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Autore: Elizabeth_Keats    25/06/2009    5 recensioni
"Mi presento: il mio nome è Edward Anthony Masen, ho 17 anni e vivo a Chicago. O, per meglio dire, vivevo, visto che dalle ultime settimane a questa parte mi sembra più consono usare il passato. Tanto per iniziare a farci l’abitudine, a quest’idea. Ormai per me il tempo non significa più nulla: è troppo breve il tempo che mi rimane e troppo lungo quello che mi sarebbe spettato." Breve ff sugli ultimi giorni di Edward da umano, la sua malattia e la vita ritrovata dopo la trasformazione in vampiro grazie a Carlisle. Recensite!
Genere: Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Carlisle Cullen, Edward Cullen
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 8°

Tell me angel

 

Il respiro mi usciva rantolante e rumoroso dalla bocca e dal naso, mentre l’adrenalina si scioglieva pian piano e si diluiva nelle membra per poi scomparire. Mi sentivo come se avessi appena percorso cento miglia di corsa in meno di un paio d’ore. O come se fossi precipitato da un altissimo crepaccio. Stordito, sbalordito, senza fiato… e affamato. Sì, perché l’odore che mi aveva attirato così bruscamente nel cimitero non mi aveva ancora abbandonato, bensì continuava ad aleggiarmi sotto al naso impertinente e punzecchiante. E intanto la bocca della stomaco mi si chiudeva e mi si seccavano le labbra. Non riuscivo a darmi pace: dovevo avere assolutamente qualcosa da mangiare. O meglio, da bere. Alzai uno sguardo ardente su Carlisle, seduto immobile sulla panchina di fianco a me. Sembrava una sfinge e non pareva minimamente turbato dall’accaduto. Voglio dire, avevo appena tentato di uccidere un uomo (il pensiero mi lasciava tutt’ora sconvolto) e ne bramavo ancora il sangue… e lui se ne stava lì seduto tranquillo ad aspettare che mi riprendessi dalla shock. Be’, non che sembrasse poi molto tranquillo, mi dissi appoggiando la testa al tronco dell’albero che mi sosteneva; continuava ad essere teso come le corde di un violino, con tutti i sensi allerta in attesa di cogliere anche solo un minimo rumore, come un felino a caccia. Non so di preciso come abbia fatto a trascinarmi fin lì contro la mia volontà: infatti, mentre correvamo via a perdifiato dal cimitero, sentivo che avrei potuto rivoltarmi contro di lui ed avere facilmente la meglio, visto che mi sentivo forte e devastante come un torrente in piena. Ma non l’avevo fatto. Forse perché erano successe troppe cose insieme e non ero riuscito ad incanalare le mie nuove forze nella giusta direzione, quella del sangue pulsante che mi chiamava insistentemente. O forse perché… non riuscivo a spiegarmelo: non riuscivo a spiegarmi perché fossi così attratto da quella nuova e strana fonte di sostentamento, non sapevo perché ero diventato improvvisamente così forte, veloce, dotato di sensi così fini, non capivo perché Carlisle si comportasse in maniera così strana, non potevo comprendere perché non fossi stato capace di versare lacrime per mia madre e onorarla del cordoglio che meritava. Era un ginepraio che non potevo più sopportare. E c’era sempre quell’odore, quel sapore quasi afrodisiaco che mi seguiva come una scia e che mi imponeva di tornare al cimitero e fare piazza pulita. Ma mi trovavo come in mezzo a due poli magnetici apposti: quello del sangue rosso e caldo e quello di Carlisle, che al momento mi pareva perfino più invitante. Sì, infatti lui possedeva le risposte.

Tentennai per un attimo e alla fine mi alzai dal tronco per andarmi a sedere sulla panchina di fianco al mio compagno. Ci trovavamo ancora nel parco, anche se dalla parte opposta con tutta probabilità, in un angolo appartato nascosto ai vialetti di solito più frequentati durante il giorno da grandi cespugli di biancospino, che in quel periodo erano fioriti ed emanavano a ondate un profumo dolciastro e delicato. Se non altro con quei fiori tutto attorno era più difficile pensare alla mia nuova tentazione… Mi appollaiai sul bordo della panchina di pietra e continuai a fissare Carlisle con lo stesso sguardo di fuoco di prima.

«Carlisle… Mi devi delle spiegazioni, parecchie spiegazioni». Quasi mi sorpresi del mio tono sicuro e coinciso con il quale ero andato direttamente al sodo senza i miei soliti tentennamenti.

