che venne in parte ricambiato dal suo genitore, almeno finché lo sguardo sul volto del suo papà non acquistò una sfumatura severa. « Ma sarebbe meglio non mostrarlo in pubblico… questa cosa deve restare solo tra di noi. »
« Perché? » Domandò subito Sans, confuso. Era una cosa bella, era una cosa stupenda, giusto? Se lo era, perché allora avrebbe dovuto nasconderla così come gli stava venendo detto? Non era una richiesta molto sensata secondo il suo modesto ragionamento.
« Perché è una cosa che solo noi scheletri possiamo fare- » Bugia, ringhiò lui contro la dichiarazione di quel ricordo, un ringhio di cui era sicuro che persino la sua piccola aveva percepito l’implacabile rancore. « -e non è saggio condividerla con mostri appartenenti ad una specie diversa dalla nostra. »
Il bambino annuì, accettando senza obiezioni la spiegazione fornitagli da suo padre, ed un nuovo pensiero eccitato sorse nella sua mente.
« Può farlo anche Papyrus, allora? » Chiese, già tremendamente curioso circa il possibile colore con cui l’occhio magico del suo fratellino avrebbe potuto manifestarsi
Il suo papà scosse la testa, interrompendo troppo prematuramente quelle sue fantasie.
« No, lui non potrà farlo… per questo non dovrai mostrarlo nemmeno a lui… tuo fratello potrebbe restarci male. »
La delusione calò velocemente sull’espressione del piccolo scheletro, che aveva così tanto sperato invece nelle risposta contraria, perché sarebbe potuto essere un segreto che avrebbe condiviso volentieri con suo fratello minore… ma un’altra idea non tardò a ravvivare il suo precedente entusiasmo.
« E tu, papà? Tu puoi farlo? »
Il suo genitore lo osservò per qualche istante con uno sguardo assorto, pensoso… come se stesse riflettendo su qualcosa che non gli era stato concesso sapere a quei tempi, che non gli era concesso sapere nemmeno adesso.
Al termine di quello scrutare, le palpebre di suo padre si abbassarono, fremettero a contatto con il bordo inferiore delle sue orbite, prima che sottili fila di magia viola iniziassero a sfuggire come serpentelli da sotto di esse.
« . »
Sans non poté fare a meno di ammirare rapito gli occhi magici del suo papà quando gli vennero mostrati nel buio di quella stanza. Erano di un viola vibrante, magnetico, e le volute di magia che rilasciavano ondeggiavano disegnando archi ipnotici nell’aria, con la grazia di una fiamma e la fluidità che dovrebbe essere propria solo dell’acqua.
« Ne hai due. » Fu il suo unico commento, mentre il suo sorriso si allargava costantemente man mano che i suoi secondi di silenziosa osservazione si protraevano. Erano due, ed erano bellissimi, e l’altro scheletro parve intuire l’apprezzamento che aveva mentalmente espresso, perché le estremità della bocca di suo padre si distesero in un sorriso rilassato.
« Questo sarà il nostro segreto, va bene? » Si raccomandò ancora una volta e Sans annuì contento – contento di avere la possibilità di condividere una cosa tanto bella almeno con suo padre… quanto era stato ingenuo a dargli ascolto, a rispondergli con un fiero e complice Sì, papà, per poi tornare a letto con la sensazione di aver rinforzato il loro legame padre e figlio… quando, invece, era accaduto esattamente il contrario.
Piccolezze erano state allora, quando non era ancora in grado di badare a sé stesso – figuriamoci a Papyrus –, ma col tempo erano divenute molto più che semplici piccolezze… come, ad esempio, suo padre che era rientrato a casa con qualche minuto di ritardo, con mezz’ore di ritardo, con ore di ritardo… fino a che lui e suo fratello erano giunti al punto di non vederlo per uno, o due giorni di fila. E alla fine Sans, sulla soglia dell’età adolescenziale, si era ritrovato a costituire per Papyrus l’unico punto fermo del suo mondo. Non ne aveva fatta una colpa a suo padre, non subito, perché aveva sempre cercato di razionalizzare, di convincersi che uno scienziato di grande fama come lui aveva i suoi impegni, le sue responsabilità, e che quello era solo un periodaccio per tutti loro come famiglia... ma persino le figure più importanti dell’Underground – il re e la loro regina ormai scomparsa – avevano trovato il modo di adempiere ai loro doveri ed impegni e, contemporaneamente, prendersi cura dei loro figli… perché loro padre, al contrario, non poteva fare altrettanto?
Quando aveva all’incirca l’età di Frisk, aveva lasciato la scuola con l’intenzione di lavorare con suo padre giù al laboratorio in qualità di suo assistente ufficiale. Gli erano sempre piaciute le scienze, le sperimentazioni e i progetti lasciati a volte in giro per casa da suo padre, che sin da bambino aveva letto affascinato seppur con le sue limitate capacità linguistiche – e, tra questi, gli erano capitati in mano un giorno gli appunti riguardanti un legame chiamato ‘Sintonia’, ma gli erano stati purtroppo sottratti prima che avesse potuto leggerli del tutto. Il lavoro del suo genitore come scienziato reale aveva solo potuto favorire queste sue particolari inclinazioni e le sue visite al laboratorio erano divenute talmente frequenti che era riuscito a farsi amici da un bel pezzo i collaboratori di suo padre, il famoso e brillante Dottor Wing Ding Gaster, stimato in tutto l’Underground per la ben riuscita costruzione del Core, inesauribile centrale d'energia per i mostri.
