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Autore: EffyLou    04/01/2018    1 recensioni
ATTENZIONE: storia interrotta. La nuova versione, riscritta e corretta, si intitola Stella d'Oriente.
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Ha venti anni quando incontra per la prima volta quegli occhi, lo sguardo fiero del re di Macedonia, il condottiero che non perdona; ha venti anni quando lo sposa, simboleggiando un ponte di collegamento tra la cultura greca e quella persiana. Fin da subito non sembra uno splendente inizio, e con il tempo sarà sempre peggio: il suo destino è subire, assistere allo scorrere degli eventi senza alcun controllo sulla propria vita, e proseguire lungo lo sventurato cammino ombreggiato da violenza, prigionia e morte.
Una fanciulla appena adolescente, forgiata da guerre e complotti, dalla gelosia, dal rapporto turbolento e passionale col marito. Una vita drammatica e incredibile costantemente illuminata da una luce violenta, al fianco della figura più straordinaria che l'umanità abbia mai conosciuto.
Rossane, la moglie di Alessandro il Grande. Il fiore di Persia.
Genere: Avventura, Drammatico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: Triangolo, Violenza | Contesto: Antichità, Antichità greco/romana
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Memorie Antiche'
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۲۰. Beest

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Alessandro aveva predisposto in maniera ottimale il convoglio che doveva attraversare il deserto, dividendolo in quattro squadroni: un’avanguardia doveva avanzare e scavare nei pressi della costa dei pozzi, preceduta però da lui stesso in avanscoperta, perché invadesse le località degli Oriti e ne saccheggiasse i villaggi; Leonnato aveva l’ordine di coprire il fianco nord, Tolomeo quello costiero a sud mentre il grosso del convoglio sarebbe stato guidato a distanza da Efestione che seguiva, sulla stessa asse, il primo distaccamento.
Alessandro e le sue truppe si addentrarono un po’ di più nella regine, seguendo la pista praticabile e tracciata dalle linee delle ruote dei carri.
La boscaglia che fiancheggiava le rive dell’Indo divenne una prateria semi-paludosa in cui pascolavano bufali, cervi e antilopi. Durga, la fedele tigre di Rossane, era in custodia al re lungo il tragitto via terra. In quella prateria cacciava liberamente, e faceva ritorno alla tenda di Alessandro durante la sera. Il re, nonostante la diffidenza con i felini, aveva ormai instaurato un rapporto d’amicizia e complicità con il felino, quasi fosse umano. Durga lo affiancava sempre nella marcia, gli teneva compagnia se era da solo, era sempre vigile soprattutto quando Alessandro dormiva.
La prateria si trasformò poi in una steppa con radi cespugli, in cui pastori dall’aspetto selvaggio e primitivo facevano pascolare pecore e buoi, e guardavano incuriositi il passaggio di quel corteo scintillante che avanzava dietro il vessillo di una stella a sedici raggi.
Una guida indiana, di fianco ad Alessandro, gli parlò in persiano: «Sono Oriti, sire. Questi sono del tutto innocui, ma più avanti bisognerà fare molta attenzione».
Le truppe macedoni avanzarono fino a farsi strada alla città degli Oriti, Rambacia. La trovarono disabitata e in fiamme quasi estinte, ma ciò non scoraggiò il re e dispose i preparativi per fondarvi una nuova Alessandria.
A distanza di pochissimi giorni dalla partenza dal nuovo nucleo, Alessandro raggiunse la costa e predispose le provviste da lasciare a Nearco.

