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Autore: FrancescaPotter    29/12/2017    2 recensioni
Long sugli ipotetici figli delle coppie principali di Shadowhunters (Clace, Jemma e Sizzy), ambientata circa vent'anni dopo gli avvenimenti di TDA e TWP. TWP non è ancora uscito al momento della pubblicazione, e nemmeno l'ultimo libro di TDA; questa storia contiene spoiler da tutti i libri della Clare fino a Lord of Shadows, Cronache dell'Accademia comprese.
Dal quarto capitolo:
"Will abbassò il braccio e distolse lo sguardo, ma lei gli prese delicatamente il polso. «Lo sai che puoi parlarmi di qualsiasi cosa, vero?» gli chiese, morsicandosi inconsapevolmente il labbro inferiore. Era una cosa che faceva spesso e che faceva uscire Will di testa. «So che è George il tuo parabatai» continuò abbassando la voce, nonostante non ce ne fosse bisogno perché George era concentrato sul suo cibo e Cath stava leggendo qualcosa sul cellulare. «Ma puoi sempre contare su di me. Mi puoi dire tutto. Lo sai, vero?»
Will sospirò. «Lo so, posso dirti tutto».
Tranne che sono innamorato di te."
Genere: Fantasy, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash | Personaggi: Clarissa, Emma Carstairs, Izzy Lightwood, Jace Lightwood, Julian Blackthorn
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Capitolo ventuno
 
«Rose, guardami un secondo».
Rose alzò lo sguardo dal libro che stava leggendo –il manuale di programmazione che le avevano regalato gli Herondale per il compleanno- e gli fece una linguaccia.
«Molto carina». Will ghignò e tornò a disegnare.
Quel pomeriggio stava piovendo a New York e Will e Rose erano rimasti all’Istituto, nella camera di Will. Rose stava con la schiena appoggiata alla testiera del letto, mentre Will le si era seduto di fronte con un blocco da disegno sulle gambe e la schiena appoggiata contro all’altro lato di muro. Il letto di Will era infatti posizionato nell’angolo più lontano rispetto alla porta, così che due lati di esso fossero contro alla parete.
Will le aveva detto di rimanere il più ferma possibile e quando Rose aveva capito le sue intenzioni si era messa a ridere. «Disegnami come una delle tue ragazze francesi» gli aveva detto, citando Titanic e sdraiandosi su un fianco, ma lui non aveva colto il riferimento e aveva inclinato il capo di lato.
«Hai finito?» gli chiese lei dopo qualche ora, chiudendo il libro e appoggiandolo sul comodino.
Will si sistemò gli occhiali sul naso e scosse la testa. Era raro che Will mettesse gli occhiali, nonostante avrebbe dovuto portarli sempre quando leggeva o scriveva. Indossava una felpa grigia e dei pantaloni della tuta, altra cosa strana, ma quel pomeriggio sarebbero rimasti in casa quindi Will non aveva prestato troppa attenzione ai suoi vestiti.
Rose raddrizzò la schiena. «Posso iniziare a guardarlo?»
«No. Non finché non sarà terminato» rispose Will senza staccare gli occhi dal foglio.
Era una giornata cupa e fuori stava iniziando a fare buio, l’unica fonte di luce era la lampada a stregaluce sulla scrivania di Will.
«Sei sicuro che riesci a vedere bene?» continuò Rose. Non voleva che sforzasse troppo la vista. «Posso accendere la luce più grande se vuoi».
«No, sto a posto». Will la guardò e sorrise. «Grazie».
Rose si sdraiò sul letto e si mise su un fianco per poterlo osservare. Era completamente assorto dal disegno. Rose osservò i tendini della sua mano mentre impugnava la matita, il solco che gli si formava tra le sopracciglia quando si concentrava, le sue labbra socchiuse, i suoi occhi chiari dietro alle lenti…
«Ti stanno proprio bene gli occhiali» disse Rose. Si stava mordendo il labbro e non se ne era accorta. La smise subito. «Non capisco perché non vuoi mai metterli».