Nello stesso periodo in cui aveva messo su il suo primo camice – ne avrebbe persi in giro in quantità industriali negli anni a venire –, una giovane ragazzina-mostro aveva umilmente chiesto di poter essere presa per qualche mese come stagista. Quella ragazzina-mostro, dagli occhiali grandi e tondi e persino più impacciata di lui nel suo camice troppo largo, era proprio una giovanissima ma già brillante Alphys, con cui Sans non aveva faticato sin da subito ad andare d’accordo.
Quando iniziò il suo incarico come assistente, i primi mesi trascorsero in relativa pace, lui svolgeva le mansioni che gli venivano assegnate, apprendeva ciò che c’era da apprendere sotto la guida di suo padre e dei suoi colleghi, tornava a casa e si occupava diligentemente di suo fratello… e si era così concesso il lusso di pensare, sperare, che il periodo difficile sarebbe presto finito e che nel loro appartamento si sarebbe potuta respirare un’atmosfera familiare più armoniosa, perché trascorrendo del tempo con il suo genitore aveva almeno potuto fargli implicitamente presente che avevano bisogno di lui a casa… finché giunse il giorno in cui suo padre gli chiese di aiutarlo in un differente tipo di ricerca.
« Sans, sei l’unico dei miei collaboratori verso cui nutra abbastanza fiducia per assistermi in questo compito. » Gli disse Gaster, il tono di voce era quello di una confessione che era stata espressa con difficoltà, che alle spalle sembrava nascondere ore di intensa riflessione.
Sans gli rivolse uno sguardo stranito, sorpreso da quanto stranamente bisognosa era suonata quella dichiarazione, che stonava incredibilmente con l’atteggiamento sempre controllato di suo padre.
« Quale compito, pa’? » Domandò, con cauta perplessità.
Lo scheletro adulto abbassò le palpebre e sospirò sommessamente.
« Le nostre telecamere hanno intercettato poco fa un umano nella zona di Waterfall… pensiamo sia penetrato nell’Underground durante la notte e la sicurezza non è stata accorta nel notarlo in tempo. »
Sans deglutì piano e silenziosamente, esterrefatto dalla notizia ma mancante del coraggio per interrompere – a giudicare da quanto grave si era fatto il tono dello scienziato, pensò che ascoltare sarebbe stata la cosa più ragionevole da fare.
« Fino ad ora, mi sono sempre occupato io per conto del re di queste… visite sgradite. Ma gli umani non sono creature facili da sconfiggere e un mostro da solo può difficilmente abbatterne uno. Ciò di cui avrei bisogno, dunque, è un compagno che possa assistermi se si dovessero verificare altri casi simili. »
Il giovane scheletro comprese, dopo quell’ultima precisazione, la ragione dietro cui suo padre gli stava chiedendo di collaborare con lui sia adesso che probabilmente in futuro ( il cercare di svolgere quel compito affidatogli dal re stesso con maggiore sicurezza ed efficienza ). D’altronde, era risaputo che gli umani erano esseri potenti e temibili, suo padre gli aveva persino rivelato cosa li aveva resi tanto pericolosi e inarrestabili, cosa aveva consentito loro di rubare il sole ad un’intera razza. Concordava sul fatto che non era per nulla saggio imbarcarsi in un’impresa simile da soli… ma c’era una domanda che stava continuando a sbattere negli angoli della sua mente, una domanda che non poteva evitarsi di esternare.
« Perché io, papà? Ci sono mostri molto più forti di me, io sono debole confronto a loro… »
« Sans… » Lo interruppe Gaster con un leggero ammonimento, abbassandosi a livello dei suoi occhi. « Non potrei fare affidamento su nessun altro che te. Sei mio figlio, ho istruito te e tuo fratello sin da quando eravate piccoli per consentirvi di utilizzare al meglio la vostra magia… e non importa se non ti ritieni abbastanza forte per aiutarmi, perché io la penso diversamente. Hai un potenziale enorme dentro di te, che se sviluppato a dovere ti renderà più potente di quanto tu possa mai immaginare. Io te lo mostrerò… io ti insegnerò ad utilizzarlo. » 
Sans ascoltò ad occhi sempre più larghi suo padre, non avendogli sentito pronunciare un simile numero di parole incoraggianti da… non ricordava nemmeno quanto. E seppe, prima ancora di rispondere, che non avrebbe potuto rifiutarsi, non con quel tono di voce, nemmeno se non si sentiva all’altezza del compito… nemmeno se l’idea di affrontare un umano a viso aperto lo intimoriva non poco.
« Ok… ti… aiuterò, papà. Lo farò… » Disse e vide un’espressione visibilmente più distesa comparire sul volto dell’altro scheletro.
