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Autore: Sinkarii Luna Nera    23/12/2017    4 recensioni
Prequel di ''Reflecting Mirrors"
Una Lusan, un Hakaishin e tutto ciò che è avvenuto prima che centinaia di milioni di anni, assieme a centinaia di milioni di situazioni complesse, portassero al presente per come lo conosciamo -nel bene e nel male.
(Ignoro il motivo per cui l'amministrazione si sia divertita a cancellare un'intro che è stata qui per anni, ma non abbia ancora cambiato il mio nick. Misteri della fede.)
Genere: Introspettivo, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Champa, Lord Bills, Nuovo personaggio, Vados, Whis
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate, Violenza
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Reflecting Mirrors'
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«Penultimo giorno in cui posso rimanere qui, e cosa succede? Piove».
 
«Poteva andare peggio…»
 
«Non provare a dire “poteva piovere”, Anise, perché è precisamente quel che sta succedendo!»
 
«Non è la prima volta che capita, Beerus».
 
Fino a quel momento era stata una bella giornata: sapendo che quello non era uno dei giorni in cui arrivava Champa, la coppia aveva passato mezza giornata a divertirsi girovagando da una parte all’altra del pianeta.
Si erano trattenuti per un tempo un po’più lungo in quel villaggio in riva all’oceano in cui si erano recati il giorno del loro secondo incontro, lasciandosi offrire pasti in diversi locali, passeggiando sul bagnasciuga e lungo le vie del centro.
A un certo punto Anise aveva notato un vestito lungo color blu scuro esposto in un negozio, e aveva detto che se ne sarebbe cucito uno simile; tempo un minuto e una parola di Beerus, e il vestito blu era finito in mano sua come “dono alla compagna dell’Hakaishin”.
 
 
 

“Ti ringrazio molto ma, Beerus, non avresti dovuto-”

“Ti starà meglio che a qualunque altra donna, e comunque… è solo un vestito. Potrei darti molto più di questo”.

“Non ho bisogno che tu mi dia nulla in questo senso, non ne avevo prima, e tantomeno ne ho adesso che possiedo casse piene di adamadnery pinc. Non sto con te per avere chissà cosa”.

“Ed è proprio per questa ragione che mi piace darti quello che desideri”.

 

 
 
Per quanto la Lusan avesse apprezzato il pensiero senz’altro molto dolce, dopo neppure venti minuti aveva proposto di andare a Vynumeer come facevano sempre -così da evitare il possibile ripetersi di simili scene- e Beerus non si era fatto pregare.
Erano rimasti a parlare tranquillamente in riva al lago per un bel po’, fino a quando erano stati sorpresi da un’inaspettata bomba d’acqua che era riuscita a inzupparli nonostante fossero corsi rapidamente a ripararsi.

 
Il dio, bagnato fradicio, si chiuse alle spalle la porta di quella che un tempo era stata la dimora del capo villaggio.  «È vero, ma non ci aveva mai colti di sorpresa in questo modo! Questa settimana non ho fatto altro che bagnarmi: prima quattro giorni fa, quando abbiamo trovato il tesoro, e adesso-»
 
«“E adesso”, invece di perdere tempo in proteste che non faranno asciugare i tuoi abiti, accendiamo il camino» disse Anise, armeggiando con un lungo fiammifero preso da una scatolina di legno poggiata su una mensola «Così da far asciugare tutto».
 
«Pensare che saremmo dovuti tornare a casa… già pregustavo quella torta col ripieno di formaggio ed erbe aromatiche!» sospirò il dio «Già, dimmi che lievitando un po’più del previsto l’impasto non si rovinerà! Sarebbe una catastrofe assoluta!»
 
«Non si rovinerà» lo tranquillizzò Anise, una volta riuscita ad accendere il fuoco «Ecco fatto. Vado a prendere un paio di coperte dal piano di sopra, così da poter avere qualcosa addosso una volta che ci saremo spogliati».
 
«… spogliati?»
 
«Sì! Così facendo i nostri vestiti si asciugheranno più in fretta» replicò lei, una volta imboccate le scale.
 
Rimasto solo, Beerus iniziò a pensare che quel che stava succedendo fosse un’istigazione a fare... quel che si era ripromesso di non fare prima di ufficializzare la sua relazione con Anise.
Pioggia, camino acceso e pochi vestiti addosso: quella situazione sarebbe potuta essere degna di un qualche anime con momenti “romantici”.

Ricordò i suoi sbuffi ogni volta che ne aveva visto uno, e si rese conto che probabilmente non avrebbe più mostrato simili segni di insofferenza. Avendo iniziato a viverne di persona, aveva capito che non c’era nulla per cui sbuffare.
 
I suoi riflessi estremamente sviluppati gli consentirono di acchiappare al volo la coperta che Anise gli aveva lanciato, sebbene a livello cosciente non si fosse accorto del suo ritorno.
 
«A cosa pensavi?» gli chiese la lince.
 
«Niente di che» rispose l’Hakaishin «Ehm… io mi volto dall’altra parte, d’accordo? Così puoi toglierti i vestiti, e posso farlo anche io» disse, dandole le spalle.
 
«Va bene».
 
«Va bene» ripeté Beerus, accingendosi a togliere i pantaloni.
 
