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Autore: httpjohnlock    22/12/2017    2 recensioni
# raccolta di flashfic/drabble/os sui più vari argomenti e situazioni, dei più differenti generi e rating ma tutto sulla pelle di john watson e sherlock holmes.
I. Sherlock era freddo, stava congelando e il suo polso sottile tra le mie dita non trasmetteva altro.
II. Non sono gay, ma le nostre mani e le nostre menti sembrano perfettamente vive e reali solo se mescolate insieme.
Genere: Fluff, Introspettivo, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Quasi tutti
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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• Parole: 1777;
• Genere: romantico, sentimentale, fluff;
• Rating: verde.

 

sol, re, la, mi.

 
Non sono gay, è solo che quando non è insieme a me ho il terrore che possa cacciarsi nei guai, quando è con qualcuno che non sono io mi trasformo in una ragazzina gelosa, quando mi è accanto ho l'urgenza di stringerlo al mio petto.
Non sono gay, ma le nostre mani e le nostre menti sembrano perfettamente vive e reali solo se mescolate insieme.
Non sono gay, ma ogni volta che mi sto per perdere, cerco nei suoi occhi indagatori un barlume di affetto nei confronti del suo unico amico.

 
Giallo, blu, rosso.
Londra era un gran bagliore di luci e decorazioni natalizie: statuine e palloncini a forma di Santa Claus, ghirlande, dolci tipici quali il popolare Christmas pudding, alberi bianchi, alberi verdi, alberi ampi, alberi striminziti; le case dagli addobbi quasi nascosti dalla neve candida e abbacinante, odore di polvere da sparo, carte e residui di cibo sull'asfalto, qualche risata giovanile in lontananza.
Briciole bianche si lasciavano cadere abbondanti e soffici, incuranti di dove finissero, ed era uno spettacolo meraviglioso.
John Watson passeggiava sotto le stelle senza esserne pienamente cosciente, con passo strascicante, come se volesse rimandare quanto più possibile il ritorno a casa. La testa gli pesava come un macigno, il cuore ancor di più, e gli occhi spenti vagavano dappertutto come se la soluzione dei suoi tormenti fosse lì.
E John quella soluzione l'aveva sotto il naso tutti i giorni, ma faceva finta di non accorgersene.
Inspirò profondamente e premette il pollice e l'indice sinistro sul ponte del naso prima di seguire il cartellino bianco con la dicitura Baker Street.
Forse anche lui doveva fregarsene di dove sarebbe andato a cadere.
 

Era una deduzione continua, un volere istintivo e intellettivo di conoscere le cause, i personaggi, tutti i dettagli di un delitto. 
Una mail o una chiamata dalla polizia, un taxi, una manciata di minuti, ore o giorni, a volte una visita al suo palazzo mentale; il suo cervello racimolava tutti i pezzi e ricostruiva una disgrazia come fosse un puzzle.
E inutile negarlo, in questo era il migliore. 
Le persone lo soprannominavano sociopatico, strambo, psicopatico, pericoloso, privo di umanità, ma nessuna parola lo sfiorava minimamente, figuriamoci ferirlo. 
Tranne le sue. 
Oh, sì. 
Sherlock Holmes poteva dimostrare e pensare quello che voleva, ma ciò che John Watson pensava su di lui contava. 
I suoi occhi chiari indagavano su tutto: persone, omicidi, i suicidi, sangue, le valigie, polvere, i tappeti, pistole… ma su niente come su quell’uomo. 
La differenza era sottile: il detective ispezionava le persone da fuori, perché era ciò che gli serviva per risolvere un caso troppo complesso per la polizia — e lo divertiva enormemente, mentre John lo ispezionava da dentro, perché ciò che indicavano le sue scarpe o una macchia di pomodoro all’angolo sinistro della bocca non gli bastava mica. 
La prima volta che s'incontrarono, in una manciata di ore la loro esistenza si era catapultata come in un universo a parte: un’altra dimora, altre abitudini, altri orari, altre persone con cui condividere le giornate, altre persone da incrociare per la strada, altre emozioni.
Sherlock credeva che con le sue deduzioni, John lo avrebbe mandato al diavolo per poi aprire lo sportello del taxi nero, scendere col bastone stretto nella mano sinistra, uscire dalla sua visuale e dalla sua vita. 
Ma non lo fece. 
John restò seduto sul sedile di fianco a lui, l’espressione allibita sul volto e poi, semplicemente, scoppiò a ridere.
Era una sensazione continua, un volere istintivo ed emotivo di conoscere le cause, tutti i dettagli delle sensazioni del suo coinquilino e compagno di vita. 
E nessuno lo aveva mai fatto. 
Nessuno si era mai preso un minuto o ventiquattro ore per scoprire chi fosse davvero Sherlock Holmes, oltre il bavaro del Belstaff alzato e la sfacciataggine di chi crede di saperne di più su tutto e di tutti. 
Tranne John. 
John. 
J o h n. 
Lui — Sherlock s’intende — ripeteva spesso questa parola, che a volte sembrava fosse l’unica che conoscesse. 
John.
John.
John.
Non riusciva mai a distogliere lo sguardo da quegli occhi blu, necessitando di un loro accenno di sicurezza, felicità, approvazione, amore. 
Non l’avrebbe mai ammesso, che quando lui lo guardava non capiva più niente. Non gli avrebbe mai confessato il vero motivo per cui stroncava ogni donna che portava all’appartamento, e non avrebbe mai confessato a se stesso di esserne geloso. 
Nel suo subconscio avrebbe voluto portare a galla quella voglia di baciarlo, di dirgli che lo amava — non sapeva come, ma lo amava —; avrebbe voluto essere conscio di quel volerlo proteggere a tutti i costi, ma la razionalità era la scusa per non permetterselo. 
Mentre tutti (o quasi) lo disdegnavano e lo tenevano a distanza di sicurezza, John lo riteneva il suo migliore amico e anche se a volte lo irritava, sbraitava e usciva sbattendo la porta, per salvargli la vita sarebbe stato sempre sull’attenti. 
Sherlock abbassò le palpebre, il volto dell’uomo stampato nella sua testa con dell’inchiostro indelebile. 
 