Will fece una smorfia. «Mi fanno la faccia rotonda».
«Non è vero». Rose si mise a ridere. «E poi sei bellissimo, Will. Staresti bene anche con degli occhiali di plastica color unicorno».
Will poggiò il blocco da disegno e la matita di fiancò a sé. Rose notò che era arrossito leggermente sulle guance. «E quale sarebbe il color unicorno?»
«Lo ha inventato Holly» spiegò Rose. «Dovrebbe essere una specie di combinazione tra rosa e viola. Con i brillantini».
«Non ho niente contro il rosa, io» disse Will. «Quello è George. A proposito, sai che cosa mi ha detto George ieri?»
«Che ha buttato via tutti i suoi vestiti neri e che si è convertito al rosa?»
«No». Will arricciò il naso. «Ti immagini George vestito di fucsia?»
Rose scoppiò a ridere e Will la seguì a ruota. George infatti si vestiva sempre di nero: jeans scuri, magliette e felpe nere, a volte indossava del blu, ma erano rare occasioni.
«Non me lo immaginavo fino a un attimo fa, ora me lo immagino e penso che non lo vedrò più allo stesso modo». Rose cercò di smettere di ridere. «Cosa ti ha detto, comunque?»
Will si ricompose. «Mi ha chiesto di scoprire come si vestirà Cath al matrimonio di Celine, così può vestirsi abbinato a lei. Vuole farle una sorpresa. Crede che a Cath farà piacere».
Cath si era trasferita da poco meno di una settimana all’Istituto di New York. Will aveva confessato a Rose di essere preoccupato per lei: quando c’era George sembrava stare bene, ma non appena lui se ne andava, quando pensava che nessuno la stesse osservando, pareva stanca, mangiava poco e non parlava molto.
«Ohw». Rose si mise una mano sul cuore e si inginocchiò davanti a Will. «Che cosa carina. Che dolce! Le farà tanto piacere».
Will aggrottò le sopracciglia. «Quando ti ho chiesto io di vestirci abbinati però ti sei messa a ridere».
Era vero, ma da Will ci si aspettava qualcosa del genere, da uno come George no.
«Stiamo parlando di George! Del nostro amico George!»
Will ci pensò un attimo. «Sì, hai ragione. È una cosa davvero dolce».
«Comunque il vestito di Cath è rosa antico. Lo ha già comprato».
«Chiedile di mandarti una foto» disse Will con fare pratico. «Devo vederlo».
Rose alzò gli occhi al cielo. «Abita nella camera di fianco alla tua. Possiamo andare adesso a chiederle di farcelo vedere»
«Non possiamo!» esclamò Will. «Così capirebbe tutto».
«Will» disse Rose. «Sei tu. Non c’è niente di strano in te che le chiedi di farti vedere il suo vestito».
Will fece per ribattere, poi sembrò cambiare idea. «Non è qui adesso».
«E dov’è?»
«Con George» disse Will. «Sono andati a casa sua a vedere uno di quei film strani che piacciono a loro. Star qualcosa».
«Star Wars» disse Rose, che grazie a internet era più aggiornata quando si trattava di mondani.
Sospirò e gli si avvicinò. Voleva davvero vedere il disegno che lui le aveva fatto.
Fece per prendere il quaderno ma Will fu più veloce. Lo afferrò prima di lei e lo sollevò sopra alla testa. «Non se ne parla!» esclamò. «Giù le mani».
Rose si mise a ridere e cercò di rubarglielo, ma Will si lasciò cadere sul letto e lei gli finì addosso.
«Non pensi che io abbia aspettato a sufficienza?» Rose era sdraiata su Will, che lanciò il quaderno per terra. Rose fece per alzarsi e andare a recuperarlo, ma lui la prese per i fianchi e la inchiodò a sé.
«No». Will la baciò, forte, sulla bocca.
