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Autore: Neferikare    25/12/2017    2 recensioni
Dopo l'ultimo delirio di onnipotenza di Pitch Black, per i Guardiani è iniziato un periodo di relativa pace e calma piatta, uno di quelli che fanno pensare al lieto fine delle favole.
Un periodo che non è però destinato a durare, dopo l'improvviso quanto casuale arrivo di una stella cometa fin troppo ubriaca per capire le conseguenze delle proprie azioni tutt'altro che responsabili, conseguenze che hanno il volto di un antico nemico dimenticato in un Abisso da tutti.
O almeno quasi, tutti.
Perché nulla è per sempre, nemmeno la pace.
Nemmeno l'amore.
Genere: Generale, Introspettivo, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Yuri | Personaggi: Altri, I Cinque Guardiani, Manny/L'uomo nella Luna, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: AU, OOC | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate
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cap11

Avviso: in questo capitolo sono presenti scene di sesso dal rating ambiguo, che probabilmente oscilla fra l’arancione e il rosso. Dal momento che non mi sembrava proprio il caso di cambiare rating all’intera storia per un pezzo di un capitolo dalla dubbia classificazione, se vi sentite a disagio con la cosa potete tranquillamente saltare alla fine.

Grazie della comprensione e buona lettura! :)

 

________________________________________________________________

 

 

«“Ma quanto manca? Ma siamo arrivati? Ma quando si mangia? Ma dov’è l’Autogrill? Ma c’è l’acqua calda?”: azzardati a lamentarti ancora mezza volta e giuro che te ne do tante, ma talmente tante, che ti riduco in formato tascabile e ti infilo nella saccoccia che hai in spalla, possa sparirmi il naso se non lo faccio!»

Uno stormo di uccelli si alzò gracchiando come a maledire Pitch per averli disturbati con le sue urla gutturali, e come dare torto a quelle povere bestiole? La scampagnata padre e figlia nei boschi del Galles non stava precisamente procedendo come previsto.

Tutt’altro.

Ad Emily Jane quel posto metteva i brividi, doveva ammetterlo: c’era qualcosa nell’aria di quel luogo dimenticavo dagli dei che la inquietava e non le permetteva di rilassarsi completamente; se si concentrava, le pareva addirittura di avvertire la magia scorrere con potenza immane in ogni sasso, in ogni foglia, persino in ogni filo d’erba, e non era un tipo di magia che ricordava di conoscere.

C’era qualcosa, ma non aveva idea di cosa fosse esattamente.

 

“Come Little Children

I'll Take Thee Away

Into A Land

Of Enchantment”

 

«Come hai detto?»

«Eh?» Pitch si girò verso la figlia, stranito «Non ho nemmeno parlato, io, perché me lo chiedi?»

Non aveva parlato? Come poteva essere possibile che non fosse stato lui a parlare? Eppure qualcuno aveva appena cantato, aveva distinto molto chiaramente le parole come se le fossero state sussurrate all’orecchio, le era parso di avvertire anche il calore del fiato sulla pelle!... Esattamente come era accaduto durante l’allucinazione avuta a Tandokka, appunto.

«Niente, niente, mi era solo sembrato di aver sentito un rumore, probabilmente sarà stato un qualche animale. O un folletto che voleva sbirciare sotto la mia gonna».

«Sì, probabilmente sì» rise lui tornando a fischiettare bello tranquillo, totalmente inconsapevole di ciò che frullava nella testa di sua figlia. Per sua fortuna, bisogna dire.

Sì, era stata solo un’altra allucinazione, niente di più.

 

“Come Little Children

The Time's Come To Play

Here In My Garden

Of Shadows”

 

Con la coda dell’occhio, ad Emily Jane parve di vedere qualcosa o qualcuno nascosto fra gli alberi, una figura scura accompagnata da quella che le parve una fiammella tremolante, forse una lanterna; si girò di scatto: non c’era nulla.

“È solo un’allucinazione, lo sto sentendo solo io, lo sto vedendo solo io” si disse mentalmente stringendo gli occhi al riprovare quella sensazione di calore all’orecchio “non farci caso, non dargli corda e vedrai che passa da solo, fingi che vada tutto bene e comportati normalmente”.

Guardò suo padre: continuava a camminare imperterrito e sereno, ogni tanto si fermavano e lui si guardava intorno pensieroso ma poi subito ripartivano.

Dietro di loro, le sagome nere divennero due.

 

“Follow Sweet Children

I'll Show Thee the Way

Through All The Pain And

The Sorrow"

 

E Madre Natura le vide.

Pitch no, invece.

“Va tutto bene, benissimo, non sta accadendo nulla di male. È solo nella tua testa, nella tua stramaledetta testa: non è reale, non è reale, è tutta un’allucinazione” si ripeté nuovamente fingendo di non notare come entrambe le ombre si stessero affiancando a lei e suo padre; cercando di mantenere la calma, si chiese come fosse possibile che lui non le notasse, considerando che quelle figure gli stavano a cinque centimetri!

Poi si rispose da sola: era una sua allucinazione, era ovvio che nessun altro oltre a lei potesse vederle o sentirle.

 

“Weep Not Poor Children

For Life Is This Way

Murdering Beauty And

Passions”

 

Fece per girarsi verso una di esse, il cuore che batteva all’impazzata come se volesse uscirle dal petto, ma era troppo tardi: non c’era più nulla. Esattamente come le ombre erano comparse, ora era svanite senza lasciare traccia alcuna del loro passaggio.

O quasi.

Frugando con la mano nella propria saccoccia, la giovane Pitchiner trovò quella che le parve essere una bambola alquanto rudimentale, se così si poteva chiamare la figura umanoide stilizzata ottenuta unendo dei bastoncini di legno che stava tenendo in mano.

«Dove l’hai presa?» domandò suo padre svegliandola dai suoi pensieri.

Emily la guardò qualche istante, forse per capire cosa fosse, forse per cercare di trovare una spiegazione logica che non implicasse il raccontare delle proprie allucinazioni.

«Deve essersi incastrata nella mia borsa mentre camminavamo, non ricordo di aver mai avuto niente di simile con me» rispose mostrandogli la bambola «forse era attaccata a qualche albero, non saprei, ma non penso sia importante».

Pitch non parve affatto convinto di quella versione: prese l’oggetto fra le mani, studiandolo attentamente per minuti che parvero eterni borbottando qualcosa fra sé e sé.

«Di cosa si-»

«Twanas, talismani per la magia nera» spiegò gettandolo a terra «dobbiamo andarcene, e dobbiamo farlo in fretta».

Emily trasalì «Come sarebbe a dire che-» si bloccò quando si rese conto che stava parlando col vento: suo padre se l’era filata da un pezzo, precisamente subito dopo aver visto la bambola.

Che si fosse immaginata pure la sua voce?

Sospirando, Madre Natura si limitò ad accucciarsi ai piedi di un albero; si portò le ginocchia al petto e vi poggiò la testa sopra: se i demoni fossero venuti a prenderla, le avrebbero solo fatto un favore.

 

Ma a prenderla venne solo Black, un indefinito lasso di tempo dopo.

Ansimante e con lo sguardo stralunato che schizzava da una parte all’altra visibilmente preoccupato, subito si fiondò sulla saccoccia della figlia estraendone del pane senza che questa potesse proferire parola o fare qualsiasi altra cosa.

Svanì fra gli alberi di fretta e furia di nuovo, dietro di sé una scia di molliche nemmeno fossero nella favola di Hänsel e Gretel.

 

E ricomparve di nuovo poco dopo, assolutamente delirante.

«… Non c’è via di scampo, siamo senza speranza, lo siamo sempre stati da quando siamo entrati, saremo vittime del bosco anche noi…» continuò però a disperarsi alzando il tono di voce incrinata dal pianto; iniziò a frugarsi nelle tasche, estraendo ciò che rimaneva della pagnotta di prima «Guarda! GUARDA! Avevo lasciato delle tracce per terra per non perdermi, eppure eccomi qui al punto di partenza! E sai perché?!!»

Lei scosse la testa.

«Perché qualche demone le avrà mangiate, ecco perché!»

«Demoni, dici?» ripeté con fare interrogativo Emily «Forse è stato qualche folletto, non è una novità che i boschi dell’arcipelago britannico siano abitati dal Piccolo Popolo, per cui-»

«Per cui mi hanno rotto il cazzo, i folletti e gli animaletti fatati e tutte le fate e gli elfi rottinculo di questo stramaledetto posto! Ora gli faccio vedere io come si fa a schiacciare l’erba! Glielo faccio vedere io!» gridò furioso alzandosi di scatto.

Come mosso da una furia incontenibile, Pitch prese a pestare forte i piedi a terra assicurandosi di estirpare per bene ogni più piccolo filo d’erba, di schiacciare ogni singolo insetto che gli capitasse sotto tiro dando vita ad una vera e propria caccia ora alla formica, ora al centopiedi; pestava i piedi per terra, il sovrano degli incubi, e per rincarare la dose di offese al Piccolo Popolo si mise pure a strappare quanti più fiori e piante possibile, ortiche comprese: con le mani o con la bocca -nemmeno fosse un caprone al pascolo- non aveva importanza, voleva solo distruggere quel dannatissimo labirinto di alberi che lo stava facendo impazzire.

E tutto ciò lo faceva gridando come uno scimpanzé al quale è stata rubata la sua banana.

“Ed ecco l’anello mancante fra l’uomo e la scimmia”, pensò Emily Jane scuotendo la testa allibita: era suo padre, quello, a tratti non ci credeva nemmeno lei.

Pitch strappava, mordeva, schiacciava.

Poi gridava, ringhiava, grugniva.

… Grugniva?

 

Un eco di voci femminili si fece largo fra risate e applausi scroscianti.

Emily alzò gli occhi e le vide di nuovo, le due ombre di prima, ma questa volta avevano fattezze femminili: davanti a lei, due donne si ergevano statuarie scrutando incuriosite e compiaciute la scenetta offerta da Pitch che -a causa di chissà quali malefici contenuti in quel bosco maledetto- si trovava con qualcosa di ben più raccapricciante del suo solito enorme naso.

Tipo quest’ultimo che aveva assunto le sembianze di quello di un maiale, con tanto di orecchie e coda correlati.

Una delle due donne, quella dai lunghi ricci biondi che le ricadevano fin sopra le natiche come una criniera, gli si avvicinò sospettosa e lo guardò qualche istante, toccandogli con fare confuso le sue nuove simpatiche orecchie da suino.