In piedi sulla costa, con le braccia incrociate al petto e il mantello che si gonfiava dietro di sé a causa della brezza, teneva gli occhi fissi sulla linea dell’orizzonte. Il cielo era nuvoloso, a tratti i raggi del sole facevano capolino facendo scintillare le onde.
Si sentiva calmo, nonostante fosse consapevole che presto avrebbero affrontato il terribile deserto. Nonostante non riuscisse a scorgere la flotta, gli piaceva immaginarla a poca distanza dalla costa mentre le onde si infrangevano leggere sulle fiancate delle navi.
«Alessandro. – lo chiamò la voce di Efestione. – Abbiamo finito. Il frumento dovrebbe sfamare la flotta per una decina di giorni, se hanno fatto bene i calcoli»
«Allora ripartiamo subito», si lanciò un’ultima occhiata alle spalle prima di affiancare l’amico e avviarsi verso il convoglio dei soldati.
«Tra non molto raggiungeremo il deserto» mormorò Efestione, tradendo una punta di ansia nella voce. Che tuttavia non sfuggì al re.
«Siamo ben organizzati, non c’è da temere»
«Lo so, ma i persiani non fanno che agitarsi. – borbottò. – Anche Bagoa si lagna»
Alessandro ghignò. «Puoi biasimarli? Non è molto allettante la prospettiva di attraversare un deserto. Poi i persiani conoscono le disavventure della regina Semiramide e di Ciro il Grande nel deserto della Gedrosia, il Dasht-e-kabir. Ma abbiamo affrontato già il deserto egiziano per arrivare a Siwa»
«Sì, ma…»
Il re gli posò le mani sulle spalle, con un sorriso fiducioso. Non aveva bisogno di dirgli altro. Efestione restò a guardarlo con la fronte appena aggrottata. Aveva cieca fiducia in Alessandro e nella sua organizzazione, e nonostante lo scetticismo, non poteva ignorare gli occhi dell’amico. Ogni cosa impossibile diveniva possibile, e quel sorriso oltre a confermarglielo, gli riempiva il cuore di coraggio e voglia di andare avanti.
 
Così, con la fine di ottobre, l’esercito si lasciò indietro la verdeggiante vallata del fiume Purali, e arrivò al confine con il deserto tanto temuto. La linea costiera, solitamente ricca di flora e fauna, da questo lato era arida. Una distesa di sabbia e rocce bianche fin dove poteva arrivare lo sguardo.
Il pensiero di Alessandro era soprattutto rivolto alla flotta: dovevano seguire un cammino parallelo, ma la carenza di scorte costrinse il convoglio ad addentrarsi di più nella regine, dove c’erano maggiori possibilità di imbattersi in centri abitati.
Allungando così il percorso, attraverso zone inesplorate, si imbatterono nelle valli di Kolwa e Kech. Qui, trovando un ambiente più fertile, il re inviò migliaia di foraggiatori fino a nord della Gedrosia, per rifornire sia l’esercito a terra che quello in mare. Ma quando ripartì in avanscoperta, gli ordini per la flotta vennero ignorati.
Alessandro raggiunse l’oasi di Turbat, e da lì discese per raggiungere di nuovo le coste. Il problema fu che le provviste si consumarono più in fretta del previsto, ancor prima di arrivare, e le piogge sarebbero arrivate solo dopo qualche settimana.
L’esercito non reggeva più la fame, il caldo e la sete. Decise allora che avrebbero continuato l’avanzata di notte, con una temperatura più fresca, e avrebbero ucciso gli animali da soma per sfamarsi.
All’alba montavano l’accampamento, per restare poi fermi fino al tramonto, e approfittando dei momenti di riposo per farsi medicare le vesciche, mangiare, dormire.
Alessandro non dormiva. E se lo faceva, era per poco. Era sempre pronto a scattare da una parte all’altra dell’accampamento per aiutare o incoraggiare.
Ma quando si stancava troppo, si chiudeva nella sua tenda e lasciava che Bagoa si occupasse di lui.

«Hai trovato qualcosa da far mangiare a Durga?» domandò il re con voce assonnata, sdraiato sulla branda.
La tigre era accoccolata lì vicino e riposava. Era visibilmente dimagrita rispetto all’inizio del viaggio di torno. Si vedevano le costole, sotto quelle striature nere. Alessandro allungò una mano verso di lei per accarezzarla dietro l’orecchio con la punta delle dita.
«Sì, mio re. Gliene ho già lasciato un po’ in un vassoio» rispose Bagoa, osservando le carezze che il sovrano dedicava all’animale.
«Ci sono lettere?»
«Una da parte di Nearco e una da parte di Rossane».
Alessandro allungò il braccio nella sua direzione, e con un leggero accenno delle dita lo invitò a porgergliele. Bagoa obbedì in religioso silenzio, e osservò il suo re mentre leggeva velocemente le brevi righe scritte sulla lettera di Nearco. Lo informava che le scorte erano state prese, e lo metteva al corrente che il diario di bordo proseguiva con dettagli e disegni sugli Ittiofagi.
Poi prese tra le mani la lettera di Rossane.
 
