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Autore: FrancescaPotter    23/12/2017    1 recensioni
Long sugli ipotetici figli delle coppie principali di Shadowhunters (Clace, Jemma e Sizzy), ambientata circa vent'anni dopo gli avvenimenti di TDA e TWP. TWP non è ancora uscito al momento della pubblicazione, e nemmeno l'ultimo libro di TDA; questa storia contiene spoiler da tutti i libri della Clare fino a Lord of Shadows, Cronache dell'Accademia comprese.
Dal quarto capitolo:
"Will abbassò il braccio e distolse lo sguardo, ma lei gli prese delicatamente il polso. «Lo sai che puoi parlarmi di qualsiasi cosa, vero?» gli chiese, morsicandosi inconsapevolmente il labbro inferiore. Era una cosa che faceva spesso e che faceva uscire Will di testa. «So che è George il tuo parabatai» continuò abbassando la voce, nonostante non ce ne fosse bisogno perché George era concentrato sul suo cibo e Cath stava leggendo qualcosa sul cellulare. «Ma puoi sempre contare su di me. Mi puoi dire tutto. Lo sai, vero?»
Will sospirò. «Lo so, posso dirti tutto».
Tranne che sono innamorato di te."
Genere: Fantasy, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash | Personaggi: Clarissa, Emma Carstairs, Izzy Lightwood, Jace Lightwood, Julian Blackthorn
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Capitolo venti
 
Quella sera George e Cath arrivarono a Idris tramite un portale aperto da Clary e autorizzato dal Console. Cath non voleva rimanere a Idris per troppo tempo, perciò decisero di fermarsi solo per il funerale, che si sarebbe tenuto il giorno seguente. Sarebbero stati a casa degli Herondale: non valeva la pena andare nella tenuta dei Lightwood, che non veniva usata da anni, per una sola notte.
Non appena Cath e George arrivarono nel salotto degli Herondale, vennero quasi assaliti da Will e Rose. Rose corse incontro a Cath e la abbracciò, mentre Will si diresse a passo veloce verso di lui e lo attirò a sé, stringendolo forte. George chiuse gli occhi e poggiò la testa contro quella del suo parabatai, traendo un sospiro di sollievo: finalmente riusciva a respirare.
«Lo hai sentito?» gli chiese Will a bassa voce.
«Cosa?» George non capiva.
«Ho cercato di mandarti energia positiva mentre non eri qui» spiegò Will. Si allontanò quanto bastava per guardarlo negli occhi: erano pieni di preoccupazione. «Cath si riprenderà. Andrà tutto bene».
George annuì, tenendo le labbra serrate per impedir loro di tremare. Will gli sorrise piano e gli diede una leggera pacca sulla spalla, per poi fare le condoglianze a Cath, assieme ai suoi genitori e alle sue sorelle.
George non perse di vista Cath neanche per un secondo; voleva essere sicuro che stesse bene, che non si sentisse sopraffatta dalla presenza di così tante persone e che non andasse di nuovo in shock.
La notte precedente era stata una delle notti più brutte della sua vita. Cath aveva pianto per ore, tanto che ad un certo punto aveva iniziato a tremare e a fare fatica a respirare. George era quasi andato nel panico. L’aveva stretta a sé fino a quando i suoi singhiozzi non si erano trasformati in leggeri sospiri, promettendole che sarebbe rimasto sveglio fino a quando lei non si fosse addormentata. E alla fine Cath era crollata su di lui, troppo esausta anche solo per continuare a tenere gli occhi aperti. George era rimasto vigile ancora per un po’ di tempo, accarezzandole i capelli e odiandosi per non essere in grado di fare di più, per non essere in grado di prendere su di sé tutto il suo dolore.
«Quindi verrai a stare con noi, Cath?» stava dicendo Will. «Non preoccuparti, sarà divertente. State solo attenti a mio padre: non bussa mai e trova ogni pretesto per prendervi in giro».
I genitori di Will erano andati a parlare in cucina con quelli di George, mentre Elizabeth e Celine erano sparite al piano di sopra, lasciando i ragazzi in salotto da soli.
«Io e Cath stiamo insieme da due anni e il prossimo ci sposiamo» disse George perplesso, passando un braccio attorno alle spalle di Cath e attirandola a sé. Cath sembrava essere più tranquilla quando lui la toccava. «Perché dovrebbe prenderci in giro? Perché dormiamo insieme?»
Will sembrò pensarci un attimo. «Hai ragione» disse, come se il suo amico gli avesse appena aperto un mondo. Poi si voltò verso Rose. «Forse dovremmo sposarci anche noi».
George era sicuro che Will fosse serio e che la sua non fosse una battuta, ma Rose si mise a ridere e così anche Cath. Will la guardò sorpreso e poi sorrise, felice di averla fatta ridere in un momento tanto brutto. George lo ringraziò con lo sguardo.
Will mostrò loro la camera dove avrebbero passato la notte: una stanza con un letto a una piazza e mezza e le pareti verde chiaro di fianco a quella di Will, e poi li lasciò soli.
Cath si sedette sul letto e si guardò attorno con occhi grandi. L’armadio aveva l’aria di essere piuttosto antico, così come la scrivania e le tende bianche che sventolavano di fronte alla finestra.
George appoggiò lo zaino per terra e si sedette vicino a Cath. Lei gli prese la mano e poggiò la testa sulla sua spalla. George osservò le loro dita intrecciate e rimase sorpreso, anche a distanza di tempo, di come quelle di Cath sembrassero ancora più piccole e delicate vicino alle sue.
«Non ti meriti tutto questo» sussurrò lei.
«Tu non meriti tutto questo» rispose George. «Me lo fai un favore, Catherine?»
Cath alzò la testa e lo guardò. Annuì. «Qualsiasi cosa».
«Smetti di pensare di essere un peso per me. Tutto quello che voglio è starti vicino e voglio che tu me lo lasci fare senza sentirti in colpa».
Cath aprì la bocca per dire qualcosa, però poi la richiuse.
«Hai detto qualsiasi cosa» continuò George. «Questo è tutto ciò che voglio».
Cath aumentò la pressione sulla sua mano. «Va bene».
George le sistemò una ciocca di capelli dietro l’orecchio e le diede un bacio sulla fronte, pregando che il tempo passasse in fretta e che guarisse almeno in parte le sue ferite.
 