«Per le cento teste di Ladone! Non è mai capitato che i miei incantesimi fallissero, con tutti gli uomini che ho trasformato in maiali veri!» esclamò a metà fra il sorpreso e il divertito; si girò verso l’altra, sfidando lo sguardo di quegli occhi gialli cerchiati di nero dalle vaghe reminescenze feline «Dì, Elly Kedward, non è che ti sei intromessa con la mia magia, eh? Quelle tue bambole mi disturbano, lo sai».

«Prima cosa: non azzardarti a chiamarmi di nuovo così, o giuro che chiamo tua madre e le dico di quando ti sei scopata Ulisse, e pure dei due incidenti di percorso. Che ne dici, Ecate si incazzerà di più perché una dea è scesa a scoparsi un mortale, o al non aver conosciuto i suoi nipotini?» domandò stizzita scostando il cappuccio violetto che le copriva la corta chioma nera «Blair, Strega di Blair, prego. Seconda cosa: secondo te, chi è che rovina sempre la festa -e gli incantesimi- a chiunque? Indizio: la sorella incestella di re Artù!»

«Fatela finita, voi due, che senza il mio labirinto non sareste nemmeno riuscite a fare la metà delle cose che avete fatto a questi due poveri disgraziati, la Dea Madre abbia pietà di loro» intervenne una terza figura che uscì direttamente dal bosco, una donna i cui capelli bluastri erano raccolti in sottili dreadlock che fuoruscivano dal cappuccio del mantello che portava «e comunque non sono stata io a fermare il tuo incantesimo, Circe, mettiti il cuore in pace su questo».

Pitch passione Babe maialino coraggioso ebbe come un’illuminazione: Circe? Quella Circe?

Inutile dire che bastò quella parola a risvegliare in lui la rabbia di prima, con la sola differenza che ora le sue grida erano più simili a grugniti suini, che a qualcosa di umano.

«Brutta figlia di una dea a tre teste, se ti metto le mani al collo ti-»

«Le unghie, più che altro» precisò indicandogli che da maiale aveva pure le zampe.

Black non si scompose più di tanto «Le unghie te le ficco negli occhi finché non te li cavo, se non ti muovi a riportarmi alla normalità! E tu, oh! Tu!» indicò l’altra donna dai capelli neri, che intanto si era messa a ridere sonoramente «Strega di Blair di stocazzo o no, giuro che le tue bambole di merda te le infilo su per il culo una per una, maledetta megera!»

«Oh-oh, questa brucia, letteralmente» intervenne l’incappucciata delle tre prendendo in mano l’uomo stilizzato fatto di legnetti, che si dissolse in cenere dopo che venne avvolto da una sottile fiammella comparsa sul suo palmo.

«E brucio pure te! Cosa credi, Morgana, di essere esente da colpe? Dannata strega incestuosa, non mi fotti un’altra volta con i tuoi stramaledetti incantesimi, una mi è bastata e avanzata» le indicò gli alberi dietro di sé «quello è un fottuto labirinto, un labirinto: io so orientarmi in questo bosco, mi sembrava ben strano non riuscirci questa volta, e infatti ecco di chi è la colpa!» le alzò il medio, furibondo «E ora qualcuno mi faccia tornare normale, oppure-»

Detto fatto: Pitch tornò lo stesso di prima in uno schioccare di dita.

“Per fortuna o per sfortuna non saprei proprio dirlo, quel naso era sempre meno inquietante di quello che ha solitamente”, pensò Emily tenendosi per sé quella riflessione, temendo anche che una di quelle donne la leggesse nella mente, dal momento che praticavano tutte la magia nera.

Ma non la praticava l’uomo sulla cinquantina che era appena apparso davanti a loro: capelli brizzolati tenuti in un ordinato ciuffo piegato di lato, barba e baffi corti e curati dello stesso colore, occhi di un viola-bluastro tendente al nero, Madre Natura non ricordava di averlo mai visto o che suo padre gliene avesse mai parlato.

A chiarirle le idee, tuttavia, pensarono le streghe poco dopo.

«Merlino infame, per te soltanto rane!» gridò la Strega di Blair evocando una pioggia di rospi sulla testa del collega, evidentemente furibonda.

Con eleganza innata, l’altro fece comparire un ombrello per ripararsi.

«Desolato, signore mie, ma ho ritenuto opportuno che interrompere il vostro sollazzo fosse la cosa giusta da fare: non si accoglie così un amico, ve l’ho detto più volte» le rimproverò tranquillo, poi si girò verso Pitch «ti chiedo di scusarle, Black, sai come sono fatte».

“Oooooh, il mago Merlino! Ora è tutto più chiaro!” si illuminò la giovane Pitchiner.

Ora ricordava il perché non lo aveva riconosciuto: aveva sentito pronunciare quel nome da suo padre solo un paio di volte in tutta la sua esistenza nel post-Befana, e per ognuna di esse era accompagnato da epiteti non molto gradevoli, qualcosa come degli insulti.

E delle bestemmie.

E imprecazioni varie ed eventuali.

E pure un paio di maledizioni.

Forse anche una minaccia di querela.

E tutto perché era il migliore amico della sua fidanzata.

Pronto ad impugnare un’ascia di guerra mai sotterrata, Pitch non lo ringraziò per l’aiuto e, anzi, gli lanciò un’occhiata di sprezzo e disapprovazione.

«Tsk, stavo riuscendo a liberarmi da solo, il tuo intervento è stato inutile e superfluo come lo è sempre» asserì quasi schifato dall’aiuto dell’altro.

Merlino -che ben conosceva i suoi polli, o maiali- sorrise tranquillo «Oh, ho visto come stavi risolvendo da solo, ho visto eccome» ridacchiò nascondendo le labbra con il cappotto che teneva sulle spalle «comunque figurati, non c’è di che. Stai andando da Gwenllian, immagino».

«Non sono cazzi tuoi dove sto andando, immagino».

«No, hai ragione, non lo sono, perdonami per la domanda fuori luogo» si scusò con un breve inchino «ma, dato che sappiamo entrambi che la risposta alla domanda e sì, vi consiglierei di andare sopra quella roccia laggiù» indicò un masso alto poco lontano che si innalzava nel bosco, in una zona con poche piante «sarà più semplice prendere il vostro passaggio aereo, direi».

L’Uomo Nero trasalì «NO EH! Non di nuov-…!!!»

Cinque secondi netti dopo, Pitch ed Emily Jane stavano sorvolando gli alberi sospesi agli artigli di un’aquila albina gigante, che sbatteva le ali furiosa come se volesse farli cadere. Teoria che forse per Black aveva pure un certo fondamento.

E il Signore degli Anelli poteva accompagnare solo.

 

 

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E pure il voltastomaco poteva accompagnare solo.

Il tempo di riprendersi dall’aver vomitato la vita, l’universo e tutto quanto, Pitch trovò la forza per raddrizzarsi e guardarsi intorno; tirò un sospiro che doveva essere di sollievo, ma che non riusciva a nascondere un velo di agitazione: erano arrivati, dunque.

Per chiunque non fosse pratico del posto, l’abitazione della Befana sarebbe sembrato tutto tranne che la dimora di una strega del calibro di Gwenllian Jenkins Pendragon: in mezzo ad una radura d’erba verde e fiori delle più svariate specie che sbocciavano rigogliosi emanando mille profumi differenti -e protetta tutt’intorno dagli alberi del bosco, che formavano una vera e propria barriera naturale- c’era la sua casa, una sorta di capanna di legno e pietra di modeste dimensioni che pareva essere direttamente uscita dalla Contea, a giudicare da come se ne stava accucciata sotto una collinetta d’erba che fungeva sia da tetto, sia come prolungamento del vastissimo prato tutt’intorno.

Prato che era anche il nido delle sue aquile, o almeno di quelle che non erano in giro a volare libere per il Galles, per la Gran Bretagna, per dove solo gli dei sapevano, esattamente come lo era la loro padrona; complice il castello di suo padre e la porta per Ognidove, infatti, fin da piccolissima Gwenllian era stata abituata a girare letteralmente il mondo in lungo e in largo, per terra e per mare e pure per aria.

Dovunque ci fosse un nuovo luogo da visitare, c’era anche una giovane Pendragon sempre dietro a mamma e papà per unirsi all’avventura, avventure che -da più cresciuta- l’avevano portata a scovare nidi e nidi dei suoi fidati rapaci nascosti negli angoli più remoti del mondo, enormi aquile che si narrava fossero nate dall’unione del Roc con l’uccello del tuono.

E la prima aquila dalle candide piume bianche da lei incontrata era lì a qualche metro da Pitch, intenta ad afferrare col becco una carcassa equina facendola poi scivolare intera giù per la gola, con vicino dei teneri pulcini -grandi quanto il torso dell’Uomo Nero, fra l’altro- che le zampettavano intorno per rubarle il cibo incuranti delle enormi zanne di quella bestia. Kya, questo era il suo nome, non pareva farci troppo caso, ma fece invece caso eccome a Pitch poco lontano; gli lanciò un’occhiataccia terribile, penetrante, facendogli capire che mal lo sopportava tanto ora quanto quando lui stava con Gwenllian, e che ci avrebbe messo poco a farsi scivolare nella gola lui, anziché un cavallo.

Black notò perfettamente quello sguardo rosso rosato che incontrava il proprio, ma era troppo preso a vagare nei ricordi per spaventarsi: non aveva mai più cercato contatti con lei, con la sua donna, dal giorno in cui le loro strade si erano separate, ma occasionalmente tentava di interessarsi a come stesse -da leggersi “se avesse una relazione con qualcuno”- per vie traverse: forse per semplice curiosità, forse perché si sentiva ancora in dovere di proteggerla o, più semplicemente, forse perché l’amava ancora.

Senza il forse, però.

L’Uomo Nero guardò di nuovo la piccola capanna, nostalgico: il fumo che usciva dal comignolo, i vasi di fiori appesi ai davanzali, l’edera sul muro di pietra, il legno coperto di soffice muschio, persino le goccioline di rugiada gli ricordavano i migliori anni della sua vita, anni passati al fianco della Befana e di nessun’altra nel mondo.

Senza sforzo alcuno, nella nuvola grigiastra che usciva dal tetto a Pitch parve di rivedere le mattine in cui lui cucinava la colazione per entrambi: quasi sempre frittelle o pancakes, che si premurava di condire nei modi più disparati per poi portarli a letto, dove sarebbero stati consumati; per quanto lo riguardava, ancora più dolce della colazione in sé c’erano solo i gridolini entusiasti di Gwenllian nell’assaggiare la combinazione di marmellata e frutta del giorno che da lì a poco avrebbe annegato nello sciroppo d’acero, quando Black non lo usava per rendere più dolci al palato ben altre zone del corpo della sua amante.