Da Rossane, al suo sposo Alessandro re di Persia – Salve!
Come prosegue il viaggio a terra? Il deserto è tanto ostile? Durga come sta?
Il mare è tremendo, sono costretta a prendere continuamente gli infusi che Demetrio, il medico che mi ha assegnato Filippo, mi prepara tanto pazientemente. Il mare mi mette un po’ d’inquietudine: ovunque io mi giri, il paesaggio è sempre uguale, e questo mi serra la gola dalla paura.
Mi annoio molto, ad essere sincera. Ogni tanto Nearco mi fa provare a stare al timone, con Almas e qualche volta anche Perdicca, facciamo giochi con i dadi. Ogni volta che attracchiamo, sono sempre la prima a scendere e baciare terreno!
Spero che il tuo viaggio prosegua bene, non ho avuto nemmeno una tua lettera e mi sono un po’ preoccupata, ma so che è per via dell’avventura che stai affrontando. Non so quando la mia ti arriverà, spero presto, in ogni caso il mio pensiero è sempre con te. Non arrenderti e stai di buon animo, ho fiducia in te. Ti abbraccio.
 
La lettera fece sorridere Alessandro, che non perse tempo per risponderle e si fece passare da Bagoa un foglio di pergamena e lo stiletto per scrivere.
 
Da Alessandro sovrano di Persia, alla sua lontana sposa Rossane regina di Persia –
Salve a te!
La tua lettera è un toccasana per la mia stanchezza e la mia tensione. Il viaggio è estenuante e molto difficile: avanziamo di notte per evitare la calura, e per mancanza di cibo siamo stati costretti ad abbattere alcune bestie da soma. L’acqua è poca e viene razionata severamente, ma sono fiducioso poiché presto dovrebbero arrivare le piogge a placare la nostra sete.
Durga è malridotta come noi: stanca, affamata, assetata. Mangia, beve e riposa poco, ma quanto basta per continuare l’avanzata.
Fai bene a temere il mare. Sai bene quanto me che la natura sa essere molto ostile, e l’oceano non è come una foresta pluviale. Io spero con tutto il cuore che Poseidone vi sia propizio.
Anche il mio pensiero è con te, e spero che tu possa trovare conforto in questo nei momenti di angoscia o timore. Porta i miei saluti a Perdicca ed Almas, e ringrazia Demetrio.
Grazie della tua fiducia. Ti bacio, mia stella.
 
 
 
* * * * * *

 
La notte era stata lunga, in balìa della tempesta. Per miracolo le navi non si erano distrutte contro la furia delle onde, o l’una addosso all’altra. Alcuni alberi maestri si erano spezzati e l’equipaggio si ritrovò costretto ad utilizzare i remi.
La tempesta si placò che era ancora buio, lasciando il mare piatto come una tavola e le navi ferme sulla superficie dell’acqua. Come se fossero in attesa. I capitani controllarono le perdite e i danni causati che si rivelarono essere non pochi. Alcune navi erano affondate, altre avevano alcune parti strappate via dalla furia del vento e del mare. La preoccupazione di Nearco andò al cielo.
Era coperto da nubi più nere del manto della notte, e non poteva vedere la stella polare per orientarsi. Dovevano andare a nord… ma qual era il nord?
Decisero di attendere il sorgere del sole, e fino all’alba si occuparono di recuperare alcuni marinai che avevano abbandonato i loro navigli a causa di buchi nella stiva.
Rossane fissava sconsolata e spaventata quelle navi che affondavano, con solo la prua, la poppa o un fianco ancora fuori la superficie di quell’oscurità. Il mare di notte era terrificante. Ancor di più in assenza della luna a illuminarlo debolmente. Non si distingueva dov’è che finisse il mare e iniziasse il cielo, c’era solo il nero più assoluto, e le navi sembravano fluttuare.
«È magico» aveva sospirato Almas.
«No, è terrificante» aveva risposto, invece, Rossane.
Di spiacevoli avventure, forse ne aveva vissute anche troppe, tra l’India e il mare.