In teoria non sarebbe dovuta essere un’operazione difficile -per riuscire a togliersi i pantaloni non serviva essere dei geni- in pratica invece ci stava mettendo una vita, perché il suo cervello era concentrato su tutt’altro.
I fruscii dietro di lui significavano che Anise, come anticipato, si stava spogliando a sua volta. Non che avesse molti capi da togliere perché, stando a quanto lei gli aveva detto, i Lusan non erano abituati a portare biancheria intima.
Probabilmente era già nuda.
Riuscì a togliersi i pantaloni, ma quel che non riuscì a fare fu evitare di immaginare il corpo snello della sua ragazza illuminato dai giochi di luce creati dal fuoco. Immaginò come sarebbe stato voltarsi ad ammirarlo, ad accarezzarlo, baciarlo in ogni sua più piccola e delicata parte, e poi- no, basta: si era ripromesso di aspettare, quindi così avrebbe fatto… anche se a lei non aveva parlato dei motivi di quell’attesa.
 
Tuttavia fu proprio allora che, inaspettatamente, il dio sentì le labbra soffici di Anise baciarlo con dolcezza sulla nuca; ebbe giusto il tempo di sgranare gli occhi per la sorpresa e poi, quando sentì le mani della ragazza accarezzargli delicatamente il petto, si trovò a rabbrividire di piacere.
Avvertì il sorriso della lince sulla propria pelle mentre lei passava a baciare il suo collo, partendo dalla mandibola e scendendo pian piano, così come aveva iniziato a far scendere anche le sue mani in modo lento e inesorabile: lasciati i pettorali, Anise era passata ad esplorare doviziosamente i suoi addominali… e presto sarebbe arrivata ben più in basso.
 
«Non è la prima volta che ti vedo in intimo, e ho sempre pensato che avessi un corpo più che perfetto, ma ora… non so, è diverso dal solito. È la prima volta in tutta la mia vita che provo questa sensazione. Credo sia il desiderio» sussurrò lei «Adoro quando mi abbracci, adoro quando mi baci, ma io vorrei di più. Anzi, voglio di più».
 
Anise si strinse a lui. La sensazione del corpo caldo e privo di indumenti della Lusan contro la sua schiena, unita a quei baci, a quel tocco delicato e al contempo esigente, e a quelle parole, lo stava mandando fuori di testa.
Desiderava Anise esattamente quanto lei desiderava lui, anzi, di più: tutto quel che Beerus avrebbe voluto fare in quel momento sarebbe stato voltarsi e accontentarla, baciarla e fare l’amore con lei fino al giorno dopo. Percepiva tensione in ogni fibra del proprio essere, dovuta a un desiderio che diventava più pressante a ogni centimetro percorso dalle mani e dalle labbra di Anise. Era incredibile che riuscisse ancora a trattenersi, lui stesso non riusciva a capacitarsi di come ci stesse riuscendo in simili condizioni!
 
«E anche tu vuoi di più» aggiunse Anise, mentre una delle sue mani era ormai sul punto di raggiungere l’inguine «Lo vedo bene».
 
«Io… io non posso» riuscì a dire Beerus, con fatica.
 
«Perché?» gli chiese la lince, tra un bacio e l’altro, senza dare mostra di essere delusa o di rimproverarlo «Cos’hai?»
 
«Non sei come le donne con cui sono stato, e ho il pensiero che fare con te quel che ho fatto con loro prima che la nostra relazione diventi ufficiale sarebbe come metterti al loro livello, mancandoti di rispetto» disse tutto d’un fiato «Ecco».
 
«Beerus, ora voltati e guardami in faccia».
 
Il dio obbedì, e a quel punto Anise iniziò ad accarezzargli il viso con entrambe le mani, stringendosi di nuovo a lui, per nulla imbarazzata o disturbata nell’avvertire distintamente la sua eccitazione.
 
«Non mi mancheresti di rispetto. Io non mi sentirei una prostituta se facessi l’amore con il ragazzo, anzi, l’uomo, che amo» disse con fermezza la ragazza «E se mi ricambi, non credo che tu in seguito inizieresti a vedermi come una di quelle lavoratrici».
 
«No, questo non accadrebbe. Mai».
 
La lince lo baciò, senza smettere mai con le carezze. «Come pensavo. Beerus, se c’è una qualsiasi altra ragione per cui non te la senti allora io non insisterò oltre, ma se è soltanto perché temi di mancarmi di rispetto, togliti dalla mente quest’idea assurda: lascia che sia io, dei due, quella che pensa troppo… anche se in questo momento ho voglia di fare qualcosa di diverso dal pensare».
 
Una delle mani di Anise abbandonò il viso dell’Hakaishin, percorrendo l’intero torso per poi fermarsi sull’inguine.
 