« Grazie, Sans. Ti devo un enorme favore. » Lo ringraziò lo scienziato, ma Sans scosse prontamente la testa in risposta.
« Papà, non mi devi nulla… l’unica cosa che vorrei è… » Prendendo coraggio, Sans fu finalmente in grado di porgli la richiesta che per mesi era stata uno dei suoi chiodi fissi. Ora, sembrava un buon momento per renderla nota a suo padre. « Per favore, dopo che abbiamo finito con questo, puoi prenderti la giornata libera e stare con me e Papyrus a casa? Lui… lui vuole vederti così tanto »
Il suo papà lo aveva ascoltato con un accenno di dispiacere nelle orbite, che era stato in grado di convincerlo della consapevolezza di Gaster in merito alle sue mancanze come genitore… ma lui non era più quel Sans, e fu con irritazione e scetticismo che osservò l’espressione di quel demone… quasi non si rese conto del quieto strisciare d’ansia che cominciò ad insinuarsi nell’animo di Frisk – e come poteva biasimare quell’emozione, se la piccola aveva appena sentito quel padre e quel figlio pianificare tanto tranquillamente di uccidere uno dei suoi simili e barattare il successo di un tale atto per una cosa così frivola, se paragonata alla perdita di una vita.
« Certamente, Sans. Te lo prometto, chiederò al re e ai suoi funzionari un permesso… non sarà tutta la giornata probabilmente, ma almeno per una metà si potrà fare qualcosa. » Gli assicurò Gaster, inclinando leggermente gli angoli della bocca dentellata verso l’alto… Sans non poté sopprimere la stilettata di dolore che gli trafisse l’anima quando Frisk notò distrattamente quanto il suo modo di sorridere fosse indubbiamente somigliante a quello dello scienziato reale. Sapeva che a causa della loro parentela era condannato ad avere su di sé alcuni dei tratti somatici di quel demonio, ma la consapevolezza di ciò non lo aveva mai aiutato ad accettare quell'inevitabile somiglianza.
Dopo quella conversazione, si erano recati senza attendere oltre sul luogo dell’ultimo avvistamento dell’umano. Strada facendo, Gaster gli spiegò per filo e per segno cosa avrebbero dovuto fare, quale sarebbe stato il suo ruolo e molte altre direttive che avrebbe dovuto seguire ciecamente per la buona riuscita dell’incarico. Sans ascoltò suo padre mentre raccontava di come gli fosse stato possibile sconfiggere ben due umani grazie alle informazioni che aveva raccolto grazie alla sua personale esperienza in battaglia e a quella del re, il quale aveva recuperato solamente la prima delle tre anime in loro possesso – l’anima della sua figlia umana era andata purtroppo perduta anni prima, in seguito della fuga della regina dal Palazzo Reale. Le sue sperimentazioni durante le battaglie e sulle anime sia di Chara, che degli altri umani, avevano consentito a Gaster di scoprire il cruciale punto debole di ogni essere umano: la perdita della loro stessa determinazione. La DT, la misteriosa sostanza che consentiva di alimentare la determinazione, sarebbe comunque rimasta ad impregnare le loro anime, ma sarebbe stata resa completamente inutilizzabile una volta fatto ciò. Senza il collaborare tra le due, gli umani non potevano più accedere ai poteri temporali di cui disponevano e la loro eliminazione diveniva così accessibile a qualunque mostro… ma non tutti i mostri possedevano le capacità, lo spirito d’osservazione e la tempra necessarie per distruggere emotivamente un essere umano e fargli così perdere il controllo sulla sua DT.
Gaster, abile sia nel suo lavoro di scienziato quanto sul campo di battaglia, era stato l’unico all’infuori di Asgore dotato di simili conoscenze e capacità all’epoca, che aveva poi passato a lui, al figlio che era ancora un ragazzino troppo piccolo per portare il peso che simili informazioni comportavano.
L’umano che avrebbero dovuto affrontare li incrociò nel bel mezzo di quella spiegazione; era una bambina, di dieci anni o poco meno, con un tutù rosa, le scarpine da ballo sporche del fango della palude, e l’espressione tanto smarrita per il suo vagare senza meta in quelle caverne buie…
 
E Sans interruppe bruscamente il ricordo, perché non era necessario proseguire, perché sarebbe stato insensibile e crudele nei confronti della sua piccola mostrarle qualcosa di tanto barbaro – qualcosa che sarebbe uno spietato promemoria di ciò che era avvenuto troppe volte in quel corridoio.
 “ Sans? ” Chiamò immediatamente Frisk, quasi spaventata dal suo intervento tempestivo.
“ Non hai bisogno di vedere oltre, piccola. ” Le spiegò perentorio, al punto che non avrebbe accettato nemmeno una replica a riguardo – questa era una di quelle cose che non le avrebbe mai fatto vedere, MAI.
Dalla parte della ragazzina non gli giunse nessuna emozione per parecchi secondi… e poi… percepì con una fitta di rimorso l’emergere di una sconsolata consapevolezza… non vi era nemmeno un barlume di speranza che la sua piccola stesse riservando verso la sorte di quella bambina.