Lui non si voltò neanche a guardarmi, come avevo notato che faceva sempre da quando mi ero risvegliato, anche se uno strano sorriso amaro gli sorse sulle labbra.

«Sapevo che l’avresti detto» sussurrò.

«Mi sembra il minimo dopo… dopo tutto». Non sapevo nemmeno come definirlo, quel cambiamento. Erano avvenute così tante cose tutte insieme.

Carlisle sospirò scuotendo il capo e lasciandosi perfino andare ad una risatina leggera e decisamente fuori luogo. Mi stava prendendo in giro? Senza neanche pensarci e preso all’improvviso da un impulso folle e animalesco, scattai in piedi e, camminando avanti e indietro davanti alla panchina spazzando con i piedi il terreno dalle foglie morte, mi misi quasi ad urlare.

«No, non mi devi delle spiegazioni, le pretendo! Cosa credevi, eh? Di potermi trascinare da una parte all’altra della città, fare il bello e il cattivo tempo senza dirmi niente? Niente?!?».

Ma lui continuava a fissarmi in silenzio, anche se avevo notato uno strano movimento delle sue labbra: era come se stessero tremando, indecise sulle parole da rivolgermi e quale segreto rivelarmi.

«Voglio sapere perché sono qui e non all’ospedale. Voglio sapere perché non sto morendo e non solo sembro in buona salute ma ho acquisito perfino delle strane capacità. Voglio sapere perché mia madre è morta e io sono ancora qui. Voglio sapere cosa sono diventato e cosa devo fare. Voglio sapere perché continui a tacere. E soprattutto voglio sapere perché… perché voglio bere sangue umano».

Dissi queste parole con tono appassionato e voce rotta, mentre fermavo il mio avanti e indietro. Carlisle si umettò velocemente le labbra con la lingua e mi fece segno di sedermi accanto a lui. Ora sembrava più disteso, anzi no, forse semplicemente consapevole di quello che doveva fare e come lo doveva fare. Potevo quasi osare affermare che avesse riacquistato un po’ della sua antica cera da dottore. Mi sedetti senza protestare.

«Dunque… da dove potrei cominciare?» esordì passandosi una mano sul mento con fare pensieroso.

«Dall’inizio?» suggerii timidamente.

«Be’, se dovessimo partire dall’inizio dovremmo tornare al 1600, anzi no, agli albori dell’umanità e sarebbe una storia abbastanza lunga».

«Non stiamo andando da nessuna parte e di tempo ne abbiamo quanto ne vogliamo, no?».

«Sì, hai ragione. Non sai quanto hai ragione».

Appoggiai i gomiti sulle ginocchia, bevendo ogni singola parola che fuoriusciva dalla bocca di Carlisle. Un brivido mi percorse la schiena: sentivo che sarebbe stata una storia interessante. Intanto il cinguettio di un usignolo ci provenne dall’oscurità dei cespugli di biancospino come un breve interludio musicale.

«Per prima cosa potresti dirmi cosa siam… sono» sussurrai.

«Cosa siamo, sì, hai detto bene. Be’, di sicuro anche tu avrai notato che non siamo creature totalmente umane: non ci vuole un genio per capirlo. Per quanto riguarda il resto… Da piccolo ti raccontavano mai le favole, Edward?».

Nel sentire pronunciare il mio nome un pizzicorino mi percorse il collo. Era per caso un'altra delle sue domande trabocchetto come quella sul buio? Una cosa era certa: quell’uomo riusciva sempre a cogliermi di sorpresa. Be’, uomo o qualunque cosa fosse.

«Sì, certo» risposi come se fosse la cosa più naturale del mondo.

«Anche quelle che facevano paura?».

Esitai un attimo. A dir la verità le storie spaventose non erano mai state le mie preferite, anche perché, devo ammetterlo, ero sempre stato un bambino piuttosto fifone. Però ricordo qualche rara occasione in cui ne avevo origliata qualcuna, come durante le feste di Halloween. Mi rivedevo ancora, come se ne avessi davanti una fotografia, insieme ad alcuni miei amici in qualche stanza buia al lume baluginante di una sola candela nella nottata più spaventosa dell’anno a raccontarci storie dell’orrore a vicenda, sgranocchiando caramelle e altri dolciumi. E io, ovviamente, ero sempre quello rintanato nell’angolo più in disparte.

