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Autore: EffyLou    24/12/2017    1 recensioni
ATTENZIONE: storia interrotta. La nuova versione, riscritta e corretta, si intitola Stella d'Oriente.
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Ha venti anni quando incontra per la prima volta quegli occhi, lo sguardo fiero del re di Macedonia, il condottiero che non perdona; ha venti anni quando lo sposa, simboleggiando un ponte di collegamento tra la cultura greca e quella persiana. Fin da subito non sembra uno splendente inizio, e con il tempo sarà sempre peggio: il suo destino è subire, assistere allo scorrere degli eventi senza alcun controllo sulla propria vita, e proseguire lungo lo sventurato cammino ombreggiato da violenza, prigionia e morte.
Una fanciulla appena adolescente, forgiata da guerre e complotti, dalla gelosia, dal rapporto turbolento e passionale col marito. Una vita drammatica e incredibile costantemente illuminata da una luce violenta, al fianco della figura più straordinaria che l'umanità abbia mai conosciuto.
Rossane, la moglie di Alessandro il Grande. Il fiore di Persia.
Genere: Avventura, Drammatico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: Triangolo, Violenza | Contesto: Antichità, Antichità greco/romana
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Memorie Antiche'
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Riassunto dei capitoli precedenti: 
La campagna in India sta volgendo al termine. Alessandro, dopo l'ammutinamento dell'esercito, ha rinunciato a oltrepassare l'Ifasi e ha deciso di tornare indietro. Percorrerà i vari fiumi fino all'Indo, e dall'Indo fino all'Oceano, e lungo il percorso riconfermerà il suo dominio.
Appacificato con Rossane, la loro calma è precaria in quanto presto la regina scoprirà che Alessandro è stato l'artefice della distruzione della città sacra ai persiani, Persepoli, per un semplice impeto d'ira provocato dai fumi dell'alcol. Rossane manifesta una rabbia distruttiva che quasi lo spaventa, ed Efestione gli fa notare di quanto poco idonea al ruolo di moglie e regina sia  - seppur perfetta per un uomo come Alessandro.
Rossane, venuta a sapere delle cattiverie che vociferano i soldati che la considerano sterile, si sottopone ad un arcano e cruento rito della fertilità, assistita da Almas. Durante il rituale, le sembra quasi di percepire la presenza di Ahura Mazda, ma non saprà mai se è solo una sua impressione o realtà.
Ripreso il viaggio, Alessandro si ritrova fronteggiare la resistenza del tenace e potente popolo dei Malli, appostati lungo il corso dell'Acesine quasi alla confluenza con l'Indo.
Mentre l'esercito attacca le cittadelle, viene allestito un campo per la cura dei feriti in cui sono presenti i medici, assistiti da servitori e concubine. Un gruppo di Malli attacca l'accampamento, uccidendo e distruggendo, e rapiscono le donne lì presenti. Almas viene presa e Rossane, nel tentativo di recuperarla, non avrà fortuna e verrà catturata anche lei.


 
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۱۷ . Heev-dah

 
 