George odiava i funerali. Niente, dal suo punto di vista, era più frivolo e disonesto di un funerale. Si trattava solo di una mera occasione per ripulirsi la coscienza e per sentirsi meglio con se stessi. Come se al povero defunto importasse qualcosa; come se una cerimonia in pompa magna potesse alleviare il dolore per la perdita subita.
Suo padre gli diceva sempre che era troppo cinico, ma secondo George era lui a essere troppo sentimentale. Nessuno avrebbe riportato indietro la persona cara appena perduta, e una frase fatta e un corpo bruciato non avrebbero fatto la differenza.
Come se non bastasse, George era stanco. La sera precedente erano rimasti svegli fino a tardi a parlare con Will e Rose. Cath si era addormentata addosso a lui intorno a mezzanotte e George l’aveva portata a letto cercando di non svegliarla. Lei però aveva percepito il movimento e aveva aperto leggermente le palpebre.
«George» lo aveva chiamato, spaventata quasi, come se temesse che l’avesse abbandonata.
«Sono qui» le aveva sussurrato lui, appoggiandola sul letto e infilandosi accanto a lei sotto alle coperte. «Dormi, Cath».
Cath aveva richiuso gli occhi e gli si era accovacciata accanto. George l’aveva stretta a sé fino alla mattina seguente, dormendo poco e male, troppo spaventato all’idea che Cath potesse svegliarsi e avere bisogno di lui. Ma Cath non si era svegliata; aveva dormito tutta la notte, troppo esausta per reggere un’altra notte in bianco. Quando il sole era iniziato a sorgere Cath aveva aperto gli occhi in quelli di George, e per un istante era sembrata tranquilla e felice, come se il mondo non le fosse appena crollato addosso. Poi il ricordo di quanto successo aveva oscurato la sua espressione facendole abbassare lo sguardo e George aveva fatto una battuta per cercare di tirarle su il morale. Cath aveva sorriso solo per fargli un favore, George lo sapeva.
Ora Cath se ne stava seduta di fianco a lui, le spalle incurvate e lo sguardo fisso sulle mani che teneva intrecciate in grembo. Aveva indossato lo stesso vestito grigio del giorno precedente e un cappotto bianco, il colore del lutto. Faceva freddo, il vento le soffiava ciocche di capelli oro pallido sul viso e le colorava le guance di rosso. George era diventato ipersensibile a ogni suo movimento, pronto a prenderla se fosse caduta, timoroso che potesse crollare da un momento all’altro. Sapeva che Cath era forte e che nella sua vita aveva dovuto affrontare situazioni orribili, ma sapeva anche che a volte il dolore arrivava a un punto tale da non essere più tollerabile. Era solo troppo. E George era terrorizzato che Cath avesse raggiunto quel punto. Si era ripromesso che non avrebbe più permesso a niente e a nessuno di farle del male; la felicità di lei sarebbe stata la sua priorità, rimette insieme i pezzi del suo cuore il suo obiettivo. Ma se fosse stato troppo tardi? Se non ci fosse stato più niente da fare? Non sarebbe stato in grado di sopportarlo.
Si trovavano fuori dalle mura di Alicante, davanti alla pira allestita per bruciare il corpo di Augustin Bellefleur. Alla sua sinistra era seduta Cath e alla sua destra stavano invece Will e Rose, entrambi in bianco per la cerimonia funebre; i suoi genitori qualche fila più indietro. Se Will non fosse stato lì, George sarebbe esploso. La sua presenza rassicurante lo teneva ancorato al terreno, alla sedia, così che non si alzasse e prendesse la parola al posto della sorella del papà di Cath.