In realtà credeva di aver aspettato fin troppo, perché Will le aveva spiegato che per anni si era imposto di non disegnarla, reprimendo ciò che provava per lei, e ora Rose fremeva dalla voglia di vedere finalmente un suo ritratto.
Will le allacciò le braccia attorno alla vita e Rose smise di opporre resistenza, abbandonandosi contro il suo corpo e ricambiando il bacio.
«Dillo, che lo stai facendo apposta» sussurrò, per poi morsicargli leggermente il labbro inferiore.
Will emise un verso strozzato. «A fare cosa?»
«A non farmi vedere il disegno» spiegò Rose, spostando le labbra sulla sua guancia. «Mi vuoi torturare».
«Ironico che sia tu a parlare di tortura» rispose Will con la voce roca e gli occhi socchiusi. Le stava accarezzando la schiena da sotto alla maglietta e Rose desiderava poter sentire il calore della sua pelle senza filtri. Si sollevò e si mise a sedere a cavalcioni sopra di lui, poi lo prese per la felpa e lo attirò verso di sé, facendolo sedere a sua volta. Raggiunse l’orlo con le mani e gliela sfilò, lanciandola per terra a fare compagnia al quaderno. Poi gli tolse gli occhiali e li appoggiò sul comodino.
Quando si voltò verso di lui, Will riprese a baciarla e la fece sdraiare di nuovo, questa volta però sotto di sé. Rose gli accarezzò il collo con la mano, là dove la pelle era morbida e delicata e lo sentì sospirare sulle sue labbra; fece per sfilargli anche la maglietta, quando sentì dei rumori provenire dal corridoio e si bloccò.
Spalancò gli occhi nello stesso istante in cui li spalancò Will, blu contro verde.
«Che cos’è stato?» chiese Rose.
Will aveva le pupille leggermente dilatate, le labbra arrossate e i capelli biondi spettinati. Rose gli poggiò una mano sulla guancia, pensando che fosse la cosa più bella che avesse mai visto.
Will le diede un leggero bacio sul palmo e poi guardò verso la porta, dalla quale provenivano delle voci preoccupate; quando distinsero chiaramente quella di Clary, Will si precipitò giù dal letto e Rose lo seguì fuori dalla stanza.
In corridoio trovarono i genitori di Will che davano loro le spalle. Rose non capì quale fosse il problema fino a quando non furono loro di fronte. Erano entrambi bagnati fradici, i capelli impregnati di sangue e pioggia. Clary stava sorreggendo Jace, che si teneva una mano sul fianco. Rose notò con orrore che stava sanguinando copiosamente. Il sangue gli sporcava la mano, la giacca della tenuta da combattimento e gocciolava per terra.  
Will sbiancò e Rose si portò una mano alla bocca. 
«Will» disse Clary con la voce spezzata. Sembrava sollevata di vederlo, come se fosse un miraggio nel deserto. «Aiutami a portarlo in infermeria, ti prego».
Will sbatté le palpebre e parve sbloccarsi. Fu al fianco del padre un mezzo secondo e si portò il braccio di lui attorno alle spalle.
«Devo chiamare un Fratello Silente?» chiese Rose, cercando di rendersi utile in qualche modo.
Clary scosse il capo. «Ho già chiamato Magnus e Alec. Saranno qui a momenti».
Rose notò con una stretta al cuore che stava tremando e che probabilmente non sarebbe riuscita a sostenere il peso di Jace da sola ancora per molto. 
«Sto bene» disse Jace con un mezzo sorriso. «È solo un graffio».
«Solo un graffio» ripeté Clary sconvolta, iniziando a camminare verso l’infermeria, trascinandoselo dietro insieme a Will.
«Com’è successo?» chiese Will.
Rose li seguì, cercando di non far trasparire anche la propria preoccupazione.
«Dopo, te lo spiego dopo» sibilò sua madre. «Ora dobbiamo sbrigarci…»
Erano arrivati in infermeria. Rose aprì la porta e si spostò di lato per far passare gli altri. Clary e Will fecero sdraiare Jace sul primo lettino e questi gemette per il dolore.