Rossane si risvegliò scossa da brividi di freddo. Il corpo abbandonato in una putrida segreta di terra umida. Era buio, tanto che la regina dubitò d’aver effettivamente aperto gli occhi.
C’era un fetido odore di escrementi di topo, urina, il puzzo metallico del sangue e un vago alone di putrefazione. Il tutto con la puzza di umido, di chiuso, di terra e di sudore… Non facevano gioire le sue povere narici.
La testa le doleva terribilmente, come se avesse ricevuto una sonora batosta sotto la nuca. Anche la schiena le faceva male, per la posizione scomoda in cui era rannicchiata.
I polsi erano legati dietro la schiena con delle corde dure come ferro, ed erano così strette che la pelle era lacerata e livida. Non proveniva alcun rumore da fuori, solo il pianto sommesso di qualcuna delle donne o il respiro pesante di coloro che erano ancora addormentate.
Chiamò il nome di Almas, o delle altre concubine che erano state prese, sperando che fossero sane e salve. La flebile voce di Miraj la raggiunse come un lontano alito di vento: «Mia regina, anche tu…»
Rossane non capiva da dove venisse il suo sussurro e gli occhi non riuscivano ad abituarsi al buio.
«Qualcuno sa dove ci troviamo?»
«In un buco nella terra dimenticato dagli dèi, ecco dove» brontolò la voce impastata di Almas.
«Almas! – esclamò Rossane, come colta da un impeto di euforia. – Stai bene?»
«Credo che mi esca il sangue dal naso, ho preso una botta»
«Dobbiamo uscire da qui» sbottò Nys, dal suo angolo.
«E come, genio? – la incalzò Miraj, acida. – Non vedi che abbiamo le mani legate? In tutti i sensi!»
Nys non fece in tempo a risponderle a tono che udirono un grugnito di dolore, il respiro affannato di chi sta cercando di soffrire in silenzio, e il suono attutito di piedi che colpiscono a terra.
Le donne trattennero il fiato, impegnate a cercare di comprendere chi stesse soffrendo in quel modo.
Poi, così com’era cominciato, tutto si quietò.
«Io le mani legate non ce le ho più» sussurrò Almas, sfinita dallo sforzo.
«Che hai combinato?» domandò Nys, incuriosita.
«Mi sono liberata. Anche se mi è costato un po’»
«Libera noi, se ce la fai, altrimenti cerca un’uscita e corri a chiedere aiuto!»
«Ce la faccio, vi libero».