«Augustin era un gran uomo» stava infatti dicendo quella. «Una bravissima persona, un padre amorevole che amava sua moglie e sua figlia più di ogni altra cosa».
Cath si portò una mano alla bocca per non scoppiare a piangere e George strinse i pugni così forte che sentì le unghie conficcarsi nella carne.
Come si permettevano? Con che coraggio se ne stavano lì come se niente fosse? George era consapevole che forse i parenti di Cath non erano a conoscenza della condizione di Augustin –sicuramente non erano a conoscenza della sua condizione a New York- ma possibile che non si fossero accorti di niente a Parigi? Possibile che non avessero colto i segnali? Magari li avevano colti e avevano deciso di fare finta di niente e di non accettare la cosa. Era più facile fingere di non aver visto, piuttosto che affrontare la realtà.
George era così arrabbiato, così arrabbiato che desiderava rompere qualcosa. Sentiva la rabbia bruciare nelle vene come elettricità. Will se ne accorse e gli mise una mano sulla spalla.
«George» sussurrò così piano che solo lui potesse sentirlo. «Stai calmo».
«Sono calmo» rispose lui a denti stretti, gli occhi fissi sulla zia di Cath, che stava continuando il proprio discorso con occhi lucidi, gli stessi occhi che George amava tanto intensamente.
«Dio, George» sibilò Will. «Sembra che tu voglia assassinarla con lo sguardo».
George abbassò il capo e prese un respiro profondo. Poi guardò Cath, e tutta la rabbia che stava provando lo abbandonò, lasciandolo in preda al dolore.
Cath aveva iniziato a piangere in silenzio e George le passò un braccio attorno alle spalle.
«Mi dispiace che tu debba assistere a tutto questo» le sussurrò piano all’orecchio. «Mi dispiace così tanto, Catherine. Se preferisci ti porto via, devi solo chiedere».
Cath scosse il capo ma gli prese la mano. Era fredda come il ghiaccio; George sentì un brivido corrergli lungo la spina dorsale ma non gliela lasciò.
La donna, una volta che ebbe terminato di parlare, si avvicinò a Cath e la guardò in attesa, aspettandosi che lei volesse dire qualcosa. Cath spalancò gli occhi e la guardò come se fosse un demone pronto ad attaccarla.
«No…» la sua voce era a mala pena un sussurro nel vento.
«Sicura che tu non voglia dire niente, cara?» le chiese la zia, una donna sulla quarantina con i suoi stessi occhi ma i capelli più scuri. «Potresti rimpiangerlo per il resto della tua vita».
«Sono sicura» disse Cath, ma la sua voce si perse con il soffiare del vento.
«Tesoro…» continuò la zia, ma George si era stufato.
«È sicura» tagliò corto lui, forse un po’ troppo ad alta voce e un po’ troppo duramente. Riusciva a immaginare suo padre, qualche fila più indietro, chiudere gli occhi e scuotere il capo in rassegnazione, ma non gli importava.
La donna gli rivolse uno sguardo perplesso, ma qualcosa negli occhi di George la convinse a lasciar perdere e a tornare al suo posto con una scrollata di spalle.
Un Fratello Silente si avvicinò alla pira, lo stilo in mano. Augustin Bellefleur era stato adagiato su di essa, gli occhi bendati con una fascia bianca e una spada angelica stretta tra le mani.
Pulvis et umbra sumus, disse il Fratello Silente mentre disegnava con fare esperto una runa davanti a sé –fuoco. La pira divampò, circondata da fiamme rosse e oro.
Ave atque vale, Augustin Bellefleur.
George strinse la mano di Cath, cercando di farle capire che lui era lì con lei, che non era sola e che non lo sarebbe mai stata.
 