“ Avevo trovato le sue scarpette e il suo tutù durante una delle mie prime linee temporali… ” Gli rivelò Frisk, confermandogli – come purtroppo temeva – che c’era una ragione ben più precisa del numero delle anime in loro attuale possesso a renderla così rassegnata e incapace di sperare. “ Mi… mi sono sempre chiesta di chi fossero, perché fossero stati abbandonati…
Sans non seppe risponderle in alcun modo – non c’erano risposte adatte da dare, e c’era troppa colpa dentro di lui, troppo rimpianto, rimorso e il familiare disgusto verso sé stesso. E, alla sua vecchia colpa, si aggiunse anche quella di aver permesso alla sua piccola di ritrovare i vestiti che erano appartenuti ad una bambina morta – la bambina che lui aveva contribuito ad uccidere.
I ricordi risalenti a quella stessa giornata furono quasi fastidiosi per lui da rivivere dopo quella breve interruzione.
 
Come era stato loro promesso, i due fratelli-scheletro trascorsero l’intero pomeriggio con il loro papà, passeggiando per le vie di New Home ad osservare locali e negozietti e, verso sera, preparando le lasagne della cena tutti assieme, disastri e ingredienti discutibili annessi. Giunta l’ora di andare a dormire, un euforico Papyrus chiese innocentemente a Gaster di leggere loro la favola della buonanotte, Peak-a-boo-with-fluffy-bunny, che quando erano bambini aveva sempre rappresentato un must per loro, senza cui il sonno non sarebbe giunto tanto facilmente. La risposta dello scienziato fu un commento affettuosamente divertito sul fatto che fossero ormai entrambi troppo cresciuti per questo genere di cose, ma non per questo si rifiutò di accontentare il minore dei suoi figli. Terminato anche quel rituale vecchio di anni, quella giornata arrivò alla sua conclusione. E Sans sorrise guardando Papyrus crogiolarsi nell’ultimo abbraccio con cui loro padre gli diede una serena buona notte… l’entusiasta Ti voglio bene papà di suo fratello, tuttavia, fu solo un rumore di sottofondo confronto all’eco dell’urlo agghiacciante che lo fece in quel momento rabbrividire, un urlo che era risuonato solo nella sua testa e che rimase inudito da chiunque eccetto lui.
L’indomani, i ricordi di ciò che era accaduto con quell’umano, immagini che danzavano come fantasmi maligni nel suo cranio, gli stavano impedendo di concentrarsi come doveva sul suo lavoro. I fogli pieni zeppi di dati di archiviare giacevano come foglie morte sulla scrivania di suo padre, le parole divenivano una foschia grigia ogni volta che si distanziava dal suo compito e rivedeva… rosso, così tanto rosso come non ne aveva mai visto, e risentiva il riecheggiare di suoni che avrebbero dovuto essere parte di un incubo, non di un vissuto reale
E Gaster se ne rese ovviamente conto, notò il suo essere con la testa altrove, molto altrove, di nuovo nelle caverne di Waterfall e con l’umido delle cascate fastidioso come sudore sulle sue ossa.
« Sans. »
Sans alzò il capo e raddrizzò la schiena contro lo schienale della sedia, un po’ allarmato dal sentire una certa severità nel tono dell’altro scheletro.
« Sì, papà…? »
Gaster lo studiò intensamente una volta che i loro sguardi si incrociarono – lo intuì dall’aggrottarsi delle sue arcate sopraccigliari che suo padre lo stava studiando –, per poi mitigare leggermente la sua espressione, come se non avesse voluto rivolgersi a lui con tanta durezza.
« Sei distratto. » Constatò e Sans non provò nemmeno a negarlo, perché sapeva che l’altro mostro non avrebbe apprezzato di essere contraddetto. Annuì in risposta, e un angolo della bocca di suo padre si strinse leggermente in seguito a quella conferma. Gaster si allontanò dalla bocca la sigaretta che stava fumando, soffiando via una discreta quantità di fumo prima di parlare nuovamente. « Su cosa stai riflettendo? »
Il giovane distolse di proposito lo sguardo, stringendo leggermente i denti del suo sorriso. Non… non sapeva se a suo padre avrebbe fatto piacere udire i pensieri che dal giorno precedente continuavano a presentarsi non voluti nella sua testa, a restare in agguato ai margini della sua coscienza ogni volta che tentava di ignorarli. Sarebbe stato visto di malocchio se avesse detto… sarebbe stato rimproverato se avesse osato esprimersi…?