Rivide lei che -ancora mezza addormentata- gli faceva segno di mettergliene una forchettata in bocca, rivide anche se stesso che si destreggiava -posata alla mano- in mezzo a quella cascata di capelli color cioccolato, facendole borbottare qualcosa quando i pancakes erano talmente caldi da scottarle la lingua.

Ma anche allora non c’era nulla che un bacio non potesse risolvere, Pitch aveva imparato anche quello stando con lei; uno, due, dieci, cento, mille baci: non aveva importanza quanti fossero, non sarebbero mai stati abbastanza, e nessuno dei due si sarebbe mai lamentato che fossero troppi.

Specie perché buona parti di essi era riservato a zone particolari.

Eh, pure il meraviglioso sesso che faceva con lei gli mancava eccome, ma non era mai stato al primo posto nei suoi pensieri di allora come di oggi: gli mancava lei, non il suo corpo e nemmeno i suoi gemiti.

Gli mancava lo svegliarsi e rendersi conto di quanto fosse un uomo fortunato ad avere vicino una donna che lo amava per ciò che era, fregandosene di ciò che gli altri dicevano sul suo aspetto e sulle dimensioni del suo naso.

Gli mancava stringerla fra le braccia e sentire il calore delle sue mani che si posavano sulle proprie guance, per poi accarezzargliele con dolcezza infinita sussurrandogli quanto lo amasse.

Gli mancava il poggiare la propria fronte alla sua per perdersi in quegli occhi nocciola dall’eterocromia anulare azzurra, che rendeva la sua damante ancora più speciale di quanto già fosse per il solo fatto di essere lei.

Gli mancava, eccome se gli mancava, ma non poteva farci niente di niente: la loro storia era finita, lui non aveva saputo tenersela stretta ed era tornato solo, solo con la sua speranza -di cosa non lo sapeva nemmeno lui- come un cane che attende il padrone standosene accasciato al ciglio della strada. Il che rendeva pure piuttosto bene l’idea di come fosse messo Pitch appena mollato, intento com’era ad ubriacarsi acciambellato in un angolino a piangere e maledire il mondo per la sua miseria.

«Oh, siete arrivati! Vi stavo aspettando, benvenuti!»

 

Quella voce.

L’avrebbe riconosciuta fra mille altre voci, Pitch Black, sarebbe stato capace di distinguerla fra altre milioni che gridavano tutte all’unisono l’aveva ascoltata talmente tante volte da conoscere a memoria ogni pausa, ogni sospiro, ogni singolo cambio d’intonazione che corrispondeva ad una differente sfumatura del suo umore.

Avrebbe voluto girarsi, ma una parte di sé lo bloccava: se l’avesse vista di nuovo, non sarebbe mai riuscito a lasciarla andare, non lo avrebbe permesso.

Un’altra parte di sé, quella più razionale, gli gridava invece di tornare con i piedi per terra e guardare in faccia la realtà: tra loro era finita da un pezzo, cosa si crogiolava a fare nell’illusione che potesse esserci un lieto fine anche per lui? Era l’Uomo Nero, non ci sarebbe mai stato nulla se non l’amaro sapore della sconfitta ad accompagnarlo nei suo trascinarsi nel cammino della vita eterna: perché lagnarsi tanto, dunque?

Senza che potesse pensare ad altro, una sensazione di calore lo pervase.

“Cwtch”.

Nella sua mente, le parole dette dalla strega in una di quelle mattine passate a coccolarsi risuonarono con violenza inaudita.

“Esiste una parola gallese che non può essere tradotta in nessun’altra lingua, ‘Cwtch’. Cwtch è l’abbraccio della persona amata, il porto sicuro in cui fare ritorno quando tutto non va e il mondo cerca di farti cadere, è il luogo dove niente ti può rattristare o ferire o raggiungerti, niente se non l’amore. È un posto speciale che puoi trovare solo fra quelle braccia, quelle che ti stanno stringendo quando lo dici: non braccia qualunque, bada bene! Le braccia di quella persona, la tua persona. Ecco, il mio Cwtch sei tu”.

 

E ora Gwenllian Jenkins Pendragon non era solo un volto scavato in un ricordo, no, era lì che lo abbracciava -dopo aver fatto lo stesso con Emily Jane, o almeno averci provato dato che lei l’aveva liquidata con un secco e sterile “ciao”- per salutarlo. Lo abbracciava!

Staccatasi dall’abbraccio, la donna lo guardò perplessa dandogli un buffetto sulla guancia come per svegliarlo.

«Hai freddo o sei solo felice di vedermi, Pitch?» domandò la strega all’Uomo Nero.

L’altro la guardò perplesso «Come?»

«Your meat popsicle, my dear» diede delucidazioni Gwen dopo qualche istante, indicandogli distrattamente i pantaloni.

Dai quali faceva capolino una fin troppo vistosa erezione.

Non si seppe se fece più rumore il facepalm di Emily Jane -che già si preparava mentalmente un elenco delle figuracce che gli avrebbe fatto fare suo padre-, il respiro affannoso di quest’ultimo che cercava disperatamente di far rientrare l’anaconda alla base o le risate della gallese, fatto stava che fu lei infine a riderci sopra ed invitare gli altri due a seguirla in casa propria.

«Appena avete ritirato l’artiglieria, venite pure... anche in quel senso, se proprio volete, dei fazzoletti li ho in giro» scoppiò a ridere di nuovo avviandosi verso la capanna, padre e figlia che la seguivano a ruota.

Si preannunciava una giornata dura.

Durissima.

Ma mai quanto il pene di Pitch.

 

 

 

Si sarebbe potuta ricercare la somiglianza di Gwenllian con i suoi genitori nei capelli, guardando quella treccia di ciocche bluastre e argento -rispettivamente ereditati da Howl e Sophie- che spiccava particolarmente nella chioma color cioccolato, ma sarebbe bastato mettere piede in casa sua per capire che con suo padre aveva ben altro in comune.

Il caos più assoluto.

Esattamente come il castello errante del mago di Ingary, anche casa della Befana era piena di ogni sorta di oggetto possibile immaginabile: montagne di libri che formavano vere e proprie torri, manuali di magia con mille segnalibri che spuntavano dalle pagine come fiori in un campo, misteriosi artefatti e congegni -se fossero magici o semplici ninnoli non era dato a sapere- dalle forme più bizzarre, animali di pezza variopinta sparsi un po’ ovunque, ampolle e vasi riempiti con erbe e pozioni e polveri e solo gli dei sapevano cos’altro, fiori e piante di specie sconosciute e tante, troppe, altre cose incomprensibili ai semplici umani.

Emily Jane sbuffò sonoramente, assicurandosi che gli altri la sentissero; persino uno di quei volatili fuori dalla porta avrebbe capito che quella calma piatta, quel silenzio irreale smorzato solo dalla forchetta che affondava tanto nell’impasto quanto nella sua anima, era più falso di una moneta d’oro di cioccolato, per non parlare del fatto che ricordava bene quanto il motivo della visita fosse ben poco di cortesia.

Appunto, lei lo ricordava, ma le sembrò più di una volta che suo padre lo avesse scordato, invece.

Irritata, Madre Natura fece per prendere la parola, ma l’altra la interruppe appena le vide muovere il labbro per pronunciare ciò che aveva da dire.

«Immagino che questa non sia una visita di cortesia» asserì seriosa Gwen standosene appoggiata al muro vicino alla cucina, le braccia incrociate al petto e lo sguardo tagliente di chi sa già perfettamente dove vuole andare a parare.

Pitch venne colto di sorpresa e si interruppe con la forchetta a mezz’aria, lo sguardo che si abbassava su quel boccone per non guardare la sua interlocutrice.

«No, appunto, la nostra non è una visita di cortesia» confermò senza alzare gli occhi, ormai fissi a contemplare quel pezzo di cibo che aveva davanti al naso.

La strega sospirò «Posso sapere il motivo per cui siete venuti, dunque? Non ho molto tempo da perdere, per cui se non dovete dirmi nulla» indicò una porta di legno intarsiato che si intravedeva dal tavolo in cui li aveva fatti accomodare «io torno a fare ciò che stavo facendo. L’alchimia è una scienza che non dorme mai, nel caso in cui non lo sapeste».

«Lo sappiamo, lo sappiamo» convenne Black con aria seccata «anche perché se dormisse non avresti quella» additò una piccola pietra rossa che svettava su di un anello al dito della donna, lanciando sfumature del colore delle fiamme dell’inferno. Si alzò in piedi, avvicinandosi e ponendosi davanti a lei con le mani dietro la schiena «Quanto tempo hai impiegato per ottenere la pietra filosofale? Più di quanto ne hai impiegato per tornare a camminare dopo che Merlino te lo ha sbattuto nel culo, eh?»

Gwenllian alzò gli occhi al cielo: eccolo che iniziava con le scenate di gelosia.

 

Sapeva fin troppo bene come si sarebbe evoluta la questione, la giovane strega, ricordava perfettamente tuuuuutte quelle che avevano contribuito alla sua -non facile- scelta di lasciarlo, e questa era solo l’ennesima di tante.

Che coinvolgevano quasi tutte Merlino, fra l’altro: non ne capiva il motivo, ma fin dal primo istante in cui lei glielo aveva presentato come “il mio migliore amico, anche se ormai lo considero un fratello maggiore” l’Uomo Nero era stato accecato dalla pura gelosia. Il semplice parlare fra la sua fidanzata e il mago si trasformava in un tentativo di abbordaggio, gli abbracci erano sempre e solo per farle sentire “la bacchetta magica”, e guai quando restavano da soli! In quel caso lo stava cornificando di sicuro!

Poi dettagli, se magari lei e Merlino erano dalla sua maestra Suliman per apprendere le ultime scoperte in campo magico che una maga di Ingary era tenuta a conoscere, per Pitch gli stava comunque mettendo le corna.

Per un po’ Gwen aveva pure sopportato, lo aveva fatto in nome dell’amore profondo che provava per quell’uomo e di tutti i loro momenti felici, i migliori che avesse mai provato nella vita immortale che le apparteneva: “passerà”, si ripeteva.

Ma non era passata, e allora si era resa conto che non c’era più nulla di sano nella loro relazione, né qualcosa per cui valesse la pena continuare a struggersi inutilmente: pedinamenti 24 ore su 24 sette giorni su sette, domande insistenti come fosse costantemente sotto la luce di una sala per gli interrogatori, lui che addirittura si rifiutava di fare sesso con lei insistendo che non voleva trovarsi lo sperma di Merlino sul proprio membro.

E ora non solo non gli era ancora passata l’incazzatura-disperazione-quellocheera da rottura, veniva pure a fare le scenate di gelosia senza che stessero insieme! Era follia, pura follia.