L’alba arrivò di un colore grigio, rosato; a causa delle nuvole, la luce del sole sembrò colorare ogni cosa di grigio chiaro. Soprattutto l’acqua.
Nearco individuò subito l’est e gli altri punti cardinali, puntando la nave verso nord. Ben presto, sulla linea dell’orizzonte, comparve l’ombra di una montagna. Alcuni marinai gioirono perché, pur consapevoli che non si trattasse della costa, avrebbero comunque raggiunto terra.
Fu deciso di attraccare lì, per riposarsi dopo quella notte disastrosa, e cercare di riparare i navigli laddove fosse stato possibile.
Ci misero un po’ prima di arrivare, ma ne valse la pena: l’isolotto aveva solo una montagna di piccole dimensioni, ed era ricoperta di boscaglia. Non aveva sabbia, sulle sue spiagge, ma solo sassolini piccoli e duri, di colore scuro.
Non era un’isola molto grande, tanto che fu possibile circumnavigarla in un giorno e mezzo, sembrava di forme tondeggianti. Vennero montate alcune tende sulla riva e Nearco concesse un po’ di riposo ai marinai della flotta, prima di mandarli a tagliare la legna.
Ma dopo un paio d’ore, tutti erano a lavoro. C’era chi tagliava la legna, e la portava ai falegnami per preparare le tavole per riparare le navi; chi si occupava dell’esplorazione del posto, chi si occupava dei feriti, chi gettava le reti da pesca per vedere se abboccava qualcosa.
Le donne erano state divise tra il supporto all’accampamento, e la raccolta di frutti nella boscaglia.

Rossane, desiderosa di esplorare quell’isola, era immersa nel fitto della vegetazione. Gli alberi erano sottili, con le fronde abbondanti e spesse radici che fuoriuscivano dal terreno fino a coprirlo quasi del tutto. Laddove non creavano quel tappeto legnoso, c’era muschio umido. Persino nella boscaglia potevano trovarsi conchiglie, ed Almas ne raccolse un po’ per creare una collana.
«È stata una vera fortuna trovare quest’isola. – commentò Miraj, china su un cespuglio pieno di bacche mature. – Guarda che frutti particolari! Avete mai visto bacche del genere?» esclamò poi, estasiata.
Le bacche erano di tutti i colori dell’arcobaleno, punteggiate di bianco, e le foglie erano piccole e verdi, carnose. Erano bellissime da guardare, non sembravano nemmeno di quel mondo.
Nys ne staccò una e la portò alla bocca. Quando morse, un liquido dello stesso colore viola della bacca le colò ai lati delle labbra. «E sono anche buone!»
Rossane si avvicinò incuriosita, prendendone una di colore blu. La ruppe a metà con le mani, sporcandosi le dita del liquido azzurro, ed osservò l’interno. A parte il succo, il frutto era vuoto. Miraj scoccò un’occhiata curiosa: «Oh, come le noci di cocco».
Lei veniva dall’Anatolia, ma era stata in Egitto, ed era lì che vide per la prima volta quei frutti particolari. Anche in Persia c’erano, ma nella regine a sud, dove le coste incontravano il mare e dove le foci del Tigri e dell’Eufrate si mischiavano con le acque salate.
Nys annuì e tossì, deglutendo gli ultimi rimasugli di frutto. «Però la buccia è dura, fa strozzare».
«Bevi un po’ d’acqua» le consigliò Almas, porgendole la borraccia.
«No, sto bene. – le sorrise. – Hanno un buon sapore» aggiunse, e prese un’altra bacca di colore giallo. La aprì con le mani come aveva fatto Rossane, e si limitò a berne il succo, abbandonando la buccia tra le fratte.
Tossì di nuovo e si batté la mano sul petto, poi si placò e tirò un sospiro soddisfatto. Almas aggrottò le sopracciglia e le porse di nuovo la borraccia. Nys declinò ancora l’offerta.
Rossane guardò i cesti che le donne tenevano in braccio, colme di bacche variopinte. «Direi che possiamo tornare».