«Sto bene, sto bene» si affrettò a dire, strizzando gli occhi e coprendosi il viso con le mani.
Rose andò a riempire una bacinella con dell’acqua e la appoggiò sul tavolino di fianco a Clary. La donna le rivolse un cenno di ringraziamento, prendendo delle bende sterili e passandole a Will. «Premi sulla ferita».
Will sollevò la maglietta di suo padre e obbedì, mentre Clary posò una mano sulla guancia del marito. «Jace» lo chiamò, immergendo un panno nell’acqua che le aveva portato Rose e poggiandoglielo poi sulla fronte. «Non chiudere gli occhi».
Jace annuì, ma li chiuse lo stesso.
Rose notò che sul torace di Jace, di fianco al cuore, c’era una grossa cicatrice; la riconobbe all’istante: quella era la cicatrice che Clary stessa gli aveva lasciato quando lo aveva pugnalato per rompere il legame che lo vincolava a Sebastian Morgenstern. I suoi genitori le avevano raccontato quella storia più volte quando era più piccola.
«Hai provato con degli iratze?» chiese Will. Anche lui aveva iniziato a tremare.
«Certo che ho provato con degli iratze!» sbottò sua madre.
«E perché non funzionano?» continuò Will nel panico. Clary non gli stava prestando attenzione, stava sussurrando qualcosa a Jace che Rose non riusciva a sentire. «Mamma» la chiamò di nuovo Will. «Mamma, perché non funzionano?»
«Non lo so, William». Clary stava cercando di mantenere i nervi saldi ma era chiaramente difficile farlo in quel momento. «Non lo so».
«Ma se gli iratze non funzionano…»
«Will, per l’amor del cielo, abbassa la voce!» gli intimò lei. «Non voglio che tua sorella…»
«Non litigate». Era stato Jace a parlare, gli occhi socchiusi e le labbra esangui. «Va tutto bene, Magnus…»
«Papà?»
Ma nonostante gli sforzi di Clary, Elizabeth, i capelli biondi che le cadevano ai lati del viso e le si arricciavano sulle punte, era comparsa sulla soglia dell’infermeria. I suoi occhi verdi erano spalancati e colmi di orrore.
«Oddio» sussurrò, portandosi una mano alla bocca. «Cos’è successo?»
La voce di Elizabeth fece rinsavire Jace, che spalancò gli occhi e cercò addirittura di mettersi a sedere.
«Jace» sussurrò Clary, poggiandogli con delicatezza una mano sulla spalla. «Dovresti stare sdraiato». Ma lui non parve sentirla, la sua attenzione rivolta totalmente a sua figlia.
«È solo un graffio, Liz» disse di nuovo, nascondendo quanto stesse soffrendo dietro un sorriso tirato. «Forse mi rimarrà una cicatrice, ma mi dicono che alle ragazze piacciono le cicatrici».
Elizabeth non trovava divertente quella battuta. Gli si avvicinò con le labbra serrate e lui le prese la mano.
In quel momento Magnus e Alec si precipitarono nella stanza.
«Vedi?» continuò Jace, sempre rivolto a Elizabeth. «Sono arrivati i rinforzi».
Magnus si tolse il cappotto e lo gettò su un lettino libero, mentre Alec afferrò l’altra mano del suo parabatai senza neppure togliersi la giacca. «Che cavolo hai fatto?» gli chiese brusco.
Jace gemette e tornò a sdraiarsi. «Anche per me è bello vederti, Alec».
Magnus sventolò una mano davanti a sé. «Tutti fuori tranne Alexander».
Will e Lizzie proruppero in esclamazioni di protesta.
«Non se ne parla!» sbottò Will.
«Sei impazzito» disse invece Elizabeth.
«Magnus». Clary non aggiunse altro, si limitò a fissarlo intensamente. Magnus ricambiò il suo sguardo con i suoi occhi felini; era come se i due stessero avendo una conversazione silenziosa.