Per il giovane Beerus, tranquillizzato dalle sue parole e già preda di una voglia disperata di fare l’amore con lei, fu il colpo di grazia: si strappò letteralmente di dosso mutande che ormai servivano a ben poco e avvicinò il volto della ragazza al proprio, coinvolgendola in un bacio talmente passionale da poter essere definito quasi violento, mentre le sue mani percorrevano ed esploravano avidamente quel corpo che fino ad allora si era solo limitato a desiderare di toccare in quel modo.
Si era trattenuto temendo di mancarle di rispetto, o di spaventarla e di essere allontanato per questo -conoscendo buona parte della storia personale di Anise- ma con sua somma gioia sembrava proprio che su quel fronte non ci fossero problemi, anzi! In quel momento la Lusan non si stava limitando ad accogliere con gioia tutto l’ardore che le stava dimostrando, ma lo stava anche ricambiando in modo altrettanto appassionato… e fu Anise a trascinarlo sopra una coperta, quella nella quale lei avrebbe dovuto avvolgersi e che invece aveva steso a poca distanza dal camino.

 
Quella loro prima volta insieme fecero l’amore a lungo, sembravano non averne mai abbastanza; erano desiderosi di esprimere a livello fisico un’unione spirituale che, seppure si conoscessero relativamente da poco, era già molto forte.
Essere una divinità e dunque pressoché instancabile aveva i suoi vantaggi, incluso poter accontentare la lince tutte le volte in cui gli chiese di farlo ancora, richieste che Beerus soddisfece con sommo piacere di tutti e due.
In tutto ciò fece sempre in modo che lei si sentisse coccolata, amata. A detta di Anise, il suo defunto marito non era mai stato una “bestia” con lei -o comunque aveva sempre fatto in modo di non farle male durante i rapporti- ma era precisa volontà di Beerus far sì che lei percepisse la differenza. Lui la percepiva: conosceva bene il sesso, ma fino ad allora non era mai stato così bello, al punto da sentirsi una cosa sola con un’altra persona.
Era una definizione un po’smielata, sentendola anche solo un giorno prima forse avrebbe alzato gli occhi al soffitto, ma rendeva l’idea.
 
Quando Anise fu troppo stanca per chiedergli di farlo ancora, rimasero per diversi minuti abbracciati in silenzio; non il silenzio di chi non sa cosa dire, ma quello di chi non sente il bisogno di aggiungere alcuna parola a un momento di per sé perfetto.
 
Anise in quei mesi trascorsi con lui era sempre stata bene, e aveva già immaginato che fare l’amore con Beerus sarebbe stato diverso da com’era stato in passato, ma lui era perfino riuscito a sorprenderla in positivo. Aveva percepito nettamente la differenza, non solo per il totale coinvolgimento emotivo, ma anche a livello di piacere fisico: il suo defunto marito non le aveva mai procurato dolore, ma di certo non si era mai trovata a gridarne il nome.
Con Beerus invece si era sentita… insaziabile. Non soltanto guardando il suo corpo bagnato e seminudo aveva provato l’autentico desiderio di fare l’amore con lui, ma oltre a questo una volta soddisfatta aveva anche avuto la voglia disperata di continuare a farlo a oltranza. Era stato come recuperare in una sola volta tutto quel che non aveva avuto nel corso degli anni, anche a livello affettivo.
 
Non avrebbe mai creduto di poter provare qualcosa del genere, non lei, sposata per un anno con un Lusan molto più grande di lei che non l’aveva mai amata, non lei, che era stata toccata per la prima volta dalla persona che l’aveva cresciuta -ossia Calida.
Anise ricordava che, sapendo di doversi sposare, si era detta che non voleva avere più problemi di quanti ne comportasse l’idea di dover fare sesso con qualcuno che non le piaceva affatto.
Si era detta: “chiudi in una scatola quei ricordi alcolici e non lasciare che ti influenzino. Non è successo niente. Ricorda: non è successo niente. Affrontare la cosa in qualsiasi altro modo sarebbe inutile, per te”.

Era stato abbastanza efficace, in seguito era riuscita a sostenere adeguatamente l’anno di matrimonio e i relativi doveri, e il fatto che Meskal fosse sempre stato abbastanza delicato aveva contribuito a far sì che il sesso non diventasse problematico.
In certi frangenti era utile avere un cervello che “funzionava in modo strano”, come dicevano tutti: in caso contrario forse non avrebbe potuto apprezzare altrettanto quel che Beerus le aveva dato.
 
«Grazie» disse piano Anise, baciando Beerus su una guancia.
 
L’Hakaishin la strinse a sé ancor più saldamente, accarezzandole i capelli. «Non devi ringraziarmi. Piuttosto, come ti senti?»
 
«Tu come ti senti?»
 
«Non si risponde a una domanda con un’altra domanda, mia signora!» la “rimproverò” Beerus, sorridendo «Sul serio, come ti senti?»
 
«Felice» rispose la ragazza, poggiando la testa sul petto del dio «Molto felice».
 
«Anche io».
 
Non era riuscito a tener fede alla sua idea di aspettare, ma tutto sommato era irrilevante. Quel che era accaduto non aveva prodotto cambiamenti nel suo intento di fare sul serio con lei, se mai il contrario. Ormai Beerus era deciso: le avrebbe chiesto di diventare la sua Iarim Neiē il giorno stesso del proprio compleanno.
 
«Devo farti una domanda, perché mi è tornata in mente una cosa che hai detto poco fa: hai parlato di ufficializzare il nostro legame, giusto? Cosa intendevi?» gli chiese Anise, neppure fosse stata in grado di leggere il pensiero.
 