E Pitch era decisamente folle, ora.

 

Resasi conto di come il discorso stesse cambiando repentinamente, la giovane Pendragon si smosse e si mise davanti al proprio ex dritta e col petto in fuori, come a fronteggiarlo.

«Sicuramente meno di quanto tu ne stia impiegando per metterti il cuore in pace» rispose secca, piantandogli addosso uno sguardo freddo capace di penetrare la carne tanto quanto lo erano gli artigli di Kya «non ti è ancora passata, vedo»

«A te immagino di sì, invece».

«Ovviamente» lo rassicurò sorridendo senza dare corda a quel suo atteggiamento provocatorio «a differenza tua, non mi ostino ancora a vivere nel ricordo di un passato che sì, è stato, ma che non potrà più essere. E non certo per colpa mia» alzò e allargò le braccia come a negare il suo coinvolgimento «guardati, Black: non sei in grado di voltare pagina, di andare oltre, di raccogliere la dignità che ti è rimasta e uscire da casa mia. Perché è ciò che ti invito a fare, se sei venuto qui solo per ossessionarmi con le tue scenate di gelosia o per pregarmi di tornare con te».

Gli si avvicinò all’orecchio, indicandogli con un cenno del capo Emily Jane, ancora impegnata a punzecchiare il proprio muffin.

«Fallo per lei, più che per me: in quanto padre, abbi la decenza di non farti vedere da tua figlia nelle condizioni pietose in cui ti riduci quando mi preghi di darti un’altra possibilità. E non lo dico per schernirti, è solo-­»

«Non è quello il motivo per cui sono venuto qui. Stai pure certa che ne avrei fatto volentieri a meno, se avessi potuto».

La strega parve sorpresa da quell’affermazione, e c’era pure da capirla: a parte il tormentarla con gelosie morte e sepolte riguardo la loro relazione -altrettanto morta e sepolta-, non c’era proprio nulla che potesse vederla legata all’Uomo Nero.

Ma se si era scomodato tanto non era certo per qualcosa di piacevole, di quello Gwenllian ne era assolutamente certa.

Restò il silenzio a lungo, poi si girò verso Emily Jane, che poverella pareva più a disagio lei di tutti gli altri presenti in quella stanza.

«Vai fuori» le intimò semplicemente.

«Non prendo ordini da lui» la giovane Pitchiner indicò suo padre «figurati se li prendo da te».

«Lo dico per il tuo bene: vai fuori, Emily».

«Altrimenti?» si alzò in piedi, tentando inutilmente di tenere testa alla Befana «Cosa mi fai, se non esco? Mi trasformi in un rospo, forse? Un maiale come ha fatto la tua collega con mio padre? O forse preferisci-»

«Fa come dice. Vai fuori» si intromise Pitch.

Lei lo guardò in cagnesco per alcuni secondi che parvero infiniti, ma si limitò a dirigersi verso la porta aprendola e facendo per uscire, con grande sorpresa di tutti: Emily Jane non era assolutamente il tipo di persona che si lasciava scappare un’ occasione del genere per lamentarsi, quel comportamento non era proprio da lei!

“Vado fuori, vado fuori: l’ultima volta che l’ho fatto, mamma si è buttata da una rupe e l’hanno raccolta con un cucchiaino, spero in bene che ora sia il tuo turno” fu il suo ultimo pensiero, poi si chiuse la porta alle spalle.

Che si scannassero da soli, quei due.

 

 

«Finalmente ci ha lasciati soli, quella dannata palla al piede» esordì l’Uomo Nero appena sparita la figlia.

«Avete sempre un rapporto molto stretto, da quel che vedo».

«Sicuramente più stretto delle tue gambe, Pendragon».

Gwen sospirò, dirigendosi verso il frigorifero.

«L’ho detto e lo ripeto: se vuoi toccare l’argomento, non aspettarti che io sia clemente, e nemmeno che ti dia conferme o smentite varie. Cosa faccio con le mie gambe sono solo affari miei, e anche se fossero pure tuoi non verrei certo a raccontartelo né oggi, né domani, né mai» tirò fuori due birre ghiacciate e le aprì, passandone una a Pitch «smettila di girarci intorno, Black, perché non sono certo una stupida: cosa vuoi da me? Hai detto che non è una visita di cortesia, quindi cosa dovrebbe essere questa sceneggiata?»

L’altro bevve un lungo sorso «Da quanto sapevi che stavo venendo qui, uh?»

La donna sorrise «Da quando i miei aquilotti hanno mangiato il pane che lasciavi per terra, ovviamente» rise lei vedendo l’espressione sorpresa di Pitch «e se te lo stai chiedendo no, non ho organizzato io il tuo comitato di benvenuto» lo anticipò «anche perché fra i due sono io quella che ha meno voglia di vederti bazzicare intorno a casa mia, o intorno a me in un raggio di svariate migliaia di chilometri in generale. Ringrazia la clemenza di Merlino, perché se ci fossi stata io al suo posto ti avrei lasciato trasformare in maiale da Circe per poi cuocerti allo spiedo. Kya e le altre ne sarebbero state contente».

Pitch posò la bottiglia vuota sul tavolo «E tu?»

Lei lo imitò «Io? Io voglio solo che tu ti decida a tagliare corto, perché -come ho già detto- non ho tempo da perdere: ho appena finito la mia birra e mi sto dirigendo al laboratorio, fai te due conti» rispose stizzita, poi prese a dirigersi a lunghe falcate verso la porta di prima, aprendola e invitando l’altro a seguirla «ho un preparato di cui occuparmi, hai tempo di spiegarti finché non l’ho completato».

A vedere le porte del laboratorio alchemico di Gwenllian Jenkins Pendragon aprirsi, Black riuscì a stento a trattenere l’emozione: se dall’esterno quella pareva una modesta casetta sperduta nella foresta, allora all’interno era un enorme labirinto fatto di scaffali e librerie colme di qualsiasi oggetto che un uomo potesse immaginare, tutto perfettamente sistemato e catalogato per colore, dimensione e nome, non aveva nulla a che fare col caos targato Pendragon della stanza accanto. Ed era proprio lì che avveniva la magia: Befana quando serviva, strega di nascita e alchimista a tempo pieno, Gwenllian era straordinaria anche per gli standard dei maghi.

Quel posto gli era mancato come pochi altri, doveva ammetterlo.

Mentre la donna era alle prese con la pozione alla quale aveva accennato poco prima, Pitch ne approfittò per fare un tour di quel luogo a lui così famigliare; non era cambiato di una virgola dall’ultima volta in cui lo aveva visto, un numero indefinito di anni prima, differenziava solo per la quantità immane di esperimenti e solo gli dei sapevano cosa che riempiva ogni singola parete e tavolo e mensola là dentro -decisamente aumentati da quando ricordava-, e forse pure per qualche nuova scala a chiocciola che spuntava qua e là per accedere ai piani superiori.

E per la pietra rosso rubino che troneggiava fiera la stanza, dall’alto del suo galleggiare a mezz’aria brillando di luce propria, anche per quella.

Si avvicinò incuriosito, alzando il naso e osservandola compiaciuto: alla fine era riuscita a crearla, dunque. C’erano alchimisti che spendevano tutta la vita a cercare di creare un frammento di grandezza infinitesimale della pietra filosofale, magari pure senza riuscirci, e là dentro ce n’era una grande quanto un cocomero.

“Meglio non farla arrabbiare”, pensò l’Uomo Nero: se possedeva magia e conoscenze sufficienti per un lavoro del genere ad un’età come la sua, allora con Gwenllian sarebbe stato meglio non abbassare la guardia.

«Di cosa volevi parlarmi, allora? Ti ricordo che il tempo stringe» gli fece notare l’altra, senza staccare gli occhi dal ciò che la stava impegnando.

Pitch si avvicinò lentamente a lei «La farò breve: qualcuno ha mandato delle creature a sbranare i miei Incubi, e con “sbranare” intendo che ci si sono fiondati sopra come un viandante nel deserto su un bicchiere d’acqua. Leoni, per la precisione, leoni neri dagli occhi rossi».

«Leoni, dici?» ripeté lei mentre armeggiava con delle provette.

«Leoni, sì. Inizialmente li avevo scambiati per altri Incubi con nuove forme, ma quando si sono avvicinati ho notato che -più che di sabbia nera- parevano essere costituiti da… vediamo, a cosa potrei paragonarlo… oh, ecco: pura oscurità, il termine giusto è questo».

«E quindi?»

«E quindi credo che tu possa saperne qualcosa, Pendragon. Se non addirittura essere stata la mandante di quella mattanza» si accostò al tavolo, posandoci con violenza un palmo sopra «non conosco altre persone che possono volermi morto, con le quali ho questioni in sospeso o che vogliano danneggiarmi in qualche modo. Nessuno, tranne che te» vedendo che non gli dava la benché minima attenzione, le afferrò un polso per fermarla nel suo operato «non provare a prendermi per il culo, Gwenllian, o giuro che-»

L’Uomo Nero si lasciò scappare grido soffocato di dolore. Si guardò la mano: sanguinava.

E il suo sangue gocciolava anche dagli artigli della strega, la cui mano si era ricoperta di spesse squame argentee iridescenti, un sottile strato di piume dello stesso colore che le fuoriuscivano dalla pelle dell’avambraccio a monito dei poteri ereditati da suo padre.

«Non giurare di nuovo, perché potresti non trovarti più la bocca per farlo» ringhiò lei fulminandolo con lo sguardo, gli occhi ridotti a due fessure scure nei quali si intravedeva appena la sottile pupilla azzurrognola.

Pitch sorrise appena.

«Oh-oh, qualcuno qui graffia, da quel che vedo» si saggiò la ferita che partiva dal pollice e percorreva il palmo fino al polso, massaggiandosela sorridendo «non è così che si trattano i propri ospiti, Gwen, no no. Mamma e papà non ti hanno insegnato le buone maniere?»

«Mamma e papà mi hanno insegnato che se uno sconosciuto mi importuna prima devo avvisarlo di non farlo ancora» gli indicò il taglio «poi devo staccargli il braccio a morsi. E stai sicuro che lo farò ben volentieri». La Befana si decise a lasciar perdere il proprio esperimento, dando la schiena al banco di lavoro e girandosi verso l’altro -allontanatosi di qualche passo dopo l’attacco- che la guardava senza perdere quel suo sorrisetto.

Con fare malizioso, Gwenllian si leccò il sangue dagli artigli.

«Sei delizioso, sai? Esattamente come ricordavo che fossi, forse pure meglio».