Come tutti i soldati, John Hamish Watson camminava ad ampie falcate, con lo sguardo dritto, i piedi ben collocati al suolo e le gambe larghe. 
Doveva tornare a casa e smetterla, smetterla di cercare una compagna, perché non era ciò che realmente desiderava ma che voleva desiderare; ogni ragazza con cui aveva iniziato qualcosa, dopo aver incontrato Sherlock, era diventata solo una prova di rimpiazzo. 
Per John innamorarsi di una donna era scontato. 
Per un uomo adulto e abitudinario come lui innamorarsi improvvisamente di un uomo era sconvolgente, destabilizzante, per questo era convinto di non riuscire ad accettare quei folli e sinceri sentimenti, di non riuscire a esporli.
Inalò quasi tutto l'ossigeno a disposizione e salì i diciassette gradini dell’appartamento numero due-due-uno-bi di Baker Street, che ormai aveva consumato per tutte le volte che aveva calpestato. 
Ogni volta che alle orecchie di John arrivava il suono del violino del suo coinquilino, il suo cuore veniva come avvolto in una calda coperta di velluto, ed era una droga per il suo cervello, che veniva ripulito di ogni tormento. 
E quella volta non fu diverso.
«Stai bene?» Una voce profonda e lineare si sostituì a quella melodia dolce e nostalgica.
«Cosa?» 
«Il tuo passo era titubante» 
«Buon Natale, Sherlock»
«Me li hai già fatti gli auguri, John»
Erano le tre e mezza della notte di Natale e il dottor Watson era appena rincasato dall’ennesima uscita con l’ennesima donna, finita per l’ennesima volta in modo disastroso. 
La prima parte di quella notte festiva la trascorse con sua figlia
— ancora si odiava per averla lasciata  quella donna conosciuta sul bus, la signora Hudson, i suoi dolci, Lestrade, Molly e Sherlock, che a parte qualche borbottio infelice sembrava malinconico e con la testa altrove. Il suo blogger aveva provato ad inserirlo in qualche conversazione, allungargli una porzione di patate arrosto o una fetta di Christmas cake; gli aveva perfino premuto una mano sulla schiena, mentre si dirigeva verso il bagno, e come risposta involontaria John lo sentì irrigidirsi, ma volontariamente non ricevette alcuna risposta. 
«Ti sei divertito con lei?» gli domandò con una punta di acidità nel tono.   
«Sono certo che tu lo sappia già» 
John posò la giacca nera sul divano. 
«Il rumore delle tue scarpe sugli scalini sono sempre di un pass-
»
«No!» esclamò John ammonendolo con un indice alzato. «Ti ho comprato una cosa» 
«Un regalo?» 
Quando Sherlock smise di dargli le spalle, John abbozzò un sorriso e gli porse un pacco rettangolare, di cui l’uomo scartò la carta con l’esitazione di chi non pansa di meritarlo, mentre il suo coinquilino cercava di carpire quanto più possibile ogni sua più piccola reazione. 
John non sapeva se quel regalo potesse piacere o offendere in qualche modo il consulente investigativo, ma appena aveva catturato la sua attenzione fuori la vetrina di un piccolo negozio vintage, aveva pensato a lui. Si ritrovò quindi con una carta rossa con righe verticali verdi che racchiudeva una scatola elegante blu scuro e otto banconote sul piccolo bancone del negozio. 