« I-io… » Prese coraggio con un sospiro e riuscì così a proseguire. « Papà… ciò che abbiamo fatto ieri… ciò c-che… era d-davvero la cosa giusta da fare? »
« Perché me lo stai chiedendo, Sans? »
Non poteva vedere il volto di suo padre in questo momento, il solo pensiero di farlo lo faceva deglutire malamente, perché il solo pensiero lo intimoriva un poco… forse, più di un poco, soprattutto se la fredda indifferenza con cui Gaster aveva ucciso quell’umano si ripresentava molesta alle porte della sua memoria. L’umano era piegato in ginocchio, aveva pregato per la sua vita, e suo padre ne aveva comunque trafitto il fragile corpicino con un osso, che era stato violento come la lama di una spada nel trapassare tessuti di ogni genere in un susseguirsi di assordanti strappi. Un gemito che era stato un gorgogliare di rosso – rosso scuro e viscido e maleodorante – era stato emesso da quell’umano prima che spirasse senza nemmeno più lottare. Ha già lottato in altre linee temporali, gli aveva spiegato suo padre, mentre si accingeva a recuperare l’anima che avevano raccolto – Blu, il colore dell’Integrità – e a rimuovere quel corpo ormai senza vita dalla picca ossea che lo aveva impalato. Ma si è arreso, perché ha capito che non avrebbe avuto possibilità contro di noi. Abbiamo fatto un ottimo lavoro.
E Sans aveva guardato a quegli avvenimenti turbato, con una quieta sensazione di disagio, di disgusto, di t-timore… timore come ne aveva adesso.
« Quell’umano e-era… era così… piccolo… sono tutti così p-piccoli? » E indifesi, e così facili da infilzare con una delle loro ossa, e così miserevoli quando piangono e quando soffrono? Erano diversi da lui, erano diversi da suo fratello e da suo padre, erano diversi se comparati a qualunque altro mostro, m-ma… quell’umano aveva pianto, aveva pianto come qualunque altro mostro avrebbe pianto se fatto spaventare o ferito… non potevano essere così diversi dai mostri, se piangevano e provavano dolore esattamente come loro… « E-era… aveva cattive intenzioni, giusto? »
Solo silenzio giunse dalle parti di suo padre, un silenzio da cui Sans non si sentì molto rassicurato, che si protrasse finché non udì la carta bruciata della sigaretta venir schiacciata quasi con forza contro il portacenere sulla scrivania.
Alzò il capo non appena sentì quel rumore e fu così in grado di notare l’assottigliarsi graduale degli occhi dell’altro mostro.
« Non dovresti pormi una domanda del genere, Sans. » Gli disse lo scienziato, il tono che sfiorava la durezza di un minaccioso avvertimento. « Sai benissimo di cosa sono capaci gli esseri umani, cosa ci hanno fatto secoli fa per avidità e superbia. E ora… » Lo scheletro più alto strizzò le palpebre, come se stesse tenendo a freno un divampare di irritazione e Sans ne fu sbalordito, e quasi intimorito quando vide suo padre incedere bruscamente verso di lui. « Ora… ora sei qui, qui che cerchi di applicare la moralità di un mostro su un umano, su quelli che sono i tuoi nemici naturali? »
Sans schiuse un poco la bocca, rimasto di stucco davanti a quella reazione, ma non per questo disposto a demordere.
« Ma non sappiamo perché era qui, non abbiamo nemmeno provato a parlare! » Replicò, cercando di ignorare quella parte di lui che lo stava avvertendo, che gli stava intimando di non rispondere e starsene zitto.
« Bene, Sans. » Disse lentamente suo padre, con un ringhio così palesemente soppresso nella voce. « La prossima volta non interverrò quando un umano tenterà di ucciderti, vi lascerò parlare, e non interverrò nemmeno quando ti mozzerà il collo- » L’indice di suo padre tagliò l’aria vicino al suo osso cervicale, facendolo malamente sobbalzare. « O quando ti trapasserà l’anima con una lama. »
Il picchiettare brusco di quello stesso indice contro la sua cassa toracica, nell’esatto punto in cui si trovava la sua anima, fece trasalire il giovane scheletro, un brivido freddo, gelato, gli percorse angosciosamente la colonna.
« S-smettila! » Gridò, allontanando incattivito e spaventato quella mano da sé, e si ritrasse contro lo schienale della sedia quando suo padre si chinò con uno scatto su di lui.
« Pensi che un essere umano la smetterebbe se glielo dicessi?! »
Sans spalancò gli occhi vedendo gli angoli di quella bocca dentata che fremevano dalla rabbia, mentre quelle orbite ridotte a spigoli lo stavano fissando con una punta di oh così percepibile disprezzo. Gli fece male vedere una simile emozione nello sguardo di suo padre, lo fece sentire inadatto, sbagliato, e dispiaciuto di aver detto qualcosa degna di essere trattata con rancore e disgusto.
« I-io- mi dispiace, n-non v-volevo- »
« No, non ti dispiace abbastanza, Sans. » Lo interruppe e contraddisse Gaster. « E sai perché non ti dispiace abbastanza? »
Il giovane scheletro scosse la testa con brevi scatti frenetici, le mani premute contro il suo stesso petto, ansante e improvvisamente quanto fastidiosamente compresso – quando se le era portate lì in alto, come a difesa di uno dei punti più delicati del suo corpo?