Nys continuò a mangiare bacche e tossire lungo il percorso di ritorno. Improvvisamente le sembrava più lungo dell’andata, eppure anche dal fitto del bosco in cui si trovavano riuscivano a intravedere il mare e il via vai di marinai laboriosi come formiche.
Si appoggiò ad un albero, affaticata, mentre le sue compagne procedevano. Miraj si voltò per guardarla interrogativa, ma Nys le fece segno di continuare: «Vi raggiungo subito, voglio mangiare altre bacche». L’amica turca sorrise scuotendo appena la testa, alla solita golosità dell’egiziana, e continuò il cammino. Nys doveva solo appoggiarsi un momento, con tutto quel camminare si era stancata e le era venuto anche un po’ di sonno.
Scosse la testa, si sarebbe riposata nell’accampamento. Allungò una mano per mangiare un’altra bacca dal cesto, sporcandosi le labbra di blu stavolta. Mosse un passo in quella direzione, ma improvvisamente quelle che sembravano radici si erano trasformati in serpenti. Si paralizzò, e cercò di gridare alle compagne di fare attenzione, ma la voce le morì in gola. Pensò che doveva essere la paura, ma poi si rese conto di far fatica a respirare. La gola si era gonfiata, ostruendo le vie respiratorie. Barcollando si mosse indietro, per allontanarsi dai serpenti. Tossì ancora, perse l’equilibrio sul corpo di un grosso serpente marrone che le strisciava ai piedi, e cadde indietro facendo rovesciare il cesto con le bacche colorate. Si immobilizzò, pregando che così non l’avrebbero considerata una minaccia e attaccata.
 

Le ragazze posarono le ceste nella tenda del cuoco.
«Dov’è finita Nys?» domandò Rossane, guardinga.
Miraj sorrise bonaria. «Ha detto che voleva restare per mangiare altre bacche, ma prima del buio dovrebbe arrivare».
La regina aggrottò le sopracciglia, era già il tramonto e aveva un brutto presentimento. «Forse si è persa. Andiamo a cercarla»
«Chi si è persa?» domandò Perdicca, entrando nella tenda con alcune noci di cocco tra le braccia.
«Nys»
«Vi accompagno. Non sappiamo niente di questo posto, e ora che sta calando la notte potrebbero uscire fuori pericoli. Vi serve qualcuno che possa difendervi» e detto questo, portò la mano ad un grosso pugnale ricurvo che aveva legato alla cintura, sganciandolo e porgendolo a Rossane, mentre lui teneva per sé la daga. La regina sorrise divertita, pensando che a quanto pareva Perdicca non aveva dimenticato di cosa fosse capace la persiana.
Partirono subito, portando con sé alcune torce per fare luce nella boscaglia cupa. A gran voce chiamarono Nys. La pioggia cominciava a battere sulle fronde, gocciolando sul tappeto di muschio e radici, ma senza che li bagnasse. L’aria era umida e calda, ma al contempo arrivavano di tanto in tanto refoli di vento freddo che provocavano brividi al gruppo.
Miraj avanzava vicino a Rossane, portando la torcia mentre la regina teneva il pugnale davanti a sé e faceva strada tra alcune fratte. Le bacche, di colori piacevoli e sgargianti col sole, al buio erano cupe e oscure.
«Rossane…» la chiamò la flebile voce di Miraj. La regina si voltò a guardarla: aveva gli occhi fissi su un punto, ma non sembrava guardare davvero, tremava con una foglia e aveva tutta l’aria di essere terrorizzata o sul punto di una crisi.
Rossane seguì lo sguardo della concubina, e vide il corpo di una donna riverso a terra, semi nascosto dalle fratte. Gli occhi chiusi le conferivano l’aria dormiente, rilassata; ma la posa era innaturale e scomposta. Ciò che pietrificò Rossane, e che aveva paralizzato Miraj, erano le labbra. Di un vivace color viola, rivoli di succo scendevano ai lati della bocca. Le dita della mano erano sporche dello stesso liquido.
La regina fece un lungo respiro, cercando di mantenere il sangue freddo. Forse non era morta. Si chinò su di lei, portandole la mano sul petto per cercare il battito del cuore. Non trovandolo, alzò lo sguardo su Miraj, afflitta.
«Dobbiamo portare via quelle bacche dalla tenda del cuoco» concluse la concubina.
Rossane annuì freneticamente, mentre si alzava in piedi. «Corri all’accampamento»
«Ti serve luce. – si guardò intorno in cerca di un ramo a cui regalare un po’ del suo fuoco. - Aspetta»
«Non c’è tempo, non c’è tempo! Non è così buio, riesco ancora a vederci senza la torcia. Cerco di raggiungere Perdicca ed Almas, ma tu devi correre, Miraj»
«Trova Nys, ti prego» le sussurrò, con il cuore in mano. Poi si voltò e corse verso l’accampamento, ma in cuor suo lo sapeva che era troppo tardi. Nys aveva mangiato troppe bacche.
 