«…sì». La mia risposta arrivò un po’ in ritardo.

«E ti ricordi qualche personaggio in particolare?».

Mi spremetti le meningi cercando di ritornare alla diapositiva di prima, in quel tempo che sembrava appartenere a un’altra vita. Streghe, zombie, fantasmi… tutto ciò cosa c’entrava mai con me? Non credevo certo di portare un buffo cappello a punta e di volare su una scopa lanciando malefici oppure di infestare qualche antico castello spaventando a morte la gente nei loro letti.

«Ti ricordi se c’era qualcuno che… beveva sangue?».

Bastò quella parola, sangue, perché la risposta mi piombasse addosso come un ciclone. Ricordavo un Halloween in particolare quando Benjamin Hayley, il figlio dei nostri vicini di casa, aveva rubato a sua madre un vasetto di marmellata di fragole, dicendo che era indispensabile per rendere perfetto il suo travestimento. Ricordavo quando tra le risate mi aveva confessato che l’avrebbe utilizzato come sangue finto per il suo costume da…

«Edward».

La voce di Carlisle mi giunse come lontana anni luce e disturbata mentre iniziavo a tremare. Dunque ero… ero diventato…? No, non poteva assolutamente essere, senza dubbio doveva trattarsi di uno scherzo! Ma chi volevano prendere in giro? Quella roba era pura fantasia!

«Ci sei arrivato allora?».

«Credo… forse… Non ne sono sicuro».

«Magari se mi dici quello che stai pensando ne possiamo discutere».

Scossi la testa e abbassai lo sguardo in imbarazzo. «No, è solo una fantasia assurda».

«Be’, presto scoprirai che certe fantasie in realtà non sono poi così assurde. Dillo».

Chiusi gli occhi per un momento, tentando di mantenere la calma ed inspirando a fondo fino a riempirmi completamente i polmoni. Nel caso seppur remoto che quella fosse stata la verità e non una totale presa in giro, pensai, sarebbe stata la rivelazione più sconvolgente della mia vita. Senza contare che avrebbe spiegato molte cose.

«Su, coraggio» m’incitò ancora Carlisle.

Presi un altro profondo respiro per poi buttare fuori tutto, aria e parole, senza pensarci troppo.

«V... Vampiro».

Ecco l’avevo detto e ora? Aspettai con ansia una risata di scherno da parte di Carlisle davanti a quella mia teoria così avventata, ma nessun rumore provenne dal mio fianco. O magari l’avevo talmente sorpreso con la mia immaginazione così fervida da lasciarlo senza parole; si trattava giusto di qualche secondo e avrebbe lanciato un’esclamazione di sorpresa. Invece non udii altro che uno strano suono che non riuscii a classificare, forse si trattava di un grugnito, subito seguito da un borbottio sommesso.

«Bravo, Edward. Sei riuscito a sorprendermi, davvero. Non ti facevo così perspicace».

Sempre più impaurito e turbato osai lanciare un’occhiata nella sua direzione. Stava con le mani intrecciate dietro la testa comodamente appoggiato contro lo schienale della panchina, con i capelli biondi e fini che sfioravano il bordo di quest’ultimo, sul quale il capo era adagiato nell’immagine stessa della calma. Visti da quella prospettiva i suoi lineamenti sembravano ancora più affilati e perfetti, mentre la luce fredda di alcune stelle che facevano capolino tra le fronde alte degli alberi si rifletteva nei suoi occhi profondi come due pozzi senza fondo.

«Quindi non è uno scherzo?» dissi ma tacqui subito nel cogliere un tremore di paura nelle mia voce.

Solo allora Carlisle si decise a lasciar librare nell’aria qualche nota di una risatina rauca, quindi si tirò su dalla sua posizione semisdraiata per guardarmi dritto in faccia.

«Ti sembra che stia scherzando?».