«Ti ringrazio, è gentile da parte tua» disse Sherlock spostando lo sguardo dall’oggetto agli occhi del biondo per poi tendergli la mano libera. 
«Davvero, Sherlock? Una stretta di mano?» John non riuscì a trattenere un risolino sprezzante. 
«Non va bene?»
«Vado a controllare come sta Rosie e poi andrò a dormire. Buonanotte» disse a voce bassa e roca per poi voltarsi. 
Conosceva Sherlock da anni e di certo non si aspettava salti di gioia o ringraziamenti a ritmo di Jingle Bells, ma non si aspettava neanche un gesto così formale e ridicolo per due come loro.
Invece il consulente investigativo gli strinse un braccio tra le dita quasi con violenza, lasciando libero un lieve gemito dalla gola di John.
«Rosie ha mangiato tutta la zuppa ed è a letto da tre ore e quindici minuti. È ancora presto, perché non resti ancora un po’?» La sua voce tendeva ad abbassarsi man mano che sputava fuori le parole, con quel suo sguardo fisso e penetrante in quello di John, «Sono rimasti dei biscotti allo zenzero e potrei suonare questo» terminò quasi tutto d’un fiato, come se temesse che il suo interlocutore sarebbe potuto scappare.  Gli occhi di quest’ultimo s’illuminarono e dopo un largo sorriso impossibile da arrestare, si sistemò sulla sua poltrona, Sherlock di spalle che sembrava accarezzarlo, quel violino. 
E iniziò a suonare, suonava suonava, Dio come suonava. 
John si ritrovò a pensare a come sarebbe stato alzarsi, circondare quegli esili fianchi con le braccia e poi baciarlo. Baciarlo e sorridere sulle sue labbra. Baciarlo e dirgli che sarebbe rimasto con lui per sempre, ma che neanche il per sempre gli sarebbe bastato. Baciarlo e sperare di dare un freno al suo umore precario. Baciarlo e mordicchiarlo e leccargli appena quel labbro inferiore pieno e roseo. Baciarlo e dirgli con quei baci quanto lo amava. 
Troppo assorto nei suoi pensieri, si accorse solo poco dopo di una manina paffuta che tirava la stoffa sul suo ginocchio destro.
Sorrise in direzione di quella bambina avvolta in un pesante pigiamino giallo intonato ai suoi capelli d’oro e la prese tra le braccia. 
«È proprio bravo, papà» mugolò chiudendo gli occhi assonnati, per poi accoccolarsi al petto scalpitante di John e cadere in un sonno profondo. 
Chissà, magari un giorno John Watson si sarebbe alzato sulle punte e avrebbe baciato il suo migliore amico, ma per quel momento s’impose di farsi bastare questo: il Natale, sua figlia tra le braccia e l’uomo che amava suonare per lui. 
E pensandoci, non era neanche tanto male. 

Oh no, lui non desiderava nessun altro.







Note: ed ecco il secondo raccontino di questa nuova raccolta johnlockiana
e sicuramente l'ultima di questo duemiladiciassette, che, tirando le somme, è stato... sorprendente.
E il vostro?

Anyway, non è Natale se non scrivo qualcosa di natalizio, e quindi eccoci qua:
ad essere sincero ammetto che questo non è propriamente un racconto granché natalizio, 
ma è frutto dell'istinto di un paio d'ore,
e l'istinto io non lo sopprimo mai.
Ne approfitto quindi per augurarvi una buona Vigilia, un Buon Natale, Capodanno ecc ecc...
... oddio, non mi sembra vero.
HAPPY CHRISTMAS PEOPLE!

xoxo
Marco

 
  
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