«Siete in troppi». Davanti agli sguardi oltraggiati degli Herondale, Magnus sbuffò. «Alec è il suo parabatai. Gli permetto di restare perché la sua vicinanza lo aiuterà a guarire». Poi si rivolse direttamente a lui. «Infatti, dovresti applicargli un iratze».
Alec sfoderò lo stilo e lo avvicinò alla pelle ambrata di Jace, che aveva ormai perso i sensi.
«Non lo ripeterò un’altra volta» fece Magnus, risvoltandosi le maniche della camicia. Era una camicia azzurra con i gattini. «Sciò!»
Clary fu la prima a dare il buon esempio. Senza aggiungere altro, diede un bacio sulla fronte a Jace e se ne andò, sbattendosi la porta dell’infermeria alle spalle.
Magnus si rese conto di essere stato un po’ troppo brusco e il suo sguardo si addolcì quando si rivolse a Will e a Elizabeth. «Vi prometto che lo rimetterò insieme» esaminò la ferita con occhio critico, per poi passarci sopra una mano. «Non rilevo tracce di veleno. È solo molto profonda. Qualche minuto di lavoro e qualche runa per il rinnovo del sangue dovrebbero farlo tornare come nuovo».
Le sue parole riuscirono a convincere i due Herondale più piccoli, che seguirono la madre senza aggiungere altro. Anche Rose andò con loro, non sapendo cosa dire o cosa fare per migliorare la situazione.
Trovarono Clary seduta contro al muro, di fianco alla porta dell’infermeria.
«Wow» fece Will. «Grande presa di posizione».
Clary alzò il capo e lo fulminò con lo sguardo. I suoi capelli rossi risplendevano in contrasto al suo volto pallido e delicato. «Non è divertente» disse. «Magnus ha ragione, per quanto mi costi restare qui senza poter far nulla, ha ragione e lo odio perché ha ragione».
Elizabeth le si sedette accanto e Clary le passò un braccio attorno alle spalle, attirandola a sé.
«Va tutto bene, tesoro». Le diede un bacio tra i capelli. «Starà bene. Non può mica lasciarvi stare così facilmente, no?»
Will scosse il capo e sì voltò, camminando veloce verso la sua camera.
Clary lo osservò mentre si allontanava con aria triste, mentre continuava ad accarezzare i capelli di Elizabeth.
Rose si mise a correre dietro di lui. «Will» lo chiamò. «Will, aspetta».
Will si voltò e Rose sussultò quando vide il suo viso. Si erano fermati davanti allo studio dei genitori di lui, nel corridoio poco illuminato dalle lampade a stregaluce. Fuori continuava a piovere copiosamente e la pioggia batteva ritmicamente contro i vetri e le mura dell’Istituto.
Will aveva gli occhi arrossati e un’espressione angosciata che Rose non era abituata a vedergli indossare, perché solitamente Will riusciva a sembrare sereno anche nel bel mezzo di una crisi mondiale.
«Rose» disse lui. La sua voce era roca, graffiata. «Mi sono spaventato. So che zio Magnus sistemerà tutto, ma…» si passò una mano tra i capelli e poi prese un respiro profondo, gli occhi chiusi e le labbra serrate.
«Lo hai detto tu, Magnus sistemerà tutto». Rose gli sorrise anche se sapeva che lui non la poteva vedere. «Sono sicura che…»
Un rumore provenne dallo studio di Jace, poi una voce.
«C’è nessuno?» chiese la voce, infastidita. «Insomma, ma che modi».
Will e Rose si scambiarono uno sguardo confuso e poi si precipitarono nella stanza. Lì vi trovarono una figura avvolta in un lungo cappotto di pelle nera.
«Chi sei?» chiese Will.
La donna si voltò e si mise le mani sui fianchi. Era una ragazza con gli occhi a mandorla e dei lunghi capelli neri, simili a quelli di Isabelle. Era molto minuta ma incuteva quella soggezione tipica dell’immortalità. Rose la riconobbe subito, era la proiezione del capoclan dei vampiri di New York.