Scossi immediatamente il capo visto che la risposta era sottointesa, dovevo ammetterlo. Anche se lo conoscevo da poco, non credevo che Carlisle fosse capace di scherzi di così pessimo gusto. O anche semplicemente di scherzi in generale, credo. Dunque era tutto vero: mi sembrava impossibile, incredibile. Era come camminare in un sogno dove qualunque cosa ti dicano, anche la più improbabile e fantasiosa come quella, era invece la verità e tu dovevi crederci incondizionatamente che ti piacesse o meno. Così cadeva anche quella debole consolazione a cui mi ero sempre aggrappato da bambino, in particolare quando mi scontravo con quelle storie di paura, secondo cui almeno nel mondo reale e razionale di tutti i giorni non dovevo temere creature demoniache del genere. E ora ero io stesso una di quelle creature demoniache: così avrei potuto mettermi paura da solo, pensai ironicamente. Eppure, a parte il fatto di aver bramato del sangue umano, non mi sentivo molto diverso da prima. Voglio dire, per certi aspetti ero ancora l’Edward Masen di una volta, con il suo carattere mite ed insicuro, le sue innumerevoli domande e paure. Non mi sentivo del tutto trasfigurato in uno di quei mostri di cui avevo tanto sentito parlare. Non mi sentivo il cattivo della situazione… e credevo che nemmeno Carlisle lo fosse. Ma probabilmente era solo questione di tempo prima che vedessi riflessa nello specchio la mia vera immagine, dovevo solo abituarmi alla mia nuova identità. E cosa sarei diventato? Cosa sarebbe stato della mia vita precedente, anzi della vita normale? Come potevo conciliare il leggendario e il quotidiano? È inutile dire che tutte queste nuove domande che iniziavano a germogliare nella mia mente più che incuriosirmi non facevano altro che spaventarmi ancora di più, mettermi addosso un’ansia terribile, tanto che mi venne il fiato corto e mi sentii soffocare. Ma tutto questo ruotava attorno a un’unica domanda fondamentale: cos’avrei fatto ora?

Intanto Carlisle era uscito dal suo guscio di silenzio e riservatezza per instaurare un lungo e complicato discorso, che il mio cervello seguì soltanto a metà talmente era occupato a tentare di mettere un po’ di ordine tra tutte quelle idee. Lo sentii che diceva che sapeva benissimo come mi sentivo, frastornato ed impaurito, perché c’era passato anche lui ormai qualche secolo fa. Così mi raccontò con calma la sua lunga storia. Era nato a Londra negli anni Quaranta del diciassettesimo secolo, figlio di un pastore anglicano accanito sostenitore della caccia alle streghe, sua madre era morta di parto, mentre lui era stato destinato a continuare la carriera del padre nella persecuzione dei cattolici, dei seguaci delle altre religioni e soprattutto delle incarnazioni del male. Questo finché il “Male” non era venuto a bussare alla sua porta. Aveva ventitre anni, l’età che effettivamente dimostrava ancora, notai con un certo sconcerto, quando in una di queste cacce s’imbatté in un covo di veri vampiri, ben diversi da tutti gli altri poveri innocenti ingiustamente accusati di avere a che fare con il maligno. Nella colluttazione che ne seguì cadde vittima di uno di loro e, morso, si rifugiò in una cantina dove attese. Attese tre giorni e quando ne uscì non era più quello di prima, disse. Viaggiò molto in Europa, passò la Manica ed arrivò in Francia e in Italia, per approdare alla fine lì in America. Fin dal primo istante era rimasto disgustato e turbato dalla sua nuova natura, proprio come stava accadendo a me, e soprattutto non sopportava di dover nutrirsi di sangue umano e quindi uccidere per il proprio sostentamento. Voleva rendersi utile: studiò giorno e notte e diventò medico, così almeno avrebbe potuto dare un senso a quella sua nuova esistenza immortale e sovrannaturale. E così aveva incontrato me. Era perfino riuscito a non dipendere più dagli omicidi per la sua sussistenza, nutrendosi invece di sangue di animale. Ovviamente non era la stessa cosa e nei primi tempi era stato difficile abituarsi a quella nuova dieta “vegetariana”, come la chiamava lui. Però, con gli anni aveva perfezionato la tecnica e ora era quasi del tutto immune da quella tentazione. Anch’io con il tempo avrei potuto raggiungere un livello di autocontrollo pari al suo e convivere bene con la mia nuova identità, senza avere la coscienza sporca di crimini intollerabili e riuscendo a convincermi di non essere un mostro terribile. Comprendeva i miei sentimenti in quel frangente, continuò, più di quanto credessi e disse anche che non dovevo preoccuparmi per il futuro perché avrebbe pensato lui a me. Avremmo lasciato al più presto quella città, che ormai non significava più niente né per lui né per me. Ormai, mi ricordai con una certa amarezza, non avevo più nessuno ad aspettarmi a casa, senza contare che gli ultimi rimasti che mi conoscevano probabilmente mi davano per morto. Una vita intera sfumata in poche notti. Saremmo andati lontano e avremmo iniziato una nuova vita, perché forse era meglio che dimenticassi tutto e, anzi, mi rendessi conto di quanto fossi fortunato ad essere ancora “vivo”. Saremmo stati una famiglia, dovevo solo fidarmi di lui; avrei abbandonato il mio vecchio cognome di Masen per prendere quello di Cullen e mi sarei presentato come il fratello minore di Carlisle. Ma come potevo accettare tutto ciò così su due piedi? Fino a un paio di giorni prima ero un umano qualsiasi e ora mi ritrovavo Edward Cullen il Vampiro. Carlisle continuava a tracciare a grandi linee il nostro futuro con notevole entusiasmo; diceva che era felice di avere finalmente un compagno con il quale condividere i suoi segreti dopo così tanti anni, anzi secoli, di solitudine. Ma io pensavo ad altro.