«Non è buona cosa restare col dubbio» le fece notare l’uomo avvicinandosi cautamente, fino a trovarsi a pochi centimetri da lei «sai, sarebbe certamente meglio toglierselo finché se ne ha la possibilità» le accarezzò i capelli, le dita che scorrevano fluide in quella cascata color cioccolato con un ritmo quasi ipnotico «specie perché potrebbe succedere che poi non si abbia l’occasione di toglierselo in futuro, quello spiacevole dubbio» pose l’altra mano sul suo fianco, sfiorandole appena il corsetto di pelle.

Lei lo guardò fingendosi afflitta «Oh, capisco. La mia è proprio una brutta situazione, vero? Non so proprio come potrei tirarmene fuori, proprio no» gli afferrò il mento con la mano artigliata, creando nuovi solchi nella pelle grigio cenere dell’altro «e dimmi un po’, re degli incubi, conosci forse un modo per rimediare alla mia condizione? Magari un modo che comprenda-­»

 

E Pitch la baciò.

Un bacio vorace, intenso, appassionato, che solo un uomo disperato dal ritrovare la donna che aveva amato e che ancora amava poteva dare: glielo avrebbe dimostrato, che era ancora sua, le avrebbe fatto capire che il suo cuore gli apparteneva, che non poteva fare a meno tanto dei suoi morsi sulle labbra quanto del suo corpo che premeva sul proprio, che -senza di lui- la sua vita non sarebbe stata completa come lo era mai stata tempo addietro.

Da parte sua, la sorpresa iniziale di Gwenllian durò ben poco. Subito, si perse ben volentieri in mezzo alle loro labbra che si cercavano l’una con l’altra come se ne avessero bisogno per sopravvivere, persino la parte di sé che le diceva di spaccargli la testa contro il muro aveva lasciato posto ad una passione irrefrenabile, la stessa che animava le loro lingue che si intrecciavano freneticamente facendole morire il respiro in gola: se proprio avesse dovuto morire soffocata, quella sarebbe stata un’ottima occasione per farlo.

Interminabili minuti dopo, si staccarono l’uno dall’altra.

«Il ficcarti la lingua in bocca? Sì, questo lo conosco» scherzò l’Uomo Nero poggiando la propria fronte a quella della donna, ancora ansimante «allora, ho lo stesso sapore o no?»

Ridendo, la strega si leccò le labbra «Sai che non credo di averlo capito per bene?»

E ora fu lei a baciarlo di nuovo, con la stessa intensità e fervore di poco prima. Gli prese fra la testa fra le mani e lo strinse a sé, spingendogli la lingua all’interno della propria bocca cogliendolo impreparato.

«Sì, hai un sapore decisamente migliore» sentenziò infine soddisfatta, continuando nel mentre a dargli piccoli baci su viso e collo «ma sai che cosa è ancora più dolce in te, Pitch?»

«Che cosa?» chiese languido.

«Il tuo sangue sul pavimento».

Poi iniziò una lotta furiosa.

 

Approfittando della guardia abbassata dell’altro, ancora troppo impegnato a fantasticare su quel bacio furbescamente rubatole per ragionare come si deve, la strega impiegò poco per trasformare ulteriormente il proprio corpo facendosi comparire -oltre all’altra mano artigliata- un paio di possenti ali dalle soffici piume marrone nerastre, azzurro turchese e bianco argentee; subito, la loro sola comparsa sulla sua schiena bastò per scaraventare l’Uomo Nero contro uno degli scaffali alle pareti, che finì inevitabilmente per crollargli addosso insieme a tutto ciò che conteneva.

Gwen gli si avvicinò a piccoli passi totalmente incurante di vetri e cocci sparsi a terra, complici anche gli arti inferiori -che avevano assunto fattezze simili a quelle delle zampe di un rapace- ora coperti da squame dure e spesse, le ali ed una lunga coda dello stesso colore di queste ultime che si trascinavano per terra.

Si appollaiò per terra vicino al punto dove aveva impattato l’altro, osservando con soddisfazione il rivolo di sangue che colorava le schegge trasparenti: morto? Nah, non sarebbe bastato così poco per ucciderlo, tanto più che si trattava di un immortale.

E infatti ne ebbe la dimostrazione qualche secondo dopo.

Nel mentre che si apprestava ad alzarsi, un’improvvisa ventata accompagnata da un’ombra nera le passarono rapide di fianco sfiorandole il corpo ed una delle ali, che d’istinto fece scomparire per evitare di trovarsela tranciata; si guardò intorno pronta a scattare: sapeva fin troppo bene quali trucchetti fosse capace di mettere in atto Pitch sfruttando il suo nascondersi negli anfratti bui, e per questo non si permise di abbassare la guardia. O almeno ci provò.

La seconda sferzata la colpì in pieno su di un fianco, ma almeno riuscì ad afferrare la falce dell’altro trascinandoselo a qualche centimetro dal volto. Sorrise.

«Funziona una volta, ma la seconda non mi fotti».

«Sicura?» domandò lui sghignazzante indicandole il corsetto e la maglia sottostante.

O ciò che rimaneva, comunque, dal momento che l’ultimo colpo lo aveva praticamente squarciato in due lasciando la strega a seno scoperto.

«Dannato man-» tentò di imprecare lei, ma fu questione di attimi prima che Black si premurasse di manipolare l’oscurità com’era solito fare in quanto sovrano degli incubi.

Agì velocemente, facendo fuoriuscire dall’ombra della strega dei veri e propri tentacoli di sabbia nera e grondante un liquido dello stesso colore, che le si avvolsero tanto ai polsi quanto alle caviglie per ridurre la sua mobilità a qualcosa che si avvicinava pericolosamente allo zero: più tentava di divincolarsi, più quelle cose stringevano. E lei lo stava capendo tardi, a giudicare da come si stava inutilmente agitando.

Ridacchiando, Pitch la strinse a sé, con ancora addosso quel suo sorrisetto da prendere a schiaffi; da lui Gwenllian si aspettava di tutto, ma per ora l’Uomo Nero si stava semplicemente limitando ad osservare e seguire col dito le linee di ogni singolo tatuaggio che copriva il corpo di quella che, un tempo, era stata la sua amante: sapeva a memoria la posizione di ogni singolo simbolo, ogni significato che esso poteva avere, avrebbe saputo disegnare una vera e propria mappa dei segni presenti su quella pelle candida che lui aveva baciato, accarezzato, posseduto, per anni interi, esplorandone ogni angolo.

La guardò negli occhi solo un istante, quello che gli bastò per capire che sarebbe stata sua complice, che aveva voluto esserlo fin dal primo momento in cui lo aveva rivisto.

Senza tanti complimenti, l’Uomo Nero fece scivolare le labbra vicino al collo della strega iniziando a baciarlo avidamente una, due, tre volte, salì fino all’orecchio dove rimase qualche istante, conscio di quell’insignificante punto sensibile del quale ricordava bene la posizione; il corpo della donna fu scosso da un brivido che le incendiò la pelle, i muscoli, persino ogni più piccola terminazione nervosa: sentiva la bramosia dell’altro di averla, di reclamarla, di possederla ancora una volta, non riusciva nemmeno più a ragionare da quanto quel fuoco le stesse avvampando la mente, oltre che il corpo. Era sbagliato, tremendamente sbagliato.

Ma non gliene fotteva assolutamente un cazzo.

Non ebbe nemmeno il tempo di farsi ulteriori domande su quanto ciò fosse giusto o meno, che Pitch era già sceso con la bocca sui suoi seni nudi, prendendo a torturarglieli come solo lui sapeva fare. Inizialmente si accontento di lambirle appena la pelle, provava un certo piacere nel sentirla mugolare come a implorarlo di darle di più, e lo aveva fatto sfiorandole delicatamente il capezzolo roseo e turgido con la lingua per farla gemere di nuovo, e poi ancora, e ancora, fino a quando non era crollata in un gemito sordo.

Mentre l’aveva fra le braccia, la sentiva fin troppo chiaramente dimenarsi e inarcare faticosamente la schiena in un tormento costante, senza fine, una muta richiesta -non poi così tanto muta, considerando i gridolini che lanciava- di andare oltre, di darle di più, era come uno spasmodico desiderio carnale che le bruciava dentro mentre chiedeva solo di essere soddisfatto, risvegliato, accolto.

Allora, e solo allora, aveva iniziato a suggerle il seno in modo avido, rude, quasi selvaggio, pareva volesse divorarla da quanta passione ci stesse mettendo, dai segni rossi che i morsi gli stavano lasciando sulla pelle ad ogni suo affondo. Un grido di piacere scappò dalle labbra della strega, ormai in completo visibilio a causa di quel comportamento a metà fra l’umano e l’animalesco che pareva svegliare in lei istinti dimenticati da tempo immemore, istinti che ora ruggivano ogni volta che i denti di Black si serravano prepotenti intorno alla propria areola: per la dea, quanto gli era mancato quel maledetto disgraziato dal naso abnorme!

Pitch stava giusto per spostarsi sull’altro seno quando, in modo totalmente inaspettato, Gwenllian gli affondò le dita fra i capelli e gli trattenne la testa lì dov’era spingendolo più a fondo sul suo petto, come ad invitarlo a suggerla con maggior vigore. Sorpreso, la guardò qualche istante come per dirle “Come e quando ti saresti liberata i polsi?”, ma nel momento in cui la sua bocca fu pronta a pronunciare quelle parole si trovò bloccato da un bacio caldo e profondo, le dita che gli scavavano la pelle fino a lacerargli la veste.

Non aveva importanza come avesse fatto, non più, ormai.

Le mani -ancora trasformate- della strega gli strinsero le proprie, guidandogliele prima sui fianchi, poi giù sulla vita e infine vicino all’orlo dei pantaloni; Gwen gli sorrise. Abilmente e con la calma di chi vuole farsi desiderare fino in fondo, guidò abilmente con le proprie mani le dita dell’altro fin dentro gli abiti, accompagnandolo fino a sfiorargli gli slip sottili che lasciavano scoperti suoi glutei.

Ancora una volta, i freni inibitori dell’Uomo Nero andarono a farsi benedire: esplorò le sue natiche in lungo e in largo, strinse con non poca forza la carne soda come un gatto che si aggrappa ad un cuscino per farsi le unghie, e -similmente a come faceva il felino- anche lui piantò le proprie, di unghie, nelle carni della donna facendola gemere tanto di piacere quanto di dolore. Non smise nemmeno un secondo di costellarle il fondoschiena di segni rossastri che rasentavano lividi veri e propri, lei del resto non si stava certo opponendo, e non lo fece nemmeno quando le dita di Pitch finalmente si insinuarono sotto gli slip per cercare le sue zone più intime.