« Perché ciò che hai detto non avrà conseguenze, perché ai tempi in cui re Asgore aveva ufficialmente riaperto le ostilità con gli umani queste esatte parole ti sarebbero valse un paio di manette ai polsi e chissà quante tribolazioni da parte mia per convincere la Guardia Reale a rilasciarti, a convincerli della mia buona fede. Persino io non potevo azzardarmi ad essere in disaccordo con Asgore, pensi forse che l’essere figlio dello scienziato reale e i tuoi miseri quindici anni ti avrebbero evitato ripercussioni?! »
Sans si ritrasse ancora di più contro lo schienale, schermandosi il viso dallo shock, dalla vergogna di vedere suo padre così furioso con lui e di essersi volutamente attirato addosso le sue ire, e paura, paura dello scenario che gli stava venendo descritto e che si sarebbe certamente realizzato se solo fosse nato molto, molto prima e… e-e pianse, pianse per tutto questo insieme di dolorose emozioni, pianse come quell’umano, che si era inginocchiato davanti a suo padre accettando la sua morte prossima, e pianse per quell’umano e per la fine per nulla caritatevole a cui era andato incontro, e non riusciva a smettere ora che aveva iniziato.
« M-m-mi d-dispiace, m-mi dispiace, scu-scusami, s-scusami, h-hai ragione p-papà, scusam-mi »
Non sapeva come esprimere con più convinzione di così il suo dispiacere, quanto male si sentisse, quanto volesse non aver detto nulla e quanto volesse suo padre lontano e più calmo, più composto, più sé stesso, perché suo padre non gli aveva mai inveito contro prima d’ora, non lo aveva mai fatto!
Due braccia lo raccolsero, lo attirarono contro un petto largo e tremolante, lo circondarono completamente e facilmente lo abbracciarono. Sans ne riconobbe il loro contatto, il peso particolare di quelle ossa sulle sue, il profumo di pulito che i camici di suo padre sempre emanavano, perché suo padre amava avere le proprie cose pulite ed in ordine e-e… ed era suo padre che lo stava abbracciando ora, che lo stava abbracciando forte, persino dopo che Sans aveva visto il disprezzo nei suoi occhi ed udito la rabbia nella sua voce.
« Mi dispiace… » Fu tutto ciò che gli venne detto, col tono di una confessione torturata, mentre quelle braccia lo stringevano, mentre lui piangeva ancora per troppe ragioni in una sola volta e la testa e la sua anima erano in subbuglio e le ossa gli tremavano. Allungò le sue, abbassò e affondò il viso contro il petto dello scienziato, per ritagliarsi un angolo nel corpo premuto contro il suo che potesse celare le sue lacrime – mai in tutta la sua vita aveva provato l’impulso di nasconderle al mondo, di nasconderle come qualcosa di riprovevole e sciocco.
L’argomento non saltò più fuori da quella volta, divenne un tabù inespresso tra di loro, un territorio che non poteva essere esplorato senza gravi incidenti, senza rischiare di sbagliare e ferire.
Tre anni dopo, loro padre era divenuto più distante che mai e Sans non poté far altro che accettare la situazione così com’era, cogliere gli aspetti positivi e non badare a quelli negativi perché, se non si fosse dimostrato forte lui per Papyrus, chi lo avrebbe fatto?
Fra le domande più scomode che suo fratello gli aveva posto negli anni, una delle peggiori giunse inattesa proprio in quel periodo.
« Sans… papà non mi vuole più bene, v-vero? » Gli chiese Papyrus, la sua voce insicura lo aveva raggiunto mentre era di spalle, impegnato a lavare i piatti del pranzo nel lavello. Sans si voltò, momentaneamente preso in contropiede da quell’interrogativo che assomigliava più ad un’amareggiata affermazione. La delusione che poté scorgere nello sguardo del minore venne rimpiazzata in un attimo dalla forza d’animo che il suo fratellino aveva sempre posseduto e che non aveva mai mancato di farlo sentire nettamente inferiore a lui. « Non ti devi più preoccupare per me, fratellone. Ci sono arrivato da solo, finalmente. »
Sans rimase immobile per qualche secondo, in mancanza di qualcosa da dire che non suonasse come una palese bugia… ed il suo primo istinto fu quello di abbracciare suo fratello, non seppe se per consolare più sé stesso che Paps… forse, per consolare entrambi, perché se Papyrus era infelice, Sans lo era ancora di più.
« Paps, non è così che stanno le cose, ok? Solo perché è lontano, n-non significa che non ti voglia bene » Gli disse, tentando di rassicurarlo con le parole più credibili che aveva a sua disposizione – e temette, temette così tanto di non esserci riuscito, perché era anche lui deluso e scoraggiato dal comportamento ingiustificabile di loro padre. Come potevi in fondo rassicurare un ragazzino, specie se era tuo fratello, sulla buona fede di una persona che diventava sempre più lontana ogni giorno che passava? Nemmeno lui poteva riempire quella sedia che restava vuota ad ogni pasto, nemmeno lui poteva ignorare la presenza di una porta nel corridoio che era quasi sempre chiusa… non poteva cancellare quei segni che provavano quanto falsa fosse stata la consolazione che aveva offerto a suo fratello.