«Era ora». Quando sorrise, due canini affilati le spuntarono dal labbro superiore. «Sono Lily Chen, capo clan dei vampiri di New York. Mi aspetterei di essere riconosciuta dagli abitanti di un Istituto».
«Scusaci» disse Will. «Ma eri girata».
Lily alzò le spalle e iniziò a camminare avanti e indietro, guardandosi attorno incuriosita, nonostante avesse probabilmente già visto quell’ufficio più di una volta.
«Dov’è il tuo super sexy padre?» chiese poi con nonchalance.
Will arrossì. «È impegnato al momento» decise di mentire. Anche se, a dirla tutta, non era una bugia.
Lily schioccò la lingua. «Peccato». Poi si mise a osservare Will da capo a piedi e parve decidere che ciò che vedeva le piaceva comunque. «Ripensandoci, fa niente. Tu vai più che bene».
Rose fece una smorfia e Lily lo notò. «E tu saresti?»
«Sono Rose Blackthorn» rispose lei. «Istituto di Los Angeles».
«Molto carina» decise Lily. «State insieme?»
Rose e Will si guardarono, entrambi non capendo come mai il capoclan dei vampiri di New York avesse tempo da perdere con la loro vita sentimentale.
«Perché sei qui?» chiese Will pratico.
«Giusto, giusto». Lily parve improvvisamente stizzita. «I licantropi stanno dando fastidio al mio clan». Poi gettò le braccia al cielo. «Che novità! Lucas non è in grado di tenerli a bada. Mi manca Maia».
Maia era il capo del branco dei lupi mannari di New York, ma Will aveva spiegato a Rose che in quel momento si trovava in Asia a fare un viaggio con il suo ragazzo, Bat. Lucas doveva essere il suo sostituto.
«È la quarta volta in quindici giorni» continuò Lily arrabbiata. «I miei protetti non li sopportano più, e nemmeno io. Oggi hanno superato il limite e due dei miei sono finiti coinvolti in una rissa. Stavano ancora litigando quando sono venuta qui. Pretendo che voi Shadowhunters facciate il vostro lavoro e mettiate a posto quei cagnacci pulciosi».
«Dove?» Will pareva determinato, la mascella serrata e lo sguardo puntato su Lily.
Lily ghignò, sembrava divertita dalla sua reazione. «East Harlem, Manhattan. Praticamente due isolati prima dell’Hotel Dumort. Avete presente quella pasticceria vegana all’angolo con la 115esima strada?»
Rose non la aveva in mente, ma Will sembrava sapere di che cosa la donna stesse parlando perché annuì.
«Ci penso io» disse. «Grazie per la segnalazione».
«Favoloso». Lily sembrava compiaciuta. Li salutò con la mano e sparì in una nuvola di fumo.
«Will». Rose lo prese per il braccio. «Non puoi andare. Dovresti chiamare tua madre».
«No. Deve stare con mio padre. Allontanarsi da lui in questo momento la ucciderebbe».
«Allora lascia perdere» continuò Rose, cercando di incontrare il suo sguardo. Will prese una giacca nera –probabilmente appartenente a Jace- dalla sedia e poi si diresse a passo di marcia verso l’armeria. Rose lo seguì, facendo fatica a mantenere il suo passo. «Will, rifletti. Non puoi uscire di casa, non con i Riders che…»
«I Riders stanno cercando la tua famiglia, non me, non la mia» disse Will.
Erano arrivati nell’armeria, una stanza asettica rifornita con le più varie tipologie di armi, da archi con frecce, a spade, asce e lance. Will prese una cintura e se la sistemò in vita, per poi agganciarci sopra due spade angliche e due pugnali. Poi si sedette su uno dei lunghi tavoli di legno e iniziò a infilarsi gli stivali.
«Will» ripeté Rose sconvolta. «Hai ucciso Delan! Pensi davvero che non vogliano la tua testa?»
Rose non poteva credere che Will fosse così incauto.