«Perché mi hai trasformato?» sbottai all’improvviso interrompendolo.

Lui si zittì e tutto l’entusiasmo che aveva accumulato fluì via in un secondo, mentre si soffermava a guardarmi a bocca aperta. Di certo non si sarebbe mai aspettato una domanda del genere.

«Perché non mi hai lasciato al mio destino?». Come doveva essere. Perché?

Era letteralmente rimasto a bocca aperta, con lo sguardo smarrito perso nel vuoto: forse era la prima volta che lo coglievo impreparato. Intrecciò le dita sotto al mento ed esitò un momento prima di rispondere.

«Nella mia lunga esistenza ho incontrato tante persone, tanti malati come te. Però… a essere sincero non so darti una risposta precisa. Forse è stato egoismo o forse qualcosa di più. Fatto sta che appena ho incontrato te e tua madre ho subito capito che avevate qualcosa di diverso dagli altri. Come ti ho già detto, è tanto tempo che cerco un compagno, ma non ho mai avuto il coraggio di fare a qualcun altro quello che hanno fatto a me. Lo trovavo sbagliato».

«Allora perché con me…?».

«Te l’ho già detto. Non mi sono mai affezionato così profondamente e in così poco tempo ad una persona. E non potevo sopportare di vederti morire… lì, ancora così giovane ed innocente. Forse perché ti amavo troppo: ormai eri diventato come un figlio per me; un figlio di cui non potevo fare a meno di prendermi cura. Non potevo lasciarti andare, Edward, anche se ciò voleva dire addossarti il peso che anch’io porto».

«Ma perché solo io?!?» esclamai. «Perché io sì e lei no?».

Gli occhi di Carlisle si fecero se possibile ancora più profondi, inghiottendo le mie parole con pacata razionalità. «Non hai idea del tormento, dell’indecisione… Da una parte mi dicevo che non era giusto assistere così indifferente alla morte di due innocenti, ma dall’altra consideravo anche che non era meno sbagliato rubare le vostre vite senza permesso. Ma poi tua madre mi ha convinto che anche quella, la scelta di trasformarti, era di certo meglio al nulla a cui stavate andando incontro. Ma purtroppo per lei era già giunto il momento… Mi rimanevi solo tu e non potevo assolutamente venire meno alla promessa che le avevo fatto di salvarti».

All’improvviso sentii bruciarmi gli angoli degli occhi come se vi si fosse insinuato del sale o della sabbia. Sentii le lacrime premere invano contro le palpebre per uscire e sforzarsi per appannarmi anche solo un poco la vista. Indubbiamente le intenzioni di Carlisle erano state buone e generose nei miei confronti, ma io ancora stentavo a credere che quella fosse la mia strada. Dopotutto quando ero malato avevo passato la maggior parte del mio tempo a convincermi che quella sarebbe stata la mia fine, tanto che quest’idea mi si era profondamente radicata sotto la pelle ed ora era difficile se non impossibile estirparla. Quella era una deviazione che non avevo previsto e a cui mi sarei dovuto abituare, anche se non era il tipo di esistenza a cui aspiravo. Sarebbe già stato difficile abituarsi all’idea di appartenere ancora al mondo di qua, figurarsi digerire quella di essere un mostro, un vampiro bevitore di sangue e creatura della notte. Però Carlisle aveva ragione, avrei potuto imparare ad essere come lui e ad apparire normale e quasi umano.