 
* * *



Alessandro cavalcava nella radura tra il fiume e le cittadelle, mietendo anime come Thanatos.
Avvolto nella sua armatura e in sella ad Artemide, il cavallo della sua sposa dal colore dorato, sembrava una folgore che si abbatteva sui compatti gruppi di Malli. Mulinava fendenti con la spada, ruggiva come un leone, il viso imbrattato di sudore e sangue nemico.
Arrivò presto alle mura di Multan, la capitale di quel popolo selvaggio. Preso dalla foga della battaglia e dalla furia omicida che avevano scatenando prendendo sua moglie, Alessandro scese da Artemide e, con uno schiaffo, le fece intendere di allontanarsi da quella zona.
Il re macedone saltò sulle impalcature che l’esercito aveva costruito per assediare Multan, continuando a prendersi le vite di tutti i Malli che gli capitavano a tiro. Dalla cima delle mura, intravide il manto arancione di Durga che si accaniva con ferocia sui selvaggi che avevano portato via la sua padrona.
Sulla cima delle mura c’erano Leonnato e i soldati Pauceste e Abrea. Gli altri dietro di loro non poterono raggiungerli poiché le scale erano crollate per il troppo peso, e i quattro si ritrovarono soli a fronteggiare la resistenza dei Malli. Si ritrovarono presto sommersi dai nemici e opposero una strenua resistenza. Alessandro sferrò qualche ultimo colpo con la daga, facendosi largo verso il bordo del muro e si lanciò un’occhiata intorno. Balzò giù, atterrando sul tetto di una casina bassa, e poi saltando anche da quella per affiancarsi a Durga. Era sporca di sangue e pezzi di carne incastrati tra i denti e incrostati al pelo, e aveva un lieve taglio sulla coscia che fortunatamente non impediva i movimenti.
Poi, come colta di sorpresa, la tigre girò la testa guardando in una precisa direzione, tra le vie della città, e lì scomparve per inseguire chissà quale sensazione. Alessandro la seguì correndo per starle al passo. Durga avanzava sicura tra le vie di Multan, solo di tanto in tanto si fermava. Il sovrano poteva riposare le braccia, lontano dallo scontro che infuriava poco lontano, poteva sentire il fragore del metallo che cozzava.
L’istinto gli diceva che doveva seguire la tigre, che se si era sottratta allo scontro era per un motivo preciso, aveva sentito o fiutato qualcosa. Si sentiva in colpa per Leonnato e gli altri, per questo sperò di poter tornare presto nella battaglia.
Durga si fermò di fronte alla porta di una catapecchia sotto le mura. Alessandro lanciò un’occhiata sopra di sé, per controllare di non essere un bersaglio, e sferrò un calcio alla porta di legno. Nell’interno della casa c’erano cinque Malli, ma con l’aiuto della tigre se ne sbarazzò presto.
«Erano qui per una ragione, e non la vigliaccheria» rifletté il sovrano, osservando ogni antro della catapecchia.
La tigre sembrò dargli una risposta puntando ad un tappeto con ricami indiani in un’altra stanza, senza porta a dividerla dall’ingresso. Alessandro scostò l’ornamento con un gesto secco, scoprendo una botola chiusa. La aprì, trovandovi dentro un buco nella terra e i visi sconvolti di alcune donne.
«Mio re!» esultarono, e presto tutte si ammucchiarono sotto il buco verso la libertà.
Il re sentì il cuore più leggero, aveva trovato le donne rapite da quei barbari. Tra di loro doveva esserci anche Rossane. Ma non poteva tirarle fuori da solo, doveva chiamare rinforzi. «Aspettatemi qui, vado a chiamare qualcuno che possa aiutarmi a tirarvi tutte fuori»
Durga restò a vegliare sul buco nella terra in cui era intrappolata la sua padrona, mentre Alessandro corse fuori per tornare nel fragore della battaglia.
Nel centro di Multan erano penetrati altri soldati macedoni e agriani. Subito venne riconosciuto dai Malli, che gli furono addosso, ma vedendolo arrivare da quella direzione compresero che quel sovrano – in qualche modo – aveva trovato i loro ostaggi. Un nutrito gruppo di Malli spinse nella sua direzione per raggiungere la catapecchia, e Alessandro si ritrovò da solo a fronteggiare quei barbari.
Sentì la voce di Leonnato: «Resisti, arrivo!»
«Leonnato! Le donne, Rossane! Sono in una catapecchia a ridosso del muro di cinta, manda qualcuno!»
L’amico riferì a Pauceste ed Abrea, che si avviarono per la ricerca con una quindicina di soldati, mentre il primo si faceva largo tra i selvaggi a colpi di scure per raggiungere il suo re. Non fece in tempo: vide volare sopra la sua testa un giavellotto, che colpì Alessandro.
Leonnato lanciò un urlo di rabbia: «No! Maledetti!», e mulinò l’arma con rinnovato vigore, alimentato dall’ira e dal desiderio di trarre in salvo il sovrano.