 

No, non si oppose, gli piantò solo una ginocchiata nello stomaco che ci mancava poco gli facesse sputare tutti gli organi interni.

 

«Eh! Voleeeeeeevi! Guarda che faccia, non se lo aspettava!» gli gridò la strega dall’altra parte della stanza, alzandogli il medio da entrambe le mani e facendogli il gesto dell’ombrello senza pudore alcuno, soddisfatta com’era.

Pitch non perse tempo: conscio che la falce fosse un’opzione da scartare -dal momento che Gwenllian sapeva già come lottava e si muoveva con essa-, ripiegò sul farsi comparire fra le mani due sottili ma lunghi pugnali affusolati, che gli avrebbero certamente permesso di gareggiare in agilità con l’altra.

Ignorando il dolore che ancora gli ruggiva nello sterno, le si lanciò addosso ad armi dispiegate con tutta la forza che trovò in corpo, cercando di sfruttare i punti ciechi che gli venivano offerti dagli scaffali interposti fra lui e la strega. Funzionò un po’, quel che bastò per non farsi notare mentre si avvicinava guizzando da un angolo all’altro, ma Black non aveva tenuto conto della presenza di vasi e ampolle che riflettevano la sua immagine.

Avendolo visto in anticipo con la coda dell’occhio, la donna riuscì a bloccarlo all’ultimo, quando i pugnali erano incrociati a mezz’aria a pochi centimetri dal suo volto madido di sudore nel reggere quel confronto di forza immane: dire che stava lottando contro un orso inferocito rendeva perfettamente l’idea di quanto lei si stesse sforzando per non cedere sotto il peso di Pitch, che pareva essersi totalmente riversato nei propri arti superiori a giudicare da come si stesse protraendo quel braccio di ferro.

Fortunatamente per lei, però, il colpo di genio la raggiunse in tempo: una formula in una lingua sconosciuta ai mortali, e poco dopo la lunga coda piumata le ricomparve addosso; attese un istante solo, quello per constatare che l’uomo non aveva notato quella sua piccola trasformazione, poi finalmente la scostò vicino alle sue caviglie... per fargli il solletico.

Oh beh, con i tempi che correvano doveva pure ingegnarsi in qualche modo, se voleva uscire viva da quel confronto.

Per quanto l’idea sembrasse stupida, però, sortì l’effetto sperato. Colto di sorpresa, l’istinto dell’Uomo Nero che gli suggeriva di scansarsi a quella sensazione pruriginosa ebbe la meglio, dando all’altra tutto il tempo per ritirare l’ingombrante piumaggio, voltarsi verso la scrivania e prepararsi a saltare il mobile per allontanarsi il prima possibile da lui, così da potersi prendere qualche metro di vantaggio.

Solo che tutto ciò avrebbe avuto effetto se Pitch non avesse fatto caso alla coda di Gwenllian, e lui l’aveva notata eccome.

 

Non gli avesse mai dato le spalle.

 

Pochi istanti prima che le piume svanissero, Black gliele afferrò brutalmente costringendola a bloccarsi nel mentre che scavalcava il tavolo, tirandola poi verso sé e sbattendola di prepotenza sullo stesso senza risparmiarle un gridolino di dolore per il colpo ricevuto; la strega tentò un paio di volte da divincolarsi da quella presa, ma ogni suo movimento fu reso inutile quando dalla scrivania fuoriuscirono gli stessi dannatissimi tentacoli di prima: la puntarono fin da subito quasi la desiderassero, la pretendessero, e glielo dimostrarono decisamente bene.

Fu questione di attimi, e -prima ancora che Gwen potesse riprendere fiato- si trovò costretta così, mezza nuda e piegata ad angolo retto sul bancone, i polsi e le caviglie che le pulsavano per la stretta infernale peggio di quanto facesse il suo volto avvampato, che l’Uomo Nero si assicurava di tenere ben premuto sul legno grezzo mentre la osservava particolarmente compiaciuto.

Le si avvicinò ad un orecchio per baciarglielo, scendendo sul collo e finendo sul tatuaggio della triplice Luna sulla sua nuca, che morsicò piano per lunghi istanti.

«Qualcuno sembra in difficoltà, a quanto sto vedendo» sghignazzò lui mentre posava con decisione le mani sui fianchi della donna, continuando a scendere lento ma inesorabile verso la cintola «io ti avevo avvisato con largo anticipo, di non sfidare né la mia pazienza né la mia buona volontà di venire a parlarti di persona, anziché accusarti senza prove nelle mani, e tu cosa fai?» come a seguire un suo ordine, i tentacoli di sabbia nera che le serravano le caviglie le spalancarono le gambe, facendole morire le lamentele in gola «tenti di ammazzarmi. Anzi: prima di limonarmi, poi di usarmi per il tuo piacere personale, e infine di ammazzarmi, per essere più precisi» Pitch le afferrò le braghe con decisione, sorridendo.

La baciò di nuovo esplorandole la schiena con fare premuroso, come ad assaporare i brividi che le percorrevano il corpo.

«Non prendiamoci in giro ancora, Gwen, lo facciamo da anni ormai: sappiamo entrambi cosa vogliamo veramente» quando le strappò i pantaloni insieme agli slip quasi impalpabili con brutalità inaudita e animalesca, il rumore della stoffa che si lacerava, si dilaniava, si smembrava, riempì la stanza come un tuono «e quel “qualcosa” io intendo dartelo, su questo puoi contarci» ora fu lui a togliersi la cintura lasciando cadere i propri, di pantaloni, a terra.

Il tempo che quelle appendici nere svanissero lasciandogli campo libero, e subito Pitch la penetrò con un’unica spinta vigorosa che lo fece affondare in lei: fu un gesto veloce, furioso, a tratti brutale, ma il bisogno l’uno dell’altra era troppo intenso perché potesse essere trattenuto, come anche lo era la necessità di scoparla a fondo e assaporare quel momento come se fosse stata la loro prima volta. E con Gwenllian era sempre la prima volta.

 Ed era sempre perfetta.

A sentirsi riempire rudemente in un solo colpo, la strega gridò: il dolore che la investì fu intollerabile, una violenta scossa che le percorse il corpo dal fondoschiena pulsante fino alla testa dove esplose come una lama affilata.

Ma ben presto a quella fitta che l’aveva lacerata dentro si trasformò in un’esplosione di ardente passione, un fiume in piena di puro e tumultuoso piacere che la lasciò senza fiato, spingendola ad aggrapparsi con gli artigli al tavolo per non farsi trascinare solo gli dei sapevano dove da quella frenesia incontrollabile, ora che era come una foglia in balìa del vento.

 

Avrebbe potuto sottrarsi a tutto ciò fin dal primissimo istante, Gwenllian Jenkins Pendragon, del resto i suoi poteri glielo permettevano: le sarebbe bastato trasformarsi completamente come faceva suo padre ai tempi della guerra fra Ingary e il regno vicino, e allora dell’Uomo Nero non sarebbe rimasto nulla se non uno scheletro nel suo stomaco. Semplice e veloce.

Ma non lo aveva fatto, non ci aveva pensato nemmeno mezzo secondo fin da quando l’aveva baciato: voleva che lui la possedesse, voleva possederlo lei, volerla farsi scopare finché non avesse dimenticato come si cammina correttamente.

E non aveva nessun timore ad ammetterlo.

 

Con le poche forze che riuscì a ritrovare in corpo, Gwen tentò di sollevarsi quel che le bastava per trovare il corpo dell’amante che premeva sul proprio in quella perfetta comunione che -tempo immemore dopo- era tornata a crearsi, ma Black la anticipò facendo scivolare una mano in mezzo alle sue cosce morbide che pareva lo implorassero di dare loro attenzione, iniziando a lavorare anche su altre zone particolarmente sensibili.

Di nuovo in preda ai gemiti, Gwen non poté fare altro che accasciarsi nuovamente sul tavolo, a riflettere sull’amara consapevolezza che quel meraviglioso sesso selvaggio gli era mancato quasi quanto l’ossigeno: amava come la faceva sentire completa, amava come i suoi respiri in sincronia con i propri le riempivano la mente, amava come la possedeva in ogni singola spinta, amava come la facesse gridare in un misto fra piacere e dolore, lo amava e basta.

«S-sei un da-dannato… b-ba-bastardo» si lasciò scappare sorridendo, il desiderio pulsante che la indusse ad abbandonare ogni resistenza rimasta fra loro due, a rilassarsi più di quanto stesse già facendo, a protendersi inarcando la schiena per poterlo accogliere meglio dentro di sé.

Stringendo i denti, Pitch spinse più a fondo per accontentarla.

«Ma tu mi ami comunque» ridacchiò mentre le sue dita esploravano sapientemente la femminilità della donna, saggiandola come se avesse già in mente qualcosa.

«Potresti pure avere ragione» convenne la strega, chiudendo gli occhi per assaporare fino in fondo l’ennesima sferzata che le dilaniò l’anima, oltre che il corpo.

L’altro si fermò improvvisamente «Potrei avere ragione?»

«È ciò che ho detto».

«“Potrei”» sottolineò lui quasi offeso.

«Non credo che sia il momento opportuno per stare qui a polemizzare sul mio uso dei tempi verbali» gli fece notare indicando con una mano dietro di sé «sai com’è: mi stai scopando il culo, io vorrei pure avere un orgasmo, tu anche, per cui-»

«Per cui non intendo muovermi di un millimetro, se non sei nemmeno sicura di amarmi».

La giovane Pendragon restò interdetta qualche istante, poi scoppiò a ridere «Avanti! Non puoi essere serio!­»

«Sono serissimo» concluse l’Uomo Nero, incrociando le braccia al petto.

Le sembrava di impazzire: fino a poco prima stava godendo come mai in vita sua, trascinata dall’ardore col quale l’altro stava facendo l’amore col suo corpo e con la sua mente, a giudicare da come lui stesse sapientemente sfoderando una dopo l’altra tutte le sue tecniche per compiacerla nei modi che sapeva le piacevano maggiormente, si stava addirittura pentendo di non essersi incontrata con lui tempo prima, mentre ora… ora si era tutto fermato, bloccato, svanito.

«… Pitch» sussurrò la strega poco dopo, incapace di sopportare oltre la mancanza del corpo del suo amante a contatto col proprio.

«Sì? Vuoi dirmi qualcosa, forse?»

Lei si strinse nelle spalle, sospirando «… Avanti, sai benissimo cosa vorrei dirti, dai…»

Black si finse pensieroso «Non ne ho la minima idea, spiacente».

«Come sarebbe che non…? Pitch, ti prego, ti prego».