«Non mi ci vorrà molto». Will sembrava non la stesse ascoltando. Prese un coltello e lo sistemò nello stivale sinistro, poi mise un paio di guanti e riprese il proprio stilo. «È il mio lavoro. È il nostro lavoro».
«Tuo padre è ferito» tentò Rose, mentre Will iniziava a tracciare delle rune nell’aria davanti a sé. «Pensa a tua madre. Che cosa le succederebbe se venissi ferito anche tu?»
«Nessuno mi ferirà». Will terminò il portale, che si aprì brillante davanti a loro, e poi si chinò su di lei per darle un bacio a stampo. «Tu resta qui. Torno tra poco».
Col cavolo! pensò Rose. Afferrò al volo una spada angelica e lo prese per un braccio, attraversando il portale con lui.
Rose sentì la familiare sensazione di vuoto allo stomaco che accompagnava il teletrasporto e cercò di non perdere la presa su Will. Non sapeva dove fossero diretti, se avesse perso Will, sarebbe rimasta sospesa tra due dimensioni per sempre.
Quando finalmente sentì di nuovo la terra sotto ai piedi, aprì gli occhi e si guardò attorno. Si trovavano in un vicolo senza uscita, stretto tra due palazzi. Stava piovendo a dirotto e nel giro di pochi secondi Rose si ritrovò bagnata fradicia. Faceva freddo, il vento soffiava impietoso, facendola rabbrividire nel tessuto leggero della sua maglietta di cotone.
Era buio, l’unica fonte di luce erano i lampioni che costeggiavano la strada principale, dalla quale provenivano i rumori frenetici delle automobili e dei passanti.
«Rose!» urlò Will. Le gocce di pioggia gli bagnavano il viso come lacrime. «Che cosa ti è preso?»
«Eh no, William!» gli urlò di rimando lei, tirandogli un pugno sul braccio. «Tu puoi uscire come un idiota e rischiare la tua vita mentre io devo rimanere a casa? Non ci sto».
Will parve sgonfiarsi. La guardò come se lei lo avesse appena schiaffeggiato. «Non indossi neppure la giacca della tenuta da combattimento» disse con un filo di voce. «E non sei armata…»
«Ho questa». Rose gli mostrò la spada. «Ma non ho intenzione di usarla. Dovremmo entrambi tornare a casa, è troppo pericoloso rimanere…»
Un urlo li fece sussultare e voltare di scatto. Davanti a loro stavano tre figure, due uomini e una donna, chini su di un ragazzo magro e dall’aria impaurita. Dalla loro stazza fisica era chiaro che fossero licantropi.
«Michele».Will si fece avanti e sfoderò la propria spada angelica. «In nome del Conclave, fermatevi».
I tre alzarono di scatto il capo e li scrutarono attentamente mentre si facevano avanti.
«Mi hai sentito» disse Will. «Lasciatelo stare».
«E noi dovremmo dare ascolto a dei bambini?» chiese beffardo l’uomo più alto dei due, continuando a tenere per un braccio la propria vittima.
«Joseph» sibilò la donna. «Sono Nephilim».
«Lo vedo, che sono Nephilim, Catriona» rispose quello, apparentemente non intimidito. «Ma sono dei bambini».
«Non lo siamo» disse Rose, cercando di non far tremare i propri denti per il freddo. «Siamo Shadowhunters adulti».
«Credo che tu abbia dimenticato a casa la giacca» la prese in giro il più grosso tra i tre. Rose notò che uno dei suoi incisivi era scheggiato. «Da dove arrivi, dal parco giochi?»
«Lasciatelo andare» ordinò Will, accennando con il capo al ragazzino che stavano maltrattando. Rose non si era disegnata alcuna runa per migliorare la vista notturna, ma era quasi certa che si trattasse di un vampiro.
«Altrimenti?» chiese Joseph inarcando un sopracciglio.