Papyrus si lasciò coccolare a lungo dalle sue braccia, bisognoso dell’affetto familiare che nessun altro a parte suo fratello maggiore poteva oramai offrirgli. E Sans notò distrattamente quanto il suo fratellino stesse crescendo, quanto lo sentisse meno piccolo nella sua stretta. Paps lo aveva quasi raggiunto in altezza ed erano ben cinque gli anni che li separavano…
« Ti sei alzato molto questo mese, Paps… » Sussurrò, dopo essersi scostato un poco dal minore, sicuro che quella constatazione avrebbe fatto piacere allo scheletro più giovane… e sperando, allo stesso tempo, che sarebbe servita ad allontanare l’argomento spiacevole che loro padre rappresentava. « Sapevo che non saresti rimasto un tappo come me. »
Papyrus sghignazzò un poco, l’ilarità che aveva impresso in quel commento era servita fortunatamente allo scopo, quello di rallegrare il raggio di sole che era suo fratello per lui.
« Se ti ingozzi di ketchup e patatine, è normale che resti tappo, Sans. Quel distributore giù al laboratorio sarà la tua rovina. » Gli rispose il minore, inarcando le arcate sopraccigliari in un’espressione di finto rimprovero. « Una sana alimentazione dovrebbe venire prima di tutto il resto! »
Sans mise su un sorriso scusevole, che già da solo fu capace di comunicare la prevedibile risposta che avrebbe fornito.
« Troppo pigro per questo genere di cose, Paps. »
Era solo quando si trattava di Papyrus che si rimboccava le maniche e si dava da fare, quando si trattava di sé stesso perdeva automaticamente la voglia di fare qualunque cosa, persino la più semplice o la meno impegnativa.
Suo fratello roteò gli occhi come di solito faceva quando gli replicava in quel modo e pensò di essere riuscito a distogliere con successo l’attenzione del più piccolo dall’argomento iniziale… si era sbagliato alla grande purtroppo.
« Grazie per avermi rassicurato, Sans. Non dubiterò mai più di papà, lo giuro! » Proclamò Papyrus e una fiducia incrollabile come una montagna tornò a rifiorire nelle sue orbite, un’emozione a cui Sans guardò con un sincero orgoglio ma silenziosa tristezza. Un lampo impensierito si fece tuttavia largo sul viso di suo fratello. « Ma… se io ho avuto dubbi… significa che anche papà potrebbe avere pensieri simili su di me, magari in questo preciso momento! »
Sans sbatté le palpebre, perplesso inizialmente dal ragionamento di Papyrus, ma non poté evitarsi di ridacchiare davanti alle straordinarie capacità del suo fratellino di affrontare a testa alta qualunque dispiacere o difficoltà. Non era il più giovane dei due quello che necessitava di tante consolazioni, dopotutto.
« Oh no, Sans! Devo fargli assolutamente sapere che io gli voglio ancora bene! Ma come posso fare?! » Esclamò Papyrus, quasi sudando freddo.
« Oh… uhm… che ne dici di un bel disegno, eh? » Propose Sans, passandosi più volte e nervosamente una mano sul retro del cranio. « È da un po’ che non gliene fai uno, no? »
L’espressione del ragazzino si accese istantaneamente di gioia, sollievo e mille altre emozioni diverse udendo il suo suggerimento.
« Sì, è perfetto, Sans! Grazie per l’idea! » Lo ringraziò il suo fratellino, abbracciandolo forte fin quasi a togliergli il respiro e strofinando leggermente i dentini sulla sua guancia in un dolce buffetto.
Sans rise di cuore di fronte all’esuberanza senza fine del minore, il vero fratello maggiore tra i due, perché riusciva sempre in qualche modo a rincuorarlo e a tirarlo su di morale ogni qualvolta, tornato a casa, trovava un appartamento che sarebbe stato vuoto e privo di colori senza la presenza fondamentale del suo adorato Paps.
Papyrus non perse un secondo di più e, carta e colori alla mano, cominciò a disegnare, concentrandosi per una serata intera unicamente sull’importante missione di recapitare quel messaggio.
Il giorno seguente, Sans consegnò come da programma a Gaster il disegno a cui il suo fratellino aveva dedicato tante ore e tanto entusiasmo: un ritratto della loro famiglia, unita come lo era stata un tempo, loro padre al centro e lui e Papyrus intorno alla sua figura svettante, ognuno di loro rispettivamente colorato di nero, blu e arancione. Due parole, scritte a caratteri cubitali, campeggiavano sul lato destro del foglio, di modo che chiunque vi avesse posato gli occhi sopra avrebbe potuto notarle: ‘Don’t Forget’. Non Dimenticare.
Sans, con suo enorme stupore, vide un angolo della bocca di suo padre incurvarsi verso l’alto in un raro sorriso, che lo lasciò interdetto… durante gli anni, il volto del suo genitore si era indurito, erano meno frequenti le risate, più normali i cipigli di qualunque altra espressione… vedere un leggero sorriso graziare i lineamenti dell’altro scheletro fu una vera sorpresa per lui.
« Riferisci a Papyrus che ho apprezzato il suo piccolo dono, Sans. Mi raccomando. » Disse Gaster, mettendo da parte il foglio sulla scrivania. Più tardi quel giorno, lo avrebbe notato appeso sulla bacheca di suo padre e permanentemente vi sarebbe rimasto per le settimane a seguire. Non mancò, ovviamente, di riferire a suo fratello quelle parole – inutile descrivere quanto contento fu Papyrus di apprendere della buona riuscita del suo piano.