 
* * *
 
 
«Ecco dov’era il passaggio per uscire! Sul soffitto!» esclamò Nys.
Alessandro aveva lasciato la botola aperta, in modo da permettere loro di respirare aria pulita e fare un po’ di luce nel buco di terra.
Almas si guardò le mani con orrore: per liberarsi dalle corde, si era slogata il mignolo e scorticata la pelle. La carne viva era esposta, livida, annerita dalla sporcizia, e tremava come una foglia. Eppure, con immensa forza di volontà, era riuscita a liberare molte delle prigioniere.
Con la luce, la regina aveva strappato il tessuto del suo mantello per fasciarle le mani alla bell’e meglio.
«Non possiamo aspettare Alessandro, dobbiamo uscire da sole» decise Rossane, mentre stringeva il bendaggio sulle mani di Almas.
«Il buco è troppo in alto, ci servirebbero delle corde» Miraj alzò le spalle.
«Ci tiriamo su. Una rimane sotto, con le mani unite, e l’altra ci mette il piede. Quella sotto dà la spinta alla compagna e al resto ci pensa da sola, per uscire. Ma con una spinta dal basso dovremmo riuscirci. E poi quelle fuori aiutano quelle dentro»
«Non possiamo aspettare i soldati?» brontolò Nys, amareggiata. Una concubina come lei non era abituata a certi sforzi, ma nessuna di loro d’altronde. La differenza era che non tutte volevano giocarsi il ruolo delle fanciulle da salvare, se potevano farlo da sole e con un lavoro di squadra.
«No. – replicò Rossane, secca. – Non sappiamo quando e se arriveranno. Possiamo salvarci da sole»
«E fuori? Non avremo protezione»
«Abbiamo Durga. Ma staremo a ridosso delle mura e usciremo da uno dei cancelli della città. Dobbiamo sbrigarci però, prima che venga qualcuno»
Alla fine l’idea di Rossane ebbe la meglio. Priorità assoluta era uscire da quel buco, altrimenti non le avrebbero mai trovate.
Nys, che era più piazzata rispetto ad altre donne lì presenti, posò un ginocchio a terra e unì le mani a coppa in modo da permettere un appoggio. La prima ad uscire fu Rossane, seguita da Miraj e da Almas. Quest’ultima era impossibilitata ad aiutare le prime due con il sollevamento delle altre ancelle, per questo restò sulla porta della catapecchia, a controllare la strada oltre lo stipite.
Delle donne rapite, la metà fu fatta uscire e avviata verso l’accampamento. Rossane sperò solo che ci arrivassero sane e salve.
Una volta che tutte furono fatte uscire, toccava a loro allontanarsi a ridosso del muro. Procedettero con cautela, accompagnate da Durga e dal fragore della battaglia.
Presto, alle loro spalle, udirono le grida dei Malli. Si erano accorti della fuga delle prigioniere ed ora correvano per i vicoli di Multan alla loro ricerca.
Le donne cominciarono a correre, senza più prestare attenzione alle strade e avvicinandosi sempre di più fulcro della battaglia.
Rossane vide Perdicca aggirarsi con un paio di soldati, e lo chiamò.
«Rossane! – le corse incontro. – Andiamo, presto!»
«Le altre sono uscite sane e salve?»
«Sì, le ho viste, a quest’ora saranno già arrivate. Svelte!»
Le guidò per i vicoli di Multan, fino ai cancelli. Ormai erano caduti sotto il dominio macedone e i Malli non erano più un problema. Rossane si lanciò un’ultima occhiata alle spalle, nella speranza di vedere Alessandro, ma il tono concitato di Perdicca la fece desistere. Dei carri erano pronti per portarle all’accampamento, e ormai il sole era basso nel cielo.
 
 
Quando arrivarono, trovarono chi era rimasto intento a sistemare ciò che i Malli avevano distrutto quella mattina. I morti erano stati sistemati poco lontano, con teli bianchi a coprire i corpi.
I feriti che erano arrivati nel frattempo erano più o meno gravi: chi stava meglio voleva tornare nella mischia oppure si aggirava per il campo aiutando come possibile.
Filippo si adoperò per medicare le mani di Almas e le eventuali ferite che altre donne riportavano, e anche la coscia ferita di Durga. Rossane, se non altro, ne era uscita totalmente incolume e solo con un gran mal di testa. Bagoa abbracciò le amiche, commosso e felice che stessero bene.
Poco dopo la scomparsa del sole oltre la linea dell’orizzonte, tutto era già avvolto dal manto della notte. In lontananza, Multan e le cittadelle emanavano un filo di fumo e si vedevano le fiaccole accese. Tutte le città erano cadute sotto le forze macedoni, e i soldati tornarono all’accampamento stabilendo dei turni: non avrebbero lasciato le cittadelle libere o prive di sorveglianza. Quei Malli erano astuti, feroci, crudeli. E avevano ferito a morte il Re dei Re.
Perdicca, dopo aver condotto le donne alle porte della città, era stato raggiunto da Leonnato che invocava il suo aiuto per salvare il re. Il giavellotto si era conficcato sotto la clavicola ed era incastrato nella scapola, in obliquo. Fu Perdicca ad estrarre il ferro, aiutandosi con la spada per aprire un varco e facendo patire al sovrano un dolore insopportabile.
Alessandro fu ricondotto all’accampamento col buio, e si prese tutte le attenzioni di Filippo.
Restava solo una cosa da fare: dirlo alla regina.