«E tu credi che diventare un mostro sia preferibile alla morte?» domandai e quella forse era uno dei quesiti che mi premevano di più.

Il mio amico non rispose subito, bensì mi si fece un po’ più vicino e mi passò un braccio attorno alle spalle con fare paterno e riprese a parlare solo dopo essersi avvicinato al mio orecchio tanto che potevo udire il suo respiro leggero.

«Sarò sincero con te, Edward, giusto perché ormai ti considero come un figlio. Non lo so. Non so cosa sia la morte non avendola mai provata e quindi non posso fare un paragone oggettivo. Però so che a noi è stata data un’alternativa, quella di essere vampiri. C’è la vita, la morte e l’essere vampiri. Per moltissimo tempo mi sono odiato per la mia natura, perché credevo di essere un abominio della natura: mi chiedevo quale bene potesse mai costituire una creatura che beve sangue. Apparentemente nessuno, mi ero più volte risposto. Ma poi sono diventato medico, ho scoperto uno nuovo stile di vita eticamente corretto e sono giunto alla conclusione che, se anche i vampiri sono gli esseri malvagi per antonomasia, questo non è corretto in tutti i casi. Tu sei ancora molto giovane, Edward, ma con il tempo capirai che non sempre quello che a prima vista sembra sbagliato lo sia davvero; spesso si tratta solo di apparenza e pregiudizi».

«Sì» risposi. «Ma non hai ancora risposto alla mia domanda».

«Be’, per forza! Ho già detto che non posso rispondere. Comunque nel tuo caso ho deciso per questa via, anche se è stata una decisione terribilmente sofferta di cui ancora adesso sono incerto, perché ritenevo che tu meritassi di più di un cimitero. Non mi piace al gente che teme la morte e fa di tutto pur di rinviarla e non credo di essere di quella schiatta, ma penso di saper riconoscere quando è giunto il momento di un’anima. E in ospedale ho capito che non era il tuo momento. Non chiedermi perché, lo sapevo e basta».

«Be’, se in ospedale non era ancora giunto il mio momento, quando lo sarà? Hai detto che siamo eternamente giovani ed immortali, no? Ciò significa che non sarà mai più il mio momento, che sarò intrappolato qui per l’eternità nel corpo di un diciassettenne. Questo vuol dire che non rivedrò mai più le persone che ho amato in paradiso… che sarò per sempre separato da loro». Ora la mia voce aveva acquistato una sfumatura di rabbia e di amarezza mentre l’immagine sorridente di mia madre mi baluginava davanti agli occhi come un fantasma fatto di vapore proveniente direttamente dall’aldilà.

«Solo perché viviamo a lungo non vuol dire che non possiamo morire… essere uccisi» sussurrò ancora Carlisle al mio orecchio, ma quasi non lo udii.

«Anche se fosse credi che ci sarebbe mai un posto in paradiso per noi, Carlisle?».

Lui non rispose e per l’ennesima volta cadde il silenzio, in cui però aleggiava una mezza risposta.

«Te lo dico io: no. Cosa credi? Guardami, guardaci! Siamo vampiri e anche se possiamo decidere per un'altra strada rimaniamo pur sempre progettati per uccidere e per bere sangue! Tuo padre era un pastore, ti ho sentito pregare… quindi credo che tu sappia meglio di me in cosa consista un peccato capitale». Ero affannato, mi era venuto il fiatone come se avessi corso per chilometri e in uno scatto repentino mi staccai dal mio amico, alzandomi in piedi ed allontanandomi dalla panchina.

«Ma lassù ci giudicano per quello che facciamo, non per chi siamo» rispose lui con il capo chino

Sospirai. «Se fossi stato ancora Edward Masen non avrei mai desiderato sangue umano».

 