«“Ti prego” di fare cosa, di preciso?» domandò incuriosito, facendo scivolare le mani a stringerle i seni con decisione «Qualcosa tipo questo, intendi?»

«S-sì, » ansimò speranzosa «questo e-e p-poi… poi-» non fece in tempo a finire che lui tornò con più forza e vigore di prima dentro di lei, strappandole l’ennesimo di tanti, troppi, gemiti che le morivano in gola trasformandosi in gridolini strozzati, in mezze parole, in impalpabili sospiri che gridavano solo solo una cosa: che lei, l’Uomo Nero, non aveva mai smesso di amarlo.

A Black non serviva sentirselo dire da lei, non aveva bisogno che la strega gli confermasse ciò che lui aveva capito fin dal primo sguardo, si accontentava delle conferme che le stava dando il suo corpo abbandonato a quel loro infuocato delirio che pareva non avere fine. Lasciò che la passione cancellasse il suo autocontrollo, che la parte di se stesso che la desiderava da impazzire prendesse il totale controllo, che fosse il suo desiderio di possederla notte e giorno a guidarlo: non la risparmiò nemmeno un istante nel penetrarla a fondo, non voleva essere né gentile né tenero con lei, ben conscio che la tenerezza e la gentilezza non erano ciò che Gwenllian stava cercando da lui e che ora chiedeva, bramava, aveva bisogno, di ben altro.

E lui glielo diede volentieri, ciò di cui aveva bisogno.

Riprese ad avanzare una, due, tre, un numero indefinito di volte, poi si ritrasse nella stessa maniera fin quasi a lasciare il suo calore per allungare ogni istante di quella preziosa tortura, lei che conficcava le unghie nel legno scarnificandolo e dilaniandolo proprio come il piacere stava facendo col suo corpo inerme; con una mano Pitch le afferrò i polsi bloccandoglieli dietro la schiena, con l’altra invece fece lo stesso con capelli tirandoli a sé e costringendola ad inarcarsi faticosamente, mentre con inesorabile lentezza rientrava nel suo corpo fremente per farle assaporare ogni centimetro della sua erezione che affondava in lei.

Un grido di piacere si levo alto dalla gola di Gwen, gemiti pregni di gioia e sollievo che lo invitavano chiaramente a proseguire con ardore devastante, urla che però adesso avevano una sfumatura diversa da prima, come segnate da un sentimento dimenticato da entrambi che ora faceva capolino per rendere quell’amplesso unico, speciale, diverso da qualsiasi altro. Quello non era solo sesso, non era solo fare l’amore finché i loro corpi fossero stati in grado di reggere la sfida, non era nemmeno una sveltina -poco svelta- e via per tornare alle proprie vite.

Era una conseguenza dell’essersi ritrovati faccia a faccia, corpo a corpo, era un nuovo inizio, il ritentare di costruire qualcosa per la seconda, indimenticabile, volta.

Quella consapevolezza lo spinse a dare il massimo, come obiettivo ultimo il darle il paradiso in terra mentre lui possedeva lei e lei possedeva lui, assecondando i suoi movimenti con la stessa forza che l’Uomo Nero stava mettendo nel farle raggiungere le vette del piacere rubandole il fiato; le lasciò i polsi, adesso, preoccupandosi invece di chinarsi per baciarle la spina dorsale visibile sotto la pelle tatuata, come a confortarla dalle scosse che le percorrevano implacabili il corpo per guidarla verso il traguardo al quale ambivano entrambi.

«Sei un bastardo, e su questo non ho dubbi…» riuscì a mugolare la strega fra un gemito e l’altro, cercando il volto dell’altro e tirandolo a sé, per poi baciarlo «… ma ti amo lo stesso, sempre, s-semp-» si interruppe improvvisamente gettando indietro la testa.

 

In quel preciso istante, l’unico suono che riempì la stanza fu il nome di Pitch Black gridato da Gwenllian nel pieno di un orgasmo, pure schegge di piacere che le sconquassarono il corpo mentre il seme del suo amante si riversava dentro di lei prepotente svuotandole i polmoni tutti d’un colpo, un calore intenso che l’aveva riempita fino a farla crollare esausta sul tavolo senza più forze in corpo.

 

L’altro lo imitò e le si accasciò sulla schiena per riprendere fiato, il cuore che galoppava nel petto talmente veloce che gli pareva di udirlo echeggiare fra le pareti insieme ai gemiti convulsi della compagna; passarono interi minuti così, stesi su quel pezzo di legno freddo ad attendere che i loro respiri si normalizzassero e che i loro corpi smettessero di fremere mossi da chissà quale forza nascosta. Nonostante fosse madido di sudore e stanco quanto lei, l’Uomo Nero trovò comunque le forze per darle un’infinità di baci sulla nuca ben sapendo quanto lei li apprezzasse, godendosi ogni singolo gridolino roco proveniente da quella gola che mormorava il suo nome ancora, e ancora e poi di nuovo, come a volersi imprimere nella mente la persona che le aveva appena fatto toccare con mano qualcosa che temeva di non poter provare mai più, da quando loro due si erano amaramente lasciati.

Con una delicatezza che nulla aveva a che fare con la belva affamata di sesso di qualche istante prima, Pitch la sollevò piano prendendola in braccio e poggiandola sul bancone, per poi stringerla in un abbraccio pieno di piccoli baci sulla fronte, sul collo, sulla punta del naso, mentre lei, tremante, gli si abbandonava addosso poggiandosi al suo petto.

A Gwenllian ci volle ancora un po’ per riprendersi, ma appena lo fece ricambiò le tenerezze dell’altro facendosi comparire nuovamente le sue grandi ali piumate sulla schiena, che utilizzò subito per avvolgere se stessa e l’amante in un bozzolo caldo che li isolava dal mondo, dai vetri rotti, dagli scaffali distrutti, persino dal sangue per terra e sui muri.

Non c’era niente oltre a loro due, non più, erano soli in mezzo ad una stanza vuota che stavano riempiendo e avrebbero riempito in eterno con i loro gemiti, le loro urla, i loro dannatissimi orgasmi che avrebbero fatto sciogliere anche i ghiacciai, da quanto infiammavano il corpo e l’anima di entrambi.

Avvampata ancora da quella passione, la strega approfitto di quell’abbraccio per baciargli prima il petto, poi le spalle, salendo su per il collo e afferrandogli infine il volto fra le mani per scambiarsi uno sguardo veloce, fugace, esattamente com’era stato il brivido che lui le aveva fatto provare mentre le piume svanivano lentamente; affondò le dita lunghe e sottili nei suoi capelli neri spingendolo sempre più verso di sé, gli aggredì la bocca in un bacio impetuoso come a fargli capire che non scherzava, che lo desiderava ancora, che voleva sentire il suo sapore mentre le loro lingue si intrecciavano impazienti.

Gwenllian gli si strofinò addosso il corpo nudo per godere ancora una volta di quel contatto infuocato fra le loro pelli ancora umide, una mano che afferrava sapientemente quella di Pitch posandola senza tanta delicatezza sul suo seno bianco che brillava delle piccole gocce di sudore che lo imperlavano, provocando impalpabili sussulti quando quest’ultime le sfioravano i capezzoli rosei ormai completamente in balìa delle dita dell’Uomo Nero.

Era certa che avrebbe tranquillamente potuto raggiungere nuovamente l’apoteosi del piacere semplicemente così, ma non le bastava. Mentre con una mano si aggrappava alle spalle di lui per non crollargli di nuovo ansimante fra le braccia, con l’altra gli afferrò senza esitazione il membro ancora turgido guidandolo fino alla sua intimità e premendolo sulla stessa, in attesa.

Pitch le lanciò un’occhiata come a chiederle conferma, ben sapendo che le cose si stavano facendo decisamente più serie di quanto lo fossero state fino ad ora.

Se gli si fosse concessa anche ora, se avesse deciso di darle nuovamente quella parte di sé insieme alla propria fiducia, allora lui avrebbe dovuto cambiare una volta per tutte: niente più scenate di gelosia, niente dubbi che non stavano né il cielo né in terra e nemmeno per mare, niente di niente che potesse portargliela via di nuovo solo e soltanto per colpa sua e del suo stramaledetto atteggiamento di possessione.

«Vuoi?» le domandò infine.

Lei sorrise «Voglio».

Guardandola negli occhi e continuando ad accarezzarla piano, Black iniziò ad affondarle dentro lentamente, spinta dopo spinta, centimetro dopo centimetro: voleva essere assolutamente certo di sentirla rilassata e pronta ad accoglierlo prima di esplorarla più profondamente, ora non poteva fare tutto di fretta e furia come prima. Gwenllian trasalì stringendosi nelle sue braccia quando lo sentì farsi strada nel suo ventre riempiendola con delicatezza: abbandonò le mani prima sulle spalle e poi sulla schiena a cercare la sua spina dorsale e scendere giù, sempre più, fino a conficcargli le unghie nelle natiche per stringersi a lui e premere il proprio bacino su quello del suo uomo.

Un ultimo affondo, e questa volta la riempì completamente. Gwen lanciò un urlo, che si premurò subito di soffocare premendo la testa nell’incavo fra il collo e la spalla dell’altro, il piacere le esplodeva dentro diramandosi come una fitta lancinante.

Una smorfia di preoccupazione apparve per qualche istante sul volto dell’Uomo Nero, ma dovette ricredersi subito quando lei cercò avidamente la sua bocca per serrarla in un lungo bacio di gratitudine: fu lì che comprese che non si sarebbe mai accontentata, che voleva di più, che voleva tutto. Con rinnovata passione e ormai tranquillizzato dai gemiti strozzati dell’altra, si ritirò un poco e tornò a penetrarla a fondo con ritmo sempre crescente, sempre più incalzante e serrato, il piacere che pervadeva entrambi in un’ondata calda mentre i loro corpi fradici si univano in uno solo, un insieme di muscoli che fremevano e si contorcevano in una sinfonia assolutamente perfetta.

Boccheggiando per riempirsi i polmoni d’aria, la strega si strinse forte alle sue spalle e gli cinse i bacino con le gambe in un intimo abbraccio che le permettesse di assecondare ogni suo movimento, seguendolo in quella danza sollevando e abbassando ritmicamente i fianchi, contraendo e rilassando i muscoli al ritmo del loro amore.

Intrappolato com’era nel suo stretto calore, Pitch non poté fare altro che seguire il desiderio di perdersi in quel vortice di passione caldo e accogliente tuffandosi in lei ancora e ancora, un baratro senza fine che pareva risucchiarlo inesorabilmente ad ogni singolo movimento, salvo farlo esplodere in violenti sussulti ogni volta che sentiva i muscoli della donna stringersi in una stretta prepotente e al contempo dolce intorno al suo sesso, come se lei volesse trattenerlo dentro di sé il più possibile.