Superato il primo momento di sorpresa, Beerus decise che era il caso di parlarle della questione. «In questi mesi non ti ho parlato delle figure di Neiē e Iarim Neiē, giusto?»
 
«Tu non l’hai fatto, altri sì. La prima diventa un’immortale legata all’Hakaishin da un reciproco giuramento vincolante, la seconda è ancora mortale e non ha prestato giuramento alcuno» disse Anise «In altri termini, la prima è una sorta di moglie, e l’altra una specie di fidanzata ufficiale».
 
«Fammi indovinare: te l’ha detto Champa Bocca Larga! Non spettava a lui parlartene» borbottò Beerus.
 
«Mi ha parlato della Neiē la prima volta che ci siamo visti, e della Iarim Neiē in un’altra occasione. Capisco che possa seccarti, ma non essere arrabbiato con lui, non l’ha fatto con cattive intenzioni».
 
Il dio fece un lungo sospiro, pensando che ormai era andata e quindi non era il caso di farla lunga, ma si ripromise di fare al gemello uno “sparticulo” alla prima occasione buona. «Ho capito. Ad ogni modo, tornando al discorso principale, quel che volevo dire è che desidero darti un posto al mio fianco che sia ufficiale per chiunque, angeli e altre divinità incluse, e lo farò appena potrò. Per fare il giuramento abbiamo ancora tempo, ma intanto voglio che diventi la mia Iarim Neiē. Questo è il mio proposito».
 
«Sembri molto convinto di quel che stai dicendo».
 
Era indubbio che le intenzioni di Beerus fossero serie, e Anise ne era molto felice, però… lo erano fin troppo! Si conoscevano da neppure tre mesi e mezzo, forse stavano prendendo tutto in maniera troppo frettolosa, e la logica le stava suggerendo che magari era il caso di procedere con maggiore cautela.
Lei però amava moltissimo Beerus: quel ragazzo era splendido, il modo in cui la faceva sentire lo era altrettanto, e sarebbe stata fiera di essere la sua compagna più o meno eterna. Anise lo considerava speciale, e il fatto che fosse un dio non c’entrava nulla: riteneva speciale lui come persona, non in quanto Hakaishin. Del resto come avrebbe potuto evitare di innamorarsi di un ragazzo mezzo matto che vagava nella foresta urlando “cannella”?
Forse doveva tranquillizzarsi. Per una volta magari poteva decidere di ascoltare il cuore e non il cervello.
 
«Lo sono eccome» confermò Beerus, con estrema sicurezza «Aspetta… tu forse non vuoi?» le chiese, cercando di dissimulare un’espressione un po’allarmata.
 
«Non agitarti, certo che voglio. Come potrei non voler diventare la Iarim Neiē del dio dei cercatori di frutta poco abili?» disse la lince, con un sorrisetto.
 
«Meriti un premio per aver detto che sei d’accordo, e una punizione per aver insinuato che non sia un buon cercatore di frutta. Io ho qualche idea che-»
 
«Fermo lì!» lo bloccò la ragazza, pur sorridendo «Rimandiamo a stanotte, quando saremo entrambi nel mio letto. Se adesso lo facciamo un’altra volta non avrò abbastanza forze nemmeno per fare la torta!»
 
«LA TORTA! È vero!» esclamò Beerus «Ci credi che mi ero dimenticato?»
 
«Ma va? Addirittura?»
 
«Sai, sono stato un po’ distratto» le ricordò il dio, con ovvio riferimento ai momenti d’intimità trascorsi «Nonché intento ad assaggiare dell’altro! Puoi biasimarmi?»
 
«Direi di no. Ci rivestiamo?»
 
«Temo sia il momento di farlo! No, un momento: i tuoi vestiti sono qui accanto al fuoco ad asciugare, ma i miei pantaloni...» disse lentamente, rendendosi conto che in tutto ciò i suoi pantaloni erano rimasti in un triste mucchietto troppo distante dal fuoco per non essere ancora umido «E le mutande…»
 
«Dammi pure la colpa per i pantaloni, ma le mutande te le sei strappate da solo».
 
«Nessun maschio eterosessuale non se le sarebbe strappate, al posto mio» ribatté Beerus, rassegnandosi a recuperare e indossare solo i pantaloni umidi.
 
«È un complimento non da poco» commentò Anise, piuttosto divertita, nel rivestirsi «Torniamo a casa, dai».
 
Non pioveva più, e il volo fino a casa fu molto breve.
Scoprirono che l’impasto della torta era lievitato quattro volte più del previsto, ma in fin dei conti era meglio così: significava poter fare una torta quattro volte più grande! Pioggia a parte, che comunque aveva portato benefici, sembrava proprio che quella giornata andasse sempre meglio.

La torta, enorme e profumata, una volta fatta e cotta non deluse le aspettative di nessuno dei due.

 
«Devo proprio cucirti un paio di pantaloni di riserva, nel caso ti servano di nuovo» disse la ragazza, mentre osservava Beerus ingurgitare la sesta fetta. A lei, che non mangiava molto se non c’erano di mezzo i biscotti alla cannella, ne era bastata una «Per quanto mi auguri di no. Sta per arrivare la stagione fredda, se ti bagnassi- no, niente, come non detto: le divinità non si ammalano!»
 