La casa era silenziosa e vuota. Le luci esterne proiettavano sulle pareti sbiadite strane forme in un divertente gioco di ombre cinesi. Ormai era quasi l’alba: potevo scorgere il cielo colorarsi di rosa al sopraggiungere dell’aurora attraverso le fessure delle persiane del salotto. Carlisle era tornato in ospedale per dare le dimissioni e sarebbe tornato di lì a poco, magari con qualche animale che avrebbe potuto placare il mio appetito lacerante. Perciò mi trovavo da solo in casa, in quello stesso salotto dove pochi giorni prima avevo abbandonato le mie spoglie mortali; si potevano scorgere ancora parecchie tracce di sangue rappreso, il mio, sul divano e sul pavimento, ma non avevo il coraggio di mettermi a pulire nell’attesa. Presto saremmo partiti per un’altra città e una nuova casa mi avrebbe fatto dimenticare quelle poche stanza buie. Mi alzai dalla mia posizione rannicchiata nel vano della finestra ed iniziai a vagabondare per la stanza: ero curioso di fare una prova. Volevo proprio vedere se certe dicerie erano vere oppure solo leggende. In fondo alla stanza, subito dietro la porta, c’era uno specchio grande quanto me, con un’antica cornice in legno di ciliegio decorato a volute. Mi ci piazzai davanti a occhi chiusi. Pian piano ne aprii uno e costatai che c’era qualcosa riflesso nello specchio: dunque voleva dire che la leggenda secondo cui vampiri e streghe non possono specchiarsi non era altro che una baggianata. Soddisfatto della scoperta schiusi anche l’altro occhio e quando, tranquillizzato, feci per tornare al mio angolo, fui colto invece di sorpresa. Chi era mai l’individuo riflesso su quella superficie? Non mi assomigliava affatto. Tornai a fissare quella che doveva essere la mia immagine letteralmente a bocca aperta. L’unica cosa che riconobbi erano le occhiaia che ormai mi accompagnavano da tempo, da quando la malattia mi aveva accolto tra le sue braccia. La carnagione, però, pur nel suo candore, non aveva più quella sfumatura grigiastra e malaticcia, bensì aveva acquistato la lucentezza della perla e la pelle al tatto era più morbida del velluto più pregiato. I capelli ramati e scompigliati avevano molte più sfumature di rosso di quante parevano esistere in natura. I lineamenti parevano raddrizzati e limati e il mio nuovo volto geometricamente perfetto assomigliava a una di quelle antiche statue greche. Anche il fisico aveva subito parecchi cambiamenti: ero più magro, leggermente più alto e dinoccolato ed atletico. Potevo sentire i muscoli delle braccia e del petto guizzare appena sotto pelle. Sarei potuto rimanere lì a rimirare la mia immagine per ore: il contorno delle labbra, del mento, i denti bianchissimi e affilati. Se non fosse che un particolare mi ricordò il perché di quel cambiamento. I miei occhi avevano ormai del tutto abbandonato il verde giada che li aveva caratterizzati nella mia vita precedente e davanti al quale ogni ragazza non poteva fare a meno di sospirare: ora erano rossi.  Non color ambra come quelli di Carlisle, ma rossi come braci ardenti: gli occhi di un demone. Mi allontanai spaventato dallo specchio con un salto e tornai nell’angolo vicino alla finestra, ansante. Un vampiro, mio Dio, ero un maledetto vampiro succhiasangue! Mi coprii quegli occhi immondi con le mani, rannicchiandomi con le ginocchia pigiate contro il petto, quasi sperassi si sparire per sempre. Poi, unico rumore proveniente dalla strada sopra il ronzio delle prime macchine che iniziavano a circolare e allo sbattere di qualche imposta, mi giunse una voce stonata e roca. Sicuramente si trattava di un ubriaco, pensai. Sì, un ubriaco che non ancora stanco della sua notte di bevute aveva scelto proprio quell’angolo di strada per cantare la sua serenata stonata e cacofonica. Era la musica peggiore che avessi mai udito, ma le parole, probabilmente inventate sul momento, mi arrivarono al cuore come un dardo.

Tell me angel, tell me why

Why I can’t recognize this world, this town

This awful hands beyond my eyes

Forse perché nemmeno io riuscivo a riconoscermi.

Ok aggiorno di corsaaaaa! Capitolo piuttosto lungo anche perchè le cose da dire erano milioni e mi scuso per il solito ritardo ma questa volta è stata anche colpa dell'ispirazione che faceva le bizze. Spero di aver reso bene la scena, di non aver saltato parti importanti che magari potevo approfondire e di non essere stata troppo noiosa. Il prossimo chap si baserà sui diari di Edward, per ora non dico altro: sopresa! Ho notato che siete stati scarsini con le recensioni questa volta eh? Be' almeno questo recensitelo per bene! Ringrazio: Wind e Jadis96 (mi dispiace non poter stare qui a discutere di più sulla tua domanda ma davvero vado di corsa; comunque all'inizio del chap c'è la risposta: spero sia abbastanza esauriente! scusa!).

Al prossimo!

  
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