E probabilmente era proprio così, a giudicare da come la tensione fra i loro corpi si stesse intensificando.

Seguendo un istinto primitivo, Black le afferrò saldamente i glutei e la sollevò dal tavolo, tenendola stretta a sé, mentre Gwenllian -intenzionata ad assecondarlo- gli si agganciò ai fianchi stringendo la presa delle proprie mani dietro il collo dell’altro; ora non c’era più la sicurezza della scrivania ad accogliere i loro corpi durante l’amplesso, ma a nessuno dei due amanti importava: avrebbero fatto l’amore così, aggrappati l’uno all’altra tanto nella carne quanto nell’anima, e così avrebbero raggiunto le vette del piacere una volta, poi due, tre, dieci, cento, altre mille volte, se solo lo avessero voluto.

E loro lo volevano eccome.

La giovane Pendragon gli si avvinghiò addosso come uno scoiattolo al proprio albero, offrendogli nuovamente il seno morbido e inerme da toccare e suggere e tormentare per l’ennesima volta, i suoi gemiti e i mugolii che ripagavano Pitch di tutte le attenzioni che la propria bocca riservava a quel corpo nudo che pareva essere stato modellato appositamente per lui, dal modo in cui aderiva perfettamente alle sue labbra. Un rivolo di sangue prese a scorrere sulla pelle grigia della schiena dell’Uomo Nero, quando le unghie della strega gli si conficcarono nelle carni con violenza immane mentre lei gemeva disperata preda di un incendio sempre crescente.

Ma non era un semplice incendio, quello, era una vera e propria tortura, un circolo vizioso, un girone infernale studiato per trascinarla fino al proprio limite di continuo, quanto avvertiva l’ingombrante presenza dell’altro dentro di sé che le squarciava il ventre partendo da un punto indistinto nelle proprie viscere, e che poi la rigettava inesorabilmente indietro quando si sentiva svuotarsi tutta d’un colpo per poi venire riempita e completata di nuovo. E si ripeteva di continuo, adesso, si ripeteva fino a farla impazzire.

 

E impazzì davvero, qualche istante dopo.

Un’altra spinta profonda, poi un grido gutturale si levò alto dai loro corpi ancora uniti, pulsanti, intrappolati in un incastro perfetto. L’ennesimo orgasmo di quella giornata travolse entrambi con ondate di abbagliante piacere che si riversarono lente fra le gambe serrate di Gwenllian, ormai accasciata fra le braccia dell’amante stremata e priva di forze, ma pienamente soddisfatta proprio come il suo partner.

 

E così l’Uomo Nero e la Befana erano andati avanti ancora e ancora e poi di nuovo, a fare l’amore per ore ed ore fino a perdere ogni cognizione del tempo e della realtà che li circondava, decisi a non fermarsi nemmeno quando i loro corpi imploravano una pausa.

Non avrebbero frenato la loro passione per un paio di crampi, non avrebbe smesso di cercarsi l’una con l’altra nemmeno se fosse crollato il mondo: si erano persi una volta, permettere che accadesse di nuovo sarebbe stato un crimine contro i loro stessi sentimenti appena ritrovati.

Nell’ultimo di quei rari momenti di pausa post-orgasmo durante quegli amplessi così intensi, Gwenllian si arrampicò dall’inguine dell’altro fino al suo petto, riempiendolo di baci durante il tragitto e fermandosi quando incontrò le sue labbra.

Prima di baciarlo, però, si scostò lentamente le ciocche di capelli blu e argento e gli mostrò un punto dietro l’orecchio destro, quello che lui aveva baciato per primo quando avevano iniziato la loro lunga e stancante avventura di quella giornata; il tempo di evocare la propria magia, e un piccolo tatuaggio le si disegnò sulla pelle, un cuore con una serratura al proprio centro. Senza staccarle lo sguardo di dosso, Black le prese delicatamente la mano e se la poggiò sullo stesso punto, ma sull’orecchio apposto.

«Rwyf wrth fy modd i chi. Ti amo» le sussurrò appena nella sua lingua, prima di abbandonarsi al pizzicore provocato dalle dita della compagna che si posavano su di lui.

Gwenllian gli sorrise, la magia che fluiva lenta disegnando i contorni di una chiave.

«Rwyf wrth fy modd i chi hefyd, fy nghariad» ricambiò lei baciandolo con dolcezza.

A sentirsi chiamare “amore mio” ci mancò poco che Pitch svenisse: gli era mancato come ossigeno sentirsi chiamare così da lei, e ora lo aveva appena fatto, glielo aveva detto per davvero! Aveva pronunciato quella parola!

Lacrime di gioia iniziarono a rigargli il volto.

«Non ti lascio andare mai più, mai più» le promise affondando la testa in quella cascata color cioccolato per non farsi vedere in viso «ti giuro che-»

«Ehi, c’era la porta aperta. Anche se ovviamente non avrei bussato in ogni caso, perché me ne sbatto altamente se mi vogliate dentro o meno. Comunque mi servirebbe un attimo il bagno, mangiare tutte quelle bacche non è stata-… oh».

“Oh”, appunto.

 

In quel preciso istante, Emily Jane desiderò con tutta se stessa che lo spettacolo dinanzi ai suoi occhi fosse solo l’ennesima delle sue deliranti allucinazioni.

Avrebbe chiuso gli occhi e, una volta riaperti, non ci sarebbe stato più suo padre stretto come un polipo a quella sgualdrina di casa Pendragon, non avrebbe più visto non voleva nemmeno sapere quale genere di liquidi sparsi per terra e sul tavolo e da mille altre parti in quella stanza o sul corpo della strega, non ci sarebbe nemmeno stata lei immobile sull’uscio del laboratorio in attesa che tutto ciò svanisse dalla sua vista, dalla sua mente, dai suoi ricordi.

Chiuse gli occhi, riaprendoli poco dopo: era ancora tutto lì.

«Vedo che hai ben riempito la calza della Befana» si limitò a commentare Madre Natura in modo meccanico, senza provare nulla del pronunciare quelle parole, nemmeno quel profondo senso di  schifo che la turbava dentro riusciva a raggiungerla.

Emily incrociò lo sguardo dell’Uomo Nero solo per un secondo, un dannatissimo secondo che bastò per farle capire una cosa che si ripromise di ricordare in eterno: che ora il suo mondo, il suo “Cwtch”, era fra le braccia di Gwenllian.

E lei, sua figlia, in quel mondo non era compresa.

Si avvicinò ai due amanti ancora impegnati a stringersi l’uno con l’altra, entrambi troppo occupati ad amarsi per essere particolarmente turbati dal suo arrivo. Emily Jane avrebbe voluto dirgli tante cose, a quell’uomo che per lei era ormai un completo estraneo, ma fu solo una frase quella che riuscì a proferire senza nemmeno sentire le labbra muoversi.

«… Non hai saputo proteggere mamma da viva, e non sai nemmeno preservare il suo ricordo da morta» disse rivolta a suo padre indicandogli con un cenno la strega, poi uscì e scomparve.

Pitch stava per risponderle, ma rinunciò in partenza preferendo lasciare sua figlia a sbollire nel proprio brodo: era stanco di rincorrerla in lungo e in largo per tentare di costruire qualcosa con lei, specie perché indietro non riceveva nemmeno uno straccio di gratitudine che fosse tale, al diavolo lei ed i suoi squallidi metodi per farlo sentire in colpa!

Intenzionato a lasciarsi alle spalle quell’entrata infelice da parte di sua figlia, Black riprese a dedicarsi a Gwen per regalarle l’ennesimo di tanti -ma mai troppi- orgasmi che l’avrebbero fatta crollare esattamente come tutti gli altri.

L’afferrò svelto per i fianchi e si scambiò con lei la propria posizione, bloccandola sotto di sé mentre le baciava la fronte e scendendo sul seno, prendendosi di rimando una marea di gridolini entusiasti; ormai pronto per affondarle dentro di nuovo, si rese però conto che ai piani bassi c’era un piccolo problemino.

Letteralmente piccolo.

Inizialmente cercò di non dare a vedere la sua espressione sconvolta nel vedere che l’erezione che aveva retto fino ad ora era bella che andata, ma Gwenllian ci mise ben poco a notarlo da sola sentendo chiaramente la mancanza di qualcosa che premeva sulla sua pelle morbida.

La strega sospirò, nascondendo alla bene e meglio la seccatura nei confronti della giovane Pitchiner che era venuta solo per rovinare la festa ad entrambi.

«Pitch, va bene lo stesso» lo rassicurò accarezzandogli il volto, l’ultima cosa che voleva era che si sentisse lui colpevole di qualcosa che -a conti fatti- era accaduto da solo quando si era fatto cenno alla sua defunta moglie e non prima.

Lui però non era intenzionato a darsi per vinto, tutt’altro.

«Dammi un attimo, ci riesco eh!»

«Pitch».

«Non ti mando in bianco, promesso!»

«… Pitch».

«Aspetta ancora-»

«Pitch­­!» tuonò afferrandogli una mano per bloccarlo dal suo masturbarsi come un forsennato.

Lui si fermò, sconsolato.

«Vado a preparare una tisana per entrambi, è meglio» gli sorrise lei dandogli dolcemente un bacio sulla fronte.

Gwenllian si sfilò da sotto di lui scivolando fra le coperte come burro, si infilò la prima camicia che trovò a portata di mano e si dileguò in cucina, lasciando lui sul divano a contemplare il proprio meat popsicle da stallone che gli giaceva ormai inerme e inutilizzabile in mezzo alle gambe.

Mille pensieri frullavano nella mente dell’Uomo Nero guardando quella scena pietosa, ma il fischio del bollitore li mise tutti a tacere: meglio prendersi una tisana, sì.

 

 

 

 

_______________________________________________________________

 
Angolino dell’autrice

Buon Natale a tutti! Lo so, lo so, il capitolo è più lungo del meat popsicle di Pitch :’D

I dovuti avvertimenti sul probabile rating rosso sfiorato con le scene sessuali qui l’ho fatto all’inizio e non mi dilungo oltre. Vorrei cercare di essere regolare e aggiornare almeno un capitolo ogni due settimane, e sperando in bene vedrò di impegnarmi per farlo :3

E quindi niente, ciò che dovevo dire l’ho detto, non mi resta che lasciarvi con delle immagini trovate su Internet di (partendo da sinistra) Morgana e Merlino sopra, e Circe e Blair sotto.

Alla prossima! :)

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