Terminata la funzione, George avrebbe voluto darsela a gambe insieme a Cath, ma sapeva che non era possibile. Ci si aspettava che Cath rimanesse lì così che tutti le facessero le condoglianze e George non avrebbe mai potuto lasciare il suo fianco.
Dopo decine di abbracci e strette di mano, si avvicinarono due ragazze che gettarono contemporaneamente le braccia al collo di Cath, rischiando quasi di farla cadere per terra. Erano identiche, con i capelli marrone scuro e gli occhi nocciola.
Iniziarono a parlarle in francese, e George non capì nemmeno una parola. Aveva chiesto più volte a Cath di insegnargli il francese, ma non c’era stato niente da fare: lui, con le lingue, era proprio negato.
«Lui è George» disse Cath ad un tratto, indicandolo con la mano e tornando a parlare in inglese. «E, George, queste sono Giselle e Louise Verlac».
Le due ragazze lo guardarono stupite. George aveva già sentito parlare di loro, erano amiche di infanzia di Cath con le quali aveva mantenuto i rapporti anche dopo il trasferimento in America.
«Lui è George?» chiese quella con i capelli raccolti in una coda alta. «Stai scherzando?»
«Uhm…» Cath sembrava leggermente in imbarazzo.
«Non hai mai detto che fosse così bello» commentò l’altra, che portava i capelli sciolti.
George non riuscì a trattenere una piccola risata e anche Cath sorrise. Le due ragazze parevano assolutamente noncuranti del fatto che lui fosse proprio lì e che potesse sentire tutto quello che dicevano.
«È molte cose prima di bello».
George rimase senza parole, cosa che non succedeva spesso, perché lui Cath non se la meritava proprio. Era troppo buona, troppo pura, troppo gentile per poter stare davvero con lui.
«Certo, ma potevi dircelo! Sono Giselle Verlac, comunque» disse Giselle, tendendo la mano verso di lui. George ricambiò la stretta e si presentò anche alla sorella, Louise.
«Sono contenta che siate venute» disse Cath. «Mi ha fatto piacere rivedervi».
«E non è finita qui» disse Louise prendendo la mano di Cath. «Indovina chi viene a New York il prossimo anno?»
Cath spalancò la bocca. «Non dirmelo».
«Invece te lo diciamo!» Giselle batté le mani e poi cercò di darsi un contegno. «Avremmo voluto comunicarti la notizia in un momento migliore e ci spiace farlo ora, ma Louise e io passeremo il nostro anno all’estero proprio a New York. Così saremo ancora noi tre come ai vecchi tempi».
Il labbro inferiore di Cath aveva preso a tremare e George sapeva che nel giro di qualche secondo sarebbe scoppiata a piangere. E così fece, si prese il viso tra le mani e iniziò a singhiozzare quasi istericamente. George fece per tranquillizzare le due gemelle e dir loro che non c’era nulla di cui preoccuparsi, ma non ce ne fu alcun bisogno. Dopotutto erano state sue amiche per anni e conoscevano Cath: sapevano che se non si trovava tra il 3 e il 7 della scala emotiva, piangeva.
La abbracciarono di nuovo, dandole qualche pacca sulla schiena e stringendola forte, e George non poté sentirsi più sollevato di così nel sapere che neppure lui era solo e che c’erano ancora al mondo delle persone che amavano Cath quasi quanto la amava lui. 

NOTE DELL'AUTRICE
Sono in ritardo, lo so! Scusate, ma ieri è stata una giornata piena!
Questo capitolo è piccino, ma spero che vi piaccia anche se è un po' triste. Potrebbero esserci degli errori di battitura, in tal caso mi scuso, è colpa mia che l'ho riletto velocemente. Nulla, vi lascio e vi ringrazio per aver letto. <3 
Colgo l'occasione per augurarvi buon Natale e buone feste! 

A presto,

Francesca 
  
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