Will lo guardò fisso negli occhi. Rose non lo aveva mai visto così arrabbiato in tutta la sua vita. Era chiaro che avesse bisogno di sfogare in qualche modo tutta l’ansia e la preoccupazione che stava provando per quanto successo a suo padre, ma quello non era il modo di farlo.
«Credimi» sibilò. «Non vuoi saperlo».
«Will» tentò Rose, ma Will si era già scagliato contro Joseph con tutta la forza che aveva.
Joseph gridò e si spostò di lato, evitando il fendente di Will per un pelo. Il terzo licantropo lasciò perdere il ragazzino, che scappò via, e si gettò contro Will con gli artigli sguainati. Will si piegò e scivolò via dalle sue grinfie con una risata.
Rose lo maledisse mentalmente e sfoderò la propria spada. «Raffaele» la chiamò, e questa prese vita nella sua mano, illuminando il vicolo davanti a sé. Catriona cercò di colpirla, ma Rose fu più veloce e riuscì ad evitarla, colpendola con l’elsa della spada sulla schiena. Sentì Will imprecare poco lontano e notò che si stava tenendo un braccio con la mano e che questa era coperta di sangue. Joseph e il terzo licantropo erano riusciti a metterlo con le spalle al muro; Rose fece per andare in suo aiuto, ma si bloccò quando cinque figure apparvero nel vicolo, smontando dai loro cavalli alati.
Rose sentì il cuore salirle in gola. Tutti i suoi timori si erano realizzati: i Riders di Mannan li avevano trovati. I licantropi lasciarono perdere Will e si rivolsero ai nuovi arrivati.
«E voi sareste?» chiese Joseph con fare beffardo.
«Noi siamo i figli di Mannan» rispose uno di loro. Rose non riusciva a distinguerli bene nella semioscurità del vicolo, ma sospettava che si trattasse di Karn. «Esistiamo da più di due millenni. Cerchiamo e troviamo, nella nostra lunga vita c’è stata una sola cosa che non siamo riusciti a trovare. Ora andatevene e lasciateci chiudere i nostri conti con i due Nephilim».
«Ma fate sul serio?» Joseph si mise a ridere, seguito a ruota dai suoi compagni. «No, cari miei, siamo arrivati prima noi. Smammate».
Rose trattenne il fiato, incapace di muoversi e di parlare.
Karn osservò Joseph con sufficienza per qualche istante, poi gli si avvicinò con due falcate, sfoderò il suo spadone di acciaio e gli trapassò il ventre con un movimento così rapido da non lasciare al licantropo neppure il tempo per accorgersi di quello che stava succedendo.
Catriona urlò, e l’altro licantropo cercò di attaccare Karn, che se lo scrollò di dosso come se fosse un moscerino, gettandolo contro al muro. Catriona si inginocchiò al fianco di Joseph, troppo sconvolta anche solo per scappare, ma i Riders non erano interessati a lei, erano interessati a Will e a Rose. Quando gli occhi di Karn si puntarono su di lei, freddi e spietati, Rose si riprese.
«Will!» Rose lo raggiunse e lo prese per il braccio, trascinandolo verso la fine del vicolo. «Dobbiamo andarcene. Subito».
Neppure Will era tanto sprovveduto da voler affrontare cinque Riders di Mannan con solo due spade angeliche e le spalle al muro, perciò prese subito lo stilo.
«Non avete scampo». Questa volta era stata Ethna a parlare, avanzando verso di loro con passo felpato, come un leone pronto ad attaccare. «A meno che non sappiate sciogliere la pietra».
Rose non stava guardando Will, il suo sguardo era fisso su di lei. Fece per rivolgerle un insulto colorito, ma Will l’aveva già presa per mano e trascinata oltre al portale.

NOTE DELL'AUTRICE
Ciao a tutti!
Questo è l'ultimo capitolo che avevo scritto per intero, quindi dalla prossima settimana non so cosa accadrà :/
Spero che vi sia piaciuto. :)
Non ho molto da dire e vi faccio tanti auguri di buon anno. :)

A presto

Francesca 
  
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