La tenda di Rossane era stata montata a terra, perché aveva espresso apertamente il suo disappunto ed odio verso le navi, che non facevano altro che procurarle nausee e vertigini. Perdicca si fece annunciare, dopodiché entrò a capo chino.
Lei stava finendo di accendere alcune lucerne, dopodiché spense il cero con un soffio e si rivolse a lui. «Va tutto bene, Perdicca?»
Il generale scosse il capo. «Ho una brutta notizia da riferirti. Molto brutta»
Rossane venne colta da un terribile presentimento che le strinse le viscere in una morsa ferrea. Istintivamente, portò la mano al medaglione d’oro che le diede Alessandro prima di partire per la battaglia contro Poro.
«È morto?» sussurrò.
«No, per fortuna no. – rispose, ingoiando un groppo. – Ma è gravemente ferito»
«Voglio vederlo»
Perdicca l’accompagnò alla tenda reale, fuori erano piazzati i diadochi a parlare sommessamente. Quando Rossane passò, tutti chinarono il capo con rammarico. Nella tenda, in penombra, c’erano Brahmin e Filippo. Il santone seduto a un lato del letto, in meditazione; il medico era dall’altra parte, intento ad effettuare il drenaggio. Il polmone destro si era riempito di sangue, ma ora la situazione – almeno respiratoria – stava migliorando.
Alessandro era addormentato, il corpo fasciato, i capelli biondi ancora sporchi di sudore e terra, la pelle era cerea con profonde ombre scure sotto gli occhi. Se non fosse stato per il petto che si alzava e abbassava a fatica, sembrava morto.
Rossane si chinò vicino al suo viso, gli accarezzò le guance, la fronte. Le lacrime cadevano sul volto pallido del re, all’altezza degli zigomi e degli occhi. La sua più grande paura era ad un passo dall’avversarsi.
Filippo le accarezzò il capo con delicatezza, Perdicca la guardò un’ultima volta con gli occhi pieni di tristezza, prima di uscire dalla tenda con il medico e lasciarla al suo dolore. Brahmin non si mosse, rimase immerso nella sua meditazione.
«Non morirà. – le disse, atono. – Non è questo il suo momento. A suo tempo, guarirà»
Lei emise un respiro tremante. «Puoi lasciarmi sola?»
Brahmin aprì gli occhi per incontrare quelli affranti e spaventati di Rossane. I grandi occhi felini erano pieni di lacrime, arrossati dal pianto, e alla luce delle candele sembravano del colore del miele. Il Sadhu annuì appena, e con passo leggero uscì dalla tenda.
La regina poté finalmente lasciarsi andare ad un pianto liberatorio. I suoi singhiozzi vennero uditi da tutti i presenti fuori la tenda reale. I diadochi, il medico e il santone ascoltarono mortificati quel pianto sommesso, disperato e logorante.
In casi di morte – o situazioni ad essa molto vicine – dei re, l’etichetta di corte persiana imponeva che la moglie esibisse una tale disperazione da stracciare le vesti e tirare i capelli, urlando il loro dolore per la morte del marito e sfoggiando le lacrime migliori.
Il pianto di Rossane era addolorato e terribile da ascoltare, ma era sommesso, talmente sincero e genuino che la sua sofferenza raggiunse persino i diadochi. In quel momento non importava se era una barbara, se era una feroce e grezza montanara, non importava se non era una brava moglie o una degna regina, non importava se era sterile. In quel momento era solo una donna che vedeva il suo amato sul punto di scivolare tra le braccia di Thanatos.







 
A breve anche il diciottesimo capitolo, con le note autrice!



 
   
 
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