«Esatto. Sai che non devi preoccuparti per me» disse l’Hakaishin, leccandosi le labbra «Ottima. Non c’è cibo migliore del tuo».
 
Finito di cenare passarono un paio d’ore immersi nella lettura dei nuovi fumetti che Beerus aveva portato quand’era arrivato: erano del tipo “gente con poteri che si picchia duro a vicenda” -dunque non erano il genere preferito di Anise- ma lei aveva trovato molto dolce che Beerus volesse condividere quella sua passione, e tutto sommato avevano iniziato a non dispiacerle.
A proposito, doveva restituirgli il libro che le aveva portato un paio di settimane prima, “Le regole degli scacchi e come applicarle”. Beerus glielo aveva presentato come esempio di libro noioso che il suo maestro aveva tentato di imporgli, ma lei aveva trovato interessante il gioco di cui parlava, al punto di essersi ripromessa di trovare qualcuno con cui provare a fare delle partite.
Tentò nuovamente di chiederlo a Beerus, senza successo. «Nemmeno una?...»
 
«Te l’ho già spiegato, Anise: quel tipo di giochi non è per me, perché serve una pazienza che a me manca. Se però vuoi giocare a nascondino o braccio di ferro, fatti avanti!»
 
«La tua forza mi impedirebbe di batterti a braccio di ferro, e nel nascondino percepiresti la mia aura: vinceresti a prescindere».
 
«Appunto!»
 
Anise alzò gli occhi al soffitto, e nel riabbassare lo sguardo fece caso all’ora segnata dalle lancette dell’orologio appeso al muro. «Si è fatto piuttosto tardi, quindi direi sia il caso di andare… “a dormire”».
 
Dormire era una delle attività solitamente più apprezzate da Beerus… ma l’entusiasmo con cui sollevò Anise portandola nella loro stanza, sapendo benissimo che sarebbero andati “a dormire” solo per modo di dire, lasciava intendere che tutto sommato c’erano attività che gradiva ancora di più.
 
 
 
 
 
***
 
 
 
 
 
“So che avremmo dovuto mangiare quella torta anche domani, ma non è colpa mia se l’attività fisica fa venire fame!” pensò Beerus, alzandosi silenziosamente dal letto.
 
Erano le due e mezza del mattino, e Anise si era addormentata circa quaranta minuti prima, quando la stanchezza era diventata davvero troppa per riuscire ad andare avanti oltre. Beerus vedendola felicemente provata dall’esperienza si sarebbe fermato anche prima, ma la lince non aveva voluto saperne, e chi era lui per non accontentare quella che a breve sarebbe diventata la sua Iarim Neiē?
 
Ormai al suo compleanno mancava poco più di un mese e mezzo, Anise gli aveva già detto che intendeva accettare la sua proposta; era praticamente cosa fatta. Pensarci lo fece sorridere.
 
Aprì la botola che conduceva al piano terra e saltò giù, senza curarsi di far scendere la scala a pioli.
Trovava che gli accessi ai diversi piani della casa di Anise fossero piuttosto buffi, con quelle botole. Di certo aiutavano a risparmiare lo spazio che in caso contrario sarebbe stato occupato dalle scalinate, ma Beerus la riteneva comunque una bizzarria. Ovviamente Anise non ne era responsabile, dal momento che la casa era molto più vecchia di lei.
 
“Calda o fredda, questa torta è sempre deliziosa” pensò, raggiunta la cucina.
 
Prese un coltello, ne tagliò un bel pezzo e lo addentò.
Per l’appunto: deliziosa!
 
“Credo che Anise mi capirà, se la finisco tut-”
 
Non fece in tempo a completare il pensiero, perché sentì un forte colpo alla nuca, e il mondo divenne nero prima che potesse chiedersi cosa fosse successo.
 
 
 
 
 
***
 
 
 
 
 
A Whis risultava ancora difficile credere che Beerus, quell’allievo che negli ultimi tempi aveva iniziato ad adorare, lo avesse preso in giro per quasi tre mesi e mezzo… e accettare di essersi fatto abbindolare in quel modo da un pischello di diciott’anni non ancora compiuti era ancora più arduo.
 
Guardò il pischello in questione, ancora privo di sensi e riverso sul letto: di tutti gli Hakaishin che aveva seguito, Beerus era l’ultimo dal quale si sarebbe aspettato ripetute fughe, soprattutto se fatte per andare da una ragazza che viveva ai confini dell’Universo.
Una ragazza.
Beerus si interessava al cibo, agli anime, ai video su GodTube, ai fumetti e al combattimento. Il sesso fino a quel momento era stato abbastanza secondario -tant’era che Champa, a detta di Vados, frequentava il postribolo ben più di Beerus- e di amore e ragazze fisse non aveva parlato proprio mai, se non quando lui gli aveva spiegato cos’erano una Iarim Neiē e una Neiē.
 
Whis era arrabbiato con Beerus per quel che aveva fatto, ma anche con se stesso per non aver pensato che quelle ripetute dormite potessero essere un modo per scappare di nascosto.
Solo che… come avrebbe potuto intuirlo? Conoscendo il tipo, come avrebbe potuto anche solo immaginare che un giorno sarebbe successa una cosa del genere? Era semplicemente impossibile, e quando Vados quattro ore prima lo aveva contattato per rivelarglielo le aveva persino riso in faccia.
 
 
 

“Ohohohoh! Che tentativo di scherzo insensato. Il mio allievo è nella sua camera da letto a riposare da dopo l’ultimo sfiancante allenamento. Sta diventando così forte da aspettarmi che manifesti l’Ultra Istinto da un giorno all’altro!”

“Dell’Ultra Istinto per le fughe d’amore è già provvisto. Tu pensi che stia scherzando, ma guarda che io sono molto seria, e tu in questo frangente non sei stato all’altezza. Dico, non è mai successo neppure a Cus, e Cus è la più giovane di tutti noi!”

“Sorella, non sei più divertente”.

“Fratello, trovandoti attorno una Iarim Neiē -o peggio- ti divertirai ancora meno”.

“Questa è la conferma: mi stai prendendo per il naso. Era già improbabile che tu, sapendo da tempo di queste presunte fughe, non mi avessi detto nulla… ma questa, poi!”

“Da qualche giorno riflettevo su quel che sta succedendo, e ammetto che inizialmente ero per continuare a tacere: non è affar mio se non sei in grado di tenere a freno il tuo Hakaishin, e Champa ha perso peso come mi aveva promesso di fare se fossi stata zitta, ma il tuo allievo ha manifestato oggi stesso le proprie intenzioni alla ragazza… e ho voluto dirtelo”.

“Beerus sta dormendo, non è fuggito e non ha una ragazza!”

“Vai a controllare in camera da letto, se non mi credi. Ti saluto”.
 
 
 
Scoprire che Vados aveva ragione, e che lui si era fatto prendere in giro in quel modo, era stata un’amara sorpresa.

Non aveva neppure dato un’occhiata a quanto era accaduto in quei tre mesi e mezzo, limitandosi a localizzare Beerus per poi partire di gran carriera alla volta del pianeta dei Lusan.

 
Giunto sul posto due ore dopo, aveva realizzato anche quale potesse essere il momento in cui Beerus aveva conosciuto la ragazza, ossia la notte in cui lui, seccato, l’aveva abbandonato nella foresta.
Tutto era derivato da un suo errore.
Vados non aveva avuto torto nel dirgli che “non era stato all’altezza”.
 
Con quel pensiero a perseguitarlo era entrato in casa passando attraverso le pareti, aveva tramortito Beerus e lo aveva portato via senza por tempo in mezzo, ripromettendosi di non tornare mai più su quel pianeta. Beerus non aveva bisogno di una ragazza, e tantomeno di una Iarim Neiē: il loro rapporto tra maestro e allievo -e in seguito tra assistente e assistito- sarebbe sempre dovuto essere l’unico e il solo che avesse importanza, e la sua sarebbe sempre dovuta essere l’unica voce che Beerus ascoltasse. All’Universo serviva una coppia ben assortita, non un trio, e in ogni caso scegliere una Iarim Neiē a quell’età era una follia.
Doveva stroncare tutto sul nascere prima che fosse veramente troppo tardi, e doveva riuscirci in quel mese e mezzo, perché dai diciott’anni in poi avrebbe dovuto per lo più limitarsi a obbedire a Beerus.
 
Un Beerus che stava riprendendo conoscenza, illuso di essere ancora sul pianeta dei Lusan e che fosse ancora tutto a posto. «Hmmm… dov’è la torta?»
 
«Temo sia rimasta in casa della tua ragazza, Beerus».
 
Sentire la voce del maestro causò al dio un brivido gelido lungo la schiena; sgranò gli occhi e, improvvisamente lucidissimo oltre che nel panico, si rizzò a sedere. «M- maestro Whis?...»
 
«Immagino che al tuo risveglio avessi previsto di trovare tutt’altra persona».
 
Whis era composto come di consueto, ma Beerus riusciva a vedere molto bene che era assai arrabbiato. Lo leggeva senza difficoltà nel suo sguardo color lavanda, che parlava molto chiaro, e diceva “Sei in un Multiverso di guai”. «Maestro, io posso spiegar-»
 
«Hai infranto le regole. Sei scappato più volte dal pianeta, oltretutto per incontrare una ragazza, e mi hai preso in giro per tre mesi e mezzo. Non credo ci sia molto da aggiungere o da spiegare, ne convieni?»
 
Appunto. Il suo maestro lo aveva scoperto, sapeva dove andava e perché ci andava, e lo aveva riportato di forza a casa: questo significava che, com’era prevedibile, era totalmente contrario. «Non avrei mai voluto prenderti in giro, è solo che non ho visto altro modo per… io… io non pensavo-»
 
«“Non pensavi”, ben detto! O comunque pensavi con parti del corpo diverse dal cervello. Beerus, se sentivi il bisogno di fare sesso più di frequente bastava dirmelo e ti avrei portato più spesso nel solito posto! Hai fatto viaggi di…» fece un rapido calcolo «Tre ore e mezza solo per questo? Ti rendi conto di quanto sia folle tutto ciò?»
 
«Non sono andato da lei per quella ragione!» esclamò il dio, ora inalberato «Hai detto bene, se avessi voluto fare sesso mi sarebbe bastato farmi portare nel solito posto, ma non era quel che volevo da lei! Anise diventerà la mia Iarim Neiē!»
 
Triste conferma del fatto che Vados non stesse scherzando. Whis scosse la testa. «Non credo proprio. Beerus, tu sei indubbiamente vittima di quella che tra i mortali viene chiamata “una brutta cotta”, o “innamoramento”. Per quel che mi è dato conoscere, pare che alla tua età sia un tipico disturbo psicofisico… ma ti assicuro che è transitorio».
 
«Transitorio un corno!» sbottò Beerus, rizzandosi in piedi «E non è affatto un “disturbo psicofisico”!»
 
«Forse definirlo “malattia” sarebbe più corretto».
 
«Non è una malattia, maledizione! Io la amo!»
 
«Sciocchezze» ribatté Whis, secco «La tua mente al momento è confusa e annebbiata dagli squilibri chimici causati dall’innamoramento, e da quelli ormonali tipici degli adolescenti. Non è nulla di grave o che si debba prendere sul serio: un po’di distanza e vedrai che passerà tutto, come fosse un brutto sogno».
 
«D-distanza?»
 
«Esatto: “distanza”. Beerus, non ti lascerò certo andare ancora da quella ragazza» disse l’angelo, mostrando tutta la tranquillità dell’Universo «Non so se tu credessi il contrario, ma se è così ti sei preso in giro da solo, più di quanto tu abbia preso in giro me negli ultimi tempi».
 
Beerus avrebbe dovuto aspettarselo, ma quel che aveva sentito lo fece gelare lo stesso.
Non sarebbe più potuto scappare, perché Whis l’avrebbe tenuto sotto stretta sorveglianza, e questo significava non poter più andare sul pianeta dei Lusan… e di conseguenza non poter più vedere Anise.  «Non puoi farlo! NON PUOI!»
 
«A me risulta di sì».
 
« Whis, io devo vederla!» esclamò l’Hakaishin in un tono che oscillava tra la rabbia e la supplica, mentre afferrava le vesti del maestro «Ne ho bisogno! Perché non capisci?!»
 
«Lascia andare immediatamente il mio abito».
 
Beerus staccò le mani dai vestiti di Whis come se si fosse scottato, ma non intendeva demordere. «Lo so che sei arrabbiato con me perché ho fatto tutto di nascosto, ho sbagliato e su questo hai ragione, ma non puoi impedirmi di stare con lei! Per me è importante, soprattutto adesso che…»
 
“Adesso che” avevano fatto l’amore.
Un pensiero attraversò la mente del dio, gettandolo nella disperazione: cos’avrebbe pensato Anise vedendolo sparire all’improvviso, guarda caso proprio il giorno dopo la loro prima volta insieme?
Avrebbe pensato di essere stata usata, avrebbe pensato che tutte quelle belle parole e tutte quelle promesse valevano meno di una perlina di vetro, e lo avrebbe odiato in virtù di tutto ciò.
Non poteva succedere.
 
«Whis-»
 
Poi però il suo cervello gli ricordò una cosa fondamentale: Anise non era una ragazza stupida. Era troppo attaccata a una sorella che pur essendo capo di una cittadina la lasciava relegata in una foresta, ma quello era un altro discorso.
Se aveva imparato a conoscerlo anche solo un po’, avrebbe intuito che la sua sparizione non era una cosa voluta da lui. La amava, e voleva pensare di essere riuscito a dimostrarglielo abbastanza chiaramente da far sì che Anise credesse in lui e nella sua buona fede.
 
«Anise è intelligente. È riuscita a capire facilmente tutto quel che comporta il mio ruolo di Hakaishin, quindi capirà che se non mi farò vedere sarà per colpa tua» disse al maestro, con decisione «E che non me ne sono andato da casa sua di mia volontà. A breve io compirò diciotto anni, e a quel punto tu dovrai portarmi da lei quando lo vorrò, quindi lascia che io continui a vederla. Puoi rifiutarti di farlo solo per adesso, ma non otterrai assolutamente niente: tra un mese e mezzo io e lei staremo ancora insieme e diventerà la mia Iarim Neiē, che ti piaccia oppure no».
 
Sebbene un po’sorpreso da quel cambio di atteggiamento, più “adulto” e assai diverso dal panico semi disperato presente fino a poco prima, Whis mantenne la calma. «Lo ripeto di nuovo: non ti porterò da lei. Un mese e mezzo è lungo per una ragazza che presumo abbia più o meno la tua età. Se non la dimentichi tu, lo farà lei».
 
«Questo non accadrà mai, e se tu non mi porterai da lei allora io non mi allenerò più!»
 
Rieccolo, il solito Beerus capriccioso che conosceva. Il momento pseudo ragionevole era finito. «E io non ti farò più da mangiare».
 
«Mi arrangerò da solo, ho visto Anise cucinare un sacco di volte!» ribatté Beerus, pur essendo consapevole che probabilmente tutto quel che avrebbe tirato fuori sarebbe stato immangiabile.
 
«Non potrai utilizzare la cucina, né avrai altre comodità. Se non ti allenerai, andrai a vivere nel bosco e cercherai di cavartela lì, tra gli alberi» replicò Whis «Spoiler: non troverai una ragazza pronta ad aprirti la porta di casa propria. Altro spoiler: non provare a lasciare il pianeta, non potresti riuscirci neppure tentando miliardi di volte».
 
Niente cibo, niente comodità, e una situazione terribilmente simile a quella in cui si era trovato durante la sua infanzia: una punizione che lo privava di tutto quello che aveva sempre avuto da quattordici anni a quella parte, e con una vaga nota di sadismo. «Come sarebbe a dire che devo andare nel… no, lo sai cosa? Lo sai cosa?! Ci vado eccome, nel bosco! Parlare con gli alberi è più utile che parlare con te» borbottò Beerus, agguantando una coperta «Tanto tu non capisci nulla di me e di Anise, non puoi capire, e forse non vuoi nemmeno provare a farlo».
 
«Metti giù la coperta, non avrai neppure quella, e non c’è nulla da capire: il problema è solo la tua testardaggine, ma non durerà molto. Ieri, prima di ricevere la "bella notizia", ho ordinato un profiterole dal pianeta Swetts. Arriverà alle cinque di oggi pomeriggio» lo informò Whis «Lo avevo comprato per fare un regalo a quello che fino a quattro ore fa ritenevo uno degli allievi migliori che abbia mai avuto… ma ho sbagliato. Avrebbe avuto senso se lo avessi comprato per l’allievo più bugiardo. Ti ho cresciuto e addestrato, e come mi ringrazi? Infrangi le regole e mi inganni».
 
Beerus teneva al suo maestro, perché questi gli aveva dato quanto di più simile a una casa avesse mai avuto, e sentirsi dire certe cose fu come ricevere una coltellata particolarmente dolorosa e intrisa nel senso di colpa.
Non avrebbe cambiato nulla di quei tre mesi e mezzo, perché quel che lui e Anise avevano costruito in così breve tempo era bellissimo e troppo importante, e si era sentito soddisfatto della propria astuzia per aver gabbato Whis, però sapeva benissimo che quel che aveva fatto era stata una grandissima mancanza di rispetto nei confronti di qualcuno che gli aveva dato tutto.
 
Lasciò cadere la coperta e si diresse verso la porta. Arrivato sulla soglia, si voltò a guardare l’angelo. «Non mi avresti permesso di conoscerla meglio, quindi non avevo scelta. Il profiterole mangialo tu, tanto in questi mesi io l’ho mangiato un mucchio di volte!»
 
Detto ciò corse via prima che il maestro potesse commentare in qualsiasi modo quell’ultima frase che, se fosse stato più sveglio, avrebbe fatto a meno di dire.
 
“Non solo ha mentito, ma ha anche divorato a mia insaputa chissà quanti di quei buonissimi dolci! Questo è quasi più grave del resto” pensò Whis, con aria profondamente offesa “Non riesco neppure a credere che si sia mostrato poco interessato al profiterole. Beerus che rinuncia al profiterole per una Lusan? Se non fosse impossibile penserei che l’abbiano sostituito con un clone malfatto. In ogni caso cederà molto presto, ne sono sicuro… tempo un giorno, massimo due, e tornerà da me con lo stomaco che brontola a supplicarmi di preparargli da mangiare”.
 
Prima di uscire dalla camera da letto fece caso a un particolare: non si era curato neppure di dare un’occhiata alla ragazza che aveva mandato fuori di testa il suo allievo.
Tirò fuori il bastone, e decise di verificare se l’ipotesi che Beerus l’avesse conosciuta nella foresta era corretta.
 
La Lusan dal pelo bianco che Whis vide oscillare su un’altalena non era più bella di tante altre che lui e Beerus avevano visto nella città di Vynumeer -troppo magrolina- ma riconosceva che con la notte, le due lune, la musica e i capelli argentei sciolti al vento potesse risultare affascinante agli occhi di altri felidi.
Di certo lo era risultata agli occhi di  Beerus, che quella sera -da quanto stava vedendo- era rimasto per un bel pezzo a guardarla col sorriso che avrebbe potuto avere vedendo una meringa gigante.
 
Si ripromise di dare qualche altra occhiata a quant’era accaduto in quei tre mesi e mezzo, anche se in teoria Beerus e quella ragazza non si sarebbero più visti. La vita eterna di un angelo a volte era noiosa, e in quei due giorni in cui Beerus sarebbe stato nel bosco avrebbe avuto ancor più tempo libero del solito.
 
“Promemoria per me: escludere le scene spinte. Non sono per nulla curioso di vederle” pensò.
 
 
 
 
 
Sono conscia di aver pubblicato qualche ora prima rispetto al solito, ma siamo al 23 dicembre, e in questo periodo in casa mia si sa quando si inizia a cucinare, ma non quando si finisce :"D
Non ho nulla da dire se non… “beccato”! Ah, e mi auguro che il mio primo tentativo di scrivere scene che vanno oltre un bacio non sia stato troppo penoso. Vero, da qualche parte si deve pur iniziare, ma spero di migliorare in futuro :”D per il resto, a voi eventuali commenti.

Auguro a tutti buone feste  (:
 
   
 
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