La notte fu colma di angoscia. Diversa da quella della tempesta.
Miraj era corsa all’accampamento prima di cena, aveva avvisato tutti e dato fuoco alle ceste di bacche. All’inizio aveva suscitato gli schiamazzi dei soldati macedoni, ma i medici per primi si allarmarono delle parole della ragazza.
Furono organizzate squadre di ricerca di tutte le donne disperse quel giorno. Quasi tutte furono ritrovate, ognuna di loro aveva le labbra e le mani colorate. Poi, quando la luna era già alta nel cielo, Perdicca fece capolino dalla boscaglia seguito da Rossane ed Almas. In braccio aveva il corpo freddo di Nys. Intatto, solo sporco di succo delle bacche sulle labbra e sulle mani.
Recuperarono tutti i corpi prima dell’alba, e prepararono pire e piccole Torri del Silenzio.
Nearco era abbattuto, afflitto. Troppe perdite, tra la tempesta e quell’isola maledetta. Qualche soldato macedone si compiaceva della perdita delle donne: «Meno bocche inutili da sfamare!».
Qualche soldato persiano era terrorizzato e osò avvicinarsi all’ammiraglio: «Ammiraglio, sbrighiamoci ad andare via. Quest’isola non è quello che sembra, è Zaratan»
«Di cosa stai parlando?»
«Il mostro-isola. Sta dormendo, ecco perché è in superficie. Ma dobbiamo andare via prima che si svegli, altrimenti siamo perduti, ammiraglio».
Il corpo di Nys fu profumato e pulito, poi fu adagiato su una delle pire insieme a quello di altre donne. All’alba i fuochi vennero accesi, e dopo alcuni minuti di preghiera per quelle anime sacrificate, in cerca di cibo per tutti, Nearco diede ordine di riprendere il viaggio.
Lasciarono quell’isola maledetta che emanava sottili fili di fumo. Quasi gli dèi si fossero placati, quella mattina aveva il cielo quasi del tutto sgombro e partirono con la brezza leggera ad accompagnarli.



 

Buonsalve, come va? Piaciuto il capitolo? Tra l'altro ho deciso di cambiare font. Prima usavo Times New Roman, ora Georgia. Tutto sommato sono simili, quindi poco importa. 
È vero che Nys non era un personaggio importante, perché non l'ho mai presentato come tale, ma era comunque un'amica di Rossane ed Almas, ancora di più di Miraj.
La nostra flotta è davvero approdata su Zaratan (il mostro-isola) oppure è solo ciò che credono i superstiziosi marinai persiani? Oh-oh-oh! Una cosa è certa: è stata una disgrazia.

Dall'altra parte, invece, c'è Alessandro che deve fare i conti con la calura del deserto, la fame, e la sete. Il che sarà molto complicato: ancora una volta il sovrano sta sfidando la storia e personaggi temerari che prima di lui ci hanno provato, come la regina assira Semiramide (figura affascinante, di cui mi piacerebbe scrivere qualcosa un giorno) e il re persiano Ciro il Grande.
Ci riuscirà? Certo che ci riuscirà, è Alessandro dopottutto. E lo farà con un metodo che pare scontato, invece è molto importante.

Se vi va lasciatemi una recensione, mi fa sempre piacere sapere cosa ne pensate! Grazie a tutti coloro che seguono questa storia, attivamente o meno, a chi mi scrive una recensione o un messaggio privato, e grazie ai lettori silenziosi. Siete davvero tanti, accidenti! Hahaha!
Buona serata, alla prossima ♥

   
 
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