Un mese dopo, un umano venne avvistato nell’Underground e Sans fu ancora una volta costretto ad aiutare suo padre nella caccia del nuovo intruso… un altro bambino che, agli occhi sconcertati, inorriditi dello scheletro adolescente, avrebbe potuto avere la stessa età del suo prezioso fratellino.
Consegnata anche la quinta anima umana ad Asgore, Sans fu libero di congedarsi dai suoi incarichi quel giorno… ma le disgrazie non erano purtroppo finite per lui.
« Sans. » Lo chiamò suo padre, quando era stato sul punto di salutarlo e fare ritorno a casa da Papyrus.
Sans si voltò con un’occhiata interrogativa quando vide Gaster allungare verso di lui un pezzo di carta ripiegato più volte su sé stesso.
« Riprenditelo, per favore. » Gli disse, anzi, quasi gli ordinò, e il giovane lo guardò profondamente accigliato per il gesto e per quell’inflessione così rigida.
Si fece consegnare tra le mani quel foglio, che non esitò ad aprire immediatamente per verificare il contenuto.
Non fu meno scoraggiante e deludente per lui rivivere questa scena e riguardare con gli occhi sconcertati del suo sé passato il disegno a cui Papyrus aveva dedicato tanta cura e amore, quello che aveva fatto ritornare il sorriso sul viso vivace del giovane scheletro, quello in cui Sans aveva riposto la sua ultima speranza di veder suo padre, un giorno, tornare ad essere il papà amorevole che ancora aveva un posto di primo piano nei suoi ricordi.
Una fitta di amareggiata tristezza provenne dall’animo di Frisk, che aveva anche lei avuto delle aspettative, tante e positive aspettative esattamente come quel giovane Papyrus e quel Sans adolescente… ed erano state tutte tradite e mandate in frantumi da un singolo gesto.
« Papà… » Bisbigliò esterrefatto il giovane, sollevando gli occhi per cercare una spiegazione in quelli dell’altro scheletro, ma lo scienziato gli aveva già dato le spalle, un vero e proprio muro troppo imponente per essere buttato giù, troppo alto per essere scavalcato.
« Non mi è più di alcuna utilità, Sans. Liberatene per me. »
Quelle parole malmenarono l’anima di Sans come solo avrebbero fatto delle aste di ferro… ma la sua smorfia allibita e rattristata si trasformò presto in una colma di collera, di indignazione, di odio. Strinse con forza quel foglio fra le sue dita tremanti fino a quando, resosi conto che avrebbe finito col rovinare il disegno di suo fratello, si costrinse a reprimere momentaneamente quegli oscuri sentimenti.
Ripiegò il foglio con una calma che era solo una facciata e lo infilò con un gesto irritato nella tasca della sua felpa.
« Sarà fatto. » Replicò aridamente prima di andarsene, l’ira cocente contenuta a stento nel suo tono di voce.
Fu allora che decise di fare qualcosa di veramente concreto, di prendere l’iniziativa, di tentare di riavere indietro il padre affettuoso la cui immagine aveva continuato ancora a perseguitarlo, sempre, e non aveva mai smesso di farlo.
Suo padre sarebbe andato in bestia se solo avesse saputo cosa stava per fare… in verità, non pensava nemmeno che esistesse un termine adatto per definire quella che sarebbe stata la spaventosa reazione del suo genitore, ma avrebbe affrontato dopo le conseguenze. In quel momento, no, c’era ben altro che doveva fare.







Sameko's side
Prima che qualcuno mi faccia la fatidica domanda, vi precederò io qui con la risposta: , ragazzi, anche quello all’inizio è Gaster, non è nessun sosia di qualche tipo o simili ( e un’ulteriore conferma potrete averla ricontrollando il capitolo 5, dove scoverete un interessante parallelismo se non sarete eccessivamente distratti dal mio stile di scrittura troppo vintage ). XD
Non vi mentirò, questo capitolo è stato una vera e propria sfacchinata, non solo perché lunghissimo da correggere ( fortuna che era per la maggior parte già tutto scritto grazie me di qualche mese fa ) ma anche perché ho dovuto togliere un po' di descrizioni qua e là per rendere il tutto più lineare... se avete trovato lo stile meno descrittivo del solito, chiedo venia, ho fatto del mio meglio per inserire i dettagli che ritenevo più importanti, dilungarsi troppo credo non avrebbe giovato granché. <.< A proposito, fatemi sapere se avete avuto difficoltà a leggere qualche pezzo, cercherò di rimediare dove posso!
Parlando a livello più personale, ci terrei a ringraziare quelle persone che nello scorso capitolo mi hanno scritto delle belle parole di incoraggiamento. Grazie per il supporto, mi avete spinto a rimettermi un po' in carreggiata! :)
Tornando invece alla storia, ho deciso alla fine di suddividere questi capitoli di backstory in tre parti ( scusate, non sono riuscita a stringere purtroppo! ). Per il resto, vi faccio gli auguri di Buon Natale e Felice Anno Nuovo! ^^
Baci!

Sameko